Infatti sono facilmente identificabili proprio per il loro abbigliamento e per la curata trasandatezza nel vestire, ma ovviamente tutto pseudo nazional-popolare.
Preferiscono gli abiti di H&M e le giacche di velluto a coste con la camicia e rigorosamente senza cravatta. Il loro comportamento è formalmente controcorrente, vogliono apparire avulsi o diametralmente opposti ai valori culturali e sociali del ceto di appartenenza, qualunque esso sia.
Si distinguono per l'esibizione di cultura "alta", almeno apparente. Si atteggiano da filosofi, naturalisti e, talora, anche esperti gastronomi, facendone il proprio distintivo di vita, quali novelli tuttologi.
Se volessi usare un termine specifico, o meglio un'espressione idiomatica mutuata dall'inglese per definire questi rampolli generalmente appartenenti alla classe media o anche quelli provenienti dalla ricca borghesia, dovrei utilizzare il termine Radical chic.
Un tempo li avremmo identificati come tipi bizzarri e "con la puzza sotto il naso" e li avremmo confusi con gli snob, anche se lo snob una sua nobiltà ideologica ce l'ha: disprezza l'uomo medio, la cultura tradizionale, i luoghi comuni, l'oleografia del passato, non conosce buoni sentimenti se non verso se stesso e i suoi simili.
Ecco perché il radical-chic a mio parere non è sinonimo di snob; è qualche cosa di più sotto certi aspetti e qualcosa di meno per altri. Ha sicuramente una dimensione politica che vorrebbe apparire di sinistra.
Il radical chic per definizione deve stupire e spiazzare e per far ciò s'identifica con l'ideologia marxista, benché io ritenga ciò un falso storico oltreché ideologico; immaginarsi personaggi come Togliatti, Berlinguer o Ingrao radical-chic non è neppure lontanamente pensabile. Forse il primo uomo politico con un taglio di sinistra e un atteggiamento e un modo di vestire radical chic è stato Fausto Bertinotti.
Un tempo molti artisti erano definiti snob quando rompevano le regole del consueto e davano scandalo con le loro opere o la propria vita personale. Artisti come Dalí, Ravel, Picasso e molte "avanguardie" pittoriche furono giudicati quali esempi di snobismo e perfino Proust, "lo sciocchino del Ritz". Anche Oscar Wilde, un po' per il suo modo di pensare e di scrivere e molto per la sua dichiarata e ostentata omosessualità fu definito snob; e non credo di poter assimilare costoro ai radical-chic solo perché hanno avuto atteggiamenti controcorrente, sarebbe una banalizzazione.
Eppure snob e radical-chic vengono spesso confusi. Ecco perché occorre avere chiaro in mente quali sono le caratteristiche dell'uno e dell'altro.
In Italia i radical-chic sono una definizione ripresa dal giornalismo americano da Indro Montanelli nel celebre articolo "Lettera a Camilla", in polemica con Camilla Cederna, quale ideale rappresentante del "magma radical-chic", superficiale e incosciente degli anni di piombo.
Sempre Montanelli in vari scritti, nei quali lamentava la frivola ideologia di certa borghesia ricca e pseudo-intellettuale dell'Italia del nord, in particolare lombarda, li definiva radical chic.
A parte la novità etimologica, l'eleganza dell'espressione e se volete la musicalità del suo suono, provo a definire il radical-chic attraverso le figure di alcuni conoscenti alessandrini, romani e lombardi personalmente frequentati.
Il radical chic è generalmente laureato, oppure si è fermato al diploma giustificando il fatto che era povero per pagarsi l'università, oppure troppo intelligente per continuare gli studi.
Ha in casa una biblioteca con migliaia di volumi, anche se non sempre si capisce quando li avrebbe letti. Lo trovi dall'edicolante che acquista il quotidiano ufficiale della sinistra radical chic, Repubblica, insieme al Sole 24 ore. Il radical chic si sente culturalmente e moralmente superiore a chiunque e per questo guarda Santoro, Report, Rai Tre e La7. Gli fanno schifo i reality e le fiction e se il discorso cade su un talent show tipo Grande Fratello, ne prende subito le distanze affermando di non saperne nulla, salvo poi conoscerne i protagonisti e le vicende.
Al radical chic riesce spontaneo creare quell'effetto stilistico di vintage, di trascuratezza, con cappello in testa alla Borsalino bordato da una fascia a colori vivaci. La sua camicia è bianca, attillata, di lino grezzo, indossa cinture sottilissime o vistose bretelle che sorreggono jeans sdruciti o dai vivaci colori pastello oppure pantaloni perfettamente in piega. La giacca è rigorosamente di velluto a costoni, la maglia è di lana grezza, anche d'estate con 45° non può farsi mancare la sciarpina stropicciata al collo, vezzo che lo contraddistingue ovunque. Lo riconosci subito perché è capace di compiangerti semplicemente sollevando il sopracciglio mentre guarda la tua nuova felpa e la definisce "molto carina".
