Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio happy hour

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happy hourNon è solo un drink, è molto di più. Prendere un aperitivo è come andare ad un appuntamento, un incontro festoso, un meeting con amici nel quale si presenta anche l'opportunità per fare nuove conoscenze. Bere qualcosa, "mangiucchiare" in compagnia, magari ascoltare un po' di musica.
Un momento di rara libertà, quasi furtivo, tra il dopo lavoro e la cena, per farti stuzzicare l'appetito e, perché no, scaricare una bella dose di stress accumulato sul lavoro, dimenticare i rimbrotti del capo e spolverarsi dalle malignità dei colleghi.
Alle 19 circa i bar cambiano aspetto, quasi cambiano arredo. Da luogo di un veloce caffè di mezza mattinata o di un marocchino con brioche della colazione, (io preferisco la focaccia o in alternativa la "Luisona" di Stefano Benni, memoria dal suo romanzo "Bar sport" - Si tratta di un dolcetto di pasta arrotolata con uvetta) questi si trasformano in salotti d'incontro ove sul bancone puoi trovare piccole sfiziosità, che ingurgiti con il tuo drink, non solo più le patatine che da bambino compravi nei sacchetti del bar (cosa che invece il mio barista Beppe, del bar più scrauso della città continua a propinarmi nella pausa di mezzogiorno, mentre mi rinfresco con una birretta), sono patatine arricchite con gusti di tendenza (peperoni, pomodori, rosmarino o patatina rustica) o le squallide ma sempre golose noccioline americane (arachidi).
Nell'aperitivo moderno, trovi molto di più che le classiche olive verdi snocciolate; puoi passare dalle carote lavate e tagliate a fettine, che a casa tua non mangeresti mai, a taglieri con affettati vari come mortadella (io amo quella con il pistacchio) a salumi misti. Alle volte ti capita, inoltre, di imbatterti in prodotti tipici come: testa in cassetta, salame calabrese o il più tradizionale salame campagnolo.
Per non parlare delle salsine come maionese, tonno e piselli e, per chi ama il cibo piccante, quella al pomodoro, peperoncino ed erbette aromatiche.
Anche da Monica e Pier Carla, la vineria da me preferita, puoi gustare succulente frittatine di verdure di stagione, ciotoline di pasta alle verdure e, ancora, solenni taglieri di formaggi che Monica acquista rigorosamente da casari di fiducia e non al supermarket. Anche le sue verdure, sopratutto le carote, provengono dai campi del paese natio (Castellazzo Bormida).
Da vere padrone di casa, Monica e Pier Carla ti ricevono sempre con il sorriso, Monica con quei capelli biondi arruffati nelle più improbabili pettinature shock. Anche la sua socia "in affari" e le ragazze che con lei gestiscono il mio ritrovo preferito sono persone estremamente piacevoli; sono tutte rapide nel servire i clienti e si comportano cordialmente con la folla che si spintona per guadagnarsi la prima fila del bancone, quasi fossimo ad un concerto.
Mi piace molto andare da loro perché posso addolcire il mio aperitivo con le gustosità che mi "acchiappano" il palato e che è difficile trovare in altri locali, come le mattonelle di cioccolato bianco e alla nocciola, arachidi addolcite con zucchero o uvetta sultanina. Non riesco proprio a trattenermi dal mandar giù queste golosità, accompagnate da piccoli pezzi di pane o grissini stirati, sempre rigorosamente castellazzesi.
Ogni stagione è buona per questo rito, ma sicuramente l'estate è la più adatta per intrattenersi all'aperto con gli amici sorseggiando un buon bicchiere di vino. L'appuntamento delle sette conquista vicoli, piazzette e ogni angolo della città. Tutto, rapidamente, si trasforma in un salotto dedito al chiacchiericcio; un vero brulicare di gente, giovani e non solo, riuniti in un convivio rilassato.
Happy hour direbbero gli anglofoni, ma l'invenzione è tutta italiana, come del resto tutte le cose buone. I romani (antichi) prima dei pasti erano soliti bere una specie di aperitivo a base di vino e miele, che chiamavano "Mulsum". Anche i greci sorseggiavano vino aromatizzandolo con spezie, mentre gli Assiri preferivano il vino di palma.
La svolta la diede un torinese nel lontano 1786, tale Antonio Benedetto Carpano, che nella sua bottega in Piazza Castello iniziò a produrre, commercializzare e servire un infuso di vino con trenta erbe aromatiche. Aveva inventato il Vermouth. Da allora questa "speciale bevanda" è stata esportata in tutta Europa e successivamente prodotta da Cinzano e Martini & Rossi, divenendo con l'appellativo di "Martini" l'aperitivo per eccellenza; da bere liscio o come base di tanti cocktail, come il Negroni o il Manhattan. Ovviamente i nobili torinesi trasportarono la moda dell'aperitivo in tutta Italia (Genova, Milano, Venezia, Roma e Napoli). Il Vermouth Gancia divenne l'aperitivo ufficiale della casa reale, la quale concesse l'autorizzazione a usare la formula "Bianco Gancia – Vermouth dell'Aristocrazia e della Regalità". Il Vermouth Gancia ebbe inoltre un ruolo attivo nell'unificazione della nostra nazione. Venne infatti utilizzato come veicolo di propaganda diventando messaggero dell'indipendenza e dell'unità. Da qui deriva l'invenzione dell'aperitivo "Garibaldi" di Gancia.
