Blog di Dante Paolo Ferraris

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La città patavina di Antenore (II parte)

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Tomba di AntenoreProseguiamo rapidamente per via Roma, dove subito a destra si sviluppa un lungo porticato a fianco della chiesa di Santa Maria dei Servi. Non possiamo non attraversarlo, proprio per la storia di cui è permeato, infatti riutilizza dieci colonne ottagonali di marmo rosso, provenienti dal prospetto dalla trecentesca Cappella dell'Arco del Santo nella Basilica di Sant'Antonio da Padova quando questa fu ricostruita. Il porticato è detto del Campolongo, proprio perché fu Bartolomeo da Campolongo che lo costruì nel 1511.
La chiesa della Natività della Beata Vergine Maria dei Servi, conosciuta come Santa Maria dei Servi, è un edificio religioso trecentesco che si affaccia su via Roma , anticamente via Sant'Egidio.
La chiesa fu edificata tra il 1372 e il 1390 per volere di Fina Buzzaccarini, moglie del Principe di Padova, Francesco il Vecchio Da Carrara (signore di Padova dal 1350 al 1388 e mecenate). L'edificio sorse sulle rovine del palazzo di Nicolò Da Carrara, raso al suolo dopo che il proprietario nel 1327 tradì la signoria schierandosi con gli Scaligeri. Nel 1378 Fina lasciò alla sorella Anna, badessa del convento di San Benedetto, il compito di completare la costruzione della chiesa. Nel 1393 Francesco Novello, figlio di Fina e Signore di Padova, affidò la chiesa ai Servi di Maria.
Entriamo per un rapido e fugace sguardo, affinché l'occhio possa ammirare le sue opere sacre. Accediamo dalla porta laterale posta sotto il portico e veniamo subito attratti dal grandioso altare dell'Addolorata posto dirimpetto all'ingresso laterale: un'opera barocca ricca di grandi fogliami in marmo di Carrara, marmi policromi e bronzi rappresentanti i sette dolori della Vergine. La macchina barocca è costruita intorno ad una statua policroma di età gotica, erroneamente attribuita a Donatello per diverso tempo. Ai lati due statue di altezza naturale raffiguranti dei Santi.
Accanto all'altare, sulla sua destra, si trova la deposizione di Jacopo Parisati, ma anche alcuni resti di affreschi del XIV secolo. Non può mancare l'altare di Sant'Antonio, con una bella statua settecentesca. Molti turisti, accompagnati da una guida, sono davanti a due tele e noi, rubando la narrazione alla guida turistica, scopriamo essere di Matteo Ghidoni "de' pitocchi" (Ritrovamento del ritratto miracoloso dell'Annunciata - La Vergine salva un condannato dalla ruota). Vi sono pure una serie di monumenti funebri di esponenti della cultura e della legge di Padova.
Osservo con più attenzione invece la cappella laterale sinistra, dove sull'altare è posto il crocifisso miracoloso, opera di Donatello, ricordato più per il miracolo avvenuto durante la settimana santa del 1512, quando trasudò sangue, che per l'artista. Nella stessa cappella si trova anche una pala raffigurante il miracolo.
L'evento miracoloso sopraffece l'importanza artistica dell'opera e dell'artista, tanto che la memoria popolare considerò per centinaia di anni attribuita a Donatello un'altra statua lignea della Madonna e non il crocifisso. La paternità del crocifisso ligneo fu finalmente attribuita al famoso artista fiorentino nel 2006, quando Marco Ruffini, nella prima edizione delle Vite vasariane lesse la postilla: "ha ancor fato il Crucifixo quale hora è in chiesa di Servi a Padoa" che portò Francesco Cagliotti, uno dei maggiori studiosi dell'opera di Donatello a confermare la paternità del crocifisso miracoloso a Donato di Niccolò di Betto Bardi detto Donatello.
Usciti sempre dalla porta laterale, voglio meglio osservare la strana collocazione della chiesa, infatti questo edificio è orientato nord-sud, parallelo alla via e la facciata dà su uno stretto e scuro vicolo. Ciò non m'impedisce di ammirare la facciata, realizzata a capanna, mossa da lesene ed archetti, che aggetta su un piccolo e caratteristico sagrato, un elegante portale gotico in pietra e in marmo bianco e rosso ne caratterizza l'ingresso completandone la struttura tipicamente medioevale.
Donatello operò a Padova dal 1443, dove vi rimase per un intero decennio, creando alcuni grandi capolavori. Già un secolo prima un altro fiorentino, Giotto, aveva lasciato in città un suo capolavoro, ma nella città patavina in quegli anni operano altri grandi artisti come Filippo Lippi, Paolo Uccello e lo scultore Niccolò Baroncelli.
