Blog di Dante Paolo Ferraris

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Pantera grigia

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panteraHo una malattia, si chiama fantasia, porta quasi all'eresia, è considerata pazzia. (Il Cappellaio Matto in Alice in Wonderland).
È una frase che mi ha sempre attratto, quasi fosse il leit motiv che cerco, forse lo è veramente!
Ma poi, nonostante la mia schizofrenica fantasia, un senso di amarezza mi assale, perché è anche vero che la fantasia scorre come i sogni che raccontano desideri irrealizzabili; ed i sogni nel cassetto fanno la muffa.
Un giorno, tempo fa, mi sono svegliato, mi sono posto davanti allo specchio ed ho iniziato a parlare con la figura che mi stava di fronte. Non ammettevo che fosse la mia immagine riflessa, mi ponevo domande a voce alta, lui mi rispondeva con una voce a me nota, ma che volevo pensare straniera.
La mia voglia di guardarmi dentro è grande, quanto la voglia di rinascere, uno sguardo con occhi stanchi allo specchio, nella solitudine dei miei pensieri.
Correvano le note della canzone "Man in the mirror" dalla radio a transistor, appoggiata sulla piccola mensola bianca. Ascoltavo le parole augurandomi che fossero per me di auspicio e parallelamente raccontavano brandelli della mia quotidianità.
Anche per me, come nella canzone di Michael Jackson, fissarmi allo specchio è come fare un tuffo nel profondo cambiamento.
Mi guardo, e leggo tra le prime rughe il racconto di mia madre, quando mi narrava del suo viaggio a bordo della 500 blu famigliare di mio zio Aldo, accompagnato da zia Rosa e da mio padre verso l'ospedale, in quella che doveva essere una fredda giornata d'inverno del lontano 9 marzo del 1963; poche ore dopo, alle 15.00, lanciavo i primi vagiti al mondo intero.
Sono passati cinquant'anni, il capello si è fatto brizzolato, le mani sono diventate rugose e la barba mattutina è sempre più ispida. Cinquant'anni possono essere un punto di arrivo per alcuni o un punto di partenza per altri. È comunque un momento di autodiagnosi, anche se so di certo che nessun referto medico potrà veder scritto "crisi di mezza età"; come se fosse possibile parlare del "climaterio del maschio".
Al sottoscritto, il compimento dei cinquant'anni di età è sembrato come ripercorrere le sensazioni e i timori del primo giorno di scuola. Davanti a quello specchio, nel discutere con l'immagine riflessa, mi sembra di parlare di una terza persona, da entrambi conosciuta.
Solo ora mi rendo conto che il compito più difficile è proprio quello di vivere, cioè di disegnare il proprio futuro, sentendosi ormai addosso il vestito della fragilità dato dagli anni trascorsi, ma dall'altro mi sento forte, perché a questa età ci sì è arricchiti di esperienza ed io ho ormai raggiunto l'apice della carriera professionale e della realizzazione sociale.
Il dito scorre lentamente sulle rughe che ormai creano arabeschi sul mio volto e lo stato psicologico che ne deriva, insieme ai cambiamenti fisici che leggo sul mio corpo, tende talvolta a far vacillare la fiducia in me stesso, compromettendone forse anche la dignità, fino a farmi sprofondare nel dubbio del mio equilibrio emozionale.
La crisi della mezza età in genere, rivolta le persone da capo a fondo e manda in frantumi le certezze conquistate, nel mio caso mette in discussione ciò che ho costruito intorno a me e le mie aspettative. Lo spettro della vecchiaia, unito alla consapevolezza di essere giunto oltre la metà del mio percorso di vita, mi pone davanti ad obiettivi che mi ero posto in gioventù e che non potrò raggiungere con facilità, non dovuti all'età, ma sostanzialmente dall'allontanarsi dell'età pensionabile e dalle possibilità economiche che vengono sempre meno per l'aumentare del costo della vita.
Davanti a quello specchio mi pongo tante domande, cercando di trovare una risposta che non sempre è possibile. È cambiato il mio modo di percepire ed accettare le persone che mi sono vicine o che mi hanno circondato.
