Giungiamo ad Orvieto dopo alcune soste nei vari autogrill, che ci hanno permesso di riposarci e distrarci un attimo dalla lunga fila di autocarri e auto che affollano l'autostrada.
Il viaggio, anche se stancante, è volato in fretta grazie anche alla loquacità di Matteo con cui ho chiacchierato tutto il tempo. L'albergo Aquila Bianca è in centro ed è sicuramente comodo per visitare la cittadina che ci ospiterà per due giorni. Il concierge è tutt'altro che socievole, anzi è piuttosto freddino e un po' scontroso. L'albergo è situato nel cuore del centro storico di Orvieto, alle spalle della duecentesca sede del municipio cittadino ed è allocato in un antico palazzo nobiliare con una sala per le prime colazioni finemente arredata in stile fine XIX secolo, realizzata nell'antica sala da ballo. Di particolare fattura anche i corrimano, peccato che la nostra stanza non sia molto grande e che il bagno non sia proprio un esempio di modernità, anzi se ti muovi un po' bruscamente è facile, visto le dimensioni, che inavvertitamente ne smonti un pezzo. Il parcheggio a pagamento è nel piccolo cortile del palazzo, ovviamente non coperto. Ci riposiamo un attimo e ci rinfreschiamo prima di buttarci a conoscere la città della rupe tufacea.
C'ero già stato ad Orvieto per diverse iniziative, ma è sempre un piacere tornarci.
Usciamo dall'Hotel Aquila Bianca e passiamo sotto l'arco del palazzo Comunale che conduce a Piazza della Repubblica, il centro della città con la spettacolare Chiesa di Sant'Andrea.
Ormai è tardi, è quasi notte e da qui ci dirigiamo verso la principale arteria cittadina, corso Cavour; la via dei negozi. Ci sono tanti piccole botteghe artigianali che caratterizzano la vita sulla rupe, ormai chiuse vista l'ora tarda, ma che avremo modo di apprezzare il giorno seguente.
La via conduce verso la medioevale Torre del Moro e attraverso via del Duomo raggiungiamo la cattedrale, uno dei gioielli dell'arte gotica italiana, che per ora ci limitiamo ad ammirare dall'esterno.
Via Cavour è piena di piccoli localini, minuscoli scrigni di arte e di cultura frequentati dal mondo giovanile.
A fatica riusciamo ad entrare al bistrò "Clandestino", dove abbiamo la fortuna di trovare un tavolino con due posti disponibili vicino alla porta d'ingresso, nel punto però in cui lo spiffero d'aria della porta semiaperta riesce a farmi gelare i piedi. Il locale deve essere un must per i ragazzi di Orvieto e dintorni, anche se è molto piccolo e un grande bancone occupa un terzo del locale, dove alcuni giovani barman servono la moltitudine di avventori che si schiacciano contro il bancone. I più arditi riescono a stare anche fuori dal locale, sia seduti che in piedi, nonostante il freddo si faccia sempre più pungente.
DJ Gerardo inonda il locale di una musica nazionalpopolare di altri tempi, anche i poveri arredi fatti in economia ci raccontano da un lato l'inventiva propria di un locale per giovani, dall'altro i numerosi cimeli di storia contadina locale paiono voler ricordare ai frequentatori le forti tradizioni locali.
Ci servono celermente due giovani ragazze, forse anche un po' troppo frettolosamente, ma i frequentatori del locale sono talmente tanti che doverli seguire e soddisfare le ordinazioni di tutti è veramente un impresa ciclopica. Non mancano strani personaggi, forse anche un po' alticci, ma fa freddo è l'ambiente è gioviale e quindi ci può anche stare. Rientriamo stanchi, ma carichi per la nuova giornata che tra poche ore ci vedrà scoprire nuovi angoli di Orvieto.
La giornata comincia con la preventivata riunione di lavoro che ha luogo a Palazzo del Popolo in una giornata fredda, che vede le strade percorse da ragazzi che vanno a scuola e da massaie che si recano al mercato, mentre le commesse dei negozi iniziano a tirare su le saracinesche dei loro negozi. Incontro due vigili urbani che camminano appaiati, impegnati a controllare che non accada nulla di strano nel centro storico.
