Forse i turisti frettolosi non se ne accorgono e forse nemmeno i romani disattenti si ricordano che il cervo e le sue corna sono parte integrante della storia di sant'Eustachio.
Questo sant'uomo, se mai fosse veramente esistito, faceva di nome Placido e dovrebbe essere vissuto a Roma tra il I e il II secolo d.c., ai tempi dell'imperatore Traiano. È ricordato come un centurione dell'esercito, filantropo ateo che secondo la Leggenda Aurea un giorno, mentre cacciava sui monti della Mentorella sopra Tivoli, stava braccando un cervo quando l'animale si fermò improvvisamente di fronte ad un burrone. Si volse al cacciatore mostrando tra le corna una croce luminosa sormontata dalla figura di Gesù che gli diceva: "Placido, perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere". Placido spaventato non uccise il cervo e quando rientrò a casa narrò tutto alla moglie, la quale gli riferì che anch'essa quella notte aveva avuto una visione nella quale uno sconosciuto le preannunciava che l'indomani ella si sarebbe recata da lui con il marito. Placido, la moglie e i due figli si recarono l'indomani dal vescovo, si convertirono e si fecero battezzare. Placido ricevette il nome di Eustachio (dal greco Eustáchios, cioè "che dà buone spighe"), la moglie quello di Teopista (dai termini greci théos e pístos, cioè "credente in Dio") ed i figli uno Teopisto e l'altro Agapio (dal greco Agápios, cioè "colui che vive di carità").
La sua leggenda prosegue narrando che Eustachio sia stato poi perseguitato dalla sorte, che perse prima tutti i suoi beni, poi la moglie ed infine i figli, ma che mai ingiuriò Dio e la provvidenza per la mala sorte. Dopo numerosi anni di separazione dalla famiglia, questa si ricompose miracolosamente. Richiamato sotto le armi come generale dall'imperatore Traiano, prestò servizio con valore combattendo contro i barbari. Invitato a Roma per ricevere gli onori che gli spettavano, si seppe che era diventato cristiano e allora l'imperatore Adriano lo fece arrestare e condannare a morte insieme alla moglie e ai figli. Furono torturati e si salvarono misteriosamente dalle fiere del Colosseo, ma poi morirono come martiri, arroventati dentro un bue di bronzo.
Sulla sua casa, trasformata in luogo di culto, fu edificata più tardi la chiesa di Sant'Eustachio che venne più volte riedificata, infatti l'attuale campanile romanico risale ad un precedente rifacimento, quello voluto da Celestino III nel 1195 circa.
La facciata settecentesca è a due ordini, di cui il superiore arretrato rispetto all'inferiore. Quest'ultimo è scandito da quattro lesene e da due colonne con capitelli decorati con testa di cervo che sorreggono un grande timpano triangolare, mentre quello superiore è leggermente arretrato e su cui svetta la testa del cervo con la croce; la parte superiore è scandita da paraste con leggeri capitelli e una ampia finestra centrale con nicchie laterali. Il timpano superiore presenta al centro un occhio a finestra circondato da rami di palma e sormontato da una corona. Le colonne sono racchiuse da una bella cancellata in ferro oltrepassata la quale posso vedere la volta del portico e leggere le varie lapidi murate nelle pareti, tra cui quelle a ricordo del cardinale Neri Corsini, del poeta dialettale romano Filippo Chiappini, antagonista del Trilussa, del commediografo e poeta Giovanni Giraud, la cui opera più importante fu "L'ajo nell'imbarazzo", rappresentata per la prima volta al Teatro Valle di Roma nell'autunno del 1807. Sono presenti anche altri monumenti funerari di noti personaggi romani, oltre ad un bel dipinto Seicentesco raffigurante una Vergine col bambino, posto all'interno di una cornice marmorea con molti stucchi di angioletti.
Entro nella chiesa, disegnata a croce latina, a navata unica con tre cappelle su ogni lato comunicanti tra loro e mi volto per osservare la controfacciata, sulla cui vetrata vi è raffigurata la Maddalena penitente, realizzata a fine ‘800 da Gabriel e Louis Gesta di Tolosa.
