Non è mio compito analizzare il perché ciò accade, sono decine le teorie su cause e concause, tutte valide, tutte con un fondo di verità.
Luoghi come la Lunigiana prima e la Maremma poi, in questi giorni lanciano un rinnovato e drammatico appello ad una maggiore attenzione al territorio. Chiedono, come tutto il resto d'Italia, solo di provvedere ad una maggiore manutenzione ordinaria e alla messa in sicurezza del territorio.
C'è un consumo selvaggio delle superfici a disposizione, denunciano gli ambientalisti, ma c'è anche un incredibile vulnerabilità del nostro territorio con un'espansione esponenziale dei centri abitati in aree da sempre alluvionali.
Il diluvio di cemento e asfalto soffoca il nostro paese, il malaffare dell'abusivismo dilaga, la cronica mancanza di prevenzione fa il resto, quando anche davanti ai cambiamenti climatici e del riscaldamento del pianeta imperterriti continuiamo a pensare che tanto c'è tempo, che tanto non tocca a noi. Catastrofi sempre più annunciate a cui rispondiamo con un sistema di prevenzione che è talmente un puzzle di competenze che difficilmente si riesce a costruire il quadro, in questo caos i poteri forti, su tutti quello economico delle lobby, trovano sempre il modo di modificare, se non annullare, progetti di messa in sicurezza del territorio. Tutto ciò a loro uso e consumo.
La catastrofe, quando annunciata, trova un sistema di risposta tanto più caotico quanto più estemporaneo.
La tutela del territorio, che dovrebbe essere in mano ai cittadini che vi abitano e ai loro rappresentanti democraticamente eletti, viene spesso gestita lontano dalle loro case.
Anche la gestione dell'emergenza e di assistenza alla popolazione, che dovrebbe essere coordinata e pianificata da un esponente del territorio con un continuo confronto con la gente che vi abita e con la condivisione di scelte strategiche, viene invece gestita in forma autoritaria da esponenti che non sono espressione del territorio e che non conoscono minimamente l'area di azione.
Eppure, per quanto intensa possa essere una pioggia autunnale, non può trasformarsi in uno tsunami e dividere in due la penisola. Se accade e quando accade le colpe e le responsabilità sono solo degli uomini, troppo impegnati a progettare grandi opere, come il ponte sullo stretto di Messina o grandi trafori nelle nostre dissestate montagne, continuando di fatto a depredare il territorio italiano e non investendo in manutenzione, tutto in nome di una presunta modernità.