Tornando al crocifisso di Donatello, posto nella chiesa di santa Maria dei Servi e del miracolo, la storiografia sacra ci racconta che nel febbraio del 1512, per un periodo di 15 giorni il crocifisso, realizzato in legno di pioppo, alto quasi due metri e collocato tra altare e presbiterio, trasudò sangue dal volto e dalla parte sinistra del petto. Il fenomeno si ripeté sino alla Settimana Santa. L'allora vescovo Paolo Zabarella riempì un'ampolla con il prezioso liquido miracoloso.
Raggiungiamo la piazzetta Garzeria, un tempo cortile di un lanificio, dove sulla destra, di fronte alla facciata del palazzo municipale, sorge l'Università detta del Bò. Fondata nel 1222 da insegnanti provenienti dalla più antica Università italiana, quella di Bologna, dapprima era collocata in diverse parti della città e poi, nel secolo XV, si trasferì in edifici facenti parte dell'attuale complesso. Inizialmente l'Università era organizzata in "università dei giuristi" (leggi e notariato) e "università degli artisti" ( medicina, filosofia e teologia). Grazie al Comune, alla famiglia dei Carraresi e infine anche alla Serenissima giunse ad altissima fama e importanza. Nel 1493 fu iniziata la costruzione dell'attuale edificio demolendo un albergo che aveva come insegna un bue, da cui deriva l'identificazione dell'università patavina del Bò.
Ebbi modo di visitarla in un viaggio precedente, in occasione di un importante convegno sui beni culturali ivi tenutosi.
La facciata ha un portale a colonne binate in pietra bugnata e davanti ad essa, sulla piazzetta, come sempre dopo una sessione di laurea si possono trovare appesi alle finestre ampi cartelloni di sfottò verso i neo laureati, mentre azioni di goliardia sono permesse tra gli sguardi incuriositi di passanti e turisti che attraversano la piazzetta.
Ricordo che in occasione della commemorazione galileiana del 1892, fu realizzato un cappello su un modello di origine trecentesca, la Feluca, che fu adottato rapidamente come copricapo ufficiale dei goliardi italiani. Questo cappello, ormai insegna dei neo laureati, è di diverso colore secondo la facoltà universitaria frequentata: Ingegneria e architettura: nero - Medicina: rosso - Economia: giallo (a volte rosa) - Matematica e Scienze: verde - Lettere: bianco - Psicologia: rosso bordeaux - Giurisprudenza: blu - Statistica: azzurro (a volte anche Psicologia) - Formazione: rosa - Sociologia: arancione.
La Goliardia a Padova nasce, per così dire o meglio si ufficializza l'8 febbraio 1900, in occasione delle Feriae matricolarum organizzate per rendere omaggio agli studenti morti per l'indipendenza l'8 febbraio 1848.
È da sempre guidata da un Tribuno, la cui carica in origine veniva assegnata in seguito ad una zuffa tra studenti, mentre dagli anni cinquanta del 900 il Tribuno viene eletto con una votazione. Nel tempo la vita sociale dei goliardi divenne sempre più animata, con appuntamenti fissi (sfilata in costumi caricaturali e la redazione di giornali satirici e ovviamente durante le celebrazioni delle lauree).
Ricordo di essermi più volte soffermato, non solo divertito, a guardare ma anche ad ascoltare le canzoni goliardiche, i cui testi sono irriverenti, boccacceschi e sfrontati al limite della censura, che vengono cantate il giorno per celebrare le lauree e in occasione delle Feriae matricolarum : i neo dottori vengono generalmente invitati a spogliarsi e travestirsi di fronte al Palazzo del Bò, dove subiscono ogni tipo di canzonatura e dove sono "invitati" a leggere pubblicamente il Papiro di Laurea, un testo che ne racconta la vita e le gesta, generalmente scritto in rime dialettali dagli amici di corso, corredato da una caricatura oscena del laureato che viene anche affissa in formato manifesto al palazzo del Bo'.
Il cortile antico di Palazzo del Bò è cinto da una doppia loggia a due ordini, che corre su tutto il perimetro quadrato, con colonne ioniche al piano inferiore e doriche al piano superiore. Alle pareti dei loggiati sono affissi stemmi araldici in pietra e altri dipinti rappresentanti gli appartenenti alle famiglie patrizie più facoltose che frequentarono l'Università, ma anche dei Professori. Dal loggiato superiore si accede al famoso "teatro anatomico" , il primo del suo genere in Europa, costruito nel 1594 in legno, con la sua strana forma ad imbuto. Ma si accede anche alla sala dei quaranta dove è posta in bella mostra la cattedra di Galileo Galilei, che qui insegnò matematica-meccanica.