Sul lato destro si trovano le cappelle dedicate alla Sacra Famiglia, all'Annunciazione e al Sacro Cuore di Gesù. Mentre sul lato sinistro sono collocate le cappelle dedicate a San Giuliano Ospedaliere, a San Michele Arcangelo e al Cuore Immacolato di Maria. Sul lato sinistro dell'altare maggiore c'è un'altra cappella (detta del Crocifisso).
L'altare maggiore, opera settecentesca in bronzo e marmi policromi è sormontato da un baldacchino con cervo, colomba, palme e cherubini. La mensa dell'altare poggia su un'urna di porfido rosso, dove sono custodite le reliquie di sant'Eustachio e dei suoi familiari. La tela dell'altare raffigura il Martirio di sant'Eustachio.
Curioso sapere che fino al 1570 in questa chiesa si celebravano le funzioni propiziatorie per il buon svolgimento degli studi e si proclamavano i dottori.
In alcuni documenti risalenti al X e XI secolo, la chiesa era detta in platana, in riferimento ad un albero di platano piantato nel giardino della casa del martire Eustachio, su cui l'imperatore Costantino I avrebbe costruito un primo oratorio.
Uscendo, sempre sulla facciata, all'angolo con l'omonima via Sant'Eustachio è collocata una lapide a ricordo di un'inondazione del Tevere, le cui acque raggiunsero la basilica nel 1495.
Sempre alzando gli occhi, non può non colpire l'attenzione del viandante il caratteristico palazzotto Tizio di Spoleto, risalente a fine cinquecento, con marcapiani decorati in stucco, con finestre decorate con festoni e volute tipiche protobarocche. La facciata inoltre presenta degli affreschi in ottimo stato di conservazione.
Un'altra curiosità è che proprio in questa piazza, fino al 1870, si svolgeva la fiera e la festa della Befana, poi spostata nella vicina piazza Navona. Nella diramazione della piazza verso via degli Staderai una grande fontana colpisce l'attenzione di tutti coloro che gli passano accanto.
La fontana è costituita da una grande vasca in granito egizio di Assuan. La vasca, o catino, è di notevoli dimensioni e peso e fu ritrovata nel 1985 durante gli scavi eseguiti nel cortile "della Palma", tra Palazzo Madama e Palazzo Carpegna, purtroppo in 8 frammenti, ma che con una accurata opera di restauro con perni d'acciaio e resine sintetiche è tornata all'antico splendore. La fontana proviene dal complesso delle terme Neroniane, costruite da Nerone intorno al 62 d.C., localizzate sotto l'attuale palazzo del Senato. Dopo il restauro la fontana fu donata alla città di Roma dal Senato ed inaugurata il 22 dicembre del 1987, in occasione del 40° anniversario della Costituzione Italiana, come ricorda una lapide su Palazzo Madama che recita "L'ANTICA VASCA ROMANA RITROVATA E RESTAURATA IL SENATO DELLA REPUBBLICA OFFRE ALLA CITTADINANZA RICORRENDO IL XL ANNIVERSARIO DELLA CARTA COSTITUZIONALE E IN ONORE DI ENRICO DE NICOLA CAPO PROVVISORIO DELLO STATO GIUSEPPE SARAGAT UMBRO TERRACINI PRESIDENTI DELLA ASSEMBLEA COSTITUENTE ALCIDE DE GASPERI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 27 DICEMBRE 1947 - 27 DICEMBRE 1987".
Poco distante vi è la Fontana dei libri, una piccola fontanella addossata al palazzo dell'università della Sapienza posta nella storica via dell'Università (successivamente rinominata via degli Staderai per via delle botteghe dai venditori di bilance e stadere presenti). Tra le due pile di libri, simbolo della sapienza (università), si ritrovano appunto le corna del cervo di sant'Eustachio. Un arco a tutto sesto con l'iscrizione S.P.Q.R. corona la nicchia contenente le due mensole marmoree che sostengono due antichi voluminosi libri. Un rivolo d'acqua scende da due cannelle, poste nel segna pagina di ciascun libro scivolando direttamente sul selciato.
Una anziana passante, carica di sportine con la spesa, si sofferma incuriosita nel vedermi davanti alla fontanella, munito di taccuino, e mi fa notare che al centro della graziosa struttura c'è una incisione indicante il nome del rione e il relativo riferimento numerico. Con cipiglio e voce ferma mi fa notare un errore, perché Sant'Eustachio corrisponde al Rione VIII mentre inciso nel travertino risulta chiaramente indicato come Rione IV.
