Una volta giunto al Parco del Valentino cerco una panchina che mi permetta di ammirare lo scorrere placido delle acque del Po, dove si sente minimizzato il rumore delle auto che transitano in corso Massimo D'Azeglio e corso Vittorio Emanuele II. Lo sferragliare sicuro e lo scampanellio divertente dei tram rimane l'unico rumore a me gradevole, ma sopratutto provo il piacere di vedere passare davanti a me coppiette di giovani fidanzati, ma anche famigliole che spingono le carrozzine con i loro pargoli, e perché no, anche nonne che trascorrono le giornate con i loro nipoti.
Seduto su una scomoda panchina, mi sfrecciano davanti a velocità sostenuta gruppi di ragazzi con gli skate e affannate persone di ogni età intente a fare jogging alla ricerca del peso forma.
Prima di raggiungere il Parco avevo fatto una sosta a sorseggiare un buon vermouth, in un locale di via Belfiore. Il vermouth sta a Torino come gli sta il gianduiotto. Questo sigillo di "torinesità" nasce a Torino in un edificio posto di fronte a palazzo reale a fine settecento. Il Vermouth e un aperitivo citato anche da Pirandello nel "Fu Mattia Pascal" dove quel liquore rosso è simbolo di modernità e di bel mondo. Anche De Amicis, descrive Torino e la sua ora del vermouth quando "le botteghe dei liquoristi s'affollano".
In via Belfiore, dove mi sono fermato a bere il vermouth, poco tempo fa quattro amici, recuperarono la ricetta di Carlo Anselmo, un anziano bottegaio che nei primi dell'800 aprì una bottega in via Mazzini, dove sapientemente miscelava spezie ed erbe aromatiche, una trentina circa, che poi immergeva nel moscato di Canelli per aromatizzarlo, producendo cosi il vermouth; per la versione rossa aggiungeva semplicemente del caramello.
Recuperata l'antica ricetta, ecco che il vermouth diventa nuovamente un aperitivo giovanile e sopratutto italico. Sono grato a questi quattro amici per aver rilanciato un così importante prodotto piemontese.
il Quartiere di San Salvario è sempre stato scenario di grandi film, e percorrendo le sue vie è facile riconoscere gli ambienti visti al cinema, come nella pellicola "Solo un Padre" del torinese Luca Argentero che gira importanti scene del suo film drammatico ambientato in Australia ma con belle riprese nel parco del Valentino e nelle zone limitrofe. Il parco è anche protagonista del film "Il pranzo della Domenica", una commedia scritta e diretta dai fratelli Vanzina che narra la storia di una famiglia borghese che si ritrova tutte le domeniche tra bugie e crisi famigliari; Massimo Ghini, uno dei protagonisti, appassionato di canottaggio, approfittando di una trasferta a Torino, consuma il suo tradimento.
Intorno a me il più famoso e antico parco pubblico di Torino, non meno simbolico per la città della Mole Antonelliana.
Il patrimonio arboreo del parco è notevole e nonostante sia circondato dal caos cittadino trovo interessante anche l'avifauna, complice sicuramente il fiume e le vicine colline. Tra prati, arbusti ed alberi corrono piste ciclabili, sentieri e camminamenti per passeggiate e ogni luogo è buono per occasioni di sport e di svago.
Ricordo di aver letto che nel parco del Valentino si trovano circa 1800 alberi ad alto fusto: aceri, bagolari, carpini, faggi, ginkgo biloba, olmi, pioppi, pterocarie, platani, salici, sequoie, tigli e querce, tra le quali vi sono esemplari veramente monumentali.
Sull'immenso prato del parco si susseguono le fioriture secondo le stagionalità. Alberature da fiore, migliaia di cespugli di rose, verde prato e altre fioriture diverse fanno del Parco del Valentino una vera tavolozza cromatica, degna dei migliori pittori rinascimentali e perché no! anche impressionisti.
