Quello che attira maggiormente la mia attenzione, sia per la sua storia che soprattutto per gli intrighi "di lenzuola" che ha vissuto è certamente quello contiguo a Palazzo Cavour, l'antico Palazzo Lagrange, poi proprietà dei conti Verasis di Costigliole d'Asti, ove visse la Contessa di Castiglione dopo il trasferimento a Torino in seguito al matrimonio con il conte Filippo Verasis di Castiglione.
Mi piace soffermarmi su questo personaggio, di cui ho apprezzato la figura solo dopo una mia gita a Parigi con visita sulla sua tomba al cimitero di Père-Lachaise insieme ad mio stretto conoscente.
Bisogna collocare la figura della contessa di Castiglione entro la società del suo tempo, cioè nel trentennio che va dal 1850 al 1880 circa, in un periodo storico di cambiamenti politici radicali che videro in Italia le guerre d'Indipendenza e la realizzazione dell'Unita nazionale, secondo la strategia politico-diplomatica ideata da Camillo Benso Conte di Cavour, cugino del marito. La Contessa Castiglione partecipò attivamente e con significativa consapevolezza alle trame tessute da Cavour, proprio sotto le lenzuola torinesi e parigine.
La Contessa ebbe la capacità di costruire un mito attorno alla propria bellezza, sia attraverso la propria spregiudicatezza che la propria avvenenza e non ultimo nell'utilizzo della fotografia, con intuizione geniale ed estremamente moderna.
Infatti Ella, fin da giovanissima, fu oggetto di attenzione a causa della sua bellezza nel mondo cosmopolita fiorentino dove nacque e poi attraverso il matrimonio con il conte Francesco Verasis di Castiglione, entrando così in contatto con il mondo diplomatico presente a Torino nella corte sabauda.
Della sua residenza e della sua permanenza a Torino si trova poco di scritto ma proprio perché intrigante e misteriosa voglio osservare le finestre del suo palazzo ed immaginare cosa si svolgesse in quelle stanze a metà del XIX secolo.
Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini, figlia del marchese Filippo Oldoini e di Isabella Lamporecchi, nacque a Firenze il 22 marzo 1837.
Non ancora quindicenne era considerata la donna più bella d'Europa. Non senza una certa dichiarata riluttanza, nel 1854, sposa il conte piemontese Filippo Oldoini Verasis di Castiglione. Ha un carattere difficile, caparbio, orgoglioso e incostante ma sopratutto capriccioso ed egocentrico che gestisce non senza difficoltà nei rapporti con la servitù e con le altre dame di società, ma che con capriccio e con il fascino della sua eccezionale bellezza domina invece gli uomini.
Meno di un anno dopo il matrimonio nacque Giorgio, figlio unico di Virginia e Francesco che non fu mai amato dalla madre e che purtroppo morirà a 24 anni per malattia. Nonostante la fine della gravidanza avesse portato una forte depressione alla giovane madre in quanto vedeva compromessa la sua scultorea perfezione fisica, si moltiplicarono i corteggiatori e gli amanti, a noi in buona parte noti, tanto da poterne elencare qualcuno avendo avuto l'ardire di catalogare su un libretto tutte le sue conquiste maschili con note in codice: «E» stava per «carezze», «B» per «bacio», «BX» per «molto più di un bacio», «F» per «rapporto completo».
Dal marchese Ambrogio Doria, al fratello di questi Marcello, al conte Bentivoglio, al re Vittorio Emanuele II. Civettò anche con il banchiere Rothschild e chissà quanti altri. Colta, parlava inglese, francese e tedesco. Con Cavour pare non ebbe alcuna storia d'amore ma alcuni scrissero che le metteva soggezione. Invece al bel Costantino Nigra disse di si alle avances.