Ed eccomi in Piazza Navona, una delle più celebri piazze di Roma. La sua forma è quella dell'antico Stadio di Domiziano che fu fatto costruire dall'imperatore Domiziano e che venne adattata a piazza in stile monumentale per volere di papa Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj). Lo stadio era lungo 276 metri, largo 106 e poteva accogliere fino a 30.000 spettatori. Il nome della piazza era originariamente "in Agone" (dal greco agones, "giochi") poiché era usato solo ed esclusivamente per le gare di atletica. Anche se tra il 1810 ed il 1839 nella piazza si tennero le corse al fantino, ossia corse di cavalli montati.
Curioso sapere che in antichità la piazza veniva allagata solitamente nel mese di agosto per attenuare il caldo. In effetti la piazza prima era concava, si chiudevano gli scarichi delle tre fontane e l'acqua usciva in modo da allagare la piazza e ciò portò alla leggenda metropolitana che piazza Navona fosse utilizzata per le battaglie navali.
La piazza doveva celebrare la grandezza della famiglia dei Pamphili e papa Innocenzo X volle che su questa piazza vi si erigesse il palazzo di famiglia, ornando la piazza stessa con opere scultoree di importanti artisti. Per costruire il palazzo ed adeguare la piazza ai voleri del papa si dovettero demolire alcuni isolati, mentre la scelta degli architetti e degli artisti è dovuta alla potente Donna Olimpia Maidalchini (influente e disinvolta cognata di papa Innocenzo X).
La figura di Olimpia Maidalchini, nota come Donna Olimpia o anche, popolarmente, la Pimpaccia (1591 –1657), merita un attimo di attenzione su quella che fu una delle protagoniste della Roma del XVII secolo. Olimpia fu destinata dal padre alla vita conventuale insieme alle sue due sorelle, in quanto l'erede designato doveva essere il loro unico fratello. Tuttavia con caparbietà rifiutò di prendere i voti e accusò di tentata seduzione il padre spirituale incaricato di avviarla alla vita monastica; ne seguì uno scandalo che procurò all'ecclesiastico la sospensione a divinis. Olimpia si sposò in giovane età con Paolo Nini, un facoltoso borghese che la lasciò vedova dopo soli tre anni di matrimonio ma successivamente, imparentatasi con la famiglia del pontefice regnante, fece nominare vescovo il padre spirituale precedentemente accusato di aver tentato di sedurla.
Infatti la giovane Olimpia, che era di carattere ambiziosa e avida, ma anche estremamente volitiva, scelse come secondo marito un romano di famiglia nobile ma impoverita, più vecchio di lei di 27 anni, Pamphilio Pamphili (1564 - 1639). Questi la introdusse nella buona società romana ma soprattutto, costui era il fratello di Giovanni Battista, brillante avvocato di curia e futuro Papa Innocenzo X. Si diceva che Donna Olimpia fosse molto più legata al cognato che al marito, e che chiunque volesse arrivare all'ecclesiastico Pamphili prima, e al papa poi, dovesse passare attraverso la cognata. Olimpia, per la sua avidità e per le trame che aveva tessuto per portare al soglio pontificio il cognato divenendo la dominatrice indiscussa della corte papale e di tutta Roma, fu chiamata ironicamente la papessa.
Ogni sua attività anche di beneficenza non era mai disinteressata, anche la sua protezione assicurata alle cortigiane mascherava traffici illeciti. Le "malelingue romane" affermano che ella dirigesse una vera e propria organizzazione del traffico della prostituzione, anche se in realtà la prostituzione, nella Roma papalina, era consentita e regolarmente tassata. Le prostitute erano dette, nel linguaggio della burocrazia, "donne curiali", in quanto sottoposte al controllo del tribunale del Cardinal vicario (la Curia), che rilasciava le licenze ed esercitava il controllo sui bordelli, e ne riscuoteva le tasse. Un'altra leggenda racconta che il Bernini, caduto in sorte avversa, avesse ottenuto la commessa per la fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona solo per aver fatto dono alla Pimpaccia di un modello in argento alto un metro e mezzo della fontana che voleva eseguire. Rimasta vedova di Pamphilio, ricevette dal cognato papa le terre appartenute alla abbazia di San Martino al Cimino ed i relativi edifici, in rovina, del complesso abbaziale e il titolo di principessa di San Martino al Cimino e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona. Il figlio di Donna Olimpia, Camillo Pamphilj, fu nominato dallo zio papa generale della Chiesa, comandante della flotta e gli fu dato il governo di Borgo, ora rione di Roma. Il nipote, volubile come la madre, volle successivamente intraprendere la vita ecclesiastica e fu posto a fianco al cardinale segretario di Stato e, nel 1644, nominato cardinale. Ma quando Camillo Pamphilj conobbe Olimpia Aldobrandini, giovane vedova del principe Paolo Borghese, ottenuta la necessaria dispensa papale e nonostante il parere contrario della madre, la sposò abbandonando così la porpora cardinalizia. Il papa approvò il matrimonio, ma temendo conflitti tra cognata e nipote, mandò i novelli sposi a vivere a Frascati.
