Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XVI parte)

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Irma PincePer raggiungere Piazza Bodoni sono transitato in via dei Mille 20, proprio sotto la lapide posata in memoria di Pietro Fortunato Calvi (1817-1855), distintosi nei moti rivoluzionari del Cadore e per l'Unità d'Italia, qui posta nel 1885 sulla facciata della residenza Torinese presso la quale il patriota visse come esule, a pochi passi da quella che ricorda Kossuth.
Pietro Fortunato Calvi, anche noto come Pier Fortunato Calvi, è stato un patriota italiano, un personaggio purtroppo dimenticato dai torinesi, uno dei Martiri di Belfiore. Nacque il 15 febbraio 1817 a Briana di Noale, allora in provincia di Padova, figlio di un commissario di polizia e fedele suddito dell'Austria. Nel 1830 fu ammesso a frequentare i 6 anni di corso della importante e prestigiosa accademia militare degli ingegneri di Vienna e dopo il periodo in accademia iniziò la sua carriera militare nell'esercito imperiale. Venuto a contatto con le correnti patriottiche mentre era di stanza a Venezia, segretamente frequentò diversi circoli rivoluzionari e massoni.
Nell'aprile del 1848 si dimise dall'esercito austriaco e raggiunse Venezia per unirsi alla Repubblica di San Marco entrando nella milizia rivoluzionaria con il grado di capitano.
Il Capitano Calvi fu inviato da Daniele Manin in Cadore per organizzare la resistenza armata contro gli austriaci in quanto zona di confine e porta d'accesso al Veneto. Ottenne diverse vittorie contro l'esercito austriaco ma caduta Venezia e ripristinato il governo austriaco sul Lombardo-Veneto, Calvi fuggì in esilio, prima in Grecia presso Patrasso e poi a Torino. Nella capitale sabauda entrò in contatto con altri rivoluzionari esiliati come il cadorino Talamini Minotto. A Torino visse tre anni di vita in miseria e tirò avanti solo grazie al povero sostentamento che il governo dei Savoia concedeva agli esuli. Non aveva più rapporti con la famiglia in quanto lo considerava un traditore e solo il fratello gli inviava qualche aiuto economico.
A Torino ebbe anche modo di entrare in contatto con Giuseppe Mazzini e con l'ungherese Lajos Kossuth.
Mazzini inviò Calvi nuovamente in Cadore nel 1853, per accertarsi della possibilità o meno di tentare nuovamente una sommossa antiaustriaca.
Prima di partire per il Cadore prese parte ai moti di Milano del 6 febbraio 1853 per poi rifugiarsi in Svizzera. Varcato il confine austriaco nei pressi della Valtellina il gruppo dei cinque rivoluzionari inviati in Cadore venne scoperto dai gendarmi a Cogolo, in Val di Sole, in un'osteria. Erano muniti di passaporti falsi e il possesso di una notevole quantità di armi, ciò provocò il loro immediato arresto. Erano altresì attesi dagli stessi austriaci a causa di una spia che li aveva denunciati, consegnando agli agenti imperiali la mappa con il loro percorso per raggiungere il Cadore.
Furono trasferiti a Cles, poi a Trento, quindi a Innsbruck, e infine a Verona, per poi essere condotti nel castello di San Giorgio a Mantova dove vennero processati secondo due riti: il primo militare (Corte marziale), estremamente duro, durante il quale subirono torture; il secondo condotto dall'autorità civile (Corte Speciale di Giustizia). Durante entrambi i processi, Pietro Calvi cercò di addossarsi tutte le responsabilità del piano rivoluzionario al fine di evitare ai quattro compagni di sventura, la condanna a morte. Questo comportamento salvò i compagni che furono condannati a qualche anno di carcere mentre a Calvi, reo confesso, fu negata la Grazia Sovrana e venne condannato alla pena di morte tramite impiccagione, eseguita il 4 luglio 1855 a Lunetta, località del comune di Mantova, poco fuori dalla città oltre il ponte di San Giorgio.
Erano state inoltre trovate addosso a Calvi tre lettere da indirizzarsi, in caso di necessità a persone fidate. I tre destinatari erano Ulisse Salis, il caffettiere tiranese Antonio Zanetti e Gervaso Stoppani di Bormio. Furono arrestati anch'essi e in seguito condannati a scontare la pena nelle fortezze austriache.
