Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXI parte)

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Justin Finch-FletchleyCorso Marconi è un viale alberato che offre come prospettiva il castello del Valentino. Voluto dalla Madama reale, oggi la grande via di comunicazione divide in due il quartiere di San Salvario, del quale voglio fare un rapido giro per conoscere una Torino particolare e poco conosciuta dalle guide turistiche.
Il Borgo San Salvario viene ideato e pianificato tra il 1846 ed il 1854, ma già nella metà del '600, su progetto di Carlo e Amedeo di Castellamonte, vengono edificati la chiesa di San Salvatore, da cui prende il nome, e il castello del Valentino, residenza della Madama Reale Maria Cristina di Francia.
Tra gli edifici più antichi vi sono quelli edificati nel 1852 su disegno di Carlo Promis, all'incrocio tra il viale del Re (oggi corso Vittorio Emanuele II) e via Nizza. Questo primo ampliamento si estendeva fino al viale che portava dal castello del Valentino alla chiesa di San Salvario, oggi appunto corso Marconi.
Proprio su esso, un tempo corso Valentino, all'angolo di via Ormea, un ragazzo nato a Polignano a Mare nel 1928 e immigrato nel 1947 a Torino ad insaputa del padre faceva il cameriere correndo tra i tavolini del Bar di San Salvario. Si mise in seguito a fare l'apprendista gommista alloggiando in una baracca in affitto e il freddo che patirà nel capoluogo piemontese, all'epoca capitale del cinema italiano, gli rimarrà nell'anima. Diverrà poi famoso con la canzone Volare, era Domenico Modugno.
San Salvario non è mai stato un grande rione industriale, anche se popolato sopratutto da operai e da sempre arricchito dalle varie ondate di immigrazione, quella contadina piemontese prima, poi quella meridionale ed oggi extracomunitaria. L'unica industria di una certa importanza è la Microtecnica, che opera nel settore spaziale ed in quello degli armamenti. Occorre però ricordare che la FIAT vide la luce nel 1900 proprio a San Salvario: la prima fabbrica era in Corso Dante, all'angolo con corso Massimo d'Azeglio. Il Borgo è comunque ricco di varie attività artigianali, dal restauro mobili a importanti pasticcerie, ed ha inoltre una vivace vita notturna con molti locali multietnici che si sono aggiunti ai pub, rumerie, ristoranti ecc.
San Salvario è stato il primo approdo per gli innumerevoli immigrati che venivano a lavorare nelle industrie cittadine, trasformandolo dagli anni novanta del novecento in un quartiere multietnico, caratteristica che permane ancora grazie alla continua immigrazione extracomunitaria. Possiede, oltre ad un ricco tessuto associativo, la convivenza di quattro religioni con i propri templi: le chiese cattoliche, il tempio valdese, la sinagoga e le sale di preghiera musulmane.
La sua multiculturalità è già data dal tempio israelitico posto antistante ad una piacevole piazzetta chiusa al traffico, dedicata al grande scrittore Primo Levi. Dopo la rinuncia alla troppo onerosa costruzione della Mole Antonelliana, la comunità ebraica di Torino approva la realizzazione dell'eclettico edificio in stile moresco nel 1884, ispirato alle architetture orientali, con caratteristiche torrette culminate dalle cupole a bulbo.
Il grande interno, con matroneo su tre lati, fu ricostruito e di nuovo decorato nel 1949 dopo i danni subiti dal bombardamento del 1942 che risparmiò solo i muri perimetrali.
Si racconta che le macerie furono setacciate come una miniera e che alcune mani sacrileghe raccolsero chili d'oro, mentre altre vendettero al mercato del Balon il rotolo e i libri della Torah come cuoio per farne scarpe. Quello che si salvò fu seppellito al cimitero come voleva un antica tradizione.
Nel 1972 nei sotterranei, ove in precedenza, forse, vi era il forno dove si cucinavano le azime, il pane non lievitato della Pasqua ebraica, furono realizzate una piccola sinagoga a forma di anfiteatro, progettata da Giorgio Olivetti, e una sala di preghiera entrambe destinate alle funzioni religiose quotidiane.
Gli arredi sacri provengono quasi tutti dalla sinagoga di Chieri, tranne il settecentesco Aron, un piccolo armadio di legno prelevato dal tempio di rito tedesco del ghetto.