Alla morte di Innocenzo X, il 7 gennaio 1655, si narra che: "Ella trasse di sotto il letto papale due casse piene d'oro, se le portò via, e a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale del papa rispondeva: 'Che cosa può fare una povera vedova?'" da "La grande guida dei rioni di Roma, Newton & Compton 2000" di AA.VV. Solo tardivamente il nipote Camillo, ravveduto, fece erigere un monumento funebre a suo zio nella chiesa di S. Agnese in piazza Navona a Roma.
Ovviamente non fu esente da pasquinate ed alcune sono rimaste celebri sul suo conto,come ad esempio: "Per chi vuol qualche grazia dal sovrano/aspra e lunga è la via del Vaticano/ma se è persona accorta/corre da donna Olimpia a mani piene/e ciò che vuole ottiene./È la strada più larga la più corta" (riferito alla gestione, da parte della donna, dell'Erario Pontificio), (fonte Claudio Rendina, I papi, Roma, Ed. Newton Compton, 1990. p. 690). Ma sicuramente è più nota:"Chi dice donna, dice danno - chi dice femmina, dice malanno - chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina".
Donna Olimpia morì di peste nelle sue tenute viterbesi nel 1657, lasciando in eredità 2 milioni di scudi. Un post, scritto da Paul Templar nel marzo 2010 sul suo blog racconta "La leggenda nera di Olimpia Maidalchini, la Pimpaccia", e scrive che la leggenda vuole che il 7 gennaio,di ogni anno, giorno dell'anniversario della morte di Innocenzo X, la Pimpaccia corra ancora per le strade del centro di Roma su una carrozza in fiamme, partendo dal palazzo di Piazza Navona, attraversando Ponte Sisto, per andare a sprofondare nel Tevere con i tesori che aveva accumulato, o semplicemente per spaventare i passanti nottambuli.!
Sempre secondo quanto scritto da Paul Templar, fino al 1914 esisteva, fuori Porta San Pancrazio nei pressi di villa Pamphili, una Via Tiradiavoli, così denominata perché si diceva (secondo un'altra versione della stessa leggenda) che lo stesso carro di fuoco la percorresse di gran carriera per portare la Pimpaccia alla villa papale, e che i diavoli vi avessero aperto una voragine per riportarsi all'inferno la Pimpaccia, il carro e tutto il resto.
Tornando ai nostri tempi, Piazza Navona è certamente l'orgoglio della Roma barocca, in quanto ricolma di elementi architettonici e sculture di grandi maestri come Gian Lorenzo Bernini (la Fontana dei Quattro Fiumi al centro della piazza, che rappresenta il Danubio, il Gange, il Nilo ed il Rio della Plata e i quattro angoli della Terra), mentre la chiesa di Sant'Agnese in Agone, è di Francesco Borromini. Le altre due fontane, quella del Moro e quella del Nettuno (originariamente fontana dei Calderari), sono opera rispettivamente di Giacomo della Porta e di Gregorio Zappalà e Antonio Della Bitta.