Calvi consegnò al giudice austriaco poco prima di essere avviato al patibolo una dichiarazione:« Io, Pietro Fortunato Calvi, già ufficiale dell'esercito austriaco, ex colonnello dell'esercito italiano durante la guerra dell'indipendenza, ora condannato a morte per crimine di alto tradimento, vado lieto incontro a questa morte, dichiarando in faccia al patibolo che quello che ho fatto l'ho fatto di mia scienza, che sarei pronto a farlo ancora, onde scacciare l'Austria dagli Stati che infamemente ha usurpato. Chiedo che questa mia dichiarazione [...] sia [...] unita al mio processo, onde tutti sappiano che Pietro Fortunato Calvi, piuttosto che tradire la sua patria, offre il suo cadavere» G. Visconti Venosta, cit., p. 434.
La lapide che ricorda il Colonnello dei cacciatori delle Alpi Pietro fortunato Calvi è posta sulla casa nella quale trovò abitazione tra il 1850 e il 1853 a poca distanza da quella che ricorda l'abitazione dell'ungherese Lajos Kossuth.
Transito vicino al Collegio San Giuseppe che apre i suoi battenti nel 1875; ma la Storia dei Fratelli a Torino è ben più antica.
I fratelli delle scuole Cristiane, istituiti da San Giovanni Battista de La Salle, sono stati chiamati in città nel 1829 da re Carlo Felice che li voleva come maestri nelle scuole del suo Regno. Partecipano da protagonisti al Risorgimento italiano (ad esempio, provvedendo a diffondere il Sistema metrico decimale in tutto il Regno di Sardegna - Carlo Alberto, prima di partire per l'esilio di Oporto promulgò una legge con la quale veniva fissata la data del primo gennaio 1850 per la introduzione formale nel Regno di Sardegna del Sistema metrico decimale che progressivamente venne esteso al resto d'Italia). Godono dell'amicizia e dell'appoggio dei Faletti di Barolo e di Silvio Pellico; anche don Bosco collaborerà come confessore nelle loro scuole. Visto il crescente numero di allievi, il 22 maggio 1875 il Collegio San Giuseppe sarà ufficialmente inaugurato.
Dal 1915 al 1918, il Collegio diviene sede dell'Ufficio Notizie di Guerra per la città di Torino, che raccoglie notizie sui prigionieri, dispersi, profughi e caduti di guerra. Durante la seconda guerra mondiale ospiterà nei suoi locali la Commissione Italiana di Armistizio con la Francia. Ora il Collegio ospita un importante Liceo, sempre gestito dai fratelli delle scuole Cristiane.
Mi trovo improvvisamente alle spalle di Madama Irma Pince, la bibliotecaria della scuola di Hogwarts e che nella mia Hogwarts torinese funge da contabile. È una donna all'apparenza molto severa ed intransigente per quanto riguarda il trattamento dei libri contabili.
Allungo il passo per salutarla, si volta bruscamente e dal volto si legge la sorpresa di vedermi, con fare molto affabile ma distaccato, ci salutiamo come sempre e insieme percorriamo un tratto di strada.
Raggiungiamo Piazza Bodoni, una piazza ottocentesca in stile parigino, pedonalizzata nonostante il grande parcheggio sotterraneo che ospita, è lastricata con una bella pavimentazione in pietra e che offre splendide suggestioni notturne grazie a dei bei lampioni. Al centro si trova dal 1891 il monumento equestre ad Alfonso La Marmora, importante generale e uomo politico di cui abbiamo già scritto. Il Palazzo Ferrero della Marmora, dove vi nacque anche il fratello Alessandro, fondatore del Corpo dei bersaglieri, è in via Maria Teresa, che abbiamo oltrepassato da poco, un bel palazzotto nobiliare adiacente a palazzo Dal Pozzo della Cisterna, che insieme ad altri nobili edifici costituisce l'isola dell'Assunta.
Madama Irma Pince è sposata felicemente con prole, ha un lavoro precario come suo marito nella Hogwart torinese, ho sempre temuto che ella fosse sempre sotto ricatto o pressione soprattutto per la precaria situazione del marito che lavora sotto la gestione dei peggiori Mangiamorte. Madama Irma Pince, lavora nella direzione generale e di lei conosco molto poco se non la sua gentilezza e disponibilità.
Ha un corpo molto esile, dotata di un seno ben sviluppato, braccia lunghe sottili, con le dita e le unghie sempre ben curate. Non credo di averla mai vista con dei pantaloni. il viso è ovale con una carnagione chiara, nonostante le sue origini non siano certamente del nord Italia.
