Matteo è un ottimo compagno di viaggio e benché riusciamo a litigare per qualunque cosa riesce molto spesso a stupirmi per le sue acute osservazioni su argomenti anche spinosi nonostante la sua giovane età. Sono tante le cose divergenti tra noi, dai gusti musicali alle preferenze politiche ma alla fine, pur rimanendo ognuno sulle proprie opinioni, condividiamo molte esperienze insieme.
Parcheggiamo l'auto di fronte alla stazione ferroviaria e ci rechiamo a rendere omaggio alle vittime della strage di Bologna avvenuta sabato 2 agosto 1980, uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra. Come esecutori materiali furono individuati dalla magistratura alcuni militanti di estrema destra appartenenti ai NAR. L'esplosione causò la morte di 85 persone e il ferimento di oltre 200.
Avvicinandosi alla sala d'aspetto della stazione ferroviaria, si può notare che per ricordare la strage, nella ricostruzione dell'ala distrutta dallo scoppio è stato mantenuto uno squarcio nella muratura. All'interno nella sala d'aspetto, nel punto della deflagrazione è stata tenuta la pavimentazione originale. Inoltre non è stato distrutto dallo scoppio uno degli orologi nel piazzale antistante la stazione ferroviaria, fermo alle 10:25, ora del tragico evento, a memoria e monito della strage.
Ci portiamo verso il centro della città, mentre mi vengono alla mente i versi della canzone di Francesco Guccini, «Bologna è una vecchia signora coi fianchi un po' molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli».
È da sempre una città affascinante, sia per la sua storia che per la sua gente dal carattere cortese e affabile, nonché solidale, che da sempre vi abita. La città, i cui primi insediamenti risalirebbero ad almeno un millennio prima di Cristo, è sempre stata un importante centro urbano, prima sotto gli Etruschi (Velzna/Felsina) ed i Celti (Bona), poi sotto i Romani (Bononia), poi ancora nel Medioevo come libero comune (per un secolo è stata la quinta città europea per popolazione).
Facciamo subito una sosta in un piccolo ristorante a degustare i piatti tipici di Bologna. È molto piccolo, come le portate dalla cucina, è frequentato da famiglie bolognesi un po' snob. Ci sediamo vicino a due giovani fidanzati che parlano inglese creando qualche problema alla cameriera, che tenta di rispondere con una padronanza dell'inglese quasi pari a quella del sottoscritto ed è molto divertente sentir tentare di descrivere le qualità culinarie bolognesi. Matteo cerca con difficoltà dei piatti senza carne, ligio a rispettare il precetto del Venerdì Santo. Pagato un esoso conto ci buttiamo per le vie della città.
Visitiamo la cattedrale metropolitana di San Pietro, il principale luogo di culto di Bologna, chiesa madre dell'omonima arcidiocesi. La facciata non è straordinaria, tipicamente barocca ma di un barocco povero, con struttura a salienti e paramento murario in mattoncini rossi e decorazioni in marmo. Consacrata nel 1184, presenta un interno a navata unica con cappelle laterali, tre per lato, ma venne più volte ampliata e rimaneggiata finché diventò "chiesa metropolitana" (sede vescovile con giurisdizione sui vescovi e sulle diocesi del medesimo territorio) nel 1582 per volere di papa Gregorio XIII.
Ci ritroviamo di colpo davanti alla fontana del Nettuno, un'opera monumentale in piazza Nettuno (adiacente a Piazza Maggiore). Per via delle dimensioni della statua, i bolognesi la chiamano familiarmente "il Gigante". La fontana fu progettata dall'architetto e pittore palermitano Tommaso Laureti nel 1563 e venne sormontata dalla imponente statua in bronzo del dio Nettuno, opera dello scultore fiammingo manierista Jean de Boulogne di Douai in Fiandra, detto il Giambologna, e fu voluta da Carlo Borromeo nelle vesti di Cardinale Legato Pontificio a Bologna e dovrebbe simboleggiare il buon governo del neo eletto papa Pio IV, zio materno di Borromeo. Ci perdiamo anche noi a guardare questo gigante di bronzo su cui aleggiano tante storie come quella che gli studenti, alla vigilia di un importante esame, per avere la buona sorte dalla loro parte debbano ripetere due volte in senso antiorario un giro intorno alla fontana, così come fece, si dice, il Giambologna quando girò attorno al piedistallo studiando il progetto di realizzazione del Nettuno.