Nel quartiere è poi presente anche il tempio valdese, in corso Vittorio Emanuele, un notevole edificio neogotico con due alte guglie e un rosone in facciata, costruito su progetto di Luigi Formento nel 1851 - 1853 dopo la concessione da parte di Carlo Alberto della libertà di culto, avvenuta il 17 febbraio 1848. I correligionari di Valdo, che hanno scritto pagine di storia eroica e di martirio, hanno voluto un maestoso edificio rappresentandone la grandezza della fede. La facciata del tempio è caratterizzata da due guglie snelle che si ergono alle estremità dell'edificio. Al centro del tempio si staglia un rosone ed una serie di finestre strette e allungate che rendono, insieme al portale strombato formato da un fascio di colonnine, l'idea e l'impressione di esilità. Il modello architettonico del tempio è quello elaborato per le chiese protestanti dal generale britannico John Beckwith, che contribuì anche al finanziamento del tempio torinese insieme a quello di Torre Pellice. Notevole è l'interno con il suo coro ligneo e, al posto dell'altare, il pulpito in legno scolpito con baldacchino davanti al quale sta un tavolo con aperta la Bibbia. Non esistono immagini, ma sul bellissimo pulpito è scolpito un bassorilievo che riproduce lo stemma della Chiesa Valdese.
Anche la cattolica chiesa di San Giovanni Evangelista, uno degli edifici di culto che San Giovanni Bosco fece edificare nella Torino del XIX secolo su progetto di Edoardo Arborio Mella con l'annesso istituto salesiano tra il 1878 e il 1884, merita una visita non soltanto turistica.
Un altro personaggio famoso che frequentò, a dir il vero molto poco, il quartiere di San Salvario è stato Mike Bongiorno o meglio, all'anagrafe di New York, Michael Nicholas Salvatore Bongiorno, nato il 26 maggio del 1924. Mike era figlio della torinese Enrica Carello che, a seguito della separazione dal marito, tornò a Torino. Mike, seguendo la madre, andò a vivere a casa della zia Giuseppina Carello residente proprio a San Salvario. A Torino frequentò le scuole elementari, il ginnasio e il liceo classico D'Azeglio. Fin da giovane esternò la sua personalità estroversa e la volontà di diventare giornalista, e dato che era un grande appassionato di sport iniziò presto a lavorare per le pagine sportive de La Stampa come «galoppino», forse anche per testate sportive come Tuttosport e sulle montagne del torinese durante la Seconda Guerra mondiale si arruolò tra i partigiani.
Sempre in San Salvario, dall'altro lato di corso Marconi in via Morgari, vi è la Chiesa del Sacro Cuore di Maria, progettata nel 1889 ad opera di Carlo Ceppi, forse il migliore tra gli architetti eclettici di Torino, che ispiratosi all'architettura gotica la integra con moderne tecniche costruttive. Gravemente danneggiato in un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, l'edificio venne ricostruito negli anni Cinquanta su disegno originario. La Parrocchia del Sacro Cuore di Maria è una chiesa molto bella, nonostante la scrittrice Natalia Ginzburg nel suo libro "Lessico familiare", affacciandosi dalla sua casa di via Pallamaglio (oggi via Morgari), descriveva il Sacro Cuore di Maria come una "una brutta e grossa chiesa".
Ha trascorsi torinesi anche Gian Maria Volontè che nacque a Milano il 9 aprile 1933, ma crebbe a Torino in quanto il padre, Mario Volontè, era un milite fascista originario di Saronno (Varese) che nel 1944 fu al comando della Brigata Nera di Chivasso. Il grande attore e sceneggiatore italiano trascorse un'infanzia difficile ed infelice per via della precarietà economica familiare, causata dall'arresto del padre, colpevole dell'assassinio di alcuni partigiani (Mario Volonté, in seguito, morirà in prigione), mentre Carolina, la madre, cercò in tutti i modi di fronteggiare la crisi, arrivando ad affittare le camere della sua grande casa posta in via Berthollet nel quartiere San Salvario.
Incontro proprio in questo quartiere Justin Finch–Fletchley, che ha trascorso con me gli ultimi mesi della mia permanenza a Torino; Justin è un nato Babbano e come studente fa parte della casa di Tassorosso, mentre in quella torinese è uno studente, tutt'altro che modello, ma appassionato di fotografia, informatica, psicologia e poesia. Lo studente di Tassorosso viene descritto come un ragazzino vivace e loquace, molto entusiasta del professore, Gilderoy Allock, fintanto che non lo conosce veramente come abile mistificatore. Il mio Justin è un giovane alto dai capelli biondi, l'accomuna con Justin Finch–Fletchley di Hogwarts la "sfiga" perché fu vittima del basilisco poiché di origini non pure, perciò considerato da Serpeverde non degno di frequentare la scuola. Nella Hogward torinese le peggiori cattiverie gli vengono causate volutamente e con premeditazione dai mangiamorte Vincent Tiger (Vincent Crabbe) e Gregory Goyle.