Il viso è costellato di lentiggini che però quasi non si vedono se non ad un occhio attento, grandi occhi verdi sotto a due fini sopracciglia, con un naso fine e leggermente allungato, due labbra sottili e chiare. La capigliatura è vistosa con capelli fini di un colore biondo tendente al rossiccio.
L'area di piazza Bodoni si prospetta monumentale anche per la presenza sullo sfondo del Conservatorio musicale intitolato a Giuseppe Verdi. Nelle giornate scolastiche primaverili è facile che lascino le finestre aperte, permettendo ai passanti di godere nell'ascoltare brevi intermezzi musicali e se ciò accade nelle giornate di sole, non puoi non soffermarti. L'area dove oggi troviamo il Conservatorio era occupata, fino al 1928, dal mercato del pesce.
Piazza Bodoni è uno dei luoghi che meglio rappresenta il discreto fascino di Torino con il suo aspetto parigino ed è intitolata a Giambattista Bodoni, tipografo e valente incisore, autore di numerosi caratteri destinati alla stampa.
Costui nacque a Saluzzo il 16 febbraio 1740 e morì a Parma il 29 novembre 1813, figlio di uno stampatore che gli insegnò la professione fin dalla tenera età e ancora adolescente si recava abitualmente a Roma per lavorare nella tipografia della Congregazione per la Propagazione della Fede. Successivamente decise di recarsi in Inghilterra a cercare nuova fortuna ma, tornato brevemente a Saluzzo, una malattia, la sifilide, l'obbligò a rinunciare al viaggio. Una volta guarito il duca di Parma lo nominò direttore della Tipografia Reale di Parma.
Qui Bodoni realizzò moltissime delle sue opere, che ebbero un enorme successo dovuto soprattutto alla qualità delle stesse, per le quali utilizzava importanti illustrazioni. Non vi era membro dell'aristocrazia europea che non usufruisse dei suoi libri in quanto lui stesso mescolava sapientemente gli inchiostri e utilizzava carta di pregio. Tra le edizioni più conosciute risaltano Epithalamia exoticis linguis reddita del De Rossi (1775), I lavori di Orazio (1791) e Poliziano (1795), La Gerusalemme Liberata e l'Oratio Dominica (1806) e la famosa Iliade. A Parma Bodoni ebbe inoltre l'incarico di formare degli allievi nell'arte tipografica. Intorno al 1798 Bodoni disegnò un carattere tipografico che fu una vera rivoluzione per la stampa tipografica, essendo il punto di partenza dei caratteri tipografici"moderni". Il suo Manuale Tipografico fu pubblicato dalla moglie Margherita alcuni anni dopo la morte di Bodoni.
Sulla piazza vi si affacciano alcuni eleganti edifici ottocenteschi, dei quali non solo spicca il conservatorio Giuseppe Verdi ma anche il Palazzo Pomba, dove morì il celebre editore. All'altezza del primo piano, in una posizione non tanto comoda per la lettura delle incisioni, è presente una lapide posata in onore di Giuseppe Pomba (Torino, 4 febbraio 1795 – Torino, 3 novembre 1876), che ricorda il tipografo ed editore nonché fondatore della casa editrice UTET: "Unione tipografico-editrice torinese". Pomba visse e morì in quel palazzo, sito in una piazza dedicata a uno dei più celebri tipografi piemontesi.
Politicamente, Pomba è un risorgimentale, già nel 1821 aveva appoggiato il governo provvisorio dei costituzionalisti, dando alle stampe il giornale "la sentinella subalpina". Amico di Giuseppe Mazzini, nel 1936/37, per un mese, è ospite delle prigioni della cittadella di Alessandria per aver introdotto dalla Francia il romanzo L'Assedio di Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi. La polizia cercò nelle sue stamperie copie delle pubblicazioni senza trovare niente; un operaio, temendo il peggio, aveva già nascosto tutto.
All'angolo della piazza, sotto i portici dove c'è il prolungamento della via intitolata a Pomba, saluto Madama Irma Pince che prosegue per la sua strada, con il suo passo sempre lungo e frettoloso. Il bel palazzo con una serie di portici e il lussuoso bar dove mi sono accomiatato da Madama Irma Pince, ospita sul suo prospetto esterno, sopra le arcate, delle decorazioni che sono una sequenza di 52 medaglioni rotondi in cotto che riportano il volto di personaggi illustri. Sullo sfondo la palazzina Porta Bava, un elegante edificio neoclassico eretto nel 1825 con un grande ed impressionante timpano che conclude la facciata, spartita da lesene con bei capitelli.