Mi capita spesso di incontrarli, all'ora dell'aperitivo in vineria, mentre ordinano calici di vino pregiato, dei quali conoscono le caratteristiche organolettiche più segrete, mentre ingoiano qualunque alimento sia posto sul bancone, atteggiandosi a esperti del buon bere e del mangiare sano, biologico e nazionale. Quando parla di vacanze, lo senti narrare di viaggi in India o altre mete esotiche perché "la cultura lo affascina e perché va anche per acculturarsi", disprezza le spiagge e i monti italiani perché sono troppo affollati, ma conosce tutto delle spiagge di Varigotti, Arenzano e Riccione.
Ama solo scattare foto in bianco e nero e le vittime del suo obiettivo sono principalmente case di paglia, visi di anziani scavati dagli anni e del lavoro, e di bambini poveri mentre giocano con un pallone di stracci o con bambole di pezza. Lo senti raccontare di quanto è affascinante la cultura degli ultimi eredi degli Indiani d'America o di quella vietnamita "ché sono tanto poveri ma tanto felici".
Contrario alla tecnologia, perché ci tiene alla "privacy", non ha meno di duecento amici su Facebook, non va a ballare in discoteca se non con l'amica e comunque mai se la mattina dopo va in gita. Il suo mezzo di locomozione preferito è il treno, ma non disdegna un passaggio in auto, meglio se l'auto la guida lui. In città gira in bici, afferma di saper cucinare e stirare, ama gli animali, meglio il cane che con indifferenza porta a spasso per la città.
Se lo senti parlare di politica conosce tutto di Che Guevara, ma se gli chiedi qualcosa di Camillo Cienfuegos o della politica cubana e dell'embargo americano tende a cambiare discorso. Afferma di non aver mai votato Berlusconi e odia Beppe Grillo con tutto se stesso. E se costoro dovessero dire qualcosa di sinistra o nazional-popolare per qualche ragione, deve dire che li odia e che è populismo. Ripudia il Comunismo sovietico e ama il liberismo americano.
Crede che i giovani siano tutti fannulloni e bamboccioni, ad esclusione dei suoi figli che sono dei geni e si sono costruiti un avvenire con le proprie risorse e capacità.
Il radical chic è contro le caste e non sopporta l'eccessivo uso della parola "casta" e di "lobby", ritenendo però, che chi la pensa diversamente da lui sia un demagogo, un giacobino o quantomeno un qualunquista e populista. Lui solo sa ciò che è bene e ciò che è male per il popolino.
Un vero radical chic si indigna se un no-global sfascia una vetrina, se un cane viene abbandonato per strada o se vede un anziano che cerca da mangiare nel bidone della spazzatura ma non ne troverai nessuno con la sciarpetta stropicciata servire da volontario nella mensa dei poveri o a pulire le cucce dei cani in un canile. Eticamente è un ecologista ed ambientalista, ma non andrebbe mai a manifestare in piazza.
Il radical chic odia le parolacce, ma solo quando le dicono gli altri. Ateo o credente è anticlericale oppure estremamente bigotto e deve comunque, anche sui temi religiosi, essere originale.
Quante volte lì ho visti passeggiare disinvoltamente sotto la pioggia, senza ombrello, come se l'acqua scivolasse su di loro e quante volte mi è capitato di parlare di conoscenti comuni che analizza razionalmente e poi bolla come "rozzi" o "troll", dimostrando una non rara capacità di insultare senza argomentare.
E se poi vuoi parlare dei problemi dei tuoi figli a scuola o della difficoltà che hanno nel trovare lavoro, sentiresti il radical chic affermare che lui ha tutti i figli belli e sistemati, come se i suoi spermatozoi trasportassero solo geni. I suoi figli non sono mai stati raccomandati ma hanno una fitta rete di relazioni. E non provare a contraddirlo, potresti trovarti in un goulag sovietico o in un manicomio criminale.
Se è etero, sbandiera i suoi amici gay come una "amicizia liberal", fulgido esempio di rappresentazione di colui che è di mentalità aperta, definendoli i suoi migliori amici, l'importante che non lo siano i propri figli.
Mi piacerebbe vederlo di nascosto, quando rientra esausto nella sua casa in stile finto popolare, dopo una giornata di lavoro. Vedere se gli cade la maschera del suo essere liberal e alternativo o se è imperterrito fresco e convinto che il mondo sia nel suo dominio. Mi piacerebbe vedere se indossa ciabatte etniche o volgari pantofole da mercato, se appende la giacca color cammello a coste o se si slaccia la camicia su misura, se si spoglia della sua sciarpetta, sentendosi per un attimo nudo. E se senza il suo feticcio, stendendosi sul divano distrutto dalla fatica dell'interpretare se stesso, afferra il telecomando, accende la tv e gode guardando Piero Angela in Superquark.
Ecco perché laddove lo snob "è", il radical-chic "fa". È chiaro che le due specie non sono paragonabili né a livello ontologico né sul piano etico, il primo lo è di sangue, appartenente ad una casta che definirei "odiosa", i secondi sono solo ridicoli.
Fortunatamente non puoi improvvisarti radical chic, puoi scimmiotarlo, ma se non lo sei di carattere non puoi diventarlo. Accontentati, come faccio io, di indossare come un drappeggio la sciarpetta stropicciata e ricorda che il radical chic non si definirebbe mai radical chic e che solo lui ha diritto di parlare su qualunque argomento: tu no.