Blog di Dante Paolo Ferraris

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Chiaroscuri nella città eterna (III parte)

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RomaScendo lentamente verso Piazza di Montecitorio e percorro via della Dataria. Anticamente questa via era chiamata "strada o salita di Montecavallo" perché appunto conduce alla piazza del Quirinale che un tempo era denominata "Monte Cavallo", mentre ora questa denominazione è riservata alla scalinata. La via fu voluta da papa Paolo V e prende il nome dal palazzo della Dataria Apostolica, vale a dire del Tribunale dei benefici, chiamato "della Dataria" per l'apposizione della data sui documenti, ossia l'attuale Ufficio del registro. Questo edificio è di fine Cinquecento ed era di proprietà del cardinale Orazio Maffei. Dopo la sua morte fu affittato alla Camera Apostolica per la famiglia pontificia e successivamente venduto per diventare la sede della Dataria Apostolica. Il palazzo fu ristrutturato per questo scopo da Paolo V, come rivela il cartiglio con lo stemma del papa Borghese e la relativa iscrizione posta sulla facciata dell'edificio. Una pesante ristrutturazione del palazzo (1860) per volontà di Pio IX inglobò l'antico edificio ad una casa che si trovava sul retro: una lapide al di sopra del portone con lo stemma di papa Mastai Ferretti ricorda proprio questi lavori. Il palazzo rimase di proprietà della Santa Sede anche dopo l'unità d'Italia e fu poi venduto nel 1973 all'Ansa.
Via Dataria oggi è una strada ampia con marciapiedi stretti. Nonostante la vicinanza al Quirinale, è una strada abbastanza trafficata, e scendendo incontro molte auto parcheggiate sul lato sinistro.
Voglio anche ricordare che il portone di Palazzo della Dataria, fino alla fine dell'Ottocento era aperto di giorno e serviva da passaggio pubblico per raggiungere il vicino vicolo Scanderbeg.
Un antico sonetto di G.G.Belli dal titolo La strada cuperta ci ricorda che via della Dataria aveva un tempo un passaggio coperto fino al Palazzo del Quirinale: "Chi vvò vienì da le Cuattro-Funtane sempre ar cuperto ggiù a Ffuntan-de-Trevi, entri er porton der Papa, c'arimane incontr'a Ssan Carlino: poi se bbevi tutto er coritorone de sti grevi de papalini fijji de puttane: ggiri er cortile: poi se sscegni a li Bbrevi sin dove prima se fasceva er pane. Com'è arrivato a la Panettaria, trapassi l'arco, eppoi ricali abbasso e scappi dar porton de Dataria. E accusì er viaggio finirà a l'arbergo de li somari che stanno a l'ingrasso magnanno carta zifferata in gergo". Il sonetto, scritto nel 1832 è una vera mappa di questo angolo di città e ci spiega che chi voleva andare dalle Quattro Fontane a Fontana di Trevi, senza bagnarsi e quindi al coperto, doveva entrare nel portone del palazzo apostolico, quello davanti alla chiesa di S.Carlino, ossia San Carlo alle quattro fontane, percorrere il corridoio interno e dal cortile scendere fino ai Brevi (il Palazzo dei Brevi pontifici); i brevi erano gli atti pontifici che non avevano datazione solenne né bolla con piombo, ma soltanto un sigillo. Arrivati all'altezza di via della Panetteria passare l'arco della Dataria, ossia il passaggio ad arco costruito per unire il palazzo della Dataria al palazzo del Quirinale, posto in via Scanderbeg e da qui scendere ed uscire dal portone della Dataria. Un percorso oggi impraticabile anche se esistesse ancora.
Sempre tra queste strade, la storia ci racconta che nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1809 i francesi entrarono per arrestare Pio VII, attraverso il Cortile della panetteria apostolica, posto in via della Panetteria da cui prende il nome. Oggi quell'accesso è murato. La Panetteria apostolica, era il forno che forniva il pane alla famiglia pontificia e che in tempo di carestia ed in occasioni eccezionali distribuiva il pane anche ai poveri.
