Blog di Dante Paolo Ferraris

  • Aumenta dimensione caratteri
  • Dimensione caratteri predefinita
  • Diminuisci dimensione caratteri
Messaggio
  • EU e-Privacy Directive

    This website uses cookies to manage authentication, navigation, and other functions. By using our website, you agree that we can place these types of cookies on your device.

    View e-Privacy Directive Documents

Un giro per Leinì

E-mail Stampa PDF
Parrocchia LeinìLa giornata è calda ma il sole non vuole fare capolino da dietro le nubi, un leggero vento mi infastidisce e mi fa rimpiangere di non aver portato con me la mia sdrucita sciarpetta.
Il viaggio non è eccessivamente lungo, ma ormai anche viaggi di un paio d'ore mi stancano abbastanza, sarà l'età, sarà che mi porto dietro stanchezza repressa ma ho deciso di andare trovare degli amici che abitano vicino a Torino; è una promessa che devo mantenere.
Entro nella cittadina, proprio da via Torino, un lungo viale alberato, le due file di alberi che gli fanno da cornice, presentano una cittadina che dovrebbe essere una piccola nicchia di storia e di cultura.
Cerco di individuare con la mente dove fossero posati i binari che anticamente collegavano Torino con il paese, tramite il "tramway", il trenino a vapore. La mia memoria mi riporta alla mente la canzone di Gipo Farassino, dal titolo "'L trenin 'd Leinì", che racconta un fatto realmente accaduto il 18 giugno 1910. Il trenino partito da Leinì distrusse molte bancarelle del mercato delle stoffe di Porta Palazzo a Torino, si dice che questo incendio fu provocato dalle scintille di questo trenino.
Il tramway univa Torino a Volpiano, transitando per Leinì, anzi allora si chiamava Leiny, e questo collegamento fu fortemente voluto da Vincenzo Bonis, intraprendente Sindaco di Leiny. La linea fu inaugurata il 24 giugno 1883, inizialmente collegava Leinì a Porta Palazzo, in seguito la linea fu raddoppiata ed il 23 settembre 1884 arrivò fino a Volpiano. Dopo la prima guerra mondiale il Comune di Torino per carenza di soldi iniziò ad eliminare questa ferrovia, che fu chiusa ai passeggeri il 6 maggio 1929 e al traffico merci nel 1931. Ancora oggi, ogni qualvolta vi è una crisi economica a farne le spese sono sempre i trasporti, sopratutto quelli per il trasporto popolare e di massa. Soltanto che all'epoca si usciva dalla prima guerra mondiale, oggi la guerra se la fanno i grandi capitalisti e le banche ma a rimetterci sono sempre gli stessi.
Leinì si trova alle porte di Torino ed è considerata la "porta del Canavese". Alla mia sinistra, entrando nel borgo antico scorgo, con la coda dell'occhio la Cappella settecentesca di San Rocco, sorta come ex voto in seguito ad una ondata di peste che imperversò a Leinì tra il 1690 ed il 1695. Oggi nel piccolo parco vi sono lapidi e cippi dei caduti delle due guerre mondiali 1915/1918 e 1940/1945, proprio là dove venivano sepolti i malati di peste dell'ex Lazzaretto.
Le strade della parte vecchia, non sono molto ampie e nemmeno hanno una conformazione regolare, quasi tutti sensi unici, auto parcheggiate ai lati, qualche dissuasore di velocità rotto e mi colpisce che i parcheggi non sono a pagamento.
Da lontano scorgo il campanile della chiesa di San Giovanni Battista, e pur essendo stato a Leinì solo una volta per una manifestazione di un associazione in cui militavo, mi ricordo che quella piccola chiesa era posta nella piazza principale
Trovo subito parcheggio, dietro la chiesa di San Giovanni Battista, in una piazzetta dedicata a Vittorio Ferrero. Una piazzetta rettangolare con due file di alberi centrali, tra i quali sono ricavati gli stalli per le auto. Da uno dei lati lunghi, un gruppo di vecchie casette, rigorosamente a due piani con qualche negozietto ricavato ai piano inferiore, una grande casa d'angolo, totalmente distrutta, sembra una macchia, un cancro nel centro cittadino. I suoi ruderi permettono comunque di vedere come anticamente venivano costruiti le case, ed infatti vi è un'ampia quantità di legno, pietre di fiume e malta povera.
Questa parte dell'abitato, comprese le case demolite per fare spazio alla piazza, era chiamato "'l Ghet", il Ghetto.
