Blog di Dante Paolo Ferraris

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A Lisbona con Pessoa (XII parte)

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LisbonaIl terremoto di Lisbona, oltre che distruggere le città, scosse anche le coscienze di molti pensatori e di un'intera generazione.
Lisbona era ed è una capitale di un paese fortemente cattolico, con una ricca storia di sforzi di cristianizzazione ed evangelizzazione delle colonie, non sempre incruenti ed indolori. Una nazione che dedicò sempre le proprie conquiste alla cristianità e che diede Santi e Papi alla chiesa cattolica, aggiungendo pure che il sisma coincise con la festa di Ognissanti, distruggendo quasi tutte le più importanti chiese.
Per il popolo, ma anche per i teologi del XVIII secolo, questa fu la manifestazione della collera divina. Pur restando un evento tragico e misterioso, assai difficile da giustificare, fu da stimolo a moltissime riflessioni filosofiche.
Alcuni teologi fecero addirittura risalire la causa del terremoto alla punizione divina per il massacro degli Indios in Sudamerica e ai metodi "spicci" dei gesuiti per portarli alla conversione.
I giornali raccontarono a tutta l'Europa del pianto di moltissimi uomini e donne che "bagnarono le macerie insanguinate di Lisbona". Le migliaia di rabbiose preghiere colme di disperazione che si levarono al cielo furono raccolte sopratutto dai filosofi i quali, dinnanzi a un tale incubo, fecero proprie le domande dei superstiti: "Perché accade tutto questo? Dove è finito Dio?". Altri invece si rifugiarono ancor più nella fede.
Così il terremoto di Lisbona fu l'occasione per molti pensatori dell'Illuminismo europeo di aprirsi a nuove idee ma anche a scontri filosofici come fece Voltaire nel "Poème sur le désastre de Lisbonne" (1756). Voltaire evidenzia il carattere arbitrario con cui persone furono risparmiate o uccise dal terremoto esprimendosi con questi versi:
O infelici mortali! O terra di pietà!
O cumulo spaventoso di tutti i flagelli!
Successione eterna di inutili dolori!
Filosofi illusi, che gridate "Tutto è bene",
accorrete, contemplate queste orrende rovine,
queste macerie, questi detriti, queste ceneri miserande,
queste donne, questi bambini ammucchiati l'uno sull'altro,
queste membra disperse sotto i marmi infranti;
centomila sventurati divorati dalla terra,
che terminano i loro giorni miserevoli sanguinanti, straziati e ancora palpitanti,
sepolti sotto le loro case, senza soccorso, fra orribili tormenti!
Direte vedendo questi orribili mucchi di vittime
"Dio si è vendicato, la loro morte è il prezzo dei loro delitti?"
Quale errore, quale delitto hanno commesso questi fanciulli
schiacciati, sanguinanti, sul seno materno?
Lisbona, che più non esiste, ebbe forse vizi maggiori
di Londra, di Parigi, immerse nei loro piaceri? Lisbona è distrutta e a Parigi si danza...
È in quel "tout est bien", tutto è bene, che si manifesta l'enfasi polemica, che aveva come obbiettivo screditare il concetto espresso dal filosofo tedesco Gottfried Leibniz, secondo il quale "tutto è bene nel migliore dei mondi" ispirato all'idea della perfezione di Dio. La distruzione della città di Lisbona sembrò a Voltaire la più grande confutazione di ogni ottimismo filosofico o teologico affermando così che la sofferenza umana non trova nessuna giustificazione nell'idea di castigo divino, teoria avanzata da una parte del clero cattolico.
Molti pensatori menzionarono o fecero allusione a questo tragico terremoto nei loro scritti, in particolare come scrisse Theodor Adorno nel 1966, il terremoto di Lisbona guarì Voltaire dalla Teodicea di Leibniz (Dialectiques Négatives, p. 361). La Teodicea è la "giustizia di Dio" cioè una branca della teologia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza nel mondo del male; per tale motivo è anche indicata come teologia naturale e nel XIX secolo, limitatamente alla cultura francese, come teologia razionale.
Il terremoto fece scaturire anche una violenta controversia tra Voltaire e Rousseau sul tema dell'ottimismo e sul problema del male sulla Terra, scatenando numerosi dibattiti tra filosofi e teologi del XVIII secolo.