Ma si sa che i bolognesi sono anche "buontemponi" e allora amano raccontare che con una particolare angolazione, la vista della fontana offre una particolare gaudente prospettiva. Pare che il Giambologna volesse realizzare il Nettuno con dei grandi genitali ma trovò la Chiesa contraria. Lo scultore, spinto dalle bolognesi, non si arrese e disegnò la statua in maniera tale che da una particolare angolazione, il pollice della mano sinistra tesa del Nettuno, sembri spuntare direttamente dal basso ventre, facendo suggerire (eretto) il genitale; una pietra pavimentale nera, detta "della vergogna", posta in un punto ben preciso della Piazza ne agevola la visione.
Inoltre si dice, ma non è vero, che le bolognesi alla vista del nudo del Nettuno si turbavano, tanto da fare varie proposte per tutelare la moralità pubblica come il sovrapporre delle vesti in bronzo alla statua. Non se ne fece nulla, ma cosa certa è invece che il tridente simbolo della Maserati, casa automobilistica fondata a Bologna, riprende quello della fontana e il Giambologna potette così rifarsi dopo la sconfitta al concorso per la Fontana del Nettuno di Piazza della Signoria a Firenze.
Prospiciente alla fontana del Nettuno, non possiamo non porre lo sguardo oltre le cancellate nella Curia Potestatis del palazzo di re Enzo, costruito intorno al 1244 come palatium novum per ospitare le magistrature di governo della città. L'edificio deve il nome attuale al figlio dell'Imperatore Federico II, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta del 1249 e ivi rinchiuso fino al 1272 quando vi morì.
Il palazzo è stato più volte rimaneggiato, ma mantiene la sua struttura medievale e corpo a sé stante insieme al palazzo del Podestà all'interno della principale piazza del centro di Bologna.
I due palazzi sono uniti da una loggia di comunicazione che crea continuità tra gli stessi formando un unico isolato.
Siamo oramai in piazza Maggiore, uno dei capolavori urbanistici della Bologna medioevale, nella quale lo spazio ricalca una quadra della città romana con misure di circa 100 metri x75. È da sempre luogo dei più importanti eventi cittadini, sia a carattere civile che religioso, e fino al 1877 sede del principale mercato cittadino. Oltre al Palazzo del Podestà con la sua torre dell'arengo, ultimo elemento di un più antico palazzo (palatium vetus), vi si trovano i più importanti edifici cittadini. La torre del palazzo del Podestà è dotata di una grande campana, detta il campanazzo (collocata nel 1453) che ancora oggi suona in occasione di grandi avvenimenti cittadini e la facciata che si prospetta su piazza Maggiore è dotata di un bel porticato dalle forme rinascimentali.
Di fronte al palazzo del Podestà si specchia sulla bella piazza, la facciata della basilica di San Petronio. Benché la facciata sia rimasta incompiuta, le sue forme maestose dominano la piazza e il sagrato gradinato agli occhi del viandante pare porre la basilica su un podio, esaltandone il ruolo e distaccandola dal resto della piazza.
Gotica e imponente la basilica di San Petronio fu costruita per volere del Comune (le abitazioni presenti sul terreno su cui edificare furono acquistate con soldi pubblici) fra il 1390 ed il 1659. La facciata presenta un portale decorato da bassorilievi di Jacopo della Quercia, mentre all'interno si trovano alcune cappelle notevolmente decorate. Troviamo sul pavimento, lungo la navata sinistra, la meridiana più grande del mondo, progettata e realizzata nel 1655 dal matematico Giovanni Domenico Cassini. All'interno della chiesa, in una mirabile contaminazione di grandiosità e semplicità, vi avvennero fatti storici importanti, come l'incoronazione di Carlo V da parte di Papa Clemente VII il 24 febbraio 1530 e le sessioni IX e X del Concilio di Trento, trasferitosi a Bologna a causa della pestilenza che infuriava sulla città trentina.
