Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXIX parte)

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Thorfinn RowleIncamminiamoci per via Po, una delle vie principali che collega la centralissima piazza Castello a piazza Vittorio Veneto.
È caratterizzata dai caratteristici edifici con i portici che corrono per tutta la sua lunghezza sul lato destro, salendo verso piazza castello, interrotti solo per immissione di alcune strade sul lato sinistro. La differenza tra l'intera copertura di un lato e la parziale sull'altro è dovuto alla volontà di re Vittorio Emanuele I di Savoia che nella seconda metà dell'Ottocento desiderò percorrere indisturbato dal maltempo il tragitto che da Palazzo Reale giunge fino alla chiesa della Gran Madre situata oltre il ponte su Po, per il cui scopo furono aggiunti i terrazzi a copertura dei passaggi pedonali. Sotto i portici si dispongono numerosi negozi, librerie e alcune bancarelle di libri usati. La nascita della via è sostanzialmente dovuta ad esigenze della seconda metà del Seicento in quanto, a seguito di periodiche epidemie di peste, si rese necessario una radicale opera di risanamento della Contrada di Po, considerata malsana e insalubre. Ciò convinse nel 1663 la municipalità e il duca Carlo Emanuele II di Savoia di bonificare e ricostruire la contrada che fu progettata dall'architetto Amedeo di Castellamonte e inaugurata nel 1674. Sfruttando la realizzazione di questa nuova via, caratteristica per suo percorso obliquo in una città che ricalcava ancora le forme di castrum romano, vi trovarono edificazione importanti edifici, come quello dell'Università e piazza Vittorio Veneto, all'epoca piazza d'Armi. Inoltre la via indicava la strada per Chieri e il Monferrato, che partiva dal vecchio ponte sul Po, e ripercorre in linea di massima l'antica via della Calce, così chiamata perché conduceva al porto sul Po, all'incirca dove ci sono gli attuali Murazzi e dove venivano scaricati i materiali da costruzione.
Nel 1720, sotto il regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, furono rimaneggiati gli edifici per aggiungervi i portici che ancora oggi la caratterizzano. La via è larga 30 metri, portici compresi e lunga 704 metri.
Proseguo la passeggiata per questo cammino reale sotto i portici di via Po, i cui lastroni della pavimentazione sono ancora quelli originali, posati secondo i progetti di Amedeo Castellamonte. Sono gli stessi lastroni di grigia pietra, calpestati da re, principi, letterati e rivoluzionari ma che videro anche la calca della moltitudine di cittadini che assistettero al trionfale ingresso in città del generale Suvarov, in sella ad un cavallo tartaro, alla testa dell'armata russa con ussari e cosacchi. Era il 22 giugno 1799 quando il generale, dopo essere stato acclamato dalla folla si inginocchia e prostra a braccia aperte, in duomo, in segno di ringraziamento per la vittoria sui francesi. I torinesi vollero donargli in segno di ringraziamento ed omaggio una sciabola che gli fu successivamente consegnata a Piacenza dove alloggiava.
Fu lo stesso Suvarov ad invitare il re a rientrare a Torino, inviandogli il conte Gifflenga a Cagliari. Il re riprese la strada per Torino, ma fu fermato a Firenze dagli Austriaci, che non approvarono l'iniziativa di Suvarov, che anzi fu inviato in Svizzera con il pretesto di un azione militare. Gli austriaci occuparono l'intero Piemonte, forse con mire espansionistiche. Torino, dopo aver sentito rimbombare sul selciato di via Po i tacchi russi e poi quelli austriaci, prima di risentire quelli piemontesi dovrà per anni nuovamente ascoltare quelli dei francesi di Napoleone Bonaparte, che dopo aver battuto gli imperiali a Marengo rientrano a Torino. Se il 14 giugno Napoleone sconfigge gli austriaci a Marengo, il 22 è già a Torino e dispone l'abbattimento delle fortificazioni.
Fra i momenti più importanti di via Po, sicuramente è da ricordare l'ingresso trionfale di Vittorio Emanuele I, che rientrerà a Torino il 20 maggio 1814. Si racconta inoltre che la stessa sera del suo rientro volle andare in mezzo al popolo esultante, ma purtroppo i francesi non avevano lasciato una sola carrozza a palazzo reale. Benché fosse disposto ad andare a piedi tra la folla entusiasta, il devotissimo Carlo d'Azeglio gli inviò un cocchio, fatto realizzare per le proprie nozze, permettendogli di percorrere via Po pavesata a festa, sotto un continuo lancio di fiori e di coriandoli colorati.