Conscio delle sue capacità d'intrigo e del fascino che nutriva per lei l'imperatore Napoleone III, che già la conosceva avendola incontrata quando ancora era il Principe Luigi Napoleone ed abitava a Firenze, il cugino Camillo Benso conte di Cavour decise di trasformarla in ambasciatrice del Piemonte sabaudo presso la corte imperiale, per rendere l'imperatore dei francesi più sensibile alle aspettative del regno Sardo per il raggiungimento dell'Unità nazionale. La Castiglione, trasferitasi a Parigi, diverrà una delle figure di rilievo della corte napoleonica, protagonista della vita mondana e sociale, ma anche politica e diplomatica della capitale francese, oltre che protagonista di invidie e complotti. La causa risorgimentale che aveva trasferito la Castiglione a Parigi, venne vinta attraverso le guerre che videro Francia e Piemonte fianco a fianco sotto le stesse bandiere. Per un personaggio che fece della propria bellezza un mito, fondamentale fu il rapporto con la moda che la Castiglione non seguiva ma precorreva creando lei stessa stili di moda nuovi, fortemente audaci. Fu una delle regine della moda della sua epoca attraverso le toilettes sfarzose copiate dall'alta società francese, raffigurate e commentate dai giornali dell'epoca. Tanto spregiudicata da liberare la gonna dalle gabbie che fino allora costituivano parte dell'abbigliamento femminile. Sceglieva abiti attillati con spacchi ed i colori preferiti per vestirsi durante i suoi incontri erano l'ametista, il viola, il rosso Magenta, con disegni e decori di fiori come margherite e glicini.
Una volta pare che per andare a un ballo si rotolò nuda nella colla e poi fra le piume per apparire come un cigno. La Contessa Innamorata di sé e di nessun altro, offrì il suo fascino al potere. Voleva essere "la più bella donna" del suo secolo e di lei scrive Henry d'Ideville, giovane diplomatico francese "è la creatura più graziosa, più attraente che si possa immaginare, con i capelli biondi arricciati intorno alla fronte, le braccia e le spalle nude, gli occhioni dolci e stupiti". Narcisista fino all'ultimo s'illuse di sedurre l'Europa e di poter manovrare la storia, si esaltò nel affermare di aver così «fatto l'Italia e salvato il Papato». Ma asservì soprattutto la sua ambizione ed è ricordata come un'icona di smagliante bellezza: alta, di candida carnagione, «corpo da Venere di Milo », con capelli dorati, occhi azzurri venati di viola, piccoli piedi e mani affusolate come piaceva a Napoleone e non solo.
Portava con se molti nomignoli datigli dal nonno Ranieri che la educò e che solitamente la chiamava "Verginicchia". Lei amava farsi chiamare in intimità "Nicchia", vezzeggiativo che utilizzò anche Camillo Benso di Cavour. Invece Vittorio Emanuele II amava chiamarla "Nini" Mentre Napoleone III a letto le si rivolgeva come "Minà".
Si narra che in una notte d'estate del 1856, nel castello di Compiègne, dove la corte francese si era ritirata per il periodo estivo, la porta della camera da letto di Virginia si aprì lentamente e sua maestà l'Empereur si accostò al letto levandosi la vestaglia, ornata con un ricamo di raffigurante un l'ape d'oro, simbolo del suo alto rango. La contessa Virginia per l'occasione indossava una camicia da notte di seta trasparente color verde acqua, vestaglia che terrà come un feticcio nostalgico di una gioventù passionale.
Dal diario di Virginia: "Respinse col piede uno sgabello e vidi la sua ombra avvicinarsi al letto; si abbassò… chiusi gli occhi e il mio destino si compì…La pendola suonava le due. Aveva suonato la una e mezza quando la porta si era aperta per la prima volta…Era bastata una sola mezz'ora per fare di me un'imperatrice."
Oltre a questi dettagli rosa che ci vengono tramandati grazie al suo diario, ben poco sappiamo dell'attività di "ambasciatrice delle lenzuola" che la donna svolse su incarico del cugino conte Cavour.
Il suo successo finì il 6 aprile 1857, quando si sventò nel giardino di casa sua in rue de Montagne un attentato contro Napoleone, forse progettato come simulazione dalla stessa moglie dell'Imperatore per screditarla.
Dovette intervenire lo stesso Costantino Nigra (inviato in missione segreta a Parigi per concretizzare l'ipotesi di alleanza decisa a Plombières tra Napoleone III e Cavour e progettare la guerra tra il Regno di Sardegna e l'Impero austriaco) per farla liberare dal posto di polizia e farla rientrare in Italia quando questa venne espulsa dalla Francia nel 1858. Rientrata a Torino si rinchiuse a Villa Gloria, alle pendici della collina torinese e benché ricevesse molte visite di illustri personaggi si sentì respinta da Torino.