Tento di riconsiderare davanti allo sconosciuto riflesso nello specchio, che cosa ha senso per me, cosa sono, cosa ho fatto, ma anche cosa vorrei ancora fare.
Più mi guardo e più mi rendo conto che il pensare talvolta stanca e ciò mi da fastidio come la pioggia che mi cade addosso in questo lungo inverno.
Davanti allo specchio, chiedo allo straniero che vorrei trovare riflesso, se la mia vita è stata una vita normale o una tragedia e se ho raccolto più fischi o applausi.
Provo a contare gli amici, e sono veramente pochi, mi basta una mano per contarli; solo alcuni conoscenti stretti ed altri che credono di simpatizzare con me.
Chissà, verrebbero al mio funerale anche se fosse un giorno di pioggia, accompagnandomi fino all'ultima dimora? E dopo quanto tempo uscirei dai loro pensieri, dimenticandosi così di deporre anche l'ultimo fiore di plastica?
Forse non sono stato capace di creare negli altri e in me stesso più stretti legami, rendendo freddo ogni rapporto umano, quasi come creare un alone di ghiaccio che respinge a mo' di scudo ogni tipo di rapporto interpersonale. Credo che ciò sia vero, perché anche se mi sento solo non soffro della mia solitudine.
Ho perso forse, se mai l'ho avuta, fiducia nell'amicizia, come non ho mai creduto nell'amore e se ciò mi fosse stato dimostrato, quale grande complicità ho trovato nella disillusione, rendendo ciò impossibile.
Sebbene non ho mai nutrito illusioni su chi si dichiarava mio amico, ho sempre finito di accettare l'amicizia più per paura di deludere che per sentimento. Non ho mai nutrito dubbi sul fatto che colui che si dichiarava amico mi potesse tradire, eppure mi sono sempre meravigliato quando sono stato tradito. Reagivo davanti al tradimento meravigliandomi come se fosse inaspettato, tanto da soffrirne.
Non puoi pensare di cambiare le persone, puoi decidere di amarle, odiarle o allontanarle dalla tua vita, ma cambiarle non puoi, solo la vita o il dolore possono cambiarle, pare dirmi il mio riflesso nello specchio; affermazione quanto mai vera!
Esteticamente mi sono sempre considerato goffo e poco piacente, tanto da non trovare in me delle qualità esteriori che potessero attrarre qualcuno, ho cercato di porvi rimedio con la simpatia e con la cultura. Sono altresì convinto di non aver mai avuto un aspetto così disastrato da entrare nella fascia della compassione altrui, ma questa idea mi ha limitato tanto in gioventù.
Tutta la mia vita è consistita in un adattamento continuo a questo stato di pensieri, forse solo miei pregiudizi e preconcetti, cercando così di evitare l'abiezione.
Questo grado di consapevolezza, è il risultato del bilancio complessivo di ciò che ho realizzato nel periodo precedente della mia vita e che richiede necessariamente un riadattamento psicologico. Ciò mi spaventa e mi obbliga ad affrontare un nuovo ruolo nei rapporti sia affettivi che sociali e soprattutto lavorativi, quasi ritrovarsi nuovamente remigino.
Infatti, pare dirmi l'immagine riflessa nello specchio, la vita mi ha buttato giù tante volte, mi ha mostrato cose che non avrei voluto vedere e persone che vorrei dimenticare, che ho si vissuto momenti di tristezza e di fallimenti, ma che mi sono sempre rialzato.
Se questa età è l'inizio di una vita, vorrei che fosse più consapevole, più serena, più facile da gestire e con più spazio da dedicare a me stesso, vorrei trovare giusta distanza dalle cose, dalle persone, rivedendo alcuni valori soggettivi, per trovare e regalare un nuovo e profondo senso di libertà.
