Blog di Dante Paolo Ferraris

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I tecnocrati e il Conducător

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tecnocraziaOgni qualvolta sento il nostro Presidente del Consiglio parlare di debito pubblico mi viene sempre in mente Ceauşescu. Sì, perché lui ha saputo risolvere il problema del debito.
Le cause del "buco di bilancio " sono diverse tra i due paesi: la Romania di Ceauşescu nel 1981 aveva allora 12 miliardi di dollari (21 nel 1975). Sostanzialmente il debito era quasi totalmente verso l'estero ed in gran parte verso i Paesi occidentali, Stati Uniti in primis.
Gli U.S.A avevano sfruttato certi dissapori di Bucarest verso l'U.R.S.S. per cercare di accaparrarsi amicizie oltrecortina con ricchi prestiti. Ricordo che il governo comunista di Nicolae Ceaușescu non invitava i cittadini al risparmio privato e non emetteva BOT o CCT. Il nostro debito pubblico invece si formò tra gli anni '80 e '90, passando dal 57,7% sul Pil (prodotto interno lordo) del 1980 al 124,3% nel 1994. Tale crescita esponenziale (molto superiore a quella degli altri Paesi europei) non fu dovuta ad una impennata della spesa dello Stato, che rimase sempre al di sotto della media della Ue e dell'eurozona, ma ad altri fattori. Allora è lecito domandarsi da dove deriva la maggiore crescita del debito italiano. Ovviamente dalla spesa per interessi sul debito pubblico, da sempre molto più alta di quella delle altre nazioni. La spesa per interessi infatti aumentò vertiginosamente dall'8% del Pil nel 1984 all'11,4%, livello di gran lunga superiore al resto d'Europa. Infatti nello stesso periodo la media Ue passò dal 4,1% al 4,4% e quella dell'eurozona dal 3,5% al 4,4%. Nel 1993 il divario tra i tassi d'interesse si triplicò, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue (fonte keynesblog, 31 agosto 2012 in Economia, Italia).
Ma la crescita dei debito pubblico italiano dipese e dipende anche da altre cause, quali ad esempio la necessità di sostenere la caduta dei profitti privati che dal '74-75 caratterizza ciclicamente i Paesi occidentali.
Il tutto farcito da politiche di finanza pubblica sbagliate, investimenti o pseudo investimenti viziati che rendono oggi ingestibile la situazione del debito. Da qualche anno ormai l'entità dei tassi d'interesse sui titoli di Stato, ovvero quanto lo Stato paga per avere un prestito, dipende dalla domanda dei titoli stessi ed in parte sono gli stessi cittadini italiani che comprando BOT o CCT entrano in possesso effettivamente di parti di debito mentre altre sono comprate dalle banche e da investitori stranieri.
Nel 1992 gli attacchi speculativi alla lira costrinsero l'Italia ad uscire dal Sistema monetario europeo e a svalutare progressivamente la moneta, il che espose il nostro debito alle manovre speculative degli investitori internazionali. Non entro nel gioco che Governo, industriali e sindacati fecero con il raffreddamento e poi con il blocco della scala mobile colpendo direttamente la busta paga dei lavoratori. Comunque io non sono un economista e ho difficoltà a comprendere meccanismi più grandi di me. So solo che se ho soldi li spendo e se non li ho non posso spenderli.