Arriviamo in Piazza del Popolo, dove torreggia l'omonimo Palazzo del Popolo, sede nel 1284 della prima assemblea cittadina dei rappresentanti del popolo orvietano e che oggi è un moderno centro congressi. La piazza è arricchita dalla moltitudine di tende colorate delle bancarelle dei molti venditori di frutta e verdura e da venditori di prodotti caseari. Non può mancare in questo popolare mercato anche il tradizionale norcino, tipico venditore di leccornie gastronomiche.
Mi fa piacere ritrovare vecchie conoscenze e farne anche di nuove, in questo nuovo incontro di lavoro, dove le intenzioni e le aspettative di tutti sono molto alte.
La riunione è proprio convocata all'interno del Palazzo del Popolo, anzi esattamente è il Palazzo del Capitano del Popolo e risale ai primi anni ottanta del XIII secolo. La sua origine è ben chiara, tuttavia si crede che sia stato costruito per volontà della famiglia Neri della Greca su un preesistente palazzo papale del 1157.
Oltre al capitano del popolo vi abitarono anche i Podestà e i Sette Signori; ospitò dal 1463 anche il Monte di Pietà e nel 1651 il Monte frumentario. In precedenza la sala occupata dal Monte frumentario era stata adibita a Studium, nel quale gli studenti si riunivano per seguire le lezioni di Diritto, Teologia e Logica. Nel corso del 1578 il piano superiore dell'edificio venne anche adibito a Teatro. Gli ultimi restauri che hanno adibito il palazzo a sede congressuale hanno anche permesso di portare alla luce reperti archeologici etruschi, tra cui il basamento di un tempio e altre opere medievali, per l'esattezza una cisterna e un tratto di acquedotto.
Raggiungo Matteo per pranzo e insieme cerchiamo un locale caratteristico che possa offrirci piatti della cucina tradizionale.
Arriviamo al cuore antico del quartiere medievale, dove è piacevole perdersi tra vicoli, piccole case, cortili fioriti e balconcini e curiosare tra i negozi della cittadina. Tra i tanti esercizi che continuano ad offrire la solita paccottiglia per turisti, riesco anche a sorprendermi per la presenza di alcuni negozi d'arte, ma anche per alcune botteghe che propongono articoli di fine artigianato.
Troviamo un posto carino, in una stradina pedonale, proprio vicino al Duomo.
La trattoria "La Pergola" è un locale piccolino, dal gusto "vintage" e al tavolo vicino al nostro vi sono due coppie di attempati turisti inglesi di cui il più anziano passa tutto il suo tempo a giocare con il suo smartphone. Il locale è carino, colorato e molto fine nell'arredamento, il servizio è veloce e il cibo gustoso e nelle giuste quantità.
Matteo ed io passiamo la giornata a visitare la città e alcuni suoi monumenti, tra i quali il primo è sicuramente il Duomo, che ci attira entrambi, sia per la sua misticità che per la sua complessa facciata che pare invitarci ad entrare a scoprire le numerose storie che sembra abbia da raccontarci.
Benché faccia un gran freddo, rimaniamo estasiati a guardare i capolavori che sono parte integrante della facciata.
La costruzione della cattedrale, intitolata alla Vergine, fu avviata nel 1290 per volontà di Papa Niccolò IV, allo scopo di dare degna collocazione al Corporale del miracolo di Bolsena. Iniziata alla fine del XIII secolo, alla facciata lavorarono oltre 20 artisti nel corso dei secoli e fu terminata, se si eccettuano i lavori di restauro e rifacimento, solo alla fine del XVI secolo con la realizzazione delle guglie laterali. La facciata del Duomo si presenta equilibrata ed armoniosa, nonostante sembri un libro parlante per la moltitudine di mosaici ed è uniforme nello stile, merito delle forme gotiche iniziali.