Dopo quest'apparente analisi catastrofica, disegnata come il solco delle rughe apparse sul mio viso, e accompagnata dalla comparsa dei primi capelli bianchi, non posso guardare avanti se non serenamente, perché nel bagaglio che da oggi mi porto dietro vi sono tante esperienze e conoscenze positive, la mia sacca è ricca di cose vissute, di fotografie impresse nella mente di uno che ha cercato di portare silenziosamente il suo contributo alle società in tutto il mondo; camminando tra le mine di molti paesi sconvolti da guerre e vivendo al fianco di migliaia di persone che avevano subito brutalità e sofferto la fame. Ho condiviso momenti al fianco di terremotati che avevano perso tutto, di alluvionati che piangevano i propri cari dispersi, mi sono arricchito dei grazie espressi con gli occhi di tanti anziani che avevano perso anche le lacrime, o della gioia delle risa dei bambini ospiti in orfanotrofi e nei centri d'accoglienza.
Ho goduto di sincera stima, di vera complicità con tante persone, ho intessuto una rete di contatti con persone di mezzo mondo, ho sofferto per le cattiverie subite ma dalle quali mi sono rialzato sempre più forte.
Ho avuto la fortuna di avere dei genitori splendidi, che mi hanno assecondato ed aiutato nelle mie scelte, sempre pronti ad un consiglio o ad un rimprovero a fin di bene, ed una sorella capace di essere complice, ma disponibile a porgere una spalla ogni qualvolta ne sentivo la necessità.
Il bello lo portiamo già in noi, o non lo troveremo fuori se non negli affetti, e quelli famigliari sono i più forti.
Non ho rimpianti per le persone che ho perso col tempo, rimpiango invece il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni si.
A quarant'anni ho tolto l'orologio dal polso, come voler cancellare lo scorrere del tempo, ho iniziato a definirmi "diversamente giovane" per mascherare ciò che non puoi cancellare e per creare l'illusoria idea che la sabbia della clessidra si sia fermata.
Più guardo indietro, quasi come se lo specchio fosse la macchina del tempo, più mi sento orgoglioso, non l'ho mai detto a nessuno, non mi sono mai messo su un gradino ad urlarlo, ma mi sento orgoglioso, la mia autostima è nascosta nelle mie foto, ma esiste ed è forte e carica di quei significati di successo che può avere solo colui che si è costruito da solo, che sa il significato di sudore, di sofferenze e degli insuccessi, ma che con orgoglio può affermare che le vette si scalano, gli obiettivi si raggiungono passo dopo passo e che nulla può fermare la propria ambizione.
La mia non è albagia, non ho conosciuto vanità né ostentazione, solo la voglia e la necessità di significare il proprio tempo e dare valore alla propria vita, non arrogantemente ma con consistenza e concretezza, paradigmi di chi non vuole essere al traino di nessuno e di chi non vuole passare la propria esistenza compatendosi e vivendola in panciolle, ma costruendosela mattone per mattone, attimo per attimo fino a cercare sempre nuovi traguardi, senza mai voltarsi indietro e senza calpestare la propria dignità.
Ora il genetliaco, la ricorrenza dei 10 lustri, marcherà un nuovo tempo, quello di un uomo di mezza età, ma vestito come un hipster trentenne, con il capello luminoso, la voglia di viaggiare e di divertirsi, che non vuole nascondersi dietro ai rimpianti dei morsi che non ha dato, ma certo di poterne ancora dare.
Pronto a guardare in faccia quell'Io dello specchio e tutti quelli che si arrogano il diritto di essere miei giudici, ma devono sapere che, prima di valutarmi devono mettersi un paio di scarpe nuove e percorrere la strada che ho percorso.
Si, sono pronto non a ricominciare ma a continuare, a dimostrare che questa pantera grigia non ritira gli artigli ma continua a pensare positivo e non scende dal carro della vita e della conquista, anzi carico dei successi e delle disfatte, è nuovamente pronto alla propria crescita sociale, coltivando nuove vocazioni e senza paura degli orologi.
Ora ritrovo il mio volto nel riflesso dello specchio e guardo con soddisfazione il regalo di compleanno che mi sono fatto e che mi rimarrà impresso per tutta la vita, semplice ma significativo come voglio essere io. Spengo la cinquantesima candelina tra le persone che mi sono più vicine, conscio di essere sempre stato parte integrante della vita altrui senza essermene mai accorto. Questa si che è la vita che orgogliosamente voglio!