Tornò a Parigi e prese alloggio in un modesto appartamento ammezzato in Place Vendome dove riempì la casa di ricordi, vestendosi solo a lutto e uscendo poco di casa. Lasciò in seguito la casa di place Vendome per motivi economici e si rifugiò in un ancor più modesto alloggio in rue de Cambon 14, dove morirà.
Fra il 1861 e il 1867 offrì il suo corpo all'obiettivo dei fotografi alla moda Mayer e Pierson. Questi la ritrassero a letto e in pose teatrali, con le gambe nude fino al ginocchio. Uno scatto fu esposto all'Expò del 1867. Paul Baudry la dipinse come la «Maya Desnuda» di Goya. Invidiosa della propria immagine distrusse tutte le sue foto ed in casa velò ogni specchio non accettando il decadimento della sua bellezza.
Morì sola, ipocondriaca, autoreclusa per paura di fantomatiche aggressioni. Il suo epilogo fu triste. Spirò a Parigi il 28 novembre 1899 e il suo feretro fu accompagnato al cimitero di Père-Lachaise da non più di 10 persone.
Aveva chiesto di essere sepolta a La Spezia, luogo d'origine del marchese Filippo Oldoini, padre della Castiglione, con la camicia da notte di seta verde, leggera e trasparente, indossata nelle notti d'amore trascorse con l'Imperatore Napoleone nel castello di Compiègne. Ciò non avvenne anzi, i documenti, i ricordi furono fatti sparire dalla polizia segreta, così come i gioielli, gli arredi e anche la camicia da notte che però venne successivamente recuperata ed esposta al Museo di Santena.
Distacco lo sguardo dalla finestre e lascio Virginia che fu indubbiamente una star del suo tempo: sexy, intelligente, brillante, trasgressiva, esageratamente ambiziosa e soprattutto gran divoratrice di cuori maschili.
Suo marito invece era morto il 30 maggio 1867, caduto da cavallo e travolto da una carrozza durante le nozze di Amedeo d'Aosta con la principessa Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna. Il marito, soprannominato da Lei con derisione "il povero Becco", si trovò presto rovinato economicamente dai dispendiosi capricci di sua moglie e ne chiese la separazione nonostante ne rimanesse sempre innamorato malgrado i molti tradimenti a lui noti e a dispetto del disprezzo che ella professava nei suoi confronti. Con superbia era solita dire che se invece di maritarla a Castiglione sua madre l'avesse portata a Parigi, invece di una Spagnola - Eugenia, consorte di Napoleone III - ci sarebbe stata un'italiana sul trono di Francia).
Sempre in via Lagrange due lapidi ci ricordano altrettanti illustri personaggi che vi abitarono;
una ricorda dove nacque il Duca del mare, Paolo Thaon di Revel, (10.6.1859 - 4.3.1948) grande ammiraglio, presidente della Società Geografica Italiana dal 1921 al 1923 e che dall'ottobre 1922 fino al maggio 1925 entrò nel cosiddetto primo governo nazionale in qualità di Ministro della Regia Marina. Fu uomo di fiducia del re Vittorio Emanuele III e prese parte all'azione dei capi militari per destituire Mussolini culminata il 25 luglio 1943. Fu altresì presidente del Senato dal 1943 al 1944. Subito a ridosso un'altra lapide ricorda che in quel palazzo visse e morì, il 9 febbraio 1869, il conte Ottavio Thaon di Revel (26.6.1803 – 9.2 1868), padre del Duca del Mare, uomo politico, ministro delle finanze del regno e primo segretario di stato, ricoprendo anche la carica di presidente della cassa di Risparmio di Torino.