Infatti i quattro pilastri alti e slanciati terminano ciascuno con una guglia e dividono la facciata in tre grandi sezioni. I 3 triangoli delle ghimberghe sono ripetuti dai 3 triangoli delle cuspidi, in maniera armonica e tutti e sei offrono un grande colpo d'occhio al rosone, racchiuso in una doppia cornice quadrata, l'unica forma quadrata sul duomo ma che è inserita armoniosamente. La parte inferiore della facciata è decorata con bellissimi bassorilievi e sono uno degli esempi più mirabili di scultura gotica in Italia. Rappresentano il destino dell'uomo, dalla Creazione al Giudizio finale. Quattro statue sono poste sulla cornice dei piloni che fiancheggiano i portali. Essi raffigurano i simboli dei 4 evangelisti e più precisamente, da sinistra a destra, l'Angelo (San Matteo), il Leone (San Marco), l'Aquila (San Giovanni) e il Toro (San Luca).
Altre statue e bellissimi mosaici decorano la parte superiore della facciata ma faccio a fatica a ammirarle, proprio per la loro altezza e per la quantità di immagini riprodotte. Fa anche molto freddo e una leggera pioggerellina ha reso l'aria anche umida e ciò mi costringere a non rimanere troppo tempo con il naso all'insù.
Per vedere l'interno della cattedrale occorre pagare un biglietto d'ingresso, anche se mi da molto fastidio pagare per entrare nella casa del "Signore", che tra l'altro dovrebbe essere la casa che accoglie tutti, ma pazienza, paghiamo il biglietto ed iniziamo a girovagare all'interno della cattedrale.
La vista d'insieme è un bellissimo colpo d'occhio e consta di tre ampie e luminose navate, coperte da un soffitto a capriate lignee. Dieci alte e massicce colonne ottagonali suddividono gli spazi in sei campate, mentre il transetto è a tre campate coperte da volte a crociera. Sulle due estremità del transetto si aprono importanti cappelle come quella di San Brizio e del Corporale. La pianta del duomo termina con un presbiterio, stranamente a pianta pressoché quadrata. L'immensità dell'interno della cattedrale, con la sua alta volta e i suoi immensi spazi, un po' mi stordisce. Le pareti della navata centrale e le sue colonne sono realizzate con un'alternanza di fasce di basalto e travertino, la stessa che ripete la decorazione laterale esterna del manufatto. L'unica vetrata antica presente è quella absidale, mentre le altre poste nella parte laterale sono moderne e in stile neogotico.
Come entro nella cappella posta sul lato destro del transetto, uno stato d'ansia mi pervade, quasi fossi colto dalla sindrome di Stendhal. Sono al cospetto di uno dei capisaldi della pittura rinascimentale italiana, la Cappella di San Brizio, dedicata al santo vescovo protettore di Orvieto.
La decorazione pittorica avviata nel 1447 dal Beato Angelico, "aiutato" da Benozzo Gozzoli, proseguì con Luca Signorelli dal 1499 al 1504. È un unicum d'arte.
Sono stordito da quelle immagini e cerco di darmi un senso logico nell'ammirare questo continuum biblico e storico. Rinuncio a descriverle perché nel raccontarle dovrei essere quel poeta che non sono, ma da sola la cappella di San Brizio merita un viaggio ad Orvieto. Con Matteo cerchiamo di ricordarci su quali libri di scuola abbiamo già visto immortalate con uno scatto fotografico così tante mirabili opere d'arte.
Al centro della cappella, su un altare barocco si trova la famosa Madonna di San Brizio, da cui l'intera cappella prese il nome. Secondo la leggenda il dipinto fu donato dal vescovo (San Brizio appunto) ai cittadini di Orvieto, da lui evangelizzati. Il dipinto mi pare una mediocre opera di un anonimo maestro del milleduecento, forse ispirato agli insegnamenti di Cimabue.
Lasciamo mal volentieri questa cappella, ma solo per andare a vedere la cappella del Corporale che prende il nome dalla reliquia del miracolo eucaristico di Bolsena custodita al suo interno, motivo per la quale il Duomo di Orvieto è nato: il lino insanguinato o corporale utilizzato nella miracolosa Messa di Bolsena (1264) e macchiatosi di sangue fuoriuscito dall'ostia al momento della celebrazione eucaristica.
Il corporale è conservato oggi entro un tabernacolo realizzato a metà del milletrecento.
La cappella è interamente affrescata da Ugolino di Prete Ilario e da altri. Il programma iconografico rappresentato nel ciclo pittorico non narra solo gli episodi della Messa di Bolsena, ma in generale il mistero della Transustanziazione.