Mi si avvicina sorridendo, i nostri rapporti sono sempre stati molto buoni e spesso ho dovuto difenderlo dall'aggressività dei suoi compagni con cui ha dovuto convivere, spesso facendo il galoppino. Il suo sorriso largo ed i suoi occhi attenti nascondono una grande tristezza ma anche una grande fierezza che gli permette di affrontare le più grevi situazioni. Perennemente innamorato di un amore assoluto mi racconta delle sue ultime vicende e delle sue poesie che scrive in continuazione.
Se dovessi raccontarlo lo immaginerei come lo ha descritto un carissimo amico, cioè come un'isola che galleggia mobile in un mare ora calmo, ora in tempesta, ora senza un orizzonte. Gli eventi meteorologici modificano il suo aspetto naturale a cui risponde gestendo i suoi confini naturali. Non ha un suo luogo, non ha un suo spazio né tanto meno un suo tempo.
Se approdi su di lui, sai dove sali ma non dove scendi. Lui ti tiene e ti porta con sé. Se riesci a lasciare quell'isola, sai dove l'hai lasciata ma non sai se la ritroverai. Se però guardi il mare potrebbe capitarti di rivederla.
È un incontro piacevole e sono lieto che stia aprendo un'attività legata proprio al mondo della comunicazione; ciò gli permetterà forse di esprimere al meglio le sue capacità e attitudini professionali. Percorriamo insieme un lungo tratto di strada nel quartiere di San Salvario prima di lasciarci davanti alla chiesa di San Pietro e Paolo apostoli in piazza Saluzzo. Questa chiesa nasce dal desiderio di contrastare l'influsso protestante, oltre che la necessità di dotare il quartiere di un luogo di culto cattolico. La sua costruzione, su progetto dell'architetto Carlo Velasco, durò soli 15 mesi tra il 1865 e il 1867 grazie anche al contributo finanziario degli abitanti di San Salvario.
Interessante la storia dell'inaugurazione della chiesa che avvenne con un'affollatissima e lunga processione che, percorrendo le principali strade del quartiere, raggiunse il nuovo edificio. La solennità dell'evento e l'importanza che si attribuì ad essa furono immensi, infatti alla processione parteciparono, oltre la nobiltà e le autorità civili, l'intero Capitolo diocesano con circa cento preti di Curia, l'intero seminario e molti ordini religiosi. I festeggiamenti durarono giorni e si conclusero con grandi fuochi d'artificio. Il prospetto richiama sia uno stile rinascimentale che uno classico e romantico, composto da due torri campanarie laterali in posizione avanzata rispetto al filo della facciata. Il fronte è tripartito anche in senso orizzontale da trabeazioni e cornicioni. In due nicchie nei corpi laterali sono ospitate le statue di San Pietro e San Paolo.
Una delle vie più importanti del quartiere è via Madama Cristina, che si presenta signorile e discreta, e anche se un po' defilata dal centro storico mantiene comunque un grande interesse commerciale, non soltanto per il mercato rionale ospitato nell'omonima piazza. Mercato non solo ortofrutticolo e di alimentari in genere ma anche di abbigliamento, benché questo ultimo tipo di merceologia non si contratti più in dialetto torinese ma ormai con l'uso di lingue lontane.
Di Madama Cristina avevo già scritto, ma benché piazza e via siano ipoteticamente lontano dal raffinato centro torinese, è in questo quartiere che gli viene dedicata una via e quindi ricordo brevemente chi fosse: Madama Cristina, la prima Madama reale (Parigi 1606 - Torino 1663) figlia di Enrico IV di Francia e di Maria de Medici, sposa nel 1619 Vittorio Amedeo I di Savoia. Rimane vedova nel 1637 e come reggente del regno deve prima tutelare il figlio Francesco Giacinto, morto anch'esso prematuramente, e poi il secondogenito Carlo Emanuele II, fino al raggiungimento della maggior età nel 1648, dopo undici anni di reggenza. Per poter trasmettere il regno al figlio dovette scontrarsi con il cognato Tommaso I, principe di Carignano, e tener testa al cardinale Richelieu che avrebbe voluto annettere il Piemonte alla Francia. Riuscì a consegnare il regno sabaudo al figlio solo dopo aspri conflitti che dovette affrontare anche contro l'astuto cardinale Maurizio, figlio di Carlo Emanuele I. La Madama reale Cristina, venne dapprima sepolta nella chiesa di Santa Cristina in piazza S. Carlo e successivamente traslata nella chiesa di Santa Teresa che abbiamo già visitato.