Ma tornando alle similitudini tra Monti e il dittatore romeno Nicolae Ceaușescu, sappiamo di certo che quest'ultimo, nel 1981 di debito pubblico non volle più saperne e di conseguenza dette un ordine perentorio: il debito andava assolutamente cancellato. Iniziarono così giorni durissimi per la popolazione romena; furono razionate la benzina, l'energia elettrica e pure il riscaldamento, anche nei più freddi mesi invernali; in pochi però possedevano un'automobile quindi il risparmio, almeno su questo capitolo, fu quasi nullo. Si iniziarono a razionare anche i generi alimentari, prima la carne, poi il pane, l'olio, il latte, creando lunghe code per acquistare quel poco che si poteva trovare nei negozi di Stato. Tutto quello che si poteva vendere doveva essere venduto sul mercato estero. Il caffè divenne un genere di lusso e quello che potevi reperire sui banchi del mercato erano «i patrioti», cioè i generi di scarto come gli zampini di maiale. Purtroppo queste cose le ho vissute di persona nel 1989, quando anche i prodotti farmaceutici erano poco più che galenici, assistendo personalmente alla preparazione di pastiglie e supposte in una farmacia di Alba Julia, prodotte su prescrizione medica e nella quantità strettamente necessaria (ma di questa mia storia parleremo in un altro post).
Le importazioni furono vietate e quasi tutta la produzione industriale e artigianale rumena, come le automobili della DACIA, doveva servire per far cassa.
La scelta italiana non è dissimile, cambiano i tempi e i metodi, infatti ad un aumento delle tasse, (vedi accise per i carburanti), del costo dei servizi ( energia elettrica, acqua, gas, trasporti, scuola, sanità), dei beni di prima necessità come gli alimenti non più calmierati non corrisponde un contestuale aumento dei salari, anzi si concretizza il blocco di ogni tipo di indicizzazione e il congelamento dei contratti di lavoro, addirittura cercando di favorire contratti aziendali anziché nazionali. Intanto è aumentato il fabbisogno di denaro delle famiglie per coprire le spese essenziali e se nei paesi con un regime dichiarato si ricorreva alla tessera annonaria, nei paesi occidentali si passa al fiorire di mutui, prestiti (e strozzini) ecc….creando un debito famigliare. L'impossibilità di acquisto al minuto per mancanza di fondi porta inevitabilmente al collasso dell'economia che si regge su un assioma semplice (senza soldi non si fanno acquisti, senza domanda di acquisto non si produce, senza produzione non c'è commercio) e di conseguenza si creano fallimenti e disoccupazione e povertà.
In Romania il maggiore sviluppo economico si ebbe nel periodo di massimo debito pubblico, in particolare nel decennio 1965-1975. I negozi erano ben forniti, gli stipendi lentamente crescevano e l'industrializzazione aveva migliorato le condizioni generali della popolazione. I prestiti dall'estero erano serviti per la costruzione del canale Danubio - Mar Nero e per nuove infrastrutture tra cui una centrale nucleare. Il costo della manodopera era molto contenuto purtroppo per l'uso di prigionieri politici.
La politica del lavoro italiana non è molto differente, si chiama solo in modo diverso, forse più umana potrebbe pensare qualcuno per il fatto di non usare prigionieri politici, ma la precarietà, il caporalato, l'uso di "sistemi flessibili" di assunzioni e l'utilizzo della leva del facile licenziamento fa scuola.
Il j'accuse dei costi della politica quale unica responsabile del debito pubblico, trova facile attecchimento nelle frange dei più "incazzati". I continui scandali di politici che utilizzano il bene pubblico per interessi personali, la creazione di lobby e di caste all'interno del parlamento e dei consigli regionali hanno accresciuto uno stato di disamore verso un sistema politico, ormai comunemente definito corrotto. Ciò ha spostato l'attenzione sulle cause primarie del nostro dissesto, dando colpa al costo del lavoro e ai costi della politica (cosa vera quest'ultima che impone una riforma). Ci sì è dimenticati dell'occupazione come strumento di crescita, occupazione che non vuol dire allungare gli anni di lavoro per raggiungere la propria pensione, non vuol dire pagare meno i cinquantenni perché rendono meno per favorire le fasce più giovani, non vuol dire liquidare lo stato sociale che è comunque pagato con le trattenute sulla busta paga dei lavoratori, non vuol dire cancellare posti letto in ospedale sperando che vi siano meno ammalati. Vuol dire soprattutto creare nuove opportunità, credere nell'innovazione e nell'ecosostenibilità del nostro paese non solo a parole. Arte, innovazione, turismo, genuinità, artigianato, agricoltura biologica, design ed ecosostenibilità sono i migliori prodotti del nostro bel paese che ne fanno da sempre una terra creativa e di enorme bellezza dove solo un etica condivisa, fatta di politica sana e di democrazia potrà essere il nostro vero "borsellino", non le banche, né i professoroni, né i manager, né politici di mestiere, ma la gente comune che conosce il sapore del sudore, il peso della callosità delle mani ed il valore della sporta della spesa, se sarà prestata alla politica potrà dare una svolta significativa.