Dall'altro lato lungo, una lunga siepe pare voler coprire un lungo muro di sassi di fiume, su cui hanno trovato modo i radicare piccole felci. L'antico muro credo sia ciò che rimane della protezione dell'antico ricetto di Leinì.
Mi porto sulla piazza principale dove si erge fiera e dominatrice la torre dell'Ammiraglio, questo è l'edificio più imponente e caratteristico di Leinì.
È detta "dell'Ammiraglio", anche se è preesistente alla nascita dell'Ammiraglio Andrea Provana, ma quantomeno apparteneva alla Sua famiglia. È alta oltre trenta metri, a pianta quadrata, in mattoni, massiccia e coronata di merli. Le condizioni di manutenzione non sono tra le migliori, e il Municipio che ne è proprietario avrà un bel da fare per recuperare i fondi per sistemare il simbolo della cittadina.
Proprio sulla piazza si erge un grande porticato, appoggiato ad un muretto ribassato dell'antico ricetto, ahimè ritrovo ora solo di piccioni. In alto due antiche scritte in nero sovrapposte l'un l'altra, su un intonaco bianco, ricordano che è vietato dormire sotto il portico, e nella scritta sottostante compare anche la parola fuoco ma non mi è facile leggere cosa vi fosse scritto.
Arrivano i miei due amici, M. con il suo sorriso costante, che pare esprimere perenne felicità mi viene incontro, mentre E. viene bloccata da alcune amiche in piazza.
Sono giovanissimi, potrebbero essere miei figli, ma sono lieto di averli conosciuti, mi hanno ridato la possibilità di sentirmi parte ancora del mondo e sopratutto di un mondo lontano da me diversi lustri.
M. non è altissimo ma ha un corpo atletico, con una carnagione leggermente olivastra, il suo viso rotondo, occhi grandi e scuri e un taglio di capelli sempre cortissimo. E. che ci raggiunge subito, è invece snella, con un viso allungato, carnagione chiarissima con due profondi occhi chiari e lunghi capelli biondi e lisci che gli cadono oltre le spalle. I saluti sono cordiali ed affettuosi. Sono molto carini, vogliono farmi visitare il centro cittadino e far conoscere la vita di una cittadina di periferia del torinese, fagocitata dalla città, ma che cerca di mantenersi autonoma e sopratutto vorrebbe mantenere la propria vocazione agricola.
Sulla piazza si erge un orrendo palazzo stile Littorio, sede di alcuni uffici comunali e del Gruppo comunale di Protezione Civile; proprio di fronte vi è, quasi dimenticato, il monumento in marmo dedicato ai caduti, su cui vi sono scritti i nomi dei combattenti per la libertà, purtroppo l'antica statua in bronzo della vittoria è scomparsa da tempo, a sostituirla nel tentativo di cancellarne la memoria, una piastra in marmo di diverso colore.
Anche la chiesa di San Giovanni che si affaccia sulla grande piazza, ormai tutta pedonalizzata, sembra alquanto dismessa, anche se M&E affermano che occasionalmente vi viene ancora officiata messa. I lavori di edificazione pare fossero iniziati e conclusi nello stesso anno, e la sua prima messa, quella della sua benedizione fu officiata il 24 giugno 1647 in occasione della Festa di S. Giovanni; fu usata anche come Chiesa Parrocchiale negli anni 1855-1860 in occasione del rifacimento della volta dell'antica parrocchiale.
Appoggiato sul fianco della torre dell'Ammiraglio, palazzo Provana, antica vestigia di un castello trasformato in residenza signorile, appartenuto alla famiglia Provana, ora sede dell'Amministrazione comunale.
Davanti all'ingresso del secolare Municipio, una moderna fontana, che M&E mi indicano come bruttissima e odiata dalla grande maggioranza dei Leinìcesi; sinceramente benché moderna e quindi fuori dal contesto storico, devo dire che non mi dispiace questo picco lembo d'acqua posto proprio davanti all'antica torre, ne ho viste di peggio.
Questa fontana mi riporta alla mente il "Barbacana", ossia di uno dei corsi d'acqua che attraversano il comune di Leinì, il suo nome reale è la Bealera che assumeva il nome di "barbacana" nel tratto che scorre intorno al castello e al ricetto. La parola "barbacana" deriva da barbacane, feritoie verticali nei muri dei castelli; la Bealera assumeva la denominazione di barbacana forse per indicare il percorso intorno alle robuste mura, deviato artificialmente, a difesa dell'abitato. Purtroppo ieri come oggi il corso d'acqua, dove non tombato, è utilizzato come scolo delle acque reflue.