Per ironia della sorte la vicenda di Madama Cristina s'incrocia ancora oggi topograficamente con il principe Tommaso a cui è dedicata una via parallela a quella a Lei intitolata.
Il principe Tommaso era figlio di Carlo Emanuele I, capostipite del ramo di Carignano, governatore della Savoia, principe desideroso di gloria che offrì i suoi servigi alla Spagna e fu scelto quale capitano generale dell'esercito spagnolo nelle Fiandre. Successivamente passò al servizio della Francia contro la Spagna, guadagnando molta fama. Tommaso ed il fratello cardinale Maurizio, entrambi filo-spagnoli, non sopportavano la presenza delle truppe francesi comandate dal cardinale La Vallette, massicciamente presenti in Piemonte a seguito della guerra contro gli spagnoli. Alla morte del duca di Savoia Vittorio Amedeo I, che si fregiava pure dei titoli di marchese di Saluzzo, principe di Piemonte, conte di Aosta e che fu anche re titolare di Cipro e Gerusalemme, avvenuta improvvisamente a Vercelli il 7 ottobre 1637, l'erede Francesco Giacinto è troppo giovane per la guida del Ducato di Savoia, perciò ne assume la reggenza la madre Maria Cristina di Borbone-Francia (la Madama Reale), cognata di Tommaso. Il principino muore giovanissimo, come abbiamo già detto, e quindi il diritto alla successione come Duca passa al fratello Carlo Emanuele, che ha solo due anni e pare piuttosto malaticcio. Vittorio Amedeo non ha altri figli maschi e quindi, in caso dovesse mancare anche Carlo Emanuele, il ducato potrebbe passare al fratello di Tommaso, cardinal Maurizio.
Tommaso, spronato e spalleggiato da quest'ultimo, contrasta violentemente la cognata, invocando per sé la reggenza. La nobiltà e il clero, ma anche l'alta borghesia, si dividono in due partiti: i cosiddetti "principisti", filo-spagnoli e sostenitori di Tommaso, e i "madamisti" filo-francesi e sostenitori della Madama Reale. Maria Cristina ad agosto 1639 è costretta a fuggire con il figlio Carlo Emanuele da Torino, in quanto la città è in mano principista. A novembre dello stesso anno la Reggente ed il piccolo futuro Duca rientrano in Torino, liberata dalle truppe francesi del marchese d'Harcourt. Un accordo tra le parti giunge tre anni dopo: Maria Cristina rimane reggente in nome del figlio Carlo Emanuele, il cognato cardinal Maurizio riceve la luogotenenza di Nizza e la mano di Ludovica, figlia di Maria Cristina (previa dispensa papale, che arriverà presto) mentre Tommaso riceve la luogotenenza di Ivrea e Biella.
Le ceneri del principe Tommaso furono deposte nella cappella del Santo sudario, ove oggi si ammira un monumento in marmo fatto erigere da Carlo Alberto nel 1850 per perpetuare la memoria dell'antenato. A lui dobbiamo il bellissimo Palazzo Carignano, posto nell'omonima piazza fatto costruire per volontà del Principe su disegni del Guarini.
Nei pressi troviamo corso Vittorio Emanuele II, dove un giorno del 1899 ebbe inizio una lunga storia, che purtroppo sta per concludersi dopo oltre un secolo. Nel dehors del caffè Burello, locale denominato dagli avventori abituali come la Pantalera, si incontra abitualmente un gruppo di giovanotti della Torino bene, vestiti alla moda e che oggi definiremmo cabinotti. Tra di loro spicca un giovanotto della buona borghesia che aveva intrapreso la carriera militare ma che lasciò per dedicarsi alla sua vera passione, la meccanica e i motori, e che in seguito costruirà un pezzo consistente di storia torinese. Il suo nome era Giovanni Agnelli, un nome all'epoca poco conosciuto ma che da lì a poco, l'11 luglio, avrebbe posto le basi della nascita di una dinastia sabauda borghese, forse l'ultima. Nascerà nei mesi successivi la FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino), quella fabbrica che produceva "cole scatole ëd tôla" che facevano il rumore delle pentole del diavolo e che puzzavano di nafta.