Le origini del parco si possono far risalire ad epoca assai remota, infatti fin dal Medioevo era in uso definire la zona con il toponimo "Valentino", anche esso comunque di origine incerta. È tuttavia certo che dal '600 venne ad indicare il castello dei Savoia, denominato appunto Castello del Valentino, una delle Residenze Reali dei Savoia diventate Patrimonio Mondiale dell'UNESCO.
Un primo progetto è del 1630, con disegni di Carlo Cognengo di Castellamonte, ma la realizzazione è poi proseguita fino al 1660 dal figlio Amedeo.
Con l'abbattimento delle mura cittadine voluto da Napoleone, inizia per Torino una nuova fase urbanistica, con un forte aumento della popolazione che incrementa conseguentemente una nuova attività edilizia.
L'area del Valentino non può rimanere estranea a questo sviluppo e così l'amministrazione cittadina realizza un pubblico passeggio che si snoda attorno al Castello.
I lavori iniziarono nel 1863-1864, su parziale ridisegno del parco da parte dell'architetto francese Barillet-Deschamps che, ispirato ai principi del paesaggio "all'inglese", realizza una migliore sistemazione di viali e boschetti lungo il Po, creando anche vallette artificiali, un piccolo galoppatoio e un laghetto, poi prosciugato, che veniva usato d'inverno come "patinoire".
Ormai il famoso parco pubblico cittadino di Torino ha un'estensione di 421.000 m².
Vicino alla mia panchina c'è il Monumento all'artigliere, proprio prospiciente a C.so Vittorio Emanuele.
È un arco monumentale che sembra fungere da entrata al parco. Voluto nel 1930 su progetto di Pietro Canonica, è un significativo esempio di arredo urbano di grande impatto scenografico per il parco e per chi vuole accederci dal lungofiume.
Subito dietro di me c'è l'ombra allungata del monumento a Massimo Taparelli marchese d'Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) noto per essere stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano di cui abbiamo già ampiamente trattato e questo monumento posto nel parco, all'incrocio del corso a lui dedicato con corso Vittorio Emanuele II, degnamente lo ricorda. La grande statua dello statista pare guardare con sguardo attento, il deposito di biciclette, posto ai suoi piedi, quasi come se fosse stato chiamato a farvi da guardiano.
Non posso non voltarmi a guardare aldilà di Corso Massimo d'Azeglio, in via Silvio Pellico dove abitò Gustavo Adolfo Rol (Torino, 20 giugno 1903 – Torino, 22 settembre 1994) sicuramente il maggior sensitivo italiano.
Le sue dimostrazioni, prodotte di fronte solo a ospiti da lui selezionati e per lo più elitari, sono interpretate dai suoi sostenitori come autentici fenomeni paranormali mentre invece dai critici come mere illusioni di prestidigitazione e di mentalismo.
Rol proviene da famiglia agiata. Il padre, Vittorio, è un avvocato che nel 1909 è incaricato di aprire e dirigere la sede di Torino della Banca Commerciale Italiana, mentre la madre è Martha Peruglia, figlia del Presidente del Tribunale di Saluzzo.
Si laurea nel 1933 alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Torino e frequenta le famiglie più in vista della città, interessandosi alle arti e cimentandosi nella pittura e nella musica. Viaggia per l'Europa e a Parigi si laurea anche in Biologia e spostatosi poi a Londra, consegue una terza laurea in Economia e commercio. Fu residente anche per lungo tempo a Edimburgo.
Nel 1933 si stabilisce nell'appartamento di via Silvio Pellico, insieme alla moglie, una donna norvegese. Fu quell'appartamento a diventare per decenni il teatro di stupefacenti ed inquietanti esperimenti.
Partecipa alla seconda guerra mondiale come capitano degli alpini, inoltre durante la seconda guerra mondiale salva molte persone durante i rastrellamenti nazisti subito dopo l'8 settembre.