Do uno sguardo alle lapidi che sono murate sulla torre dell'ammiraglio, una ricorda il soldato Antonio Ferrero, un Leynìcese caduto durante la battaglia di Adua o Abba Garima, momento culminante e decisivo della guerra di Abissinia. Il Leynìcese morì proprio il 1º marzo 1896 come è scritto sulla lapide nei dintorni dell'omonima località, durante lo scontro tra le forze italiane comandate dal tenente generale Oreste Baratieri, e l'esercito abissino del negus Menelik II. Gli italiani subirono una pesante sconfitta, che arrestò per molti anni le ambizioni coloniali italiane. Un'altra lapide ricorda Andrea Provana e i caduti nella guerra d'Indipendenza d'Italia, una terza i caduti per la libertà durante il secondo conflitto mondiale.
Lasciamo la piazza, dopo essere passati davanti a quello che rimane della pesa pubblica, per dirigerci verso un'altra antica torre medioevale, sita poco distante da piazza Vittorio Emanuele II. M&E mi raccontano della storia della famiglia Provana, che per secoli si sono incrociati con i destini con quella della comunità di Leinì.
Per molti anni Leinì fu sottomessa ai Marchesi del Monferrato, che negli anni attorno al 1300 passò ai Provana, i quali rimasero signori del luogo fino al 1700.
Durante tutto il Trecento Leinì vide e partecipò alle intestine guerre fra i Signori di Monferrato contro i Marchesi Saluzzo ed i Visconti di Milano, alleandosi con il Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, che li vinse. Il Marchese di Monferrato, in compenso, diede ai Savoia "molte Castella" fra cui Leynì nel 1379. Così i Savoia investirono i Conti Provana dal 1380 in poi, mantenendo l'investitura fino a fine XVIII secolo.
Nel XIV sec. – Leynì diede i natali ad Andrea Provana (1511-1592), meglio conosciuto come l'Ammiraglio il quale capitanò la flotta sabauda nella battaglia di Lepanto svoltasi il 7 ottobre 1571, ma anche distinguendosi nella guerra contro i Turchi che minacciavano i cavalieri di Malta (1564-65). Andrea Provana - Conte di Leinì, si firmerà sempre "Andrea di Leiny" fu al seguito del duca Emanuele Filiberto di Savoia, col quale combattè nel castello di Nizza (1553) durante la guerra contro Enrico II di Francia con l'incarico di maestro di campo generale e luogotenente generale. Dopo aver combattuto a Nizza con Emanuele Filiberto, passò al servizio di Carlo V nelle sue imprese militari in Germania e Francia. La fedeltà dimostrata fu ricompensata dal duca con la nomina di ammiraglio della flotta sabauda e governatore di Villafranca. Morì in Nizza il 29 maggio 1592 e fu sepolto nella cappella dei Provana a Frossasco.
La famiglia Provana si estinse per mancanza di eredi nel 1777 con la morte del conte Luigi Giuseppe, ma tutto a Leinì ricorda l'ammiraglio Provana.
Attraverso un pertugio di via Roma osserviamo la torre medievale, forse del XIII a pianta quadrata, ultimo rimasuglio di un antico castello, ancor più decadente di una gloriosa e antica storia di Leinì.
Prima di entrare nella parrocchiale mi faccio largo tra un gruppetto di adolescenti che facevano accrocchio a ridosso del muretto di protezione da quale mi affaccio per osservare meglio quello che un tempo era un corso d'acqua che difendeva l'abitato, forniva energia ai mulini e dava ristoro a tutta la popolazione, ora la Bealera (il Barbacana) nel centro abitato è ridotta ad un rigagnolo, perlopiù tombato; dei pesci che una volta vi vivevano non vi è più traccia, le uniche cose che vi emergono sono lattine di bevande e bottiglie di plastica.
Altri due corsi d'acqua percorrono il comune: il Bendola che nasce fra Lanzo e Balangero, scorrendo per Brandizzo e Settimo torinese prima di gettarsi nel Po; il Benna invece sgorga a Caselle e oltre ad un suo utilizzo irriguo, le sue acque al tempo furono la forza motrice di un mulino.
Con M&E mentre alziamo lo sguardo ad ammirare la facciata della parrocchiale, per deformazione professionale, discutiamo della possibilità di esondazione della Bealera nel centro cittadino e dei danni che potrebbe provocare.
