Blog di Dante Paolo Ferraris

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Nella città martire di Vukovar

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VukovarDue mesi, tre settimane e tre giorni, tanto durò l'assedio di Vukovar. Tutto accadde due mesi dopo la dichiarazione d'indipendenza della Croazia dalla Federazione Jugoslava. Allora Vukovar era una vivace cittadina, costellata nelle sue strette vie di bei palazzi barocchi e di numerose gallerie d'arte. Tra le città che sorgono sul corso del Danubio era tra le più graziose e importanti per il porto fluviale. Una piccola ma importante città cosmopolita, popolata non soltanto da croati e serbi ma anche da magiari, tedeschi, italiani ed altre etnie minori. Una città "mitteleuropea" e "borghese" nel senso stretto del termine, con un ceto culturale e mercantile radicato da tempo come testimoniano infatti le proprie origini risalenti al X secolo.
Nel 1991 Vukovar contava circa 44mila abitanti ed era esattamente il 25 agosto dello stesso anno quando l'esercito della Federazione Jugoslava, con l'appoggio di milizie paramilitari serbe, mise sotto assedio questa città croata della Slavonia dove viveva una nutrita minoranza serba.
Da una parte erano schierati 1800 combattenti raccolti nella Guardia Nazionale Croata, composta da circa 300 poliziotti e oltre 1100 volontari, (ricordo che molti serbi si unirono ai croati.). Le armi leggere di cui erano dotati i combattenti croati potevano ben poco contro i 36mila militari dell'esercito jugoslavo che potevano disporre di ben 600 carri armati. I primi bombardamenti del mese di luglio fecero seguito ad un attacco di fanteria e ripetuti cannoneggiamenti da parte dell'artiglieria. Nonostante queste massicce incursioni i difensori riuscirono a respingere i primi attacchi, mentre entro la fine di agosto oltre 15 mila abitanti abbandonarono la città. Un ulteriore attacco fu compiuto il 14 settembre e nuovamente respinto. Le truppe serbe allora cambiarono strategia e la città fu sottoposta ad un incessante bombardamento e l'ultima via di fuga fu chiusa nel mese di ottobre. Chi rimase in città si rinchiuse nelle cantine, con scorte d'acqua razionate e cibi in scatola, mentre in superficie si accumulavano i cadaveri. Purtroppo le richieste d'appello da parte degli assediati rimase inascoltata in quanto l'opinione pubblica e gli schermi mediatici erano rivolti verso Dubrovnik.
La fabbrica della birra divenne il luogo di rifugio della popolazione civile ed intorno ad essa caddero 700mila tra razzi e granate.
Dopo tre settimane di furiosi combattimenti, il 17 novembre i paramilitari serbi di Arkan e Seselj, le famigerate Tigri e Aquile bianche, entrarono in città. L'esito fu un eccidio e l'esodo di chi poté fuggire; ci riuscirono solo civili pallidi e dimagriti tanto da essere scambiati per scheletri. Solo a cose fatte entrò in città l'esercito regolare jugoslavo.
Il 19 novembre i militari entrarono nel complesso ospedaliero di Vukovar e prelevarono 264 persone tra ammalati, personale sanitario (tutti i maschi di età compresa tra i 15 e 60 anni). Furono portati in periferia vicino all'allevamento di maiali Ovčara e costretti a scavare una grande fossa comune, dove il giorno dopo vennero trucidati con un colpo alla nuca. Furono suddivisi in file e man mano che i primi venivano uccisi le successive file erano costrette a seppellire i cadaveri.
All'alba del 4 agosto 1995 la città veniva "riconquistata" dai croati. Si calcola che vi furono più di 2500 vittime tra i due schieramenti. Vukovar è stata la prima città rasa al suolo in Europa dopo la seconda guerra mondiale, poche settimane dopo la fine dell'assedio fu saccheggiata ed altre stragi furono compiute come regolamenti di conti fino all'arrivo dei Caschi Blu dell'ONU. Passò definitivamente sotto il controllo di Zagabria nel 1998.