In questo strano Pantheon sono ritratti illustri personaggi, forse sono un omaggio proprio a Pomba che gli onoro con la sua attività editoriale. I medaglioni riportano anche alcune stranezze, come quella di definire Bogino quale statista, Barbarux a legista, Bidone a idraulico, affiancati all'Alfieri, al Buniva (medico), Cardinale Bona (teologo).
Proprio sotto a questi portici, nell'androne del civico 12 di via Mazzini, una lapide ricorda Deiana David Giuseppe e Deiana Paolo. Giuseppe era nato a Carmagnola nel 1883 da famiglia ebrea e come medico specializzato in gastroenterologia aveva partecipato da volontario alla prima guerra mondiale. Era iscritto alla loggia massonica torinese "Dante Alighieri" e una volta sposatosi ebbe due figli e si trasferì a Torino dove insegnò come libero docente all'Università. Con le leggi razziali del 1938 e per i noti sentimenti antifascisti fu arrestato nel 1942 scontando 5 mesi in carcere a Torino con l'imputazione di "associazione segreta filo ebraica e diffusione di propaganda antinazionale" da cui fu però prosciolto. Dopo l'8 settembre 1943 i figli raggiunsero le formazioni partigiane in montagna e lui fu costretto a rifugiarsi in una casa in collina per evitare le persecuzioni antiebraiche ma nel 1944 venne individuato ed arrestato e deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg, dove continuò a prestare servizio quale medico ma vi morì per le sevizie inflittegli. Il figlio Paolo, nato a torino nel 1921 e studente di Medicina, con il fratello Giorgio raggiunse le formazioni partigiane in Val Chisone e durante i rastrellamenti nazifascisti dell'agosto 1944 riuscì a salvare la vita ai ricoverati dell'ospedale da campo della formazione partigiana. Nell'ottobre successivo, mentre faceva ritorno dopo aver curato dei partigiani in fondovalle, fu intercettato da una pattuglia tedesca e trucidato in una grangia di Corauta, sopra Inverso di Pinasca.
Bisognerebbe approfittare di una bella giornata per sedersi sulle panchine poste intorno al monumento del generale, farsi abbracciare dal calore del sole e dalla bellezza della piazza, in questo angolo di pace al riparo dal caos del traffico cittadino. Ogni tanto gli aromi di un vicino negozio di profumi ed essenze viaggiano leggeri nell'aria fino arrivare alle nostre narici e sarebbe interessante aspettare che si faccia sera, quando i lampioni la fanno risplendere la piazza di una luce tenue e calda insieme. Si dice che le voci ( la prima notte di luna piena di ogni mese), dei personaggi immortalati nei 52 medaglioni sovrastanti i portici, riecheggino sulla strada, mentre chiacchierano tra di loro scambiandosi le loro storie e commentando ciò che nella spiazzo sottostante accade.
La piazza accoglie il sabato pomeriggio, dimenticando la pace e la calma che la contraddistingue per tutta la settimana, le risate e alla musica di molti giovani: un invasione di ragazzi e ragazze alla moda, trasformandola in una meta esclusiva di ritrovo per i "cabinotti". Ragazzi che con il loro "ciaccolare" animano e colorano la bellissima piazza.
Un'altra lapide, più piccola ma non per questo meno importante, ricorda Banderali Riccardo, torinese di nascita (14 marzo 1921), studente di Ingegneria dell'Università di Genova, chiamato alle armi nel 1941 come carrista a Nettuno e che dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 trascorre un periodo come partigiano sull'Appennino ligure. Successivamente aderì all'organizzazione Franchi, comandata da Edgardo Sogno e sostenuta dal S.O.E. Britannico (Special Operation Executive) con il nome di battaglia Riccardo. Arrestato nell'alloggio di piazza Bodoni, utilizzato come base dell'organizzazione Franchi a Torino, dopo un breve tentativo di fuga viene dapprima torturato nei locali dell'albergo Sitea, ricondotto dinnanzi allo stabile e poche ore dopo fucilato.
Poco distante dalla da piazza Bodoni, uno slargo tra le vie Pomba, Andrea Doria e dei Mille, si trova il dimenticato monumento a Giuseppe Mazzini, realizzato da Luigi Belli e inaugurato nel 1917. Mazzini è raffigurato seduto su uno scranno messo in cima ad una scalinata con la lupa romana ai suoi piedi e sei ghirlande che incorniciano gli eroi risorgimentali, tra cui trovo anche il mio conterraneo Andrea Vochieri.



Fine XVI parte.