Sul lato opposto della via della Dataria è situato, al civico 21, il palazzo di S.Felice, costruito nel 1860 su un area dove prima sorgeva il convento dei Cappuccini annesso alla chiesa di S.Bonaventura. Il nuovo edificio fu voluto da Pio IX per ospitare i dipendenti del palazzo del Quirinale, come ci ricorda l'iscrizione sulla facciata. Questo Palazzo prende il nome da S.Felice da Cantalice, frate cappuccino che nel 1712 fu proclamato santo da papa Clemente XI e che aveva vissuto nel convento dei Cappuccini. L'edificio ha dei piccoli segreti all'interno. Cerco di entrare con la complicità di un residente per ammirare il suo cortile quadrato che cela due tesori: un tratto delle antiche mura della chiesa superiore di "S.Nicola de Portiis" ed i resti del sepolcro romano, detto "dei Semproni", scoperto nel 1863 e risalente alla metà del I secolo a.C. Purtroppo mi è impossibile perché palazzo di S.Felice attualmente ospita uffici della Presidenza della Repubblica e dovrei chiedere il permesso chissà quanto tempo prima e con quale trafila burocratica. Mi accontento di guardare, all'incrocio tra via della Dataria con via di S.Vincenzo, la "Madonnella della Natività", un affresco rettangolare settecentesco aggraziato da una cornice barocca in stucco con un baldacchino a forma di conchiglia. Sopra all'affresco, protetto da un vetro che non mi permette di capire lo stato di conservazione, una colomba lascia cadere i raggi dello Spirito Santo. Ai lati la cornice comprende quattro angioletti. Le mensole, benché scheggiate, mi permettono di distinguere chiaramente il suo ornato fatto di cavalli marini, mostri e delfini. Al di sotto dell'affresco ancora due piccole teste di cherubini circondati da nuvolette. Una scarna illuminazione è affidata a piccole lampadine su portalampade in ferro poste entro un elaborata composizione di fronde intrecciate sempre in ferro battuto.
Per raggiungere via dell'Umiltà occorre attraversare largo Brazza, dove sul palazzo è collocata una bella edicola seicentesca sul tema della crocifissione. Di fronte all'edicola vi è Palazzo Maccarani, dove risiedé Paolo Maccarani, uomo di fiducia del Cardinal Mazzarino, con cui sicuramente l'avvocato John Milton avrebbe stretto alleanze, avendo in comune molte caratteristiche come l'avidità e la smania di potere, dimostrandosi poco sensibili al malcontento popolare.
Giungo così in via dell'Umiltà, dal nome dalla chiesa di S.Maria dell'Umiltà che qui vi sorge e che secondo una tradizione popolare fu chiamata anche "dei Tre Ladroni" dall'insegna di un'osteria ormai scomparsa. La chiesa e l'annesso convento vennero edificati per volontà di Francesca Baglioni, vedova di Francesco Orsini e figlia di Caterina de' Medici, tra il 1601 ed il 1613. Nelle intenzioni della benefattrice avrebbe dovuto diventare un monastero di clausura destinato alle nobildonne cadute in povertà, invece divenne un convento tra i più ricchi ed esclusivi di Roma. La chiesa subì diversi rimaneggiamenti ed ampliamenti sia tra il 1641 ed il 1646 e poi ancora nel 1703 per opera di Carlo Fontana che ne ridisegnò la facciata. Un successivo rimaneggiamento del complesso monastico lo si ebbe dopo che nel 1866 Pio IX assegnò il monastero alla Congregazione della Propaganda Fide, che lo destinò a sede di un seminario per studenti del Nord America, divenendo il monastero Pontificio Collegio Americano del Nord, che tuttora vi ha sede. Sul bel portale architravato dell'ingresso troviamo sovrastato da un arco a tutto sesto il cartiglio che recita: "CONLEGIUM PONTIFICIUM CLERICIS INSTITUENDIS FOEDERATORUM STATUUM AMERICAE SEPTENT". Una rapida visita all'interno della chiesa, che si presenta a navata unica, mostra in evidenza una decorazione ricca, dovuta alle prosperose donazioni di importanti e nobili famiglie degli allievi che frequentavano l'annesso convento. All'incrocio con via dell'Archetto mi soffermo ad ammirare un bellissimo medaglione ovale con due angeli ai lati, rappresentante una "Madonna col Bambino" che regge in mano un rosario. In basso vi è un cartiglio dalle forme elaborate con l'iscrizione "Ave Maria".