La Parrocchiale dedicata ai Santi apostoli Pietro e Paolo, sebbene abbia origine antichissime, pare prima dell'anno mille ed elevata in parrocchia nel 1339, venne totalmente restaurata, o meglio, rifatta nel 1907-1913 ove subì un notevole ampliamento con il prolungamento delle due arcate.
Entriamo silenziosamente, si presenta molto grande ma sono poche le opere pregevoli che posso ammirare, tra l'altro con una luce interna tanto scarsa che faccio fatica a riconoscerne i personaggi ritratti. Credo però di distinguere la preziosa Pala dell'Adorazione dei Magi, attribuita al Defendente Ferrari (1515 circa) Quest'opera era stata ritirata nel 1954 dalla Sovraintendenza per i beni culturali per essere restaurata per ritornare nel 2009 alla sua comunità dopo una pressante azione congiunta dei parrocchiani e dell'amministrazione comunale. Il quadro si salvò miracolosamente dal crollo della volta della chiesa nel 1855 che provocò la distruzione di numerosi dipinti. Con M. cerco inutilmente di capire quali furono le volte che crollarono ma i continui restauri sicuramente ne hanno nascosto le ferite. Le vicissitudini della gioventù locale e della chiesa e della festa patronale di San Lorenzo che non si festeggia il 10 agosto ma molti giorni prima mi sono narrate da E, e non sono molto diverse da quelle ascoltate in altri luoghi e in parte anche vissute.
Continuiamo la nostra passeggiata, colloquiando tranquillamente sulla storia e sulla vita dei lenicesi arriviamo così nuovamente a quello che rimane dell'antico ricetto. L'origine dei ricetti (receptum ossia ricovero), certamente risale ad una tradizione romana, ma che ebbe grande sviluppo fra il XII e XV secolo, con funzione difensiva per la popolazione e di ricovero dei prodotti agricoli. Osservando la distribuzione delle case, divise in isole, che originariamente a Leinì dovevano essere otto e oggi gran parte scomparse, ma anche la struttura delle case a due piani a schiera continua e situati all'interno di un recinto in muratura e pietra, raggiungiamo nuovamente piazza Vittorio Ferrero dove avevo parcheggiato l'auto.
Sulla piazza, nascosto da una siepe vi è il busto del patriota di San Salvario a cui è intitolata la piazza. Vittorio Ferrero non era di Leinì ma vi morì (Torino 1785 - Leinì 1853), volontario (1805) nell'esercito napoleonico e dopo il 1814 ufficiale in quello sardo, l'11 marzo 1821 tentò invano di fare insorgere Torino partecipando ai moti di San Salvario. Condannato a morte in contumacia, andò a combattere in Spagna contro i carlisti. Fatto prigioniero dai Francesi fu subito liberato (1824), poi si rifugiò in Inghilterra, nel Perù e nel Messico.
Dopo l'armistizio generale promulgato da Carlo Alberto nel 1848, rientrò in Patria dove ottenne il grado di Luogotenente Colonnello.
Scelse come soggiorno Leynì a cui legò parte delle sue fortune.
Il busto dell'eroe si erge fiero, sotto il grande berretto da ufficiale e pare guardare con diffidenza i passanti. Proviamo a comprendere cosa è stato inciso sul granito del piedistallo, ma anche scorrendo le dita sugli incavi non riusciamo a comprendere cosa vi fosse scritto, proprio per l'usura e la scarsa manutenzione del monumento.
Poco lontano dalla piazza si trova il Capirone, antico ricovero della Congregazione di Carità, che funzionò dal 1721 al 1861.
Questa istituzione che risale al 1719, oltre ad assistere i poveri con la distribuzione di alimenti, possedeva un primo ricovero con 4 letti, ad uso degli infermi più bisognosi. Nel 1721 viene aperta la prima casa di riposo che viene sistemata dove ora si trova la Farmacia dell'Ospedale. Nel 1839 Don Piero Capirone fece donazione alla Congregazione di Carità di una casa e di terreni che divennero poi casa di riposo, intitolata al sacerdote. Successivamente fu spostata in altro luogo.
D'obbligo un giro al mercato, per recarmici passo vicino ad un'altra via, dedicata ad un altro lenicese: Carlo Gremo, Caporale bersagliere mutilato e ferito durante la guerra d'indipendenza del 1859, anch'esso citato sulla lapide posta sulla torre dell'Ammiraglio. Il mercato è posto in una ampia e moderna piazza, che M&E mi raccontano diventa un grande lago in caso di pioggia intensa.