Il vero gioiello della Cappella è il preziosissimo Reliquiario del Corporale, un vero capolavoro di arte gotica italiana. Il reliquiario riproduce la sagoma tripartita della facciata del Duomo con raffinate scene della Vita di Cristo e del miracolo di Bolsena realizzate in argento, oro e smalto.
Prima di lasciare il Duomo diamo uno sguardo al presbiterio, anch'esso affrescato dallo stesso Ugolino di Prete Ilario che lavorò agli affreschi della Cappella del Corporale. Gli affreschi raffigurano storie della vita della Madonna, cui l'intero Duomo è dedicato.
Usciamo commentando il bel Duomo e ci soffermiamo sul sagrato rendendoci conto, benché ormai la giornata volga al termine, che ad accrescere la sua monumentalità, e con essa anche quella della piazza, concorrano le casette dei canonici poste su un lato di questa e la grande mole del palazzo Soliano sul lato opposto, con il palazzo vescovile sul fondo.
Il complesso dei palazzi vescovili e papali che si affacciano sulla piazza, fu notevolmente ampliato e abbellito dai Papi che risiedettero temporaneamente a Orvieto dal 1262 al 1284, cioè Urbano IV, Gregorio X e Martino IV. Contiguo a questi è il palazzo Soliano, detto anche di Bonifacio VIII, costruito per volontà di questo pontefice o forse, come segno della riconoscenza degli orvietani verso questi per averli dispensati dal pagamento di una grossa multa per i danni arrecati ad Acquapendente ed ai castelli della VaI di Lago, parte del patrimonio di San Pietro.
Sulla piazza, si affacciano inoltre il palazzo dell'Opera del duomo, il palazzo (già Monaldeschi) dei conti Faina ed infine, a chiudere la piazza sul lato meridionale, la chiesa di S. Giacomo Maggiore.
Risaliamo verso via Cavour percorrendo via del Duomo, soffermandoci a guardare i negozi di souvenir alla ricerca di cartoline e magnetini raffiguranti Orvieto per i nostri amici e conoscenti. Breve sosta in un Pub per un aperitivo e per scaldarci un po'. Di colpo ci ritroviamo sotto palazzo dei Sette con la torre del Moro che appartenne all'antica famiglia dei Della Terza, prima di divenire proprietà del Papato. Nel 1500 circa lo Stato Pontificio cedette definitivamente il palazzo al comune. Sull'angolo di via della Costituente si trova una lapide sulla quale è incisa una terzina dantesca del Purgatorio, dove, in riferimento alle lotte tra casate e partiti, Dante nomina accanto ai più celebri Capuleti e Montecchi di Verona, i Monaldeschi e i Filippeschi di Orvieto.
Ceniamo in un locale che dal nome "Trattoria degli etruschi" avrebbe dovuto presentarci una serie di piatti tipici della valle del Paglia, ma che invece non solo aveva un arredo squallido, ma anche le portate non avevano nulla di speciale, forse il menù di un Autogrill era sicuramente più assortito e la sala da pranzo non era certamente un ambiente accogliente.
Ci soffermiamo a guardare la torre dodecagonale della Chiesa di Sant'Andrea, proprio vicina al nostro albergo, come vicina è via Loggia dei mercanti, dove possiamo ammirare ciò che rimane di una chiesa dedicata a San Giovannino dei Cavalieri di Malta, oggi utilizzata come autorimessa. Sulla facciata una lapide ricorda questa importante e storica chiesa.
Al rientro in albergo si fa sentire la stanchezza della giornata passata, aiutata dal freddo che ho accumulato nelle ossa, e che mi obbliga ad un lungo sonno ristoratore. Matteo invece, giustamente, vuole divertirsi e continua la sua serata al "Clandestino".
La mattina seguente in auto percorriamo un tratto di strada costeggiando le mura della città. Dalla rupe possiamo ammirare i maestosi scorci panoramici sulla verdissima Valle del Paglia, intanto che ci allontaniamo da Orvieto per raggiungere Assisi, dove vorremmo passare un'altra indimenticabile giornata.