Parlando di auto, come non ricordare l'ex sede della Società Ceirano Welleyes che era situata in corso Vittorio Emanuele II 9, e della quale oggi ovviamente non rimane traccia, ma dove ebbe sede lo stabilimento pioniere dell'industria automobilistica italiana. Infatti nel 1899 Giovanni Battista Ceirano, costruttore di biciclette denominate Welleyes, costruisce la prima vettura. Nonostante il gradimento per il prototipo da parte della borghesia torinese, nella piccola officina di corso Vittorio è impossibile pensare di iniziare la produzione in serie del veicolo. La neonata società "Accomandita Ceirano & C." cede così il prototipo ad un gruppo di esponenti della finanza e appassionati torinesi creando le basi per la Fiat.
Un altro edificio importante è situato in via Sant'Anselmo 14 ed è la Fabbrica Schiapparelli: in questo edificio è cominciata la fortuna del gruppo farmaceutico Schiapparelli. Il patriarca della azienda, Giovanni Battista Schiapparelli, morto nel 1863, fu colui che ebbe l'idea di produrre in Piemonte, e primo in Italia, il solfato di chinino, che era importato dalla Francia. Il compito di espandere l'attività farmaceutica e chimica fu lasciato a figli e nipoti.
Nel 1906 venne così costituita la Società Anonima Stabilimenti Chimici Farmaceutici Riuniti Schiapparelli e presto partirono i lavori per la costruzione dello stabilimento di Settimo Torinese. In via Sant'Anselmo rimarranno fino agli anni Cinquanta l'amministrazione e i magazzini. Da allora ristrutturazioni, riconversioni e alleanze ne hanno indebolito il nome, fino alla definitiva scomparsa nel 1998.
Uno dei film più caratteristici girati in San Salvario fu "Persiane chiuse" del 1950 con scene girate nell'albergo Moderno e diretto da Luigi Comencini: 1° film italiano sul mondo della prostituzione postbellica dove si mescolano, non senza stridori, cadenze di dramma, ambizioni e miseria. Il film è interamente girato tra Torino e Genova.
La già citata Microtecnica nasce nel 1929 per volontà dell'ingegner De Rossi: un'azienda specializzata nelle lavorazioni meccaniche di precisione. Come in tutte le aziende meccaniche, durante la seconda guerra mondiale la produzione si orienta verso la realizzazione di commesse militari, mentre le poche lavorazioni non belliche si basano fondamentalmente sulla costruzione di apparecchiature per l'industria cinematografica (proiettori, lenti meccaniche, strumenti per montaggi, ecc). I dipendenti, circa 1.200 nel 1945, rappresentano un forte nucleo del movimento operaio torinese impegnato nella lotta al nazifascismo. A partire dal dicembre del 1942 fino alla fine del conflitto sulla fabbrica cadono numerose bombe alleate che provocano ingenti danni. A Liberazione avvenuta, l'azienda riprende a funzionare regolarmente.
Vi sono anche importanti edifici civili come Casa Bertinetti, costruita nel 1864, una lussuosa abitazione con annesso laboratorio nel cortile, caratterizzata da belle finestre, terrazzo con balaustre e cornicione decorato; casa Sigismondi di via Madama Cristina 15 in stile Liberty con balconate molto floreali e Palazzina Claretta costruita nel 1882 in stile eclettico, la Casa dello Studente di via Galliari 30, la liberty Casa Blengini di via Pellico 24, ancora una liberty in via Sant'Anselmo 31 e Palazzo Art Déco di via Madama Cristina 44.
Per non parlare della Casa "dei pipistrelli" in via Madama Cristina 19, un vecchio edificio con la strana forma triangolare effigiato da grossi pipistrelli che reggono un balcone per ogni facciata. Il valore simbolico e mistico da attribuire a questa decorazione non mi è nota, ma il suo fascino mi ha sempre coinvolto. La casa dei "pipistrelli" è accomunata al misticismo con casa "dei draghi" in via Madama Cristina 29 e in questo caso la palazzina apparentemente ordinaria ti riserva il suo curioso portone in legno di ciliegio, dove sono intarsiate teste di figure luciferine e una pensilina di vetro giallo sorretta da due draghi di ferro battuto. Un altro dei simboli non ancora svelati di una città tra il chiaro e l'alone dei suoi santi sociali e il nero e l'occulto che pervade la sua storia. Intrigante anche Casa Calleri-Mossotto in via Saluzzo 21, costruito nel 1884. Questo edificio ha un ingresso in stile barocco tipico di certi palazzi nobiliari, ma con notevoli influenze dell'eclettismo. Al cortile si accede oltrepassando il grande portone che reca intagliati nel legno dei putti, che tra i rami degli alberi, affrontano draghi e serpenti.