Al civico 36 troviamo il Palazzo che ospitò fino a poco tempo fa la sede nazionale di Forza Italia. Sull'angolo di questo Palazzo con via di san Marcello c'è un altro medaglione con la madonnella, ove il cartiglio recita "REGINA APOSTULORUM, ORA PRO NOBIS".
Le madonnelle, per i romani, sono piccole edicole a muro poste negli angoli dei palazzi più antichi e sono principalmente dedicate alla Madonna ma possono essere dedicate anche ad altri santi. La tradizione di applicare le madonnelle risale agli usi degli antichi romani che ponevano agli angoli delle strade piccoli altari pubblici, dedicati ai lares compitales, divinità tutelari pagane che dovevano proteggere coloro che transitavano negli incroci stradali.
Di fronte a questa Madonnella, vi è la piazzetta dell'Oratorio dove inizia la galleria Sciarra e subito vicino la chiesa dell'Oratorio SS. Crocifisso.
La Galleria Sciarra è una galleria pedonale, sita tra via Marco Minghetti, vicolo Sciarra e piazza dell'Oratorio. In origine la galleria era il cortile del palazzo Sciarra Colonna di Carbognano ed è composta da un vano centrale, ricco di partiture architettoniche in stile liberty dipinte tra il 1885 e il 1888 da Giuseppe Cellini.
La Galleria Sciarra, che mantiene nel nome l'indicazione relativa agli originari proprietari, è protetta da grandi catene che per fortuna ne impediscono l'accesso ai mezzi motorizzati riservando il transito ai soli pedoni. Purtroppo sono pochi i passanti, sia turisti che romani, che le dedicano qualche attimo in più per ammirarla, ed è un vero peccato.
Le pareti interne della galleria infatti rappresentano un raro esempio di decorazioni pittoriche che benché esposte alle intemperie sono sapientemente curate. Fu Maffeo Sciarra, imprenditore e mecenate a volerla nel suo palazzo. Nel 1883 il principe Maffeo Sciarra aveva voluto realizzare nel suo palazzo la redazione del quotidiano La Tribuna, al quale aveva affiancato nel novembre del 1885 la rivista letteraria Cronaca Bizantina. Quest'ultima, nata nel 1881, l'aveva rilevata dall'editore Sommaruga che aveva cessato la sua pubblicazione per fallimento. Lo splendore della Galleria è finito sulla copertina del libro di Diana Alessandrini e Carla Cesaretti: "Roma Liberty". È un unico grande vano coperto, fioritissimo di partiture architettoniche con decorazioni realizzate su progetto iconografico del letterato Giulio Salvatori ed espressa con motivi Liberty-Belle époque, tra riecheggiamenti di sensazioni etrusche e romane incentrate sulla figura femminile. La donna ritratta nelle vesti di sposa, madre, educatrice e direttrice della casa, angelo del focolare, seduttrice. Un cartiglio indica sulle figure le varie virtù: La Pudica, L'Umile, La Sobria, La Forte, La Prudente e La Paziente, La Benigna, La Signora, L'Amabile, La Fedele, La Misericordiosa. È ritratta anche occupata nella cura del giardinaggio come nella conversazione, in quest'ultima in compagnia anche di D'Annunzio, o durante il pranzo in famiglia, come impegnata nell'intrattenimento musicale.
Trovi scritti sulle pareti i versi dalla IV bucolica egloga di Virgilio "Incipe, parve puer, risu cognosere matrem - Bimbo riconosci tua madre col sorriso", proprio in riconoscimento del valore di donna-madre.
Ovviamente non può mancare il ricordo di una donna degli Sciarra nella persona di Carolina Colonna, madre di Maffeo, la cui sigla CCS è visibile in uno scudo.
Di fianco alla galleria Sciarra e prospiciente alla piazzetta si trova l'oratorio del santissimo Crocifisso, costruito per ospitare le riunioni della Confraternita del Santissimo Sacramento, fondata all'inizio del XVI secolo nella Chiesa di San Marcello al Corso, a ricordo di un presunto miracolo ivi avvenuto nel 1519, quando da un furioso incendio si salvò solo una parete con un crocifisso ligneo del Quattrocento.