Sempre in via Lagrange, all'altezza di piazza CLN, il magnifico Palazzo Bricherasio mi ricorda che proprio in quelle stanze il 10 luglio 1899 venne firmato l'atto costitutivo che vedeva la nascita della FIAT, un'iniziativa promossa da Emanuele Cacherano di Bricherasio e Cesare Goria Gatti che avevano precedentemente costituito e finanziato la "Accomandita Ceirano & C.", diretta alla costruzione della "Welleyes", un'automobile progettata dall'ing. Aristide Faccioli e costruita artigianalmente da Giovanni Battista Ceirano. Oltre ai due promotori, si mostrarono disposti a partecipare il conte Roberto Biscaretti di Ruffia, il marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia, il banchiere e industriale della seta Michele Ceriana-Mayneri, l'avvocato Carlo Racca, il possidente Lodovico Scarfiotti, l'agente di cambio Luigi Damevino e l'industriale della cera Michele Lanza e il più noto Giovanni Agnelli.
Palazzo Bricherasio prende il nome dalla famiglia già presente nel XII secolo e investita del feudo di Bricherasio il 4 marzo 1360, da Amedeo VI di Savoia. Manfredo Cacherano della Rocca risulta il capostipite della nobile famiglia, Roberto Cacherano viene annoverato tra i consiglieri della città di Rocca d'Arazzo (AT). Fu fatto prigioniero nel 1174 dall'imperatore Federico Barbarossa con Enrico Asinari ed altri 38 consiglieri oltre ad un centinaio di possidenti astigiani. Vennero liberati dietro il pagamento di un riscatto di cento lire. Secoli dopo, Giovanni Cacherano ottenne dall'imperatore Carlo V il diritto di "battere moneta" nel 1538; di questo privilegio i Cacherano non se ne avvalsero mai. Un altro discendente, Giovanni Battista Chacerano di Bricherasio, fu Comandante delle truppe Piemontesi e alleate nella Battaglia dell'Assietta del 19 Luglio 1747 e che rimane il suo più grande successo militare. Nel 1751 è nominato viceré e capitano generale della Sardegna, nel 1755 diviene Governatore di Tortona, poi nel 1758 Governatore di Alessandria e infine nel 1763, governatore della cittadella di Torino.
Un mistero avvolge comunque questa famiglia, anche se non avvenne in questo Palazzo: Il conte Emanuele Bricherasio venne trovato morto il 3 ottobre 1904, nel Castello di Agliè, ospite del duca Tommaso di Savoia-Genova e della moglie Isabella di Baviera. La sua morte non è mai stata del tutto chiarita e non vi fu alcuna indagine delle autorità. Alcuni storici sostengono che la morte del Bricherasio fu un suicidio d'onore, più o meno volontario, a causa d'una presunta relazione con una nobildonna d'alto rango di casa Savoia. Il consiglio d'amministrazione della F.I.A.T., riunitosi all'indomani della sua morte il 4 ottobre 1904, commemorò il defunto fondatore e vicepresidente in maniera molto soft, definendolo semplicemente "amministratore zelante": un omaggio sommesso e riduttivo considerata l'importanza del personaggio. Più probabilmente, la vera causa della sua morte fu legata a motivi mai del tutto svelati e sepolti con lui nella cappella di famiglia, a breve distanza dal Palazzo Bricherasio di Fubine, dopo una breve cerimonia strettamente privata.
L'unico amico e confidente che poteva svelare il mistero era il capitano Caprilli, che morirà anch'egli tre anni dopo in circostanze altrettanto oscure, e che aveva lasciato agli eredi il compito di bruciare il baule della sua corrispondenza e di essere sepolto quanto più vicino possibile all'amico Emanuele. Infatti le sue ceneri riposano nella cappella della famiglia Bicherasio a Fubine, accanto al sepolcro monumentale del conte Emanuele Cacherano di Bricherasio.
.Ma palazzo Bricherasio ricorda anche la memoria dello scrittore milanese, Giovanni Berchet "audace cantore di Libertà" come riporta una lapide affissa al palazzo dove si spense il 23 dicembre 1851. Giovanni Berchet abitò in questo edificio dal 1849 al 1851 e fu uno dei maggiori protagonisti del Romanticismo italiano, nonché deputato del Regno Sabaudo, rifugiatosi a Torino e ivi morto esule.
