Blog di Dante Paolo Ferraris

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Viaggi in treno di ieri e di oggi

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1921 Treno EroeLa piccola stazione ferroviaria è animata già dalla mattina presto. Gli studenti si aggirano con i loro zaini in spalla e uno strillone annuncia l'arrivo del treno.
In giro si vedono venditori di panini e bibite, qualche barbone che ha dormito per terra raccoglie i suoi miseri averi. Anche lui è pronto a ricominciare la sua squallida giornata alla ricerca di quel poco di sostentamento necessario, sotto lo sguardo indispettito del capostazione, canzonato dai giovani studenti in attesa della partenza del treno.
Potrebbe essere la stazione di una qualsiasi parte del mondo di qualche tempo fa. Le prime linee ferroviarie della penisola nascono nel lontano1839 con la Napoli-Portici, poco più di 7 Km di strada ferrata. Nell'allora Regno di Sardegna il primo tratto ferroviario di 8 Km unisce Torino a Moncalieri, nell'ambito di un progetto che si concluderà nel 1854 collegando Torino a Genova, prevedendo soste in ogni piccolo centro abitato per favorire il trasporto di merci e persone. Questa immagine da cartolina patinata è di una Italia che non c'è più. I problemi principali di ieri come quelli di oggi, non sono solo i ritardi nelle partenze o le carrozze vecchie e rovinate, neanche i furti sistematici ai viaggiatori, ma la continua soppressione di alcuni treni e di un sistema di sicurezza inadeguato, in molti casi obsoleto, che si traduce in incidenti ferroviari.
Il danno maggiore è quello creato dalla mentalità degli italiani, che non considerano più le ferrovie il principale mezzo di trasporto usato dalla popolazione. Se un tempo, e neanche tanto lontano, la ferrovia aveva contribuito ad una più rapida unificazione della nostra penisola, unendo est ad ovest e nord a sud e con la sua stretta maglia aveva permesso alla maggioranza dei paesi italiani di godere di un sicuro collegamento con la città, oggi tutto ciò è un miraggio.
Quanto erano affascinanti le immagini della vecchia filmografia, con le scene del bacio d'addio su un binario qualunque di una qualunque stazione ferroviaria d'Italia, sotto le porte delle famose carrozze "centoporte". O anche lo sventolare di un fazzoletto bianco per un addio ad un amore in partenza, o ancora le antiche tradotte militari che trasportavano i militari da una parte all'altra d'Italia per svolgere il proprio servizio di leva. Ma anche più recentemente come non ricordare "Amici miei" dove i nostri attempati burloni toscani creavano divertenti scenette a danno dei viaggiatori ferroviari.
La mia cittadina era considerata fortunata, proprio perché era al centro di un reticolo ferroviario importante, collegata con tutte le principali città d'Italia e con frequenti passaggi di treni. Quando frequentavo maggiormente la capitale d'Italia, riuscivo a viaggiare comodamente e ad avere una grande scelta di orari, ora invece vi spiego come funziona.
Per scendere a Roma da Alessandria hai poche alternative se non vuoi cambiare spesso treno e se vuoi viaggiare di notte ancora meno. Se prima potevi far affidamento su diversi treni che da Torino e non solo, passavano per Alessandria quotidianamente per raggiungere Roma, ma anche Napoli e Palermo, ora c'è un solo "Euronotte" che ti porta fino a Salerno, poi auguri e si cambia. La prenotazione puoi farla con internet, scegli la cuccetta, il vagone letto, il posto a sedere in prima classe o in seconda, e a parte i prezzi che sono da Albergo 4 stelle per il vagone letto, neanche si dormisse al gran Hotel Excelsior, il resto è uguale a 30 anni fa, forse il materiale rotabile è più vecchio. E questo è stato il mio ultimo viaggio a Roma su un "Euronotte" Torino-Salerno.
Il posto a sedere se prenotato lo trovi occupato, gli odori della roba vecchia impregnano gli scompartimenti e vista la moltitudine di viaggiatori, che sono sempre in numero maggiore dei posti a sedere, l'odore di vecchio si unisce al lezzo di piedi e calzini di chi più strafottente si è già tolto le scarpe: stare scalzi non è vietato ma può essere pericoloso per gli altri. Il viaggio diurno non è molto diverso dal notturno perché non riesci ad appisolarti o quanto meno dormi con un occhio aperto per paura che ti derubino. Se sei fortunato trovi anche la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con gli altri passeggeri, ed è straordinario come si faccia presto a conoscersi, scambiarsi idee ed opinioni senza nemmeno conoscere il nome dei tuoi colleghi di viaggio.
