Con occhi avidi di conoscenza ammiro il dipinto del Caravaggio (Michelangelo Merisi da Caravaggio), "pittore pazzo" o anche definito il "pittore maledetto".
Il mio pensiero corre alle suggestioni prodotte dalla tela in cui il pittore, con particolare attenzione e maestria, dipinge il giovane vestito elegantemente con un corpetto decorato dalle larghe maniche a sbuffo ed i pantaloni di un color verde smeraldo. La tela rende il protagonista quasi un "soggetto teatrale", come teatrale è la vita ogni giorno.
Il volto di Narciso appare sofferente, in quanto il giovane sarà trasformato in fiore. Trovo molta similitudine tra questo dipinto, ove il giovane ragazzo è vestito con un lussuoso abbigliamento, e buona parte della gioventù attuale, molto attenta alle tendenze della moda ed ai particolari del vestire quotidiano, che li spinge ad indossare ciò che li rende attraenti: scarpe, pantaloni, maglie, camicie, anche le mutande griffate, monili di gran marca pubblicitaria, taglio dei capelli scomposto, ma curato nella novità.
Il protagonista è stato dipinto da Caravaggio con la tecnica del chiaroscuro, ove il bianco degli indumenti fa da contrasto al nero della tela mettendo ancor più in primo piano Narciso. La scelta del protagonista della mitologia greca, famoso per la sua bellezza, figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso, appare incredibilmente crudele sia nella versione ellenica che in quella romana, in quanto disdegna ogni persona che lo ama essendo unicamente innamorato di sé stesso.
La versione greca del mito appare come una sorta di racconto morale, in cui il superbo, egocentrico e insensibile Narciso viene punito dagli dèi per aver respinto tutti i suoi pretendenti di sesso maschile e, in un certo qual senso, lo stesso Eros. In questa versione Narciso aveva molti innamorati che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo il giovane Aminia non si diede per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse davanti alla sua casa, non prima di aver invocato il dio per ottenere una giusta vendetta.
Nella trasposizione romana di Ovidio, si narra che quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età era di tale bellezza che ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui. Narciso, orgogliosamente, li respingeva tutti come fece con Eco, una Ninfa dei monti, che di lui si innamorò. Narciso però l'allontanò in malo modo e le disse di lasciarlo solo. Eco, con il cuore a pezzi, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.
La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua stessa immagine riflessa come in uno specchio, innamorandosi perdutamente di sé stesso e lasciandosi infine morire una volta resosi conto dell'impossibilità del suo amore.
In entrambi i racconti, così ben ritratti dal Caravaggio non si può non leggere un ammonimento rivolto ai giovani e alla vanità fino a giungere in taluni casi al narcisismo.
Orbene, benché il termine vanità indichi un'eccessiva credenza nelle proprie capacità e desiderio di suscitare attrazione verso gli altri e si ritenga il narcisismo un disturbo della personalità e, in termini generali, l'amore che una persona prova per la propria immagine, ritengo che la cura della propria persona e la ricerca del bello sia necessaria per un proprio equilibrio mentale e fisico.
Io stesso, benché la mia età non sia più quella del giovane Narciso, né tantomeno ne abbia doti e requisiti, tendo, quando posso, a piacere a me stesso, ma ciò non deve essere prioritario nella vita quotidiana né deve diventarne un'ossessione.
Purtroppo al giorno d'oggi di Narcisi ce ne sono molti e trovano rifugio negli unici beni che oggi ritengono sicuri: la loro giovinezza, il loro corpo, la loro bellezza, tanto da farne mercato. Molti però sono ancora i giovani che tengono saldi i rapporti con sé stessi e con quello che c'è intorno, ove l'effimero non lo rifiutano, ma riescono a comprendere che l'orologio sul polsino, (canzone di Luca Barbarossa), e come continua la stessa canzone del 1988 "Hanno la macchina col telefono ed un orologio d'oro,la brillantina nei capelli e parlano di lavoro, la notte puoi trovarli in discoteca sorridenti con la bottiglia nel secchiello e delle "donne" appariscenti", non è che un momento della vita che va goduto pienamente, ma non può durare a lungo e che occorre invece pensare e costruire giorno per giorno il proprio futuro, fatto per la maggioranza dei giovani di fatiche, sudore, sacrifici e privazioni.
Su questi giovani conto e credo che il pittore maledetto, dalla vita travagliata, s'ispirasse a ciò quando dipingeva sul volto del suo Narciso la tristezza ed il dolore di una vita che va vissuta per quello che offre e non per quello che vorremmo che fosse, verso una malcelata affermazione di un ego che non porta da nessuna parte se non verso la solitudine. Un messaggio ai posteri, ed io con lui confido nei giovani d'oggi.