Nel tempo, anche in ragione della sempre più marcata destinazione turistica dei luoghi, il mercato rionale che vi trovava stallo in precedenza fu limitato in questa piazza al solo periodo natalizio; assumendo particolare rilevanza con la ricorrenza dell'Epifania e rendendo la "Befana di piazza Navona" uno dei momenti più sentiti della cittadinanza, mercato che prima era collocato nella vicina piazza di sant'Eustachio. Io stesso, se ho occasione di essere a Roma nel periodo natalizio, non perdo occasione di farci una "capatina". Oggi la piazza è occupata da numerosi artisti di strada; bravi pittori, disegnatori, ritrattisti e caricaturisti vi si insediano collocando estemporanei cavalletti per dipingere e per esporre (anche a fini di vendita) le loro creazioni. Ultimamente la piazza è divenuta anche luogo di performance per artisti come mimi giocolieri ecc.
La piazza è citata dal poeta del vernacolo romanesco Giuseppe Gioacchino Belli che in un noto sonetto riesce a renderne una descrizione fedele ricordando il tempo della Roma papalina in cui la piazza ospitava una pubblica gogna. Il torturatore, qualora lo ritenesse opportuno, aveva a sua discrezione la facoltà di maggiorare la pena corporale del condannato al solo scopo di rendere gradito lo spettacolo al numeroso pubblico che interveniva.
Piazza Navona "Se pò ffregà Ppiazza-Navona mia / E dde San Pietro e dde Piazza-de-Spaggna./Cuesta nun è una piazza, è una campaggna, /Un treàto, una fiera, un'allegria./Va' dda la Pulinara a la Corzía,/Curri da la Corzía a la Cuccaggna; /Pe ttutto trovi robba che sse maggna,/ Pe ttutto ggente che la porta via./ Cqua cce sò ttre ffuntane inarberate: /Cqua una gujja che ppare una sentenza: / Cqua se fa er lago cuanno torna istate".
Sulla piazza si affaccia quindi Palazzo Pamphilj (o Pamphili) costruito tra il 1644 e il 1650 con forme tardo rinascimentali. Dal 1961 il palazzo è di proprietà brasiliana, ma ospita dal 1920 l'ambasciata del Brasile in Italia. Vicino si trova il palazzo Braschi dal disegno barocco-neoclassico, oggi sede del Museo di Roma. Il palazzo, alla morte di Luigi Braschi avvenuta nel 1816, benché non ancora totalmente ultimato per gli innumerevoli danneggiamenti subiti, da diverse guerre e occupazioni militari,come quello durante l'occupazione Francese del 1798 quando il papa fu deportato in Francia;e durante la quale la gran parte delle opere d´arte fu trasferita a Parigi e i mobili venduti all'asta. Fu successivamente affittato alla Legazione della Sardegna, finché nel 1859 gli eredi dei Braschi vendono il palazzo ai Silvestrelli, Palazzo Braschi diventa proprietà dello Stato nel 1871, il quale lo destinò a sede del Ministero dell'Interno, oggi trasferito al Palazzo del Viminale. Durante il fascismo fu sede anche della Federazione Fascista dell'Urbe. Invece Palazzo Lancellotti, conosciuto anche come de Torres, si affaccia con il suo prospetto posteriore su Piazza Navona. L'edificazione ha inizio nel 1542 per volontà dell'Arcivescovo di Salerno, Ludovico, per farne il palazzo di famiglia. L'edificio, anch'esso esempio di architettura tardo rinascimentale, sarebbe interessante da visitare per poter osservare nella loggia alcune statue che costituiscono quello che rimane di una grande collezione: ne facevano parte la statua della Pudicizia, la Diana Efesina e il bassorilievo di Medea, oggi conservati ai Musei Vaticani. È possibile anche ammirare i magnifici affreschi di Agostino Tassi e del Guercino, con paesaggi, allegorie e prospettive.
Ma anche Palazzo De Cupis – Ornani - Tuccimei merita un attimo di attenzione, voluto da Bernardino de Cupis che fu il primo della famiglia a stabilirsi da Montefalco a Roma intorno al 1462, dove acquistò alcuni edifici a Piazza Navona e iniziò la costruzione del suo palazzo di famiglia, attività proseguita poi dal figlio Giandomenico, nominato Cardinale da Leone X.