Terrificante quando viaggi in estate, il caldo opprimente, l'aria condizionata molto spesso non funziona. I gabinetti nei lunghi viaggi fanno gara con i letamai per i miasmi. La toilette è quasi sempre uno spazio angusto senza finestrino o con il finestrino bloccato. Di notte lo scomodo sedile del Wc può anche diventare per taluni passeggeri l'unica "poltrona" disponibile per il viaggio.
Generalmente in quei lunghi tragitti, mentre il treno inizia la frenata e rallenta, i passeggeri cambiano faccia. Chi deve scendere ha l' espressione rilassata perché esce da questa specie di inferno viaggiante, si mette il cuore in pace e inizia a scavalcare chi dorme raggomitolato per terra o sui bagagli, pronunciando la frase "scusi mi fa passare" in continuazione, fino a giungere all'agognata porta di uscita, sentendo già l'odore di libertà mettendo il primo piede sul predellino. Chi invece rimane a bordo fa come se niente fosse, solo per darsi coraggio, cambia frequente posizione sulle poltroncine di finta pelle lucida e consumata, si sgranchisce le gambe sul posto per paura che se si allontana per fare due passi rischia di perdere quel posto a sedere. Se viaggi in piedi guardi con invidia chi ha trovato posto a sedere e commenti tra te e te quei ragazzotti sbragati che con l'Ipod alle orecchie e gambe incrociate, siedono comodamente sulla poltroncina, mentre invece chi ha i capelli bianchi deve stare in piedi per ore. Le conversazioni a volte si interrompono senza spiegazioni, oppure quando passa il controllore o il capotreno a verificare il pagamento dell'esoso biglietto per un viaggio su un carro ricolmo di "bestie umane". In estate i più insofferenti sventolano improvvisati ventagli, con talmente tanto impegno che a parer mio sudano anche di più, solo per la foga di farsi aria al volto. I meno rassegnati armeggiano con i finestrini che se non sono bloccati sono aperti solo a metà. Il fortunato viaggiatore che sta vicino al finestrino fatica a vedere cosa c'è fuori e non si capisce se il vetro è sporco dentro o fuori, ma non lo tocca per verificare il suo dubbio per paura di insozzarsi.
Il viaggio di ritorno lo faccio sullo splendente e lucido "Italo". Questo treno non lo si può prendere a Roma Termini ma in stazioni come Ostiense o Tiburtina, quindi aggiungi al costo del treno un viaggio in metro. I prezzi fanno a gara con il più famoso Frecciarossa, e la stessa tratta Roma-Milano la paghi differentemente non solo in base alle classi o alle comodità che i due gestori ti offrono sui treni, ma anche in base al mercato della concorrenza, proponendo ovviamente il prezzo più basso negli orari più scomodi. Casa Italo, il nome della stazione ferroviaria, è accogliente e ti ricevono giovani ragazzi, hostess e steward con il sorriso sempre pronto e disponibili ad aiutarti. Le loro giacche rosse li fanno sembrare un incrocio tra una giubba rossa canadese e un ragazzo portabagagli di Grand Hotel. L'idea che vogliono dare è di un cocktail tra efficienza anglosassone e ospitalità mediterranea.
Casa Italo non è molto grande e soprattutto vi sono pochi posti a sedere, con scomodi divanetti a forma circolare, ovviamente in color rosso Italo. Ti da il benvenuto all'ingresso un desk di accoglienza rotondo con pochi fogli presenti, l'arredo è composto anche da un distributore a colonna con i pieghevoli promozionali del treno in diverse lingue. Alle pareti sono fissati grandi display con immagini dei treni, gli orari degli stessi e vi sono moderne biglietterie automatiche realizzate con grandi schermi, ma non vi è possibilità di lasciare in deposito un benché minimo bagaglio mentre vai alla ricerca del bagno, o a cercare di poter prendere un caffè. In compenso è però disponibile il collegamento WiFi.
La banchina dove arriva il treno che mi riporta a casa, è sempre la stessa, uguale in quasi tutte le grandi stazioni, peccato solo che non vi sia una sola di quelle panche di granito che fanno parte della memoria collettiva delle nostre stazioni.
