Blog di Dante Paolo Ferraris

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La città patavina di Antenore (VII parte)

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Tomba di AntenoreFinalmente diamo uno sguardo alla facciata della Basilica di S. Antonio, chiamata dai padovani semplicemente "il Santo". Il piazzale antistante è gremito di fedeli accompagnati dai loro parroci, ma anche di turisti, sopratutto stranieri che guardano ammirati, come facciamo noi, la maestosità dell'edificio. Questo è un misto di stili architettonici, sicuramente romanica è la facciata, orientali i campanili e le cupole, ma sono molti comunque i richiami gotici come i contrafforti. La basilica, nata per custodire la tomba del santo, morto nella vicina Arcella il 13 giugno 1232 ma nato per l'esattezza a Lisbona nel 1195, fu iniziata nel 1232, l'anno della sua beatificazione. La nuova chiesa inglobò la preesistente chiesetta di Maria Mater Domini, dove il corpo era stato sepolto. Il santuario, secondo il progetto, avrebbe dovuto essere terminato nel 1310, ma continuò ad essere ampliato e spesse volte restaurato per i diversi incendi che la coinvolsero (1394,1567,1749) e per le devastazioni subite, come quella dovuta allo scoppio del Maglio nel 1617.
La facciata presenta cinque arcate, di cui quattro cieche strombate a sesto acuto e quella centrale a tutto sesto, proprio dove vi è la porta maggiore, sormontata da una nicchia contenente una copia della statua in pietra del santo, in quanto l'originale statua fu profondamente deturpata dalle intemperie ed è conservato nel museo antoniano. Nella lunetta del portale maggiore è presente una copia dell'affresco di Andrea Mantegna con la raffigurazione di sant'Antonio e san Bernardino che adorano il monogramma di Cristo. L'affresco originale, staccato, dovrebbe essere conservato nel vicino convento. Sulla facciata si aprono tre porte bronzee; in quella centrale si possono vedere san Ludovico da Tolosa, san Francesco, sant'Antonio e san Bonaventura.
Una galleria coperta corre longitudinalmente lungo la facciata con 18 archi a sesto acuto con colonne e balconata in pietra bianca e sopra di essa si erge il timpano con rosone centrale sormontato da un rotondo campaniletto cuspidato.
Il sagrato della basilica, dove siamo fermi immobili ad ammirarne la maestosità, fu adibito per secoli a cimitero e vi sono conservate tuttora alcune tombe, come quella del giurista e scrittore padovano Antonio Orsato, morto nel 1497; il monumento è composto da una elegante edicola con urna funeraria addossata alla parete laterale sinistra della basilica.
Varchiamo la soglia della basilica e nonostante le numerose persone presenti non si sentono che leggeri mormorii. Ci soffermiamo a prendere fiato, vista la meraviglia che ci accoglie. L'interno è a croce latina, suddiviso in tre navate sorrette da pilastri; sulla parte superiore delle pareti corrono delle gallerie. Sono talmente tante le cose che meriterebbero più attenzione e che avrebbero titolo per essere descritte, ma il tempo è poco e pertanto ci limitiamo ad ammirare poche cose e a descriverle velocemente, invitando chi mi segue ad una visita più dettagliata a questo importante tempio della cristianità.
Ci dirigiamo subito alla cappella e all'altare della tomba di sant'Antonio, dove una lunga e mesta coda crea un serpentone composto e silenzioso, formato da uomini e donne, giovani e fanciulli, tutti in fila per chiedere un aiuto e una grazia al santo.
Il fronte della cappella è aperto da cinque arcate su colonne che poggiano su pilastri ricoperti di bassorilievi. Nei pennacchi tra le arcate vi sono i busti dei quattro evangelisti e sopra questi al centro della facciata vi è una dedica marmorea: "DIVO ANTONIO/CONFESSORI/SACRUM/RP PA PO" dove l'acronimo significa RESPUBLICA PATAVINA POSUIT, cioè la cittadinanza padovana pose.
Nella parte superiore, in cinque nicchie separate da paraste, sono presenti le seguenti statue cinquecentesche di santa Giustina, di san Giovanni Battista, di sant'Antonio, di san Prosdocimo, e di san Daniele martire. All'interno della cappella l'altare sorge su una piattaforma posta sopra sette gradini ed è caratterizzato da tre statue: quella di sant'Antonio al centro, affiancata da quella di san Bonaventura e di san Ludovico di Tolosa, entrambi vescovi francescani.
Sul parapetto ai lati dell'altare possiamo vedere due coppie di angeli con dei gigli che fungono da porta cero. Tutt'intorno alla cappella, in grandi bassorilievi suddivisi da belle colonne marmoree che ne danno forma di arcate, si racconta la vita del santo. Partendo da sinistra, il santo veste l'abito dei minori francescani, il santo resuscita un giovane perché discolpi il padre del santo, imputato di omicidio, il santo risana una donna ferita ingiustamente dal marito geloso, il santo resuscita una affogata, il santo resuscita il figlio di sua sorella annegato da tre giorni, il santo fa ritrovare il cuore dell'avaro nello scrigno, il santo riattacca un piede ad un certo Leonardo che si era amputato per punirsi per aver percosso la madre, l'apparizione di Gesù bambino, l'eretico Aleardino si converte al miracolo del bicchiere, il santo fa parlare un bambino in fasce perché attesti l'onestà della madre.