L'edificio presenta una pianta quadrangolare dai prospetti caratterizzati da finestre neoclassiche intervallate da semicolonne in bugnato. Il tetto esibisce una serie di abbaini realizzati nella ristrutturazione avvenuta alla fine XX sec. Il prospetto su via Lagrange presenta il portone d'accesso con un grande atrio padronale, un tempo unico ingresso dell'edificio. Sulla facciata principale tre finestre ad arco si aprono su una balconata sovrastata dal bassorilievo che riporta lo stemma dell'estinta famiglia dei Cacherano di Bricherasio. Il seicentesco Palazzo Bricherasio fu uno dei più significativi salotti culturali della Torino di fine Ottocento, sede di mostre e ricevimenti organizzati dalla contessa Sofia, che videro presenti i maggiori esponenti delle arti, tra cui il celebre maestro Arturo Toscanini e lo scrittore Edmondo De Amicis.
Mi ritrovo ormai in piazza C.L.N. (Comitato liberazione nazionale).
La piazza non è ampia ed è situata quasi a metà di via Roma, sviluppandosi sul retro delle chiese di San Carlo e di Santa Cristina. Qui trovano posto due statue-fontane rappresentate da due figure allegoriche maschili e femminili che rispettivamente rappresentano i fiumi Po e Dora. Le statue sono circondate da vasche che attirano sopratutto i turisti. Si tratta di due opere dello scultore Umberto Baglioni realizzate nel 1937. Secondo il progetto originale la piazza avrebbe dovuto ospitare altre due statue raffiguranti l'una il Duce e l'altra il re Vittorio Emanuele III
Come mi avvicino alla fontana della Dora trovo Antonin Dolohov, uno dei Mangiamorte più fedeli e più forti della cerchia del signore oscuro. Nella Hogwarts della J.K Rowling fu condannato e imprigionato ad Azkaban per l'omicidio di Gideon e Fabian Prewett, fratelli di Molly Weasley, ma riuscì a evadere. In quella Torinese è sempre sfuggito al lavoro, millantando capacità professionali che non ha, ma avendo la capacità di trovarsi sempre al posto giusto al momento giusto.
La falsità e l'ipocrisia dei Mangiamorte è acclarata, ma lui spicca per queste doti. Lo vedo rallentare il passo, sicuramente mi ha visto, e sta studiando se far finta di niente o allargare un falso sorriso di convenienza.
Se nelle storie di Hogwarts di J.K. Rowling, Antonin Dolohov, sconfigge Malocchio Moody in duello e scaglia potenti maledizione, su Hermione Granger quasi uccidendola, attacca Harry, Ron e Hermione in un pub di Londra, non riuscendogli però la loro cattura, invece l'Antonin Dolohov torinese, utilizza la sua posizione di rilievo per minacciare velatamente i suoi colleghi di lavoro, anche costruendo fantasiose falsità, nascondendo la verità e i documenti e soprattutto utilizzando il chiacchiericcio per architettettare falsità a suo uso e consumo.
La Rowling narra delle grandi abilità di duellante di Antonin Dolohov che a viso aperto si scontra con chiunque non sia con il signore oscuro, fintanto che viene schiantato da Filius Vitious durante la battaglia di Hogwarts. Mentre Antonin Dolohov torinese preferisce allungare il passo, scappando, codardo come sempre con il suo sorrido ipocrita, mi saluta da lontano, scomparendo.
Antonin Dolohov nella Hogwarts Torinese, ancora dominata dal Signore oscuro, gode di prestigio e notorietà per le sue note capacità mistificatorie ma non mi dispiace che si sia allontanato e non trovo nemmeno strano averlo trovato in questa piazza in cui i palazzi che vi si affacciano, benché luminosi, trasudano ancora di vicende nefaste. Non troverei strano veder uscire dalle finestre del civico 254, volteggiando, dei dissennatori e passeggiare dietro le grandi finestre i fantasmi di tanti innocenti torturati.
La J.K. Rowling, descrive Antonin Dolohov come un uomo pallido dalla faccia storta e volgare, costantemente accompagnato da un ghigno perfido, in quella torinese non si discosta di molto, se non che il viso appare una rielaborazione animalesca, e il suo parlare molto simile ad un grugnito. le sue forme piccole e tozze con le mani grosse e grasse rimarcano molto questa figura animale.
