Blog di Dante Paolo Ferraris

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Una torrida estate tra le tende nel modenese

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Torre dei ModenesiAppena lasci il casello dell'autostrada e segui la strada che porta a nord, ti rendi conto che in fondo al tuo sguardo non vi è che la linea dritta dell'orizzonte. Il sole è alto e genera una cupola di calore immenso che crea una sorta di nebbia che sfoca ogni immagine, tanto da far apparire la fila di platani che costeggia la strada come un miraggio per quanto il sole rende evanescente ogni forma e figura.
Vasta è la pianura dai filari di pioppi cangianti che al variare del vento e della luce paiono far cambiare scenario di fronte a noi.
Le auto corrono veloci sul nastro d'asfalto, pare indifferenti alle grandi cascine che tranquille sono adagiate nella grande pianura a memoria dell'antico modo di produzione dei frutti della terra, coltivati dai ritmi lenti delle stagioni.
Non solo pioppi e coltivazioni di pere nella pianura ma anche tralci di uve pregiate che diverranno presto lambrusco, o come ricorda anche il cartello stradale appena superato indicante Sorbara, famosa sì per il suo vino ma anche per suo nettare che nasce in antiche acetaie.
Dolci anche nel colore dell'incipiente estate, gli occhi dei girasoli che sembrano fare l'occhiolino al sole, con i loro petali che si presentano come ciglia dorate, negli immensi campi coltivati. Questi volgono il capo verso i ripidi argini, realizzati a protezione del prezioso ma iracondo Panaro, che ora scorre pacifico ma che durante l'inverno può essere tumultuoso, comunque senza mai palesarsi ostile all'uomo.
Appena fuori Sorbara, nascosta in un placido boschetto ai lati della strada del canaletto che porta a Mirandola, si trova la famosa "Trattoria del Cristo", sosta obbligata per il viandante che percorre la bassa pianura modenese.
Non conosco chi fece collocare qui quel Cristo che diede nome alla località e all'osteria; l'unica cosa certa è che a caratteri cubitali puoi leggere "Antica trattoria del Cristo 1650". Locanda che diventa importante per la storia locale per le numerose soste di passeggeri illustri, per essere stata sede del fascio di Sorbara e dei sindacati fascisti e successivamente dell'ufficio amministrativo della cooperativa agricola, ma sicuramente l'avvenimento più rilevante fu la sosta che vi fece il primo re d'Italia Vittorio Emanuele II con il Generale Cialdini nel Maggio del 1861. Il re era diretto alla tenuta ducale di Camposanto, così come narra la storia raccontata dall'oste: "la gente era accorsa da ogni luogo ed erano saliti fin sui rami degli alberi più robusti per vedere il nuovo re. In quel luogo il Sindaco diede il benvenuto al re che gli consegnò 20 marenghi d'oro per i poveri del Comune". L'osteria del Cristo essendo esattamente a metà strada tra Modena e Mirandola fu stazione di posta dei cavalli per lungo tempo e, pur se per breve tempo, anche la mia.
Discosti dalla strada di scorrimento, collegati ad essa da lunghi viali alberati e affacciati verso l'acqua si dispongono pregevoli complessi edilizi, antiche dimore di campagna con torri colombaie, immerse in vasti parchi, appartenute a nobili famiglie modenesi e bolognesi, richiamate dalla navigabilità dei corsi d'acqua e dai terreni fertili. Lungo la strada spiccano nel paesaggio antichi e abbandonati oratori e cappelle votive.
Disperso nella bassa modenese, raccolto ed allineato lungo l'alto argine del Panaro, ci accoglie un antico borgo dal curioso campanile barocco a cipolla. È la settecentesca parrocchiale di San Nicolò, dove le strade del centro storico sono chiuse da ampie grate che segnalano il passaggio del terremoto; la stessa chiesa presenta un ampio squarcio sulla facciata con il crollo del timpano. Nell'attraversare l'abitato di Camposanto, le tende azzurre della protezione civile si trovano radunate nelle vicinanze del cimitero. Una grande ruspa, con gran rumore ma enorme delicatezza abbatte un casa, proprio all'incrocio ove un semaforo con la sua luce rossa non è riuscito a fermare il lungo tremore della terra.