L'androne è molto alto, circa 7 metri, e finti marmi e begli affreschi nobilitano l'accesso al palazzo; sono raffigurati Galileo Galilei, Raffaello Sanzio, Dante Alighieri e Cristoforo Colombo, ritratti a busto intero. Ancora un bel cancelletto in ferro battuto sul quale ricompaiono draghi prima di poter accedere al cortile. Sulla parete sono effigiati in tondi Cavour e Vittorio Emanuele II. Ma vi è anche un misterioso guerriero in armatura con spada e vessillo.
Vicino alla sede dell'Esercito della Salvezza, in via principe Tommaso e via Bernardino Gallinari c'è l'ex Istituto degli Artigianelli valdesi e Ospedale valdese posto in via Silvio Pellico 19.
Oltre al tempio valdese, proprio nel Borgo San Salvario, i Valdesi esprimono attraverso opere sociali il proprio spirito comunitario.
Tale ospedale è stato fondato nel 1843 e oggi, per via della riforma sanitaria regionale, è in via di dismissione. La scuola degli Artigianelli, nata per accogliere e formare i ragazzi, è collocata in un ala dell'ospedale. Sempre qui vicino sorgono la biblioteca evangelica e la libreria-editrice Claudiana; un tempo vi era anche un teatro, dove ora c'è la casa valdese. Proprio qui vicino sorge, tra la "pagoda e il cinema porno", un noto ristorante che mi ha visto occasionalmente a pranzo e cena. Le curiose indicazioni mi furono date da Hangrid nel tentativo di spiegarmi dove potevo trovare il locale. La Pagoda era il tempio valdese e il cinema è uno dei tanti locali da spettacolo esistenti nel quartiere.
Numerose lapidi sono sparse per il Borgo e ve ne cito alcune, come quella che ricorda Becchio Filiberto, posta in via Saluzzo al civico 85. Costui nacque il 7 aprile 1921 e morì il 29.12.1944, abitava in via Modena 31 ed apparteneva alla 10a brigata Sap con il nome di battaglia Marò. Fermato da poliziotti in borghese, riuscì con uno scatto improvviso a liberarsi dagli agenti ma inseguito dai poliziotti a 10 metri dal civico 85 di via Saluzzo venne raggiunto e ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca.
In via Madama Cristina al civico 1 una lapide ricorda Chiesa Guglielmo, caduto a soli tredici anni colpito da un cecchino il 28 aprile 1945. Sempre al civico 1 di via Madama Cristina una lapide ricorda anche l'apprendista nichelatore caduto il 27 aprile 1945.
Poco più avanti, al civico 12, una lapide ricorda l'alessandrino Poggio Antonio, nato a Masio, che giunto a Torino nell'agosto del 1937, cade in via Galliari 21 il 27 aprile del 1945. Sempre in via Madama Cristina, sul muro del civico 12, viene ricordato Roggero Secondo, nato ad asti il 28 ottobre 1901, di professione muratore, partigiano delle Sap del 3° settore cittadino che cade nelle giornate insurrezionali il 27 aprile 1945. Invece al civico 137 un'altra lapide ricorda Pierluigi Silvano, nato a Novara il gennaio 1936, abitante in via Giotto con la famiglia. Verso le 10.30 del 27 aprile 1945, mentre i compagni della sorella stavano attraversando via Madama Cristina all'altezza del civico 137, viene colpito alla gola da un proiettile sparato dal mitragliatore di un cecchino fascista. Fu trasportato rapidamente in auto al vicino ospedale delle Molinette dove giunse cadavere.
Mi sposto verso il parco del castello del Valentino per riposarmi su una panchina, immerso nel verde, ma prima faccio due passi fino in via Giacosa 38, sede della Fondazione Agnelli.
Questo villino, che oggi ospita la Fondazione Agnelli, è stato per lungo tempo la residenza torinese del fondatore della FIAT e Senatore del Regno Giovanni Agnelli (1866 - 1945). Ripenso a Justin Finch–Fletchley e alla sua voglia di amare, alla sua tristezza e allo spirito combattivo che lo anima, tanto da rendere il suo modo di essere quasi patologico.



Fine XXI parte.