Ceauşescu per estinguere il debito aveva venduto 80 tonnellate d'oro sulle cento disponibili delle riserve auree dello stato (20 furono però riacquistate nel 1989), tanto quanto era ossessionato dall'idea di rimborsare i creditori. Lo sforzo per annullare il debito pubblico fu particolarmente inutile e controproducente. Bloccò ogni innovazione, condannando l'industria romena a rimanere la più arretrata tra quelle già malandate dell'Est comunista. Noi per ora cavalcando il malcontento riusciamo solo a cambiare la cartina geografica d'Italia, accorpando amministrazioni comunali e provinciali, ove il costo della politica è minimo mentre non tocchiamo i privilegi di parlamentari e consiglieri regionali, anzi accentriamo su di loro maggiori competenze togliendole ai livelli più bassi di condivisione come Province e Comuni. Tagliamo le risorse a scuola, ricerca, innovazione ed edilizia pubblica, contribuendo a favorire i grandi istituti bancari. Trasformiamo il TFR in fondi assicurativi, ci inventiamo esuberi nella pubblica amministrazione e cancelliamo l'art 18 della carta dei diritti dei lavoratori per quanto riguarda i lavoratori dipendenti. Favoriamo l'esportazione non dei beni prodotti in Italia, ma delle industrie e dei giovani ricercatori.
Quando nel 1989 Ceaușescu annunciò al mondo che la grande corsa per pagare il debito era finito, gli operai e i contadini pensarono di poter tirare un sospiro di sollievo. Invece non fu così. Pochi giorni dopo il Conducător emanò nuove norme di austerità apparentemente più blande: ogni cittadino poteva tenere accesa una lampadina da 40 watt dieci minuti in più al giorno, fino a tre ore su 24; niente elettrodomestici; l'acqua calda consentita per un massimo di quattro ore al giorno e solo nei mesi più freddi; i ristoranti dovevano chiudere alle 21; i negozi alle 17.30.
I massimi economisti italiani invece con l'intento di far cassa e favorire gli acquisti liberalizzano gli orari degli esercizi commerciali, chiedono ai medici di base di associarsi e lavorare h24 creando piccoli poliambulatori da poter così chiudere i servizi di guardia medica pubblica ecc... Ma le vere lobby da liberalizzare come gli ordini professionali sono intoccabili, così come sono maldestri e inutili i tentativi di mettere tasse su bibite gassate e sugli snack ritenuti poco salubri.
Cosa abbia prevalso in Romania come in Italia forse non lo si saprà mai, anche se qualche idea c'è l'ho. Ma se contro le regole della grande finanza internazionale l'abbia avuta vinta il senso pratico del contadino romeno o la diffidenza ideologica dell'applicatore di teorie socialiste, poco cambia. Fatto sta che Nicolae Ceaușescu, quando ha annunciato il risultato, è stato applaudito a lungo. Era il 31 marzo del 1989. Nove mesi dopo lo fucilarono. In Italia per evitare che fosse la Politica a fare scelte condivise, sicuramente impopolari, dopo lo scandalo di vallette, escort, tangenti su grandi eventi e sui terremotati, si è preferito passare la mano a tecnocrati che come robot marziani, impassibili, tentano di risanare un bilancio con tagli ai servizi, per paura che una patrimoniale faccia fuggire definitivamente quegli industriali che già investono all'estero. Chissà se potrò ricredermi e scrivere un post un giorno dal titolo "MI SONO SBAGLIATO".