Sulla parte mediana della controfacciata compare l'iscrizione "ANNO A CHRISTI/NATALIBUS/M D XXX II" in ricordo dell'anno in cui la cappella fu dedicata al Santo.
Il soffitto con lunette fu decorato nel XVI secolo con stucchi dorati e vi sono rappresentati Dio Padre con dodici busti di profeti, mentre al centro gli angeli reggono un nastro con la dicitura:"GAUDE FELIX PADUA QUAE THESAU(RUM) POS(S)IDES" che sono le prime parole della bolla con cui il 30 maggio 1232 il papa Gregorio IX elevò sant'Antonio agli onori degli altari.
Dopo aver fatto in silenziosa devozione la coda alla tomba del santo ed ammirato la sua cappella, non posso farmi sfuggire il luogo che contiene il tesoro della basilica. È una cappella del 1691, situata dove prima vi era la duecentesca cappella dedicata a san Francesco; fu realizzata in soli tre anni, ma per la sua decorazione ce ne vollero molti di più. Gli inventari ci informano della magnificenza e ricchezza dei tesori conservati ma anche di quando la basilica fu depredata nel corso dei secoli. I furti più gravi ed ingenti risalgono al 1405, quando Padova fu conquistata da Venezia, e al 1797, all'arrivo dell'esercito rivoluzionario francese.
Mi soffermo a leggere sulle pareti dell'atrio della cappella le targhe sepolcrali del matematico ed astrologo Andrea Argoli da Tagliacozzo e di Angelo Diedo, procuratore di San Marco e benemerito per la costruzione della cappella.
Belle fasce in marmo bianco con raffigurazioni di gigli e di teste di cherubini decorano l'atrio della cappella, mentre l'interno, che ha un diametro di una dozzina di metri ed una notevole altezza di circa 20 m, è in stile barocco. Il gruppo marmoreo del sant'Antonio in gloria,domina l'intera cappella, mentre le schiere di angeli che lo completano sono in stucco.
Il tesoro è composto da numerose reliquie, tra cui il mento di sant'Antonio, e la reliquia della lingua incorrotta del Santo. Fanno inoltre parte del tesoro numerose e preziose suppellettili liturgiche (calici, pissidi, patene, messali, turiboli). Non posso non focalizzare lo sguardo ed esprimere stupore guardando le teche di vetro in cui sono esposti i frammenti della tonaca del santo ma anche i resti della cassa di legno contenente le ossa e altri residui della ricognizione sul corpo del santo.
La storia infatti narra che l'8 aprile 1263, san Bonaventura da Bagnoregio, allora Ministro Generale dell'Ordine francescano, aprì la cassa contenente le spoglie di Sant'Antonio di Padova, morto 32 anni prima ed acclamato santo dopo appena un anno dalla morte, con l'intento di spostarne i resti dalla chiesetta di santa Maria Mater Domini, dove era stato seppellito, nella nuova basilica edificata in suo onore. La riesumazione dei resti del santo fu sbalorditiva, infatti mentre di tutto il corpo del santo non restavano che cenere ed ossa, la lingua invece era rimasta intatta:"rubiconda et pulchra", vermiglia e bella, come la descrisse san Bonaventura. Lo stupore e la commozione fecero subito dichiarare il ritrovamento miracoloso. La Chronica XXIV Generalium racconta che san Bonaventura, davanti alla scoperta, abbia esclamato: "O Lingua benedetta, che sempre hai lodato il Signore e lo hai fatto lodare dagli altri, ora appare manifesto a tutti quanti meriti hai acquistato presso Dio". La reliquia, presto definita un tesoro, fu sempre posta in preziosi reliquiari che la conservassero. La venerazione della lingua incorrotta del santo fece si che nel corso della seconda guerra mondiale, per timore che questo "tesoro" andasse perduto sotto i bombardamenti, la lingua e il mento del Santo venissero tolti dai reliquiari e nascosti in una cassa di ferro per circa due anni. Alla sua estrazione dopo l'occultamento, la lingua non si presentò più carnosa e turgida come era prima, ma mai venne meno la fervida devozione dei fedeli verso di essa. Curiosamente la ricorrenza annuale della Traslazione delle reliquie del Santo, popolarmente nota come la "Festa della Lingua", si celebra il 15 febbraio e non l'8 aprile. Infatti in tale data si ricorda un'altra ricognizione delle sacre spoglie, avvenute in occasione della visita del cardinale Guy de Boulogne, quest'ultimo miracolato dal santo e che volle donare in quell'occasione alla Basilica di Padova, nel 1350, un prezioso reliquiario in cui è ancora oggi custodita la mandibola di sant'Antonio. Questo fu il reliquiario trafugato il 10 ottobre 1991 da alcuni ladri, agli ordini di Felice Maniero, che li aveva incaricati di rubare la lingua e che fortunatamente, dopo qualche mese, venne recuperata.