Si racconta che Rol salvò alcuni partigiani, barattando la loro vita in cambio della riuscita di alcuni esperimenti di telepatia, come per esempio indovinare cosa c'era scritto in una lettera, chiusa in un cassetto di un comodino, a casa di qualche soldato in Germania. Già noto per le sue capacità paranormali, inizia a destare "curiosità" come quella del Führer, Adolf Hitler.
Dalle varie testimonianze e dai resoconti dei cronisti letti, emerge un uomo incredibile, apparentemente dotato di poteri illimitati come chiaroveggenza, traslazione, bilocazione, viaggi nel tempo, levitazione, precognizione, telecinesi, materializzazione e smaterializzazione di oggetti, attraversamento di superfici, ma dalla vita riservata trascorsa insieme alla moglie. Rol era immerso nella ricerca della conoscenza, circondato da libri e oggetti di antiquariato, in una casa-museo ricca di cimeli napoleonici in quanto era un estimatore dell'imperatore francese. Sembra addirittura che Rol avesse acquistato la carrozza che Napoleone Bonaparte utilizzò per raggiungere Milano il giorno della sua incoronazione come Re d'Italia e poi abbandonata a Marengo (AL) per essere in seguito donata all'Ordine Mauriziano.
Benché non tutti furono persuasi dalle sue capacità, molte altre personalità della cultura e della politica come Enrico Fermi, D'Annunzio, Fellini, Franco Zeffirelli, Giorgio Strehler, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni, Nino Rota, Alberto Sordi, Giovanni Agnelli, Cesare Romiti, Vittorio Gassman, Valentino Bompiani, Vittorio Messori e tanti altri furono suoi assidui frequentatori. Ebbe occasione di conoscere anche alcuni presidenti della Repubblica Italiana come Saragat e Einaudi, nonché lo stesso Mussolini. Negli anni '50 incontrò la regina Elisabetta II a Londra che, si racconta, desiderasse mettersi in contatto con lo spirito del padre Giorgio VI, morto nel 1952. Non passò inosservato neanche l'incontro con Padre Pio, del quale Rol era devoto. Nel 1964 incontra ad Antibes l'Imperatore d'Etiopia, Hailé Selassié, al quale predice la morte ad opera del suo popolo (fatto che si verificherà nel 1975). Anche Walt Disney è attratto da Rol e vuole incontrarlo e forse lo incontrò segretamente in occasione della sua visita a Torino in occasione delle manifestazioni previste per Italia61. In America si interessano a lui e John Fitgerald Kennedy, nel suo unico viaggio in Italia da presidente, viene appositamente a Torino per incontrare Rol. Nel 1981 il presidente Reagan gli invierà un telegramma di ringraziamento per aver contribuito con il suo aiuto "metafisico" alla liberazione del generale americano James Lee Dozier.
Uomo di vasta cultura, Rol era profondamente religioso e si riteneva un mero strumento divino e non un medium, veggente o spiritista.
Rol non chiedeva denaro in cambio delle proprie manifestazioni ma con l'aumento di popolarità porta con se una scia di scetticismo. Un articolo sul settimanale Epoca nel 1951 e un articolo pubblicato sul Corriere della Sera nel 1965 lo rendono noto al grande pubblico ma la maggiore notorietà arriverà con alcuni articoli sul settimanale Gente nel 1977. Tanto che il teledivulgatore Piero Angela cerca di metterlo in cattiva luce di fronte al pubblico. Durante tutta la sua vita non venne fatta alcuna verifica sotto controllo scientifico, per l'opposizione dello stesso Rol che affermava che i suoi non erano fenomeni ripetibili o eseguibili a comando.
Poco distante un piccolo cippo di granito, ricorda che l'albero posto li vicino è stato piantato a ricordo di Domenico Carpanini.