Ti accomodi sulla tua poltrona, comoda, lussuosa, munita di presa elettrica per il tuo personal computer e si nota subito che non si è badato a spese, affidandone la produzione delle poltrone a Frau, una nota azienda produttrice di divani e poltrone. Sullo schienale della poltrona davanti a te si trova anche un tavolino, sul modello di quelli presenti sugli aerei di linea. Gli altoparlanti ti propinano una lunga serie di annunci, anche troppi di benvenuto, quasi a farti sentire il padrone di casa anziché un ospite pagante.
Per i viaggiatori che hanno bagagli ingombranti, tipo i valigioni da ferie, non ci sono molti spazi, anzi quasi nulla se non un deposito bagagli all'inizio carrozza e la solita cappelliera sopra la testa. Lo stesso problema è riscontrabile anche sul "Frecciarossa".
L'annuncio più sconvolgente che si diffonde nel mio vagone è quello del train manager, una nuova figura professionale che ti fa domandare dove sia finito il vecchio Capo Treno. Ormai nemmeno più le carrozze portano il vecchio nome, vengono chiamate coach.
Italo ha tre ambienti, in ordine crescente: Smart, Prima e Club, mentre il Frecciarossa di Trenitalia ne ha quattro: Standard, Premium, Business ed Executive. Certo Italo punta sulla comodità dei posti e degli spazi disegnati da Giugiaro. Il servizio di ristorazione di Italo è gestito da Eatitaly e prenotabile già su internet, disponibile solo per le classi Prima e Club: in Smart ci sono invece le macchinette distributrici. La NTV di Italo ha studiato anche come intrattenere la sua clientela e difatti vi è la televisione satellitare in diretta e gratuita per tutti i viaggiatori così come il WiFi, disponibile gratuitamente in tutti gli ambienti.
Ma la cosa che ammiro di più sono queste ragazze e ragazzi di rosso-italo o di color gambero bollito vestiti, tutti giovani e aitanti e mi rendo conto che per chi ha qualche anno in più, in questa azienda è difficile trovare lavoro. Io al massimo, con qualche "botta di culo" e raccomandazione o favore potrei passare il mio tempo a percorrere su e giù ripetutamente tutto il treno, munito di attrezzi per pulire e lucidare le carrozze o cambiare la "carta da culo" delle moderne toilette.
L'arrivo a Milano è puntuale, tempi rispettati, ora il tempo guadagnato su un treno che corre a circa 300 Km, li perdo a prendere un ulteriore metrò, cercare un treno sulla direttrice Milano-Genova e ho la fortuna che un conoscente mi recupererà a Tortona per fare gli ultimi 20 Km e arrivare a casa.
Le indicazioni a Porta Garibaldi (MI) per il metrò sono scarse e appena salito sul treno a Milano Centrale già sento il solito odore di umanità. Le voci che si intrecciano in diverse lingue, i trilli dei telefonini cellulari che si susseguono e le improvvise gomitate di chi cerca di guadagnare qualche centimetro di area vitale, su un treno stracolmo con tanta gente in piedi come me. Sono tante persone e nemmeno inattese vista l'orario di rientro dei pendolari ed anche il cagnolino accucciato in braccio alla sua anziana padrona, che con sguardo terrorizzato guarda cosa sta succedendo intorno a lui ti dà l'idea di come sia il mondo vero e non quello di Italo.
L'Italia corre a due velocità, e stavolta non è in base ad una posizione geografica, ma in base all'asse delle comodità e del profitto. Le grandi società private e pubblico/private preferiscono fare cassa con l'alta velocità che unisce poche ma importanti città, con viaggi all'insegna del business, e lentamente e gradatamente abbandonare i collegamenti, vecchi ma importanti con tutti i centri minori, chiamando quelle linee rami secchi. Isolando la periferia a vantaggio dei grandi centri, dove si incassa di più, dove il servizio pubblico è al soldo dell'interesse. Ed ecco che ti ritrovi a viaggiare su vecchi vagoni e con vecchi treni, con poche carrozze, con orari stabiliti dalla certezza d'incasso e non per servire il paese. E dove non v'è certezza i binari vengono tolti e le stazioni vengono chiuse. Presto la stazione cantata da Fabrizio De Andrè in "Bocca di Rosa" rimarrà leggenda in un paese che corre tanto veloce da non rendersi conto che i suoi cittadini sono rimasti a piedi.