Al centro della nicchia di sinistra della cappella c'è un reliquiario in argento dorato contenente, se ho capito bene, l'osso sesamoide e alcuni resti di cute e di capelli di sant'Antonio, oltre alla mazza turchesca in argento dorato, finemente lavorata con disegni arabescati e arricchita con numerosi turchesi sull'impugnatura; la mazza fu un dono del re polacco Giovanni Sobieski, anche se per tradizione popolare si crede che fosse il bastone di comando del Gattamelata. Nel tesoro del santuario si può anche ammirare due pietra e provenienti dal giardino del Getsemani, una contenuta in un antico cofanetto l'altra in un reliquiario duecentesco che in precedenza conteneva la lingua di sant'Antonio; ma anche il sasso che serviva da guanciale a sant'Antonio, inoltre un calice in oro con pietre preziose, donato da Maria Amalia d'Asburgo, moglie dell'imperatore Carlo VII. Ancora il reliquiario di san Gregorio e di san Vincenzo e il bicchiere in vetro che l'eretico Aleardino scagliò a terra, ma che rimase intatto e che lo stesso Aleardino, come vuole la tradizione, donò al santuario. Non ultimo il reliquiario con l'osso radio di sant'Antonio, dono come ex-voto per la guarigione di Vittorio Amedeo II di Savoia.
La devozione alle reliquie dei santi, propria del cattolicesimo e particolarmente sentita in Italia, tanto da raccogliere nella nicchia centrale della cappella anche i reliquiari contenenti la cute della testa sant'Antonio, i capelli della Vergine, il cilicio di sant'Antonio, tre spine della corona di Cristo e tanti altri che posso solo invitare ad andare a vedere in quella che può essere una visita utile sia per i credenti sia per chi si professa agnostico. Anche la nicchia destra è ricolma di reliquie, dal dito ai capelli di sant'Antonio, alla terra di Palestina, all'ampolla con il sangue di san Felice, ad una scheggia del sepolcro del Cristo ed altri ancora.
Ma non voglio farvi perdere il gusto di scoprire o cercare altre importanti opere sacre che la basilica accoglie, d'altro canto non è mio compito e nemmeno sono all'altezza di si tanta capacità descrittiva e conoscenza e allora vi lascio cercare all'interno della basilica di chi sono i numerosi monumenti funebri del XV-XVII secolo, ma anche dove è posto l'altare della Madonna del pilastro, anticamente detta Madonna degli orbi, perché qui vi si radunavano i ciechi, o il monumento funebre del padre Antonio Trombetta, professore di teologia e di filosofia presso l'Università padovana, vescovo di Urbino e poi arcivescovo titolare di Atene.
Ci sarebbero da perdere ore per decifrare il monumento Caimo, in puro stile barocco, eretto nel 1681 per celebrare tre membri della famiglia udinese Caimo o anche il monumento a Simone Ardeo, dedicato a questo frate francescano di Venezia che insegnò teologia all'Università di Padova dal 1517 fino al 1537, anno della sua morte.
Il monumento è caratterizzato da due belle cariatidi che fanno da supporto ad un fronte assai decorato, dove al centro è posto il busto dell'Ardeo nell'atto dell'insegnamento circondato da numerosi e voluminosi libri. Mi ha invece sempre affascinato la tela con il martirio di sant'Agata di Giambattista Tiepolo, dove il realismo e la drammaticità del martirio non possono passare inosservati
I fedeli, ma anche i semplici turisti, si aggirano disorientati tra le colonne della chiesa non sapendo più cosa osservare, con lo sguardo vagante tra le tele delle cappelle, i reliquiari, i monumenti e le decorazioni presenti ovunque. Chiunque cammini o sosti all'interno della basilica non può non rimanere disorientato, quasi mancasse l'aria da respirare, vorresti soffermarti ovunque, osservare, pregare, ascoltare le guide o seguire silenziosamente le orazioni che frati e suore recitano nelle cappelle, ma è impossibile, tanto i sensi sono storditi.
Lasciamo la chiesa e ci rifugiamo nei vari chiostri che rendono la basilica veramente unica. La luce del sole, il verde delle piante, i colori dei fiori e il cinguettio dei passerotti ci fanno ritrovare da quel senso di smarrimento che ci ha colti e ci ha portato quasi in fuga dall'interno di questo enorme museo vivo che è la basilica. Riusciamo finalmente ad aprire bocca e a scambiare qualche parola, tanto da renderci conto che non abbiamo vissuto in un'altra dimensione ma in una grande e bella realtà.



Fine VII parte.