Mi sembra di sentirlo: « La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. » (il saggiatore Capitolo VI), opera che fu scritta nel 1623, molti anni dopo che Galileo lasciò Padova e quindi non furono pronunciate da quella cattedra, ma mi piace pensarlo.
Galileo infatti aveva tenuto a Padova lezioni di matematica - meccanica dal 1592 al 1610. Il suo lavoro più famoso durante la permanenza a Padova fu il "Trattato di meccaniche" del 1599, stampato a Parigi nel 1634 e che è il risultato dei suoi corsi che avevano avuto origine dalle Questioni meccaniche di Aristotele. Si può citare anche "Le operazioni del compasso geometrico e militare" del 1606 che gli diede non pochi problemi di plagio.
Galileo durante la permanenza patavina intrattenne rapporti cordiali anche con personalità di spicco, sia filosofi che matematici e astronomi ma anche con Senatori della Repubblica veneta. Oltre a lezioni private, tenute per arrotondare lo stipendio attrezzò, con l'aiuto di Marcantonio Mazzoleni, un artigiano che abitava nella sua stessa casa, una modesta officina nella quale eseguiva sia esperimenti che realizzazione di strumenti che vendeva. Nel 1593 ottenne dal Senato veneto un brevetto ventennale per l'utilizzazione pubblica della macchina per portare l'acqua ai livelli più alti delle abitazioni. Non mi soffermerò molto di più su Galileo Galilei così non vi tedierò sulle sue altre composizioni e sulle varie accuse di plagio che subì, per il vero non tutte false. Erano gli anni della scoperta della Supernova di Keplero, delle lunghe discussioni e degli scontri con i difensori delle teorie aristoteliche ma anche della preparazione di oroscopi che lo misero sotto osservazione del Sant'uffizio. Dopo i trascorsi a Padova, Galileo Galilei va a servizio del Granduca di Toscana. Nel 1632 viene convocato a Roma davanti al tribunale dell'Inquisizione dove, sottoposto a logoranti interrogatori, viene costretto ad abiurare le proprie dottrine e teorie. Fu qui che guardando il sant'uffizio sussurrò: "Eppure si muove!".
Galileo è riconosciuto colpevole di eresia e viene condannato all'ergastolo, pena commutata in arresti domiciliari ad Arcetri (Firenze). Dal luogo dell'esilio Galileo Galilei continua le sue ricerche e verifica le proprie ipotesi, mettendole a fuoco nel Dialogo delle nuove scienze (1638).
Dobbiamo attendere il 1757 affinché la Congregazione del Sant'Uffizio riabiliti la figura di Galileo riconoscendo vere le teorie galileiane, e solo nel 1992 Papa Giovanni Paolo II, ritira la condanna della Chiesa cattolica allo scienziato, riconoscendone pubblicamente la validità e verità scientifica delle teorie di Galileo e chiede scusa, da parte della Chiesa, per avere ingiustamente condannato non solo il fondatore della scienza moderna ma indiscutibilmente una delle menti più brillanti, geniali e serie dello scorso millennio.
Della sua vita e delle sue opere scrisse Vincenzo Viviani nel Racconto istorico della vita del sig.r Galileo Galilei, scritto nel 1654 per desiderio dell'allora trentasettenne principe Leopoldo de' Medici. Riporto solo la descrizione fisica di questo sommo scienziato "Fu il sig.r Galileo di gioviale e giocondo aspetto, massime in sua vecchiezza, di corporatura quadrata, di giusta statura, di complessione per natura sanguigna, flemmatica et assai forte, ma per fatiche e travagli, sì dell'animo come del corpo, accidentalmente debilitata, onde spesso riducevasi in stato di languidezza. Fu esposto a molti mali accidenti et affetti ipocondriaci e più volte assalito da gravi e pericolose malattie, cagionate in gran parte da' continui disagi e vigilie nell'osservazioni celesti, per le quali bene spesso impiegava le notti intere. Fu travagliato per più di 48 anni della sua età, sino all'ultimo della vita, da acutissimi dolori e punture, che acerbamente lo molestavano nelle mutazioni de' tempi in diversi luoghi della persona, originate in lui dall'essersi ritrovato, insieme con due nobili amici suoi, ne' caldi ardentissimi d'una estate in una villa del contado di Padova, dove postisi a riposo in una stanza assai fresca, per fuggir l'ore più noiose del giorno, e quivi addormentatisi tutti, fu inavvertentemente da un servo aperta una finestra, per la quale solevasi, sol per delizia, sprigionare un perpetuo vento artifizioso, generato da moti e cadute d'acque che quivi appresso scorrevano. Questo vento, per esser fresco et umido di soverchio, trovando i corpi loro assai alleggeriti di vestimenti, nel tempo di due ore che riposarono, introdusse pian piano in loro così mala qualità per le membra, che svegliandosi, chi con torpedine e rigori per la vita e chi con dolori intensissimi nella testa e con altri accidenti, tutti caddero in gravissime infermità, per le quali uno de' compagni in pochi giorni se ne morì, l'altro perdé l'udito e non visse gran tempo, et il Sig.r Galileo ne cavò la sopradetta indisposizione, della quale mai poté liberarsi."