L'oratorio, costruito per volontà di Ranuccio Farnese nel 1562, fu terminato dal cardinale Alessandro Farnese nel 1568, come ricorda anche la grande epigrafe scolpita sulla facciata: "SANCTISSIMI CRUCIFIXI AMPLISSIMA SODALITAS ALEXANDRO ET RAYNUTIO FARNESIIS S.R.E. EPISCOPIS CARDINALIBUS PATRONIS ADIUVANTIBUS ORATORIUM HOC EXTRUXIT ORNAVII MDLXVIII"; sopra la lapide si erge lo stemma farnesiano. Il popolo lo ritenne un fatto miracoloso e rese il Crocifisso oggetto di grande venerazione, tanto che nel 1522, nel corso di un'epidemia di peste, lo portò in processione fino a S. Pietro.
La pestilenza cessò e fu dato il merito di ciò all'intercessione del crocifisso tanto che fu deciso di fondare la Confraternita del Crocifisso, approvata nel 1526 da papa Clemente VII, dedita all'assistenza ed alla carità verso i poveri ed i pellegrini. Inizialmente la sede della confraternita fu istituita all'interno della chiesa di S.Marcello, dove tuttora è conservato il Crocifisso, ma ritenuta insufficiente fu stabilito di costruirne una nuova nelle immediate vicinanze realizzando così l'Oratorio. La facciata presenta una struttura movimentata, spartita da lesene doriche con ai lati due profonde nicchie inquadrate da cornici con timpani curvilinei. Varco il portale preceduto da una breve scalinata e sormontato da un timpano triangolare. L'interno è ad aula unica e semplicemente sbalorditivo già al primo colpo d'occhio, completamente affrescato con "Storie della Croce" lungo le pareti e "Storie della Confraternita" da sembrare un libro aperto. Sull'altare maggiore è collocata una copia del Crocifisso del miracolo ed il soffitto è formato da cassettoni magnificamente scolpiti e dipinti. Un piccolo scrigno da non perdere.
Sul Miracolo scrive l'Armellini: "fra le macerie rimase illesa una parete della chiesa, ove si venerava una imagine del ss. Crocifisso, innanzi al quale rimase sospesa ed ardente la lampada. Questo fatto commosse la pietà dei fedeli di Roma e specialmente de li più ferventi, i quali, ascrivendo ciò a miracolo, si raccolsero onde mantenere vivo il culto di quella divota imagine. Scoppiata poi nel 1522 una fiera epidemia in Roma, quei divoti si accinsero a promuovere delle solenni processioni in ciascuno dei rioni della città, portando la imagine del Crocifisso, alla quale s'accompagnò il cardinale titolare di s. Marcello... Narra il Bruzio che un numero grandissimo di fanciulli facea coda alla processione allorché da s. Marcello si condusse la prima volta nel Vaticano, tutti gridando ad alta voce misericordia! Misericordia!" (M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma 1891 p. 257).
È rimasto famoso, nei ricordi popolari, l'evento che accompagnò la Processione del Crocifisso del 1650, svoltasi in occasione del XIV Giubileo: lungo il percorso alcuni cavalli si imbizzarrirono, spargendo terrore tra i partecipanti, compresi cinque cardinali, l'ambasciatore di Spagna, gli oltre 100 flagellanti ed i musicisti del coro. Tutti si diedero alla fuga a gambe levate, accompagnati dalle risa del popolo che assisteva alla scena.
Attraversata via del Corso, dopo una breve sosta a sorseggiarmi una buona birretta nel mio pub preferito in via del Collegio romano, raggiungo finalmente la mia meta: l'obelisco di Montecitorio, attualmente collocato nella piazza omonima. Realizzato all'epoca del faraone Psammetico II (595-589 a.C.), era collocato nella città di Eliopoli in Egitto. Fu portato a Roma nel 10 a.C. da Augusto e collocato come gnomone della meridiana di Augusto in Campo Marzio. Quante ne ha viste questo obelisco e se le pietre potessero parlare sicuramente riscriveremmo pagine di storia. Basti pensare che la funzione di gnomone della grande meridiana, ideata dal matematico Facondio Novo, era posta al centro di una superficie di 160 x 75 metri, tutta costituita da lastre di travertino, sulla quale il quadrante era disegnato con lettere di bronzo che indicavano le ore, i mesi, le stagioni e i segni zodiacali. L'obelisco era inoltre orientato in modo tale da proiettare la sua ombra sull'Ara Pacis il 23 settembre, giorno del dies natalis dell'imperatore, coincidente con l'equinozio autunnale. Un grande architetto e un obelisco che può vantare di aver segnato le date della Storia di Roma e d'Italia e ancora oggi costretto a vedere, attraverso le finestre di Palazzo Montecitorio su cui getta la sua ombra, i chiaroscuri dell'Italia repubblicana.