Sempre prospiciente la piazza, divisa dalla antica via Dè Pignattai, si trova il Palazzo dei Notai, antica sede della società dei Notai, facilmente identificabile dai tre calamai con penne d'oca raffigurati nello stemma posto sulla facciata. Il nucleo originario di questo palazzo risale al XIII sec. ma in realtà il palazzo venne costruito in due momenti differenti: la parte che si affaccia sulla Basilica di San Petronio è appunto del 1381 ma quella che si affaccia verso Palazzo d'Accursio fu rifatta nel 1437 circa. Il palazzo è munito di 6 splendide finestre con bifore ed è incorniciato sul tetto da un ampia merlatura ghibellina. Ci dirigiamo verso palazzo d'Accursio e in effetti osservandolo bene si capisce che è un insieme di edifici uniti tra loro nel corso dei secoli. All'inizio fu l'abitazione di Accursio, conosciuto anche come Accorso da Bagnolo giurista e glossatore, ma nel 1336 divenne residenza degli Anziani, la massima magistratura del comune e quindi sede del governo della città. Sulla facciata, nella parte alta, è esposta un opera in terracotta di Nicolò dell'Arca, La Madonna di Piazza con Bambino (1478). L'edificio ha pianta quadrangolare, con una forma massiccia che lo rende molto simile ad una fortezza, anche per la merlatura che corona la facciata e la torre con l'orologio che pare dargli un aspetto di mastio fortificato.
Entriamo nella ampia corte interna passando dal bel portale cinquecentesco, sovrastato da una grande statua in bronzo del papa bolognese Gregorio XIII.
Nella storia del ‘900 il palazzo è tristemente famoso per la strage di palazzo Accursio che riporta il suo nome proprio per gli avvenimenti accaduti. Il 21 novembre 1920, mentre il sindaco neoeletto, il socialista Enio Gnudi presiedeva la seduta inaugurale del consiglio comunale e la piazza era piena di cittadini in festa, degli squadristi entrarono nella piazza. Vennero sparati alcuni colpi di arma da fuoco e la folla si ritrovò fra fascisti che sparavano contro Palazzo d'Accursio e i carabinieri che rispondevano al fuoco. Alcune Guardie rosse (La guardia rossa è un proletario armato e l'arma che adopera deve incutere spavento non ai lavoratori ma alla borghesia, prescriveva il loro regolamento) risposero gettando delle bombe a mano dalle finestre del palazzo. In tutto ci furono 10 morti e 58 feriti. All'interno del palazzo, dove nel frattempo era stata sospesa la seduta, veniva invece ucciso a colpi di pistola da una guardia rossa, il mutilato di guerra Giulio Giordani, eletto consigliere comunale di minoranza dai nazional-fascisti.
Nel cortile una serie di lapidi ricorda importati avvenimenti, mentre il mio occhio è attratto da una antica scritta che indica il luogo ove erano accasermati i civici pompieri bolognesi.
Usciamo su via 4 novembre dalla porta carraia realizzata sotto l'antica torre del Lapi.
Ci dirigiamo verso il palazzo dei banchi che è affacciato sulla piazza sul lato opposto di palazzo Accursio. Il palazzo dei Banchi è del XV-XVI secolo e trae il suo nome da alcuni banchi o botteghe che durante i secoli XV e XVI esercitavano l'arte cambiaria.
Dietro il palazzo troviamo invece l'antico Mercato di Mezzo, una serie di vicoli dove si è insediato, fin dal Medioevo, un mercato di prodotti tipici e di artigianato in cui i nomi delle vie indicano i vari tipi di merce venduta. Il palazzo dei banchi è tutto porticato come del resto quasi tutta Bologna, definita non a caso la città dei portici che per oltre 38 km nel solo centro storico permettono di camminare protetti dalle intemperie.
Essi furono anche un mezzo per l'espansione delle attività commerciali e artigiane ma è altresì importante comprendere come i portici siano un bene comune a spese della proprietà privata; i portici sono costruiti su suolo privato e la loro manutenzione era ed è di pertinenza del proprietario della casa annessa alla struttura portilizia. Un curioso editto del 1288, prescriveva che nessun nuovo edificio doveva essere privo di portici, specificando che questi dovevano essere alti almeno 7 piedi bolognesi (2,66 metri), onde permettere il transito di un uomo a cavallo. Identica anche la larghezza minima.
Mi aspetto in ogni momento di veder spuntare sotto il portico la maschera del Dottor Balanzone, il vecchio erudito e chiacchierone personaggio della tradizione popolare che viaggia con il suo immancabile librone sotto il braccio e si esprime con discorsi ridondanti, con sentenze latine sbagliate, proverbi sgrammaticati e strane espressioni in bolognese. Vecchia maschera bolognese dai pantaloni e camicia neri, come il cappello a larghe tese che porta in testa permanentemente, bianco è il colletto della camicia, mentre dalla cintura spunta un candido fazzoletto, ma purtroppo questo incontro, auspicato fin da quando ero bambino non si avvera. Balanzone rappresenta il miglior modo di prendersi in giro che i bolognesi potevano inventarsi per raccontare la Bologna dotta.