Il sottile nastro d'asfalto che percorre la media pianura costeggia l'importante fiume. Il paesaggio è accompagnato all'orizzonte dalle alte arginature del corso d'acqua che si apre verso nord in distese un tempo vallive, lungo un itinerario che non si scosta dalla via d'acqua utilizzata fin dal XIII secolo per i traffici fluviali da Modena al Po, in cui l'abitato di Finale (oggi Finale Emilia, la nostra meta), era il principale porto e contemporaneamente il centro urbano di maggiore consistenza.
Un viale con enormi e robusti platani, nel fervido suolo materno che ha vibrato ci da il benvenuto nell'antico borgo, lungo la strada ormai costeggiata da case, capannoni industriali, centri commerciali ed un incessante filo di cemento e asfalto che nasconde il vecchio maniero e la torre civica che non potrà più scandire il tempo con il suo orologio.
La località era già abitata ai tempi dei romani e fu fortificata nel medioevo, quando crebbe costantemente d'importanza e sviluppo, dapprima come possesso dell'abbazia di Nonantola, quindi del Comune di Modena e degli estensi, ma anche di Ferrara e Venezia.
Lo sviluppo urbano ebbe apice nel XVIII secolo ma decaduti successivamente i traffici per via d'acqua, tra il 1880 e 1886 il Panaro venne deviato a Sud Est della città ed il conseguente interramento dei canali cambiò radicalmente l'aspetto urbano della città.
Benché parzialmente interrata, la porta di San Lorenzo (1250), ultimo baluardo della antica cinta muraria, mantiene il suo fascino e il terremoto pare essersi inchinato alla sua vista, quasi come se quell'accesso non più utilizzato, fosse il baluardo più arduo dell'antico borgo. Non ha avuto la stessa fortuna la vicina torre dei modenesi o dell'orologio (1213) rimaneggiata nel XV secolo, mestamente crollata a terra. Dapprima tentò di resistere alla prima scossa poi dovette abbandonare le sue velleità di antico e robusto simbolo della comunità per cedere a terra con la seconda grande scossa, immortalata comunque non più come simbolo della comunità finalese ma assunta a icona della resistenza e caparbietà e voglia di ricostruire della collettività modenese.
In direzione nordest, lungo quello che una volta era il corso del fiume, ora si percorre corso Trento e Trieste verso la fine del quale si eleva quel che rimane dell'antica Rocca estense, eretta a fortificazione medievale a guardia del Panaro e pesantemente rimaneggiata nei secoli, che ora non appare più quel massiccio fortilizio delle grandi torri angolari, di cui una rovinata a terra e le altre pesantemente danneggiate. Pare che gli antichi condottieri guardino il viandante dai vetusti merli, chiedendo scusa di non essere stati in grado di difendere l'antico borgo dal terremoto, come anticamente li difendevano dagli assalti dalle soldataglie.
Il teatro sociale lì vicino, dalle antiche forme liberty, ha avuto bisogno di un intervento di puntellamento a cura dei Vigili del Fuoco, mentre la vicina seicentesca chiesa di S. Francesco, con evidenti segni di ribaltamento di facciata è ancora transennata. Lontano dal culto è anche la Collegiata dei SS. Filippo e Giacomo con il suo caratteristico impianto quattrocentesco. Qui le abili mani di maestri d'ascia e dei Vigili del Fuoco, sono riuscite a mettere in sicurezza l'antico tempio di culto, mentre rimane ancora in attesa di soccorso, in piazza del mercato, la chiesa di San Bartolomeo, detta anche "della buona morte" con la sua facciata a due ordini di colonne. Preceduta da un bel portico dorico attende silenziosa che mani sapienti le portino aiuto. I pinnacoli caduti dall'alta facciata il giorno del terremoto sono ancora lì che attendono di essere rimossi sulla lunga piazza, pare facciano da monito a chi la percorre silenziosamente.