L'ultimo dei De Cupis che abitò il palazzo fu Curzio perché in seguito, dal 1560, venne dato in affitto numerose volte a cardinali, vescovi e ambasciatori. In seguito gli Ornani rilevarono l'edificio di piazza Navona e aprirono nei locali al pianterreno il famoso Teatro Ornani, divenuto nell'800 teatro Emiliani prima di essere chiuso alla fine del secolo. Rimase in loro possesso fino al primo decennio dell'Ottocento, quando la marchesa Clelia Ornani De Cupis vendette a Francesco Fiorini una porzione del Palazzo. Alla morte di lei gli eredi della marchesa impugnarono la vendita e il contratto fu annullato dalla Sacra Rota. Il 15 dicembre 1817, parte del palazzo fu acquistata dall'avvocato rotale Giovanni Battista Tuccimei e quando passò ai suoi tre figli, questi acquistarono anche la parte rimanente oltre a vari altri locali e botteghe in Via dell'Anima. Il palazzo tornò sotto un unico proprietario: la famiglia dei Tuccimei, i quali fecero scolpire sullo stipite della porta il loro stemma e il loro nome, proprio a testimonianza della loro proprietà.
Sul palazzo aleggia una antica storia su una sua abitante della quale ancora oggi si parla grazie alle cronache seicentesche di Antonio Valena. La storia narra di uno dei pronipoti di Giandomenico Cupis che sposò, nei primi anni del secolo, la giovane nobildonna Costanza Conti, celebrata per la sua bellezza e soprattutto per le sue mani, graziose e delicate. In un'epoca in cui televisione e social network non esistevano ancora, un semplice passaparola bastò a rendere quelle mani famosissime, al punto che l'artista Bastiano, che aveva il suo studio in via dei Serpenti (ed era pertanto chiamato "Bastiano alli Serpenti"), volle fare un calco in gesso di una di esse per esporlo nella sua bottega. Il calco della mano adagiato sopra un prezioso cuscino di velluto attirò una gran folla che, non potendo ammirare di persona le mani della donna, si recava a contemplare la loro fedele riproduzione. Un dì anche un frate domenicano, predicatore in San Pietro in Vincoli, passando da quelle parti rimase affascinato da tanta bellezza e commentò il modello, affermando che la mano riprodotta era così bella, che se fosse stata di una persona reale avrebbe corso il rischio di essere tagliata da qualcuno per gelosia. La frase divenne celebre e passò di bocca in bocca arrivando anche alle orecchie di Costanza. La donna ne rimase molto impressionata e lei, fortemente religiosa, si convinse di aver fatto un grave peccato di vanità per aver accettato di farsi fare quel calco della mano. Per fare penitenza e per timore della predizione, non uscì più dal palazzo. Ma un giorno, mentre era intenta a ricamare, si punse un dito con l'ago; la ferita si infettò e il dito iniziò ad andare in cancrena, finché i medici non furono costretti ad amputarle la mano ormai deforme. A causa forse di una setticemia conseguente all'amputazione, la ragazza morì poco dopo. Si racconta che la sua mano, nelle notti di luna piena continui ad apparire, diafana e bellissima, dietro uno dei vetri al primo piano dell'antico palazzo, lungo via di S. Maria dell'Anima. Invece il suo fantasma sembra che appaia lungo i muri della strada, tentando vanamente di ricongiungersi alla sua mano.
Sulla piazza campeggia, di un candido colore bianco, la chiesa di Chiesa di Sant'Agnese in Agone, commissionata da papa Innocenzo X nel 1652; opera di Girolamo e Carlo Rainaldi prima e del Borromini poi. La sua facciata concava dona un grande risalto alla cupola che è inquadrata da due bianchi e svettanti campanili gemelli. La chiesa ha un aspetto maestoso ed io vi sono particolarmente legato, perché contiene la fonte battesimale in cui fu battezzata santa Francesca Romana. Costei fu la fondatrice della Congregazione delle Oblate di Maria ed è la protettrice, insieme a San Pietro, della città di Roma. La sua famiglia abitava nella zona di Tor Millina, proprio vicino alla chiesa di Sant'Agnese in Agone. Sull'altare della cappella a Lei dedicata si trova una pala marmorea in rilievo con la Santa che, affiancata da un angelo, mostra il libro della Regola mentre nella volta della cappella un affresco rappresenta Santa Francesca Romana assunta in cielo e accolta dalla Trinità. Al di sotto della mensa dell'altare, è situato il fonte battesimale della Santa, ricavato da un blocco di pietra proveniente dalla chiesa preesistente. Il mio legame con la santa è dato dal fatto che viene festeggiata il giorno del mio compleanno.