Questo è il racconto che mi è stato fatto al mio arrivo a Vukovar con l'amica Edita e un altro compagno di viaggio, dopo una giornata in auto lungo le strade della Slavonia attraversando questa fertile pianura tra distese di girasoli e vigne, transitando dentro a piccoli e tranquilli villaggi rurali, prima di giungere nella città martire. L'ospitalità è grandiosa e ci accolgono come personaggi importanti offrendoci dei prodotti tipici come benvenuto. Dopo aver ascoltato dai superstiti anche altri particolari agghiaccianti riguardanti l'assedio, facciamo un breve giro per la città che, benché ricostruita, porta ancora su molte abitazioni testimonianze del recente passato. Ci sono moderni edifici in vetro e acciaio ma anche vecchie case bruciate che presentano ancora i fori delle pallottole della furia dei cetnici, i combattenti nazionalisti serbi, ma anche quelli degli ustascia, i nazionalisti croati di estrema destra. Gli scheletri delle case ancora senza tetto e senza intonaco dimostrano la violenza della guerra che è passata da Vukovar. Vorrei fermarmi a vedere il mercato della frutta e verdura, ma il tempo come sempre è tiranno e non posso abbandonare il gruppo di persone che si è radunato intorno a noi. Le macerie delle casette devastate e dei palazzi sventrati lungo strade che sembrano terremotate, mi fanno pensare che la prima vittima della guerra fu il multiculturalismo ed a Vukovar si consumò anche un "urbicidio" con la distruzione di una città costruita sulle radici di molti popoli. Una città d'arte da ricostruire, dove gli artisti superstiti e quelli che erano fuggiti sono rientrati ed oggi infatti è un susseguirsi di mostre d'arte moderna. Ci portano a vederne qualcuna, ma tutte comunque raccontano la tragedia della guerra.
Tra le varie costruzioni di pregio storico/artistico che abbiamo potuto vedere, nonostante siano state considerevolmente danneggiate nella recente guerra, le più interessanti sono state il castello della famiglia Eltz dal XVIII secolo, il monastero francescano e la chiesa parrocchiale di San Giacomo. Avrei voluto vedere anche cosa rimane della casa natale del vincitore del Premio Nobel Lavoslav Ružička.
Dopo un lauto pasto in riva al Danubio, dove alcuni pescatori hanno pescato dei pesci freschissimi che una trattoria locale ci ha cucinato, facciamo una breve passeggiata sulle sue rive, lungo le quali ci viene indicato dettagliatamente il confine che ormai separa la Croazia dalla Serbia.
Dopo la visita al cimitero municipale con le sue 938 croci bianche che ricordano le vittime dell'assedio, arrivano anche momenti di vera commozione quando giungiamo davanti ad una lapide nera in mezzo a un prato che indica dove furono uccise e sepolte le vittime del massacro dell'ospedale. Anche la visita al piccolo mausoleo li vicino, realizzato con i ricordi di tutti coloro che furono uccisi il 20 novembre, mi tocca particolarmente, sopratutto vedendo le foto di tutte quelle persone uccise, prelevate dai loro letti d'ospedale e massacrate in nome di chissà quale ragione, non riesco a capirlo, ma credo che se lo siano domandato anche le giovani vittime quindicenni che vedo ritratte nelle foto affisse sui muri del mausoleo. Sono profondamente toccato nel mio profondo e anche gli occhi di Edita esprimono dolore.
A Vukovar si respira la morte. Qui la guerra mostra tutto il suo orrore. Visitiamo l'ospedale, dove sono state ricostruite le camere operatorie e le camere che ospitavano i degenti, realizzate negli scantinati per proteggersi dai bombardamenti. È un percorso nella sofferenza, un lascito del passato ed un monito per il futuro. Sebbene la visita a Vukovar si sia rivelata un'esperienza triste e dolorosa, occorre guardare la realtà odierna ed essere pragmaticamente convinti che dal passato occorra raccogliere dei frutti che benché amari possano essere utilizzati per migliorarsi. Sono sempre più convinto che chi non conosce la propria storia non possa avere futuro. L'importante è cancellare l'odio razziale e le diversità, non si nasce razzisti ma lo si diventa ed è un problema culturale e raziale e non di colore della pelle. Sono gli uomini che creano le ideologie e le cose viste e i racconti ascoltati fanno dell'uomo il carnefice di se stesso.
Edita mi regala prima di partire una strana riproduzione di un vaso a forma di uccello in terracotta e mi racconta che fuori dalla città, sulle sponde del Danubio verso Ilok, è presente un sito archeologico, Vucedol. Il vaso rituale chiamato Vucedol Dove (vučedolska golubica) è considerato il simbolo di Vukovar. Ma il regalo più grande è stato accompagnarmi a Vukovar.