Fu uno degli amministratori più amati dai torinesi. La sera del 28 febbraio 2001, Domenico Carpanini si trovava alla sede dell'Ascom di Torino per un comizio elettorale, nella veste di candidato sindaco per il centrosinistra. Da dieci anni Vice Sindaco di Valentino Castellani, stava parlando di politica per la sua città che amava, quando chiese un bicchiere d'acqua e si accasciò stroncato da un ictus.
Vedo attraversare sulle strisce pedonali, forse sceso dal suo "Nottetempo" (una corriera magica per maghi e streghe in difficoltà), Stanley Picchetto, un giovane da me conosciuto quando frequentavo la Hogwarts torinese, un "tipino" tutto particolare di cui conobbi la vera natura molto tardi, un po' come il giovane bigliettaio della Hogwarts della Rowling.
Si avvicina senza avermi notato all'interno del parco dove frequenta alcuni locali di svago che vi sono ospitati ma che sicuramente non sono quelli più vicini alla mia panchina, in quanto troppo ordinari per i gusti di Stanley Picchetto. Infatti nel parco vi sono molti locali per lo svago, frequentati dai giovani e dai meno giovani come discoteche e club tra i quali, quasi sulle rive del Po, lo Chalet, una discoteca aperta tutto l'anno e dotata di un tetto semovente. La pista della Main Room in inverno è coperta per poi aprirsi durante la stagione calda. Vicino allo chalet l'ottocentesca e funzionante latteria Svizzera. Si affacciano invece su corso Massimo d'Azeglio uno dei locali più famosi di Torino; infatti "l'84 club longe restaurant" è un noto locale per passare serate interessanti e intriganti, mentre il "life disco club" è più noto per poter "rimorchiare" come afferma in gergo la gioventù. Tutti locali in cui puoi ballare a ritmi scatenati e "tirar l'alba", senza grandi problemi.
Stanley Picchetto mi vede, dispensandomi già da lontano un ampio sorriso e avvicinandosi mi si pone davanti. É un ragazzo alto ed esile che mi guarda dall'alto verso il basso rivolgendomi un saluto in forma cordiale e amichevole.
L'ho sempre considerato un tipo sfuggente, altri me l'hanno descritto come un personaggio liquido e appiccicaticcio. Quasi fosse Andromalius travestito da umano. Non sono mai riuscito a comprendere veramente se Stanley Picchetto, come il demone, avesse la lingua doppia da serpente. Quando si rivolge a me, non mi pare di vedere l'Andromalius, cioè un uomo che regge un enorme serpe in mano, ma non riesco a rivolgergli parole sibilanti recitate come un mantra. Tantomeno Stanley Picchetto veste di verde, ma ha un abbigliamento molto casual, fortemente attillato, quasi a voler mettere in mostra gambe sottili e un corpo scolpito. Mi alzo e lo saluto caldamente abbracciandolo, il suo sguardo è rivolto verso il basso come se avesse paura di guardarmi negli occhi.
Non devo quindi fare riferimento ad un "grimorio" di un anonimo del Seicento che scrisse la "Piccola Chiave di Salomone o Lemegeton Clavicula Salomonis", uno dei più famosi libri di demonologia, largamente conosciuto anche come Lemegeton e che non va confuso con la Chiave di Salomone. Questo testo contiene dettagliate descrizioni degli spiriti e dei rituali necessari per evocarli e costringerli a eseguire gli ordini del mago (chiamato nel testo "esorcista"), un testo nascosto nella parte interdetta della biblioteca di Hogwarts e che ho dovuto leggere per saper affrontare i mangiamorte e i demoni che hanno occupato parte della mia esistenza nella permanenza torinese.
Lo invito a fare due passi per il parco ma la sua falcata è lunga, tanto che devo invitarlo a rallentare. Camminiamo lungo le sponde del fiume Po dove si trovano le sedi delle società dei canottieri torinesi e infatti fu proprio lungo viale Virgilio dove sorsero le prime società italiane: nel 1863 la Cerea e nel 1869 l'Armida, dalla fusione delle società preesistenti Flik-Flok e Mek-Mek.