Plinio il vecchio ci fa una dettagliata descrizione che permette di conoscere la tipologia, l'aspetto e le modalità di funzionamento dell'imponente meridiana solare, ma anche la sua storia "(Naturalis Historia, xxxvi, 71-72) - is autem obeliscus, quem divus Augustus in circo magno statuit, excisus est a rege Psemetnepserphreo, quo regnante Pythagoras in Aegypto fuit, LXXXV pedum et dodrantis praeter basim eiusdem lapidis; is vero, quem in campo Martio, novem pedibus minor, a Sesothide. inscripti ambo rerum naturae interpretationem Aegyptiorum philosophia continent. — Ei, qui est in campo, divus Augustus addidit mirabilem usum ad deprendendas solis umbras dierumque ac noctium ita magnitudinis, strato lapide ad longitudinem obelisci, cui par fieret umbra brumae confectae die sexta hora paulatimque per regulas, quae sunt ex aere inclusae, singulis diebus decresceret ac rursus augeresceret, digna cognitu res, ingenio Facundi Novi mathematici. is apici auratam pilam addidit, cuius vertice umbra colligeretur in se ipsam, alias enormiter iaculante apice, ratione, ut ferunt, a capite hominis intellecta".
Con il dito scorro l'iscrizione, non protetta, che è posta su due lati della base dell'obelisco; «Imp. Caesar divi fil. / Augustus / pontifex maximus / imp. XII cos XI trib pot XIV / Aegypto in potestatem / populi romani redacta / soli donum dedit.» ossia «L'imperatore Cesare, figlio del divino, Augusto, pontefice massimo, proclamato imperatore per la dodicesima volta, console per undici volte, che ha rivestito la potestà tribunizia per quattordici volte, avendo condotto l'Egitto in potere del popolo romano, diede in dono al sole».
L'obelisco crollò a terra e poi, progressivamente, si interrò. Tra il IX e l'XI secolo, forse per un terremoto (forse il sisma dell'849) o magari causa di un incendio, c'è chi dice anche durante l'assedio di Roma del 1084 da parte di Roberto il Guiscardo.
Papa Sisto V (1520–1590), il Papa degli obelischi tentò di far rimontare e rialzare l'obelisco assemblandone i resti che erano stati ritrovati nel 1502 in una cantina del "Largo dell'Impresa", oggi piazza del Parlamento, ma infruttuosamente.
Successivamente altri resti della meridiana furono rinvenuti durante il pontificato di Papa Benedetto XIV nel 1748, come recita la lapide posta sul portone di piazza del Parlamento 3, che cita appunto la descrizione di Plinio.
Con papa Pio VI si avviarono i lavori di riparazione dell'obelisco (1789 al 1792), che venne in seguito eretto e ripristinato quale orologio solare. La direzione dei lavori venne affidata all'architetto Giovanni Antinori che restaurò il grande monolite di granito, (altezza 21,79 m. con il basamento e il globo circa 34 m), utilizzando anche il granito della grande colonna di Antonino Pio.
Oggi in Piazza Montecitorio è stata tracciata sull'acciottolato una nuova meridiana, in memoria di quella di Augusto, che punta verso il portone d'ingresso del palazzo, benché la sua funzione gnomonica sia definitivamente perduta. Mi soffermo, appoggiandomi ad uno dei paletti di granito che con grandi e grosse catene protegge la piazza del Parlamento. Gli agenti di polizia e i Carabinieri con occhio attento sorvegliano i passanti che percorrono la piazza additando il grande Palazzo di Montecitorio e mi piacerebbe poter leggere nei loro pensieri, che pudicamente non possono esternare, per capire quanti la pensano come me. Guardo con occhio diverso l'obelisco e il Palazzo del Parlamento e chissà quanti personaggi che varcano il portone di quel Palazzo hanno fatto un accordo o sono al servizio di John Milton e quanti si sono trovati nelle condizioni di Kevin Lomax o sono usciti nelle condizioni di Mary Ann. Sicuramente anche qui si poteva ambientare il film.


Fine III parte.