L'interno della Chiesa, la cui pianta è a croce greca, non appare così maestoso come potrebbe far supporre la facciata benché sia veramente bella, decorata con stucchi dorati e marmi pregiati. Gli altari e le cappelle di San Filippo Neri, di San Sebastiano, di Sant'Agnese quello di Sant'Eustachio ma anche l'altare dedicato a Santa Cecilia quello dedicato a Sant'Emerenziana e a Sant'Alessio meriterebbero di potersi soffermare delle ore per poterli osservare con attenzione perché sono interamente coperti da splendidi bassorilievi. Alzando lo sguardo verso la cupola si nota che è decorata con affreschi raffiguranti Sant'Agnese. Mi soffermo sempre qualche minuto ad ammirare i diversi affreschi, dipinti e diverse statue di artisti del XVII e XVIII secolo.
Seminascosto al di sopra dell'ingresso, è situato il monumento dedicato a Innocenzo X, che si dice benedica chi entra nella chiesa. La statua è difficilmente visibile, data la sua posizione, e bisogna voltarsi appositamente per ammirare il busto del pontefice. La tomba di Papa Innocenzo X, artefice della piazza, è situata insieme ad altri membri della famiglia in una cripta a sinistra dell'altare maggiore. Curioso se non stravagante Papa Innocenzo X (Pamphili), quando fa costruire la chiesa di Sant'Agnese in Agone, la pensa quasi come una cappella privata annessa alla residenza di famiglia che le sorge appunto a latere. Infatti a collegare la chiesa con il palazzo Pamphili vi è ancora un'apertura nel tamburo della cupola che permetteva al pontefice di assistere alle celebrazioni direttamente dal suo appartamento.
Altresì curioso è sapere che la chiesa venne costruita nel luogo stesso ove, nello stadio di Domiziano, c'era la cella lupanare, luogo di perdizione, ancora visibile nei sotterranei. Infatti questa chiesa sorge sui ruderi dello stadio di Severo Alessandro, che secondo una tradizione romana era il luogo dove la vergine Agnese avrebbe patito il martirio del lupanare e, come narrano i suoi atti, dove accadde il prodigio dei capelli, narrato anche da s. Damaso nella epigrafe monumentale che a questa martire dedicò: "Nudaque profusum crinem per membra dedisse". Non sono mai riuscito a visitare la cappella posta nel sotterraneo, ricavato da un antico oratorio medievale sul cui altare vi è il rilievo marmoreo del miracolo dei capelli di Sant'Agnese.
Agnese, facente parte della illustre famiglia Clodia, a soli 13 anni, per ordine di Sempronio, prefetto di Roma, fu condotta nell'antico stadio, dove vi era il lupanare il 21 gennaio 303 (secondo altri nelle persecuzioni di Decio, 250 e 251) perché si sacrificasse agli dei; Ella a tale imposizione rispose: "Feriscimi, dunque, acciò il mio sangue ammorzi la fiamma che arde innanzi all'idolo", e la risposta le fruttò il martirio. Si narra, secondo Prudenzio, che fu denudata e ceduta alla libidine dei persecutori ma miracolosamente i biondi capelli della giovane la ricoprirono tutta di un aureo manto impenetrabile, celandone cosi le nudità. Il primo che vi si avvicinò fu il figlio del prefetto che cadde morto, ma fu risuscitato da Agnese, dietro le implorazioni del padre. Agnese venne poi data in mano al carnefice e la sera stessa i genitori ne ottennero il corpo per l'inumazione lungo la Nomentana, dove già erano sepolti, nelle gallerie cimiteriali, altri cristiani.
Fu assassinata anche sua sorella Emerenziana, scoperta da un gruppo di pagani mentre pregava sul loculo della santa; venne assalita, svillaneggiata ed uccisa a sassate.
Pongo la mia attenzione all'obelisco agonale che ora è posto al centro della piazza dove è parte integrante della bella Fontana dei Quattro Fiumi. L'obelisco ha un'altezza di 16,53 m e con la fontana, il basamento e la colomba sulla cima supera i 30 m.