Per decenni qui la gente, che è buona e credulona, ci ha creduto davvero, sopratutto chi abita nelle campagne o negli antichi borghi della piatta pianura dell'Emilia Romagna. Le genti della pianura padana hanno vissuto senza il timore del terremoto per lunghi anni, certi che stare nella piana fosse come stare in una culla di terra e sabbia, soffice e dondolante e che mai sarebbe stata maligna con i suoi abitanti.
Anche l'antico Palazzo Comunale, con l'orologio e la statua di San Zenone, è stato violato e un cordone di transenne e di nastro arancione da cantiere nasconde quello che era il cuore pulsante di una storica città agricola ma votata alla più sofisticata industria. Ora il Sindaco e gli uffici comunali sono stati spostati al Centro Sportivo Comunale.
Diversi sono i campi che ospitano gli sfollati dove le tende azzurre della Protezione Civile sono allineate come tanti soldati pronti alla rivista. L'avvicinamento al campo è avvenuto passando davanti a case vuote con i muri puntellati e le crepe ben visibili come ferite, le stesse di sempre, viste in decine di terremoti, non si possono dimenticare, ma né allora né oggi riesco ad immaginare con chiarezza lo stato d'animo di chi ha subito tanto dolore.
File di panni stesi su improvvisati stenditoi sono gli unici segni che queste tende sono abitate. Gli uomini e le donne abili sono al lavoro, gli anziani sono raccolti nel grande tendone mensa, i più piccoli sono radunati dai volontari di Save the Children per farli giocare.
Nel campo solo volontari che come sempre sono accorsi da ogni parte d'Italia a portare aiuto e conforto. Molti di loro non sapevano bene cosa fosse una situazione di emergenza come il terremoto e cosa li aspettasse, ma sapevano che dovevano essere pronti a mettere a disposizione tutta la loro dedizione per aiutare una popolazione colpita da un dramma immenso. Altri, veterani con più esperienza alle spalle, erano impegnati a rendere più confortevole un centro di accoglienza, ben sapendo che piccole cose come un locale lavanderia o uno stenditoio avrebbero aiutato tantissimo gli sfollati.
Un caldo torrido tormenta sfollati e soccorritori, il termometro segna i 40° C., non vi è speranza alcuna di veder cadere una leggera ma consolante pioggerellina (non piove da fine maggio) e le T-shirt dei volontari della protezione civile, degli alpini in congedo e dei giovani ragazzi di Save the Children e di Telefono azzurro, sono bagnate dal sudore. Anche la loro sveglia suona presto alla mattina per iniziare un'attività di solidarietà, ma che non pesa nemmeno in queste condizioni. A ripagarli basta veramente poco, come un sorriso e la voglia di giocare dei bambini, il grazie di un anziana i cui occhi si commuovono, piccole cose ma che donano un'immensa forza ai nostri volontari, vera ricchezza della nazione.
Il cuore del paese ora è all'interno dei campi di accoglienza nei quali echeggia un silenzio assordante di giorno ma la sera pullula di vita e di movimento di uomini e donne, di ritorno da una giornata di lavoro in fabbrica, nei negozi, nei laboratori artigiani come nei campi. Sono lunghe le file di persone che attendono che un Vigile del Fuoco li accompagni dentro le loro desolate abitazioni a raccogliere quanto possono delle loro masserizie. Le macerie intorno a loro sono sparse ovunque e la loro vista aumenta la tristezza di coloro che hanno vissuto in prima persona tale drammatico evento sismico.
Non vi è segno di lagnanze, di lacrime, di scoramento nella gente, che dimostra come nulla sia in grado di minare completamente il proprio carattere, benché sia stata così duramente colpita negli affetti e nel lavoro. I segni di una sofferenza interiore appaiono distintamente negli occhi delle persone. Le donne più anziane, anche senza parlare, trasmettono con i loro sguardi la sofferenza che stanno provando e gli uomini della loro stessa generazione, quelli dalla "corteccia" più dura, quelli che hanno le mani solcate da grandi rughe ma che hanno contribuito a costruire la forte economia emiliana, hanno gli occhi colmi di rabbia e la voglia di non lasciarsi sopraffare e di ripartire, pronti a sconfiggere la cattiva sorte.