Seguendo i portici, raggiungiamo via Rizzoli e da li Piazza di Porta Ravegnana, nella quale è possibile ritrovare il simbolo di Bologna, ovvero le due Torri, e la statua di San Petronio, santo protettore della città. Con l'alta torre degli Asinelli, la capitozzata Garisenda pericolosamente inclinata e, al n° 1, la Casa dei Drappieri in stile rinascimentale, questa piazza forma un insieme davvero notevole.
Le due torri sono i monumenti simbolo della città: la Torre degli Asinelli (97,20 metri, la torre pendente più alta d'Italia) e la Torre della Garisenda (in origine alta 60 metri, ora 48) edificate per volere di nobili ghibellini nel XII secolo. La più pendente delle due, la Garisenda, fu citata più volte da Dante Alighieri, nella Divina Commedia (Inferno, XXXI, 136-140) e nelle Rime, a riprova del suo soggiorno a Bologna.
«Qual pare a riguardar la Garisenda
'sotto 'l chinato, quando un nuvol vada
sovr'essa sí, che ella incontro penda
tal parve Anteo a me che stava a bada
di vederlo chinare...»
(Dante Alighieri - Inferno, XXXI, 136-140).
Rimaniamo incantati per alcuni minuti a guardare dal basso verso l'alto queste due torri che rappresentano la storia dell'intera comunità bolognese e che emanano un fascino particolare, nonostante il traffico sottostante sia molto intenso.
Medioevo, torri, portici, sono i tre ingredienti che rendono unica questa città nella quale delle circa cento torri erette a partire dal XII secolo ne rimangono solo 24. L'adiacente piazza, dove insiste il Palazzo della mercanzia e da dove inizia via Santo Stefano, una strada storica dove architettura e misticismo si fondono con l'arte, creando richiami suggestivi, fu anche mèta di passeggiate di Stendhal e di Giacomo Leopardi che lì ebbe la propria residenza.
Dimore storiche si susseguono e s'incontrano "teste" sporgenti dai cornicioni e dai pennacchi degli archi: sono ritratti in pietra di guerrieri, di anziani, di diavoli e donne con ali d'uccello. All'angolo con via Cartoleria una targa ricorda la nascita di Gino Cervi. Si arriva quindi al monumentale complesso di Santo Stefano, detto anche delle "sette chiese". Questa basilica, nata dall'accorpamento di varie chiese e chiostri, si presenta come l'esempio più significativo dell'arte romanica a Bologna.
Il nucleo originale fu edificato nell'VIII secolo su un tempio pagano dedicato alla dea egizia Iside, del quale resta un architrave con dedica alla dea, murato all'esterno, e alcune colonne di granito africano all'interno. Entriamo mentre le bancate della chiesa si stanno riempiendo di fedeli, ci sediamo e attendiamo un poco per ammirare gli interni e poi uscire poco prima che abbia inizio la funzione religiosa del Venerdì Santo. L'impianto architettonico principale è romanico, nonostante alcuni rimaneggiamenti. Qui erano conservate fino al 2000 le spoglie di San Petronio.
Ulteriore tappa è la chiesa di Santa Maria dei servi, fondata nel 1346 come chiesa dell'ordine dei Servi di Maria, elevata poi a basilica da Papa Pio XII. Ci accoglie l'arioso quadriportico antistante la basilica, sostenuto da eleganti colonne marmoree, dal quale accediamo silenziosamente nel grande tempio a tre navate con alte volte a crociera sorrette da archi acuti con costoloni in cotto. Mi colpisce la singolare alternanza di colonne circolari e pilastri ottagonali mentre ci aggiriamo tra le cappelle laterali poco profonde ma ricche di opere d'arte.
La giornata sta volgendo al termine e dopo una breve sosta in un bar privo della toilette, lentamente ci riportiamo verso la stazione ferroviaria, pronti per ripartire verso il luogo da cui siamo partiti in mattinata. Una bella gita in buona compagnia di Matteo che nonostante il carattere brontolone mi ha fatto trascorrere una piacevole e rilassante giornata in una delle città più straordinarie della nostra penisola.