Infatti Jean-Jacques Rousseau in una lettera del 18 agosto 1756 distingue tra "tutto è bene" e "tutto è il bene" dove l'articolo "il" pone l'accento sulla dolcezza del creato nel suo complesso e non espresso nelle sue singole azioni e parti: «Uomo, sii paziente, i tuoi mali sono una conseguenza ineluttabile della natura umana e della costituzione di quest'universo. L'Essere eterno e benevolo che lo dirige avrebbe voluto tenerli lontani da te: tra tutte le varianti possibili ha scelto quella che aveva meno male e più bene o, per dire la cosa più brutalmente, se non ha fatto meglio vuol dire che non era possibile farlo».
Poi, entrando sulla responsabilità del catastrofico terremoto di Lisbona, scrive:
"Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto. Ciascuno sarebbe scappato alle prime scosse e si sarebbe ritrovato l'indomani a venti leghe di distanza, felice come se nulla fosse accaduto. Ma bisogna restare, ostinarsi intorno alle misere stamberghe, esporsi al rischio di nuove scosse, perché quello che si lascia vale più di quello che si può portar via con sé. Quanti infelici sono morti in questo disastro per voler prendere chi i propri abiti, chi i documenti, chi i soldi? Forse non sapete, allora, che l'identità personale di ciascun uomo non è diventata che la minima parte di se stesso e che non vale la pena di salvarla quando si sia perduto tutto il resto?
Avreste voluto — e chi non l'avrebbe voluto! — che il terremoto si fosse verificato in una zona desertica, piuttosto che a Lisbona. Si può dubitare che non accadano sismi anche nei deserti? Soltanto che non se ne parla perché non provocano alcun danno ai Signori delle città, gli unici uomini di cui si tenga conto. Del resto, ne provocano poco anche agli animali e agli indigeni che abitano, sparsi, questi luoghi remoti e che non temono né la caduta dei tetti, né l'incendio delle case. Ma che significa un simile privilegio? Vorrebbe forse dire che l'ordine del mondo deve assecondare i nostri capricci, che la natura deve essere sottomessa alle nostre leggi e che per impedirle di provocare un terremoto in un certo luogo basta costruirvi sopra una città?"
Voltaire descrive come immagina il terremoto nel "Candide", un romanzo filosofico del 1756:
«Una metà dei passeggeri, sfiniti, stremati dalle inimmaginabili angosce che il rullio d'un vascello provoca nei nervi e negli umori tutti del corpo agitati in senso opposto, non avevano nemmeno la forza di allarmarsi del pericolo. L'altra metà urlava e pregava; le vele eran strappate, gli alberi spezzati, il vascello squarciato.
[...]
Quando si furono un poco rimessi, s'incamminarono verso Lisbona; restava loro qualche soldo, col quale speravano di scampar dalla fame dopo esser scampati alla tempesta.
Hanno appena messo piede in città, piangendo la morte del loro benefattore, ecco che la terra trema sotto i loro piedi; il mare si gonfia spumeggiando nel porto, e spezza le navi ancorate. Turbini di fiamme e cenere coprono strade e pubbliche piazze; crollano le case, i tetti si rovesciano sulle fondamenta, le fondamenta scompaiono; trentamila abitanti di ogni età e sesso son schiacciati sotto le macerie...
Un ometto nero, familiare dell'Inquisizione, che gli stava accanto, prese educatamente la parola e gli disse:
"Si direbbe che il signore non crede al peccato originale; poiché, se tutto va per il meglio, non c'è dunque stata né caduta né castigo".
"Domando umilissimamente perdono all'Eccellenza Vostra" rispose Pangloss ancora più educatamente "perché la caduta dell'uomo e la maledizione entravano necessariamente nel migliore dei mondi possibili"»
.
Anche Johann Wolfgang von Goethe, che nel 1755 aveva solo sei anni, sessant'anni più tardi, nella sua opera Poesia e verità, scriverà i ricordi che gli rimasero impressi nella memoria di quel drammatico avvenimento, affermando che quell'evento fu il primo a turbare profondamente la sua fanciullezza.