Grazie al boom dei caffè di fine 800, questo famoso vino aromatizzato divenne un fenomeno sociale che i milanesi seppero sfruttare rapidamente facendo nascere diversi cocktail. Il boom definitivo si ebbe negli anni 80 del secolo scorso, sempre a Milano, con il diffondersi del motto "Milano da bere". Con l'avvento degli anni 80 il cocktail divenne la "moda del bere". A metà di quel decennio si bevevano ancora il Bloody Mary, il Campari con il bianco (un tempo chiamato anche mez-e-mez, cioè "mezzo e mezzo", oppure alla milanese "un campari in due") e pochi altri cocktail. Successivamente si affermarono i cocktail sudamericani, portati alla ribalta a Milano, mentre Al Baretto e Cavo di Firenze venne inventato anche il famoso Negroni. Si diffusero in meno di un anno i Daiquiri, le Tequila di vario genere, i Margarita e altri cocktail caraibici.
Nei primi anni 90 giunsero alla ribalta i cocktail a base di Vodka; poco dopo scopriamo l'Americano e il ritorno alla ribalta del Negroni Sbagliato, inventato al "Bar Basso" di Milano negli anni 50, chiamato semplicemente "Sbagliato".
Oggi vanno per la maggiore, almeno d'estate, lo "spritz" (vino bianco acqua gasata e Aperol, credo di provenienza veneta) e il mojito (rum, zucchero di canna, lime, sodamenta e menta anche se sarebbe meglio l'Yerba buena), di origine cubana, di cui sono fiero conoscitore ovviamente dopo Ernest Hemingway che ne fece un must insieme al Daiquiri.
Ma l'aperitivo è anche una semplice birretta o un buon bicchiere di vino che non tradisce mai nessuno. I nostri amici europei preferiscono l'Ouzo in Grecia (liquore aromatizzato di anice), mentre in Gran Bretagna gli impiegati non vedono l'ora che suoni la campanella di fine lavoro per gettarsi in un pub a riempirsi di birra o, in alternativa, del famoso drink il Pimm's nato nel 1823 a Londra. Gli olandesi preferiscono il bitter, mentre in Spagna devi girovagare da locale a locale per berti il tuo drink accompagnato dalle tapas. In Francia, oltre ad un buon calice di vino bianco, puoi gustare il Sueze (vino, genziana ed erbe), nato ufficialmente nel 1889 anche se le sue origini sono più antiche, da bere con ghiaccio o acqua tonica; molto più digestivo che aperitivo.
I miei viaggi nei paesi dell'est mi hanno portato a bere, prima dei pasti, ciò che noi berremmo dopo pasto. Mi riferisco, ad esempio, alla rakia o rakija, un superalcolico creato per distillazione o fermentazione di frutta, molto popolare nei Balcani (nella forma più comune viene chiamata Slivovitz o Šljivovica, a base di prugna).
È "un'ora felice" quella dell'aperitivo, lontano dallo stress e come diceva una pubblicità (stavolta per un digestivo) lontano dal logorio della vita moderna, che prende sempre più vita e si sviluppa a braccetto con l'evolversi della società. Trovano spazio così, anche i cosiddetti "apericena" o gli aperitivi a tema (vegetariano) o gli happy hour etnici (di tradizione africana, mediorientale o caraibica). Dal bere solitario e nobile dei primi aperitivi a base di vermouth, sorseggiato seduti al tavolino e servito da camerieri in camicia bianca con cravatta o farfallino, giacca avorio e pantalone rigorosamente nero, siamo passati ai gomiti sul bancone durante l'ora più amata e vissuta da giovani e dai "diversamente giovani", tanto che Ligabue canta "sei già dentro l'happy hour".
Il costume dell'aperitivo è ormai mondiale. Il termine deriva dal latino "aperire" che significa aprire, inteso come preparare lo stomaco in vista del pasto imminente. L'happy hour in Italia è particolarmente apprezzato perché diversificato, non tanto per i long drink che sono ovunque gli stessi (Margarita, White Leboswski, Bloody Mary e PresiDante) ma sopratutto per ciò che viene a loro accompagnato.
Nel mio girovagare per l'Italia ho abbinato veramente a tutto, vince sempre la tradizione culinaria italiana: gustosi bocconcini ripieni di affettati e salsine, piccoli tramezzini (tartine a Milano), cubetti di mortadella nel bolognese, i grissini avvolti con prosciutto crudo nel parmense e peperoni e acciughe nel mio Piemonte.
Nel Monferrato e nell'Alessandrino, in genere, vi è anche la possibilità di farsi una piccola ma gustosa Bagnacauda, con tutte le verdure di stagione. Al centro-sud ho trovato crostini di fegato, piccoli spiedini di castrato, la soppressata, i salumi con il peperoncino, le olive ascolane e l'immancabile cicorietta passata in padella.
Insomma il mio happy hour o aperitivo (io non sono anglodipendente) lo vivo con gli amici più intimi, in mezzo a quello che potrebbe sembrare un "rave party domestico". L' Happy hour rappresenta per me, una sorta di interludio di pace e serenità per farmi sentire per un attimo libero dallo stress della giornata e collegato al mondo che mi circonda.