I volontari del locale Gruppo comunale di Protezione Civile, composto dalla migliore gioventù locale e da attempati quanto volonterosi pensionati sono la dimostrazione dell'impegno a risollevarsi per dimostrare all'Italia e non solo quanto è grande il cuore dell'Emilia.
I diversi campi di accoglienza sono gestiti dalle varie Associazioni di volontariato, come sempre, hanno metodologie diverse di gestione, chi troppo militarmente e chi troppo blandamente, ma non è colpa dei volontari, la responsabilità è di chi non da regole di gestione condivise e soprattutto della pubblica amministrazione che dovrebbe assumersi la responsabilità e non delegare i generosi volontari a guidare queste piccole città fatte di tende, dove i suoi cittadini sono obbligati ad alloggiare.
Le diverse etnie si sono raggruppate costituendo micro comunità equamente suddivise tra i vari campi. Queste persone, che rappresentano una fetta consistente della manodopera locale, erano state attratte dal lavoro e dalla estrema umanità della popolazione locale. La loro provenienza è in maggioranza nordafricana, ma non mancano anche pakistani e cinesi. Anche l'est europeo ha dato un contributo alla crescita di questo angolo di Emilia con rumeni, moldavi, ucraini, polacchi e albanesi.
È molto bello vedere scorrazzare per i campi d'accoglienza i loro figli, hanno tutti gli stessi occhi, chi grandi, chi a mandorla e sono quelli che colpiscono, non la mescolanza di lingue e il colore della pelle; i bambini sono uguali ovunque, ridono nello stesso modo, piangono con lacrime uguali, gioiscono per gli stessi giochi, riempiono qualunque spazio con la stessa energia e voglia di crescere.
Nelle mense, nelle bacheche e nei bagni gli avvisi e le istruzioni sono formulati nelle diverse lingue e gli spazi di preghiera sono comuni anche se il rito è diverso.
Al Centro operativo comunale, l'attività è frenetica, quasi caotica, tutti sono impegnati a dare risposta alle centinaia di richieste che la popolazione presenta, tutti sono impegnati a far rapidamente riprendere una vita tranquilla di una comunità da sempre operosa.
Presto la campana della torre dei modenesi (che pesa 1055 kg e ha il diametro di 116 cm), ornata da vari fregi e bassorilievi con la Croce, San Michele Arcangelo, San Zenone, l'Addolorata, lo stemma del Finale e la scritta "Carolis Ruffini Regiensis fecit", dopo essersi piegata alla volontà del sisma tornerà a scandire le ore, anche per i nuovi cittadini, quando verrà posta su una torre metallica posta in piazza Baccarini. Pensare che anticamente serviva a radunare il popolo in caso di incendi, inondazioni, furti, omicidi. I volontari continuano a raccogliere, ordinare e pulire le antiche pietre e mattoni della torre crollata, ormai divenuta simbolo del sisma per tutta l'Emilia, affinché con la rinascita di questo monumento sia dimostrata la tenacia della sua gente e il valore e la carica emozionale.
È ormai sfatata la vecchia credenza secondo cui i terremoti non arrivano nel ventre molle della placida pianura padana che nella sua storia ha sofferto comunque eventi sismici, anche devastanti, né più né meno come tante altre zone del paese. Siccome fortunatamente i terremoti non arrivano frequentemente, anzi hanno sovente degli intervalli piuttosto lunghi, se ne è semplicemente perduta la memoria.
Lascio questa terra così arsa, assolata e gravemente ferita. Riprendo la strada per cui sono venuto certo che queste ferite si rimargineranno ma lasceranno comunque una cicatrice indelebile nel cuore e nell'anima. Un cuore, quello emiliano, che neanche il terremoto ha spezzato, lo ha sicuramente incrinato, ma con mansuetudine e la volontà di ripartire sarà l'ulteriore dimostrazione di un Italia laboriosa e tenace.
La pianura padana all'imbrunire si distende placida lungo le corsie affollate che collegano Modena ad Alessandria. Ho la certezza che anche questo terremoto, per quanto terribile sia stato, ha temprato lo spirito di molti di noi e ci ha permesso di dimostrare, ancora una volta, il valore dei nostri volontari e dei cittadini della piccola ma fiera Finale Emilia.