Il mercato delle città, dei rioni è dei paesi mi ha sempre appassionato sia per la gente che li anima e li vivacizza che per i colori e profumi dei prodotti che li caratterizzano. Entrare in un mercato all'aperto è come arricchirsi di sensazioni ed esperienze che pochi altri luoghi sono capaci di offrire. Oltre a spostarci tra i banchi, cercando tutti e tre una sciarpina verde da acquistare, mi faccio catturare dai profumi dei banchi degli ambulanti di frutta e verdura. Mi piace osservare la merce e i prodotti esposti perché mi permette di capire quali sono i prodotti locali e i gusti alimentari della popolazione ma anche di comprendere i mutamenti che la città stessa subisce, attraverso la moda e i gusti. Infatti sempre più sono i banchi di prodotti etnici e di chincaglieria asiatica, dimostrando così chi sono i nuovi abitanti e anche il peso della crisi economica sulle tasche degli italiani, sempre più alla ricerca di prodotti a basso costo.
Non trovando ciò che cercavo, ci spostiamo nuovamente verso il centro cittadino, passando dentro i giardini del Chiosso.
Il Chiosso è un complesso architettonico costituito da un insieme di fabbricati di caratteri ed epoche diverse, strutturato a formare una corte chiusa con funzione agricola. Acquistato negli ultimi anni del XVII secolo da Carlo Amedeo Provana di Druent, venne successivamente trasformato in dimora signorile. Con successivi passaggi di proprietà arriva in proprietà del Comune che lo adatta ad uffici e a centro sociale. Dotato di un bellissimo giardino aperto al pubblico, dedicato a Peynet è luogo di ritrovo di giovani coppiette di fidanzatini, proprio come sarebbe piaciuto a Raymond Peynet (1908-1999), il celebre illustratore francese, noto per aver creato nel 1942 i personaggi degli innamorati che divennero presto, sotto forma di cartoline e biglietti, un modo per dichiarare il proprio amore. Con M&E sbirciamo da una finestra per vedere la bella sala utilizzata per i matrimoni civili.
Mi soffermo a guardare entusiasmato delle vecchie ma bellissime fisarmoniche poste in vetrina del laboratorio della ditta Verde.
Giovanni Verde, nasce il 2 gennaio 1873 a Leynì e già in tenera età è appassionato di musica; il suo genio e le sue capacità gli permisero di realizzare una delle prime fisarmoniche italiane a mantice.
La fama dell'uomo dalle "dita magiche" presto si diffuse in tutta Europa e poi nel mondo intero, conquistando un mercato sempre un più largo. Tutti i fisarmonicisti volevano la fisarmonica della ditta "Verde", conquistando ben presto ambiti riconoscimenti ufficiali.
M&E mi raccontano di un'altra importante chiesa, comunemente chiamata "la Madonnina", in realtà si tratta del santuario della "Beata Vergine delle Grazie", già Madonna del Sordomuto, sempre per gli abitanti del luogo.
La Madonnina sorge nel luogo dove la Vergine Maria sarebbe apparsa ad un sordomuto il 1º giugno 1630, donandogli una corona del Rosario ed annunciando la fine dell'epidemia di peste che sconvolgeva la zona. Il Santuario della Madonna delle Grazie e del Carmelo venne così eretta dai Leynìcesi per ottenere la protezione della Beata Vergine e come segno di grazia ricevuta. Ancora oggi luogo di pellegrinaggio, il convento di suore che affianca la chiesa è ora trasformato nella scuola elementare "Anna Frank".
Giungiamo all'inizio della "Cuntrà Granda"; oggi Piazza Ricciolio. Questa piazza è dedicata al Conte Luigi Ricciolio, ricordato anch'esso sulla lapide posta sulla torre dell'Ammiraglio. Fu un Maggiore di Artiglieria, che si distinse nella presa di Perugia durante le guerre d'indipendenza.
Mi sovviene, se pur temporalmente nulla a che vedere con il periodo in cui visse il Conte Luigi Ricciolio, che Leinì fu scelta come luogo di ammassamento, nel 1508, delle truppe dell'esercito piemontese fedele alla lega da Cambrai, costituita per volontà di papa Giulio II contro Venezia.