Emmanuel Kant, cercò invece di comprendere tutti gli aspetti del disastro lusitano, affascinato dall'avvenimento, ne raccolse tutte le informazioni disponibili, per poi formularne una sua teoria sui terremoti, riportata nel 1756 in "Storia e descrizione naturale dei fenomeni più considerevoli del terremoto che alla fine del 1755 ha scosso gran parte della terra". La teoria di Kant si basava sull'idea di gigantesche caverne presenti nel sottosuolo terrestre riempite di gas caldi, teoria ovviamente oggi smantellata. Il pensiero Kantiano ebbe però la sua importanza in quanto fu un primo tentativo di spiegare i terremoti attraverso un approccio scientifico e non come una punizione Divina. Secondo Walter Benjamin (filosofo, scrittore, critico letterario tedesco), il testo di Kant sul terremoto di Lisbona "rappresenta probabilmente l'inizio della geografia scientifica in Germania, e sicuramente quello della sismologia".
Comunque sia il terremoto di Lisbona ha segnato, a mio parere, un'epoca e con essa le menti di coloro che hanno vissuto questa catastrofe rendendomi come sempre appassionato curioso cultore.
Dopo il terremoto del 1755 il dispotico Marquês de Pombal, primo ministro del re Dom José I, fece ricostruire il centro della città e tra il lungo fiume e il Rossio ci fu un susseguirsi di cantieri.. Furono create nuove strade commerciali, dotate di marciapiedi ed ognuna dedicata alle attività artigianali e commerciali ivi collocate. Le strade della Baixa sono ancora intitolate a Prata (Argentieri), Correiros (sellai), Sapateiros (calzolai), Aurea (dell'oro), Douradores (doratori) e bacalhoeiros (pescatori di merluzzo) ecc...
La ricostruzione di Lisbona è strettamente legata appunto al Marquês de Pombal cioè a Sebastião de Melo che nel 1755, pochi mesi prima del terremoto, venne nominato Primo ministro. Sebastião de Melo diede avvio ad alcune politiche economiche importanti per il Portogallo come l' abolizione della schiavitù in Portogallo e nelle colonie dell'India (ma non in Brasile), riorganizzò l'Esercito e la Marina, pose fine alle discriminazioni verso i culti cristiani non cattolici e riorganizzò fortemente l'Università di Coimbra.
Creò inoltre le corporazioni per regolare ogni attività economica e diresse il Portogallo con decisione e fermezza, imponendo leggi restrittive a tutte le classi sociali, ivi compresa l'alta nobiltà che mal lo sopportava.
Quando la città venne rasa al suolo dal terremoto, immediatamente si impegnò a riedificarla. Fortunatamente dopo la calamità non scoppiò alcuna epidemia e in pochissimo tempo la città venne ricostruita.
Dopo il terremoto, re José I, detto il Riformatore, diede ulteriori poteri al suo Primo ministro e con la loro crescita aumentarono anche i suoi nemici personali e le liti con l'alta nobiltà diventarono sempre più frequenti. Nel 1758 il re venne ferito in un attentato a causa dei rancori che la nobiltà provava nei confronti del sovrano e del suo Primo Ministro, La famiglia Tavora e il Duca di Aveiro risultarono implicati nel complotto e vennero giustiziati dopo un rapido processo. Il re fece altresì espellere la Compagnia di Gesù (Gesuiti) e ne confiscò i beni, anche perché la sua influenza nella società portoghese e i suoi legami internazionali erano un ostacolo all'accrescimento del potere reale e del Primo ministro.
Il disegno della città fu progettato da un gruppo di architetti e venne espressamente richiesta per gli edifici una struttura esterna in grado di resistere ai terremoti. Differenti modelli furono ideati e vennero persino simulati terremoti facendo marciare le truppe.
Quello che il Marchese di Pombal attuò, non fu un semplice recupero di quanto era stato distrutto, ma volle che il nuovo assetto urbano fosse disegnato secondo criteri innovativi e ancora oggi leggibili. La città si espanse verso ponente e levante e gli architetti Manuel de Maia ed Eugenio dos Santos codificarono uno stile preciso, chiamato oggi "pombalino", nel quale il piano terreno degli immobili doveva essere riservato alle attività commerciali ed artigianali, mentre i piani superiori dovevano rispettare precise regole relativamente ai balconi, alle strombature di finestre ecc.... rendendo Lisbona una città modello per organizzazione urbanistica per tutte le capitali europee.



Fine XII parte.