I pionieri del canottaggio furono i rampolli dell'aristocrazia e dell'alta borghesia che importarono a Torino la passione per lo sport del remo. Oggi le università torinesi hanno le loro squadre di canottaggio e annualmente si sfidano in una bella gara.
Fu nel luglio 1865 che le società sportive torinesi organizzarono, sotto gli auspici del Municipio, la prima regata dei canottieri sul Po. L'avvenimento ebbe molta risonanza sui giornali cittadini tanto da rendere questo sport quasi una moda.
Una tradizione curiosa è quella della Reale Società Canottieri Cerea che ancor oggi accetta soltanto soci di sesso maschile, annoverando come unica eccezione l'ammissione di Maria José di Savoia. Di fronte alle Società canottieri c'è la caserma della Polizia di Stato a cavallo.
Quasi nascosto in un aiuola, benché sia vicino ad una delle strade che percorrono il parco, si trova il piccolo mezzo busto del Duca del mare, Paolo Thaon di Revel (10.6.1859 - 4.3.1948), il grande ammiraglio che già abbiamo conosciuto in via Lagrange.
Un cenno mandrogno lo devo fare nel ricordare che la prima regata sul Po fu organizzata nel 1801 in occasione dei festeggiamenti cittadini per il primo anniversario della vittoria napoleonica di Marengo, ripetuta solennemente solo nell'aprile 1842, in occasione delle nozze di Vittorio Emanuele II, con una corsa di barche da Cavoretto fino al Castello del Valentino. Mi inoltro lentamente nei vialetti del Parco del Valentino, luogo che ancor prima di essere completato divenne la cornice di grandi esposizioni nazionali ed internazionali che si tennero dal 1829 al 1961.
L'origine del nome Valentino non è nota con precisione; alcuni ipotizzano che sia di origine romana, altri che sia stata originata dal fatto che nel luogo sorgesse in tempi antichi una cappella intitolata a San Valentino. Luigi Cibrario scrive: "Sulle rive del Po eravi qualche casa che aveva probabilmente fin dai tempi romani il nome Valentino; seppure non derivava quel nome da una cappella dedicata a san Valentino".
Nel 1745, durante i lavori di abbattimento di un muro, viene alla luce un anfora contenente delle monete romane di bronzo indicando sicuramente che l'area era già anticamente abitata. Il nome del Parco fu fatto anche risalire all'imperatore Valentiniano, sul trono 364 al 375. La tesi più accreditata è che il nome traesse origine da una chiesetta dedicata a san Valentino, poi demolita per far spazio al castello.
Ma mi affascina l'idea, ovviamente romanzata e non veritiera che derivi dai valentini, cavalieri d'amore di Madama Reale, lasciando così un alone romantico al bel parco torinese.
Camminando con Stanley Picchetto parliamo amabilmente di cose amene, senza però entrare nell'argomento delle vicissitudini passate nella Hogwarts torinese.
Stanley Picchetto ha una parlata lenta ma fluente, forse derivata dalla professione esercitata e benché rasato, si nota il color nero dei capelli dalle pronunciate e curate sopracciglia nere. Il volto, ovale e roseo, mette in evidenza due occhi scuri dal taglio a mandorla ma benché cerchi di essere gioviale e allegro, non posso non leggere un alone di tristezza. Al suo lungo naso sottile fa cornice una barba leggera, quasi disegnata, le labbra lunghe e decise trovano nel labbro inferiore una carnosità pronunciata. In realtà non è un Mangiamorte, benché la lobby di cui fa parte, forse a sua insaputa, cerchi di farlo apparire, quasi fosse soggiogato dalla Maledizione Imperius come nella Hogwarts della Rowling.
Passeggiando raggiungiamo l'orto botanico e non mi pare che Stanley Picchetto sia preoccupato di farsi vedere in mia compagnia dagli altri mangiamorte che frequenta. Ciò me lo fa apparire più umano.
Fine XXII parte.