La piazza era precedentemente nota come piazza delle due Chiese. L'aspetto attuale lo si deve alla ristrutturazione, prevista dal progetto del 1935 dell'architetto e urbanista Marcello Piacentini, riguardante il secondo tratto della via Roma e la zona circostante. In seguito fu invece nominata piazza delle due Fontane.
La piccola piazza fu scelta da Dario Argento per la famosa scena di un film girato a Torino: in "Profondo Rosso" si vedeva una donna sbattuta contro la finestra di un moderno palazzo posto all'angolo con la chiesa di San Carlo, mentre un vetro le taglia la gola.
Nella ricostruzione di Via Roma, il problema di armonizzare piazza San Carlo con le più moderne costruzioni fu risolto mantenendo lo stile Barocco del tratto di via Roma verso piazza Castello e ammodernando il tratto che collega piazza San Carlo con la Stazione ferroviaria di Porta Nuova
Sotto i portici di questa piazzetta aveva sede l'Hotel Nazionale, un edificio entrato nella storia di Torino per essere stato, durante l'occupazione tedesca dell'Italia, la sede del Comando della Gestapo del capoluogo piemontese, presieduto dall'SS-Obersturmbannführer Hugo Kraas e dal comandante del servizio di Polizia di Sicurezza Tedesca Sipo-SD il capitano Rudolf Alois Schmidt.
L'ultimo piano del palazzo era tristemente noto per essere adibito a luogo di interrogatori e torture dove molti prigionieri partigiani e antifascisti non solo furono torturati selvaggiamente ma probabilmente anche uccisi.
Il capitano Rudolf Alois Schmidt era tristemente famoso per le violenze che perpetrava alle persone soggette ad interrogatorio. A Guerra conclusa venne processato dal tribunale militare territoriale di Napoli nel 1950, imputato di concorso in reato di violenza consistente in omicidio e in percosse e maltrattamenti contro privati nemici. Venne però assolto da molti capi d'imputazione e condannato solo a 8 anni di reclusione, in quanto fu difficile provare le accuse mancandone le prove.
La notte tra il 27 e il 28 aprile del 1945 l'edificio venne frettolosamente abbandonato dalle truppe comandate da Kraas e dopo la Liberazione divenne la sede del Comando Americano di Torino.
A ricordo del periodo dell'occupazione germanica, sotto l'albergo che fu sede del comando tedesco e della Gestapo, una lapide ricorda Renato Martorelli, medaglia d'oro e membro del CLN che qui venne torturato e il suo corpo non fu mai ritrovato. Martorelli era nato a Livorno nel 1895 e dopo aver combattuto durante la prima guerra mondiale si era laureato in giurisprudenza, professando poi l'attività forense. Irriducibile socialista e antifascista, fu tra gli organizzatori del movimento Italia Libera, fondata a Firenze dopo la morte di Giacomo Matteotti. Fondò a Torino il partito socialista di unità proletaria, nato in clandestinità. Dopo l'8 settembre 1943 insieme all'Avv. Duccio Galimberti di Cuneo organizzò un movimento partigiano di resistenza in Liguria e Piemonte. Diventò rappresentante del partito socialista all'interno del C.L.N. regionale ma venne catturato a Niella Tanaro il 30 luglio 1944. Trasportato a Torino, fu interrogato nell'albergo nazionale, sede della Polizia politica delle SS tedesche, dove morì a seguito delle torture subite. Lascio volentieri questa piazza che porta un nome liberatorio (C.L.N.) sperando che sia d'auspicio anche nei confronti di Antonin Dolohov che sicuramente avrebbe indossato l'abito delle SS (Schutzstaffeln) con il Totenkopf (dal tedesco: testa di morto), formato da un teschio sogghignante e da ossa incrociate, senza dubbio l'emblema simbolo delle SS e del terrore ad esse legato.
Oggi moderni appartamenti sostituiscono l'Albergo Nazionale e le sue tragiche storie che vi sono accadute, chissà i muri cosa potrebbero raccontare se le urla che ha raccolto potessero tornare ad avere voce.
Fine XVIII parte.