Fu realizzato all'epoca dell'imperatore Domiziano rifacendosi ai modelli egiziani e trascrivendovi i geroglifici; fu inizialmente collocato nel tempio di Iside e poi Massenzio lo fece spostare nel circo sulla via Appia antica, dove nel 1651 papa Innocenzo X lo fece recuperare. L''architetto Gian Lorenzo Bernini lo innalzò al centro di piazza Navona nella sua Fontana.
Esistono alcuni racconti legati alla Fontana dei Quattro Fiumi che la tradizione popolare attribuisce alla rivalità tra Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Ad esempio si racconta che la statua del Río de la Plata tenga alzato il braccio nel timore di un crollo della chiesa e che ugualmente la statua del Nilo si copra il volto per non doverla vedere.
Questa leggenda spiega così la rivalità tra i due architetti, ma è sostanzialmente falsa poiché la fontana fu realizzata prima della chiesa, tra il 1648 e il 1651, mentre il cantiere di Sant'Agnese del Borromini inizia intorno al 1653.
Infatti la statua rappresentante il fiume Nilo si copre il volto perché a quell'epoca non se ne conoscevano le sorgenti.
Piazza Navona era riccamente decorata con diverse statue, delle quali la più famosa è quella che oggi identifichiamo in Pasquino (si dice che rappresentasse Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, colpito da Ettore nella guerra di Troia) statua che faceva forse parte di una imitazione di un gruppo ellenistico. Questa statua, denominata di Pasquino e ora collocata all'angolo di palazzo Braschi nell'omonima piazzetta esattamente proprio dietro a Palazzo Pamphilj.
La statua e la conseguente piazzetta prendono il nome Pasquino da diverse leggende tra chi lo vuole riferito ad un oste, chi attribuito ad un barbiere o ad un maestro di scuola, ma anche ad un ciabattino, tutti ovviamente di nome Pasquino.
La statua fu utilizzata forse per caso per esporre pungenti satire anonime verso il pontefice o, comunque, verso i personaggi altolocati; questi messaggi erano tanto pungenti ed irritanti che furono definite "pasquinate". Si corse anche il rischio che la statua fosse rimossa o addirittura distrutta, soprattutto sotto i pontificati di Adriano VI, di Sisto V e di Clemente VIII. Le pene per chi scriveva le "pasquinate" erano pesantissime, fino alla pena di morte. Alcune sono arrivate fino a noi, e sono molto mordaci, sopratutto nei confronti del pontefice, ma voglio ricordare quella riferita a Donna Olimpia, la "Pimpaccia" residente nell'adiacente Palazzo Pamphilj. Costei aveva un maestro di camera di nome Fiume; all'epoca era usanza di indicare l'altezza delle acque del Tevere che allagavano frequentemente la città ponendo una lapide con l'indice della mano puntato all'altezza del livello raggiunto dalle acque. Un giorno fu trovato affisso sul busto di Pasquino una rappresentazione di una donna nuda, somigliante a donna Olimpia Maidalchini, ed una mano con l'indice puntato sul ventre della figura femminile con la scritta: "Fin qui arrivò Fiume". Le Pasquinate sono ancora attuali, le ultime più famose sono quelle apparse in occasione della visita a Roma di Hitler e quella comparsa in occasione della prima visita a Roma del Presidente dell'U.R.S.S. Gorbaciov.
Sulla piazzetta si affaccia la seicentesca Chiesa della Natività di Gesù, più volte rimaneggiata da frequenti restauri ed adattamenti. La facciata è suddivisa da quattro paraste che dividono la facciata in tre ordini verticali, al centro dei quali si trova il neo-rinascimentale portale. Tra i due ordini laterali sono presenti due nicchie vuote con volta a conchiglia. Sotto al timpano triangolare sull'architrave è incisa l'iscrizione "DEO IESU INFANTI SACRUM". La chiesa, quando fu costruita, fu affidata all'Arciconfraternita della Compagnia della Natività (detta degli Agonizzanti), pio sodalizio istituito nel 1616. da Papa Innocenzo XII (1691-1700). Questo pio sodalizio aveva il compito di pregare per gli agonizzanti e per i condannati a morte. La tradizione popolare vuole inoltre che qui si conservino le fasce che avvolsero Gesù, anche se io non ho mai trovato riscontro alcuno a questo racconto.
Lascio piazza Navona e mi dirigo, con passo stanco verso l'oltre Tevere per raggiungere l'obelisco di Piazza san Pietro.
Fine VI parte.