L'Aula Magna dove si tenne il convegno a cui partecipai è anche chiamata "scuola grande dei legisti", ampiamente e magnificamente decorata con pareti costellate di stemmi. La ricordo ancora oggi per la sua maestosità che se da un lato mi impressionò benevolmente dall'altro mi lasciò incupito per la serietà manifestata dagli scranni che per secoli accolsero migliaia di studenti e docenti che divennero famosi. Ne cito qualcuno per ricordare l'importanza nella storia italica dell'università patavina, cominciando da Francesco della Rovere (21 luglio 1414 - † 1430) futuro Papa Sisto IV che dapprima iniziò a studiare a Venezia nel triennio 1439-1441 in qualità di lettore di filosofia. A completamento del triennio didattico fu quindi inviato a Padova dove, dopo un ulteriore triennio di insegnamento e di esami, ottenne la licenza (27 marzo 1444) e infine, all'età di ventinove anni, il dottorato in teologia (14 aprile 1444). Dall'aprile 1444 al maggio 1446 rimase a Padova come "reggente" e professore di logica. Non meno importante fu lo studente Pico della Mirandola (24 febbraio 1463 - 17 novembre 1494), che perfeziona gli studi filosofici su Aristotele e Averroè, oltre a studiare e tradurre dall'ebraico al latino e all'italiano. Nasce a Padova nel palazzo Mocenigo-Querin il 30 novembre 1831 Ippolito Nievo, lo scrittore e patriota italiano dell'Ottocento che si iscrisse nel 1851 ai corsi di giurisprudenza dell'Università di Pavia, che completò poi nel '55 a Padova.
Non ultimo, sugli scranni dell'università patavina sedette lo studente Niccolò Copernico (in polacco Mikołaj Kopernik; Toruń, 19 febbraio 1473 – Frombork, 24 maggio 1543) che fu un astronomo polacco famoso per la teoria eliocentrica. A Padova venne a studiare medicina, nell'autunno del 1501. All'Università di Padova Copernico imparò anche il greco, che gli servì per operare liberamente la terminologia greca nella stesura della rivoluzionaria teoria eliocentrica "De Rivoluzionibus orbium coelestium". Il futuro grande drammaturgo, poeta e scrittore italiano Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544 – Roma, 25 aprile 1595) si iscrisse nel novembre 1560 per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino. Fu un personaggio alquanto discusso e conosciuto per la sua opera più importante, la Gerusalemme liberata (1575). Scorrendo il registro dei numerosi personaggi illustri troviamo anche, come studente in giurisprudenza e diritto, Francesco Guicciardini (Firenze, 6 marzo 1483 – Arcetri, 22 maggio 1540), scrittore, storico e politico italiano; frequentò l'ateneo Patavino dal 1593, quando era ospite del convento di Sant'Agostino, anche il discusso frate domenicano Tommaso Campanella, al secolo Giovan Domenico Campanella (Stilo, 5 settembre 1568 – Parigi, 21 maggio 1639). Fu in quel periodo all'università che il filosofo, teologo e poeta campano conobbe Galileo. Ricordiamo inoltre Pietro Bembo (Venezia, 1470 – Roma, 1547) un cardinale, scrittore, grammatico e umanista; Leon Battista Alberti (Genova,1404 – Roma, 1472) architetto, scrittore, matematico, umanista, crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo, una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento e infine chiudo perché sono già stato troppo pedante con Bernardino Telesio (Cosenza, 1509 –1588), insigne filosofo e naturalista italiano.
Dopo una abbuffata di cultura, con Flavio decidiamo di prenderci un buon caffè, nello storico caffè Pedrocchi, proprio vicino alla sede dell'Università.



Fine II parte.