Dopo aver finalmente trovato la sciarpetta in un negozietto locale, ci accomodiamo in un bar posto proprio in piazza Ricciolio. Il locale è grande e luminoso, grazie anche alle ampie vetrine, a cui fanno capolino ogni tanto dei bambini curiosi. Alla parete della saletta un grande televisore trasmette di continuo immagini di partite di calcio, le pareti sono ricoperte di piccoli scaffali colmi di prodotti alimentari, liquori e vini particolarmente pregiati. Dentro delle cornici delle riproduzioni di antiche foto di Torino inizio XX secolo; panchette e sedie completano l'arredo insieme a grandi moderni tavoli.
Ci sediamo e ordiniamo delle bevande, c'è gente che entra assapora un caffè ed esce, altri acquistano gelato. Con M&E discutiamo di alcune vicissitudini che ci accomunano, di un corso che stanno frequentando, ma anche delle prossime elezioni comunali, e degli oltre 300 candidati al consiglio comunale. Ci soffermiamo a discutere delle attività industriali e artigianali locali, delle associazioni di volontariato presenti sul territorio. M. mi spiega che in un antico edificio in stile settecentesco, Villa Violante, che venne donata al Comune dal generale Guglielmo Violante (1864-1941), colonnello degli Alpini, che fu per molti anni a capo della amministrazione comunale, sia come Sindaco che come podestà di Leinì, affinché potesse essere adibita alle attività sociali, culturali, oggi è la sede di alcune importanti Associazioni di Volontariato.
Il Bar si riempie rapidamente da una moltitudine di persone caratterizzate dalla chiassosità. Mi spiegano che il Bar è diventata la sede di uno dei tanti movimenti e partiti politici che corrono alle prossime elezioni. Mentre E. s'allontana per un impegno personale, osservo la licenza per la somministrazione bevande e il timbro del Comune in cui al centro vi è lo stemma comunale che mi racconta M. sia uno scudo Inquartato d'oro e di azzurro, una croce trifogliata d'argento su tutto lo scudo, ai quattro angoli della croce trifogliata tre anelli intrecciati in pergola. Sotto lo scudo, su lista bifida e svolazzante di oro, il motto, in lettere maiuscole scritto di nero, "IN OMNIBUS UNIO". Sarebbe curioso conoscerne il significato, di certo non è lo stemma dei Provana.
Usciamo dal bar e terminiamo il piccolo giro turistico passando nell'ultimo tratto di via Carlo Alberto, la strada principale di Leinì. Transitiamo così vicino a vicolo Giuseppe Mussa, anch'egli ricordato nella lapide sulla torre dell'ammiraglio in piazza Vittorio Emanuele II. Costui è un eroe leinicese sostanzialmente dimenticato; caporale trombettiere dei Bersaglieri, caddè ferito a morte mentre si impossessava di una bandiera austriaca nel 1859 a San Martino. Una memoria storica vicino alla storia di un importante sodalizio in cui M&E militano e che in un tempo passato anch'io militavo come attivista.
Mentre mi appropinquo a rientrare verso le terre mandrogne, E&M mi accompagnano all'auto e parliamo della Vauda (dal celtico "WALD" significa selva), un luogo rialzato che da Lanzo arriva a Chivasso. Un tempo doveva essere una zona ricca di boschi, oggi a causa dell'urbanizzazione i boschi sono pressoché scomparse. Sono molto attratto dalla Vauda, perché credo vi siano rare specie floristiche.
Lascio M&E, è stata una bellissima giornata passata in compagnia di giovani amici, certamente tornerò a Leinì a scoprire tutto ciò che in poche ore non ho potuto vedere.
In auto durante il ritorno il mio pensiero corre sull'origine del nome del Comune. Secondo ciò che scrive Giovanni Paviolo (Segretario Comunale) nel suo opuscolo "Cenni storici e statistici sul Comune di Leynì" (Torino 1883), pare che il villaggio di Leynì sarebbe stato fondato da alcune famiglie venute da Laniasco, piccolo paese su quel di Moncrivello, in riva ad un laghetto detto "LANEUS". Ma è anche vero che Leynì (nel latino medioevale Leccona, Lucumonia, Acuminare) si trova per la prima volta menzionato in un diploma dell'anno 999 col quale l'imperatore Ottone III confermava a Leone Vescovo di Vercelli la Vauda o Valdo di Leynì. Il nome Leynì rimane senza modifiche fino all'epoca fascista, trasformato poi definitivamente in Leinì.
Pensieri sereni che mi aiutano nel mio viaggio di rientro.