In qualche zona, vicino a piazza Vittorio e nelle vicinanze del Po, esisteva, al centro del borgo del Moschino, almeno così ci narra Riccardo Gervasio nella "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città", la torre del recluso, rifugio degli anacoreti: «una singolare abitazione priva d'ingresso, il cui occupante murato vivo riceveva gli alimenti indispensabili al proprio sostentamento attraverso una finestrella o feritoia praticata nella parete».
Alcuni tratti dei lunghi portici portano ancora le tracce dei bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale tuttora riscontrabili, in quanto i portici del lato sinistro, salendo verso piazza Castello, presentano tratti in cui l'originale copertura a volta è stata sostituita da una comune e squadrata soletta.
Una lapide, murata all'inizio di via Po sul palazzo Accorsi e quasi nascosta vicino ad un pilastro, ci ricorda la fucilazione di Alchera Francesco, un cesellatore nato a Torino il 15 febbraio 1886. Dopo essere emigrato in Germania prima e Argentina poi, rientrò a Torino e prese alloggio in via Po 57 dove venne trovato in possesso di armi dai fascisti. Lo fucilarono il 22 febbraio 1945 in via Aosta all'altezza del civico 348.
Palazzo accorsi è il primo Palazzo importante che troviamo in via Po, sul lato destro salendo verso piazza castello. Pietro Accorsi, nato e morto a Torino (25 ottobre 1891 - 16 ottobre 1982) è stato uno dei più famosi antiquari di Torino. Il padre era stato assunto come portinaio di quello stabile e Pietro vi abitò fin dalla nascita fino ad acquistare interamente la proprietà nel 1956. Dopo la sua morte e per sua volontà, fu costituita una fondazione e venne realizzato un museo con l'intera sua collezione di arredamenti e oggetti del settecento, tra cui arredi appartenuti a Paolina Bonaparte, mobili francesi, veneziani oltre a interi servizi di ceramiche.
Mi dirigo verso via S. Massimo, direzione piazza carlina ossia, piazza Carlo Emanuele II, e raggiungo così il numero civico 11, dove nacque Teresina Tua il 24 aprile 1866.
Il padre, appassionato di musica e violinista dilettante, le pose un violino fra le braccia e fin da bambina Teresina iniziò a suonare il violino davanti ai caffè di Torino e nei maggiori locali del Piemonte e Liguria, ma anche in Svizzera e nella Francia meridionale. Grazie all'interessamento di un mecenate, iniziò studi regolari al Conservatorio di Parigi dove nel 1880 conseguì il diploma, ottenendo altresì premi molto importanti. La carriera concertistica la porterà in giro per l'Europa ed in America dove conobbe musicisti e compositori illustri come Verdi, Wagner, Rachmaninov, Joachim, Liszt, Brahms, ecc.. Sposò il conte Franchi Verney della Valletta, musicologo e critico musicale a Torino da cui ebbe dei figli, ma ben presto subì la perdita dei suoi figli gemelli. Dopo una battuta d'arresto dovuta alla tragedia, riprese l'attività concertistica e nel 1898 effettuò due fortunate tournée in Russia, dove fu ammirata e applaudita dal pubblico e dalla critica.
Nel 1911 restò vedova, ma si risposò presto con il conte Emilio Quadrio de Maria Pontaschielli, originario di Sondrio nella quale si trasferì. Lasciata la carriera concertistica ottenne la cattedra di violino e viola nel Conservatorio di Milano e poi all'Accademia di Santa Cecilia di Roma.
La sua vita sarà contrassegnata da molte disgrazie, cominciando dal suicidio della madre all'inizio della sua carriera concertistica, al quale seguì la perdita dei due mariti e dei due figli, segnandone la sua esistenza. Ritiratasi a Roma nel Convento delle Suore dell'Adorazione Perpetua con il nome di Suor Maria di Gesù, visse dedita alla preghiera e alla vita contemplativa fino al 28 ottobre 1956, quando morì alla veneranda età di novanta anni.
Riprendendo la passeggiata mi porto dapprima in via Verdi, a pochi passi da via Po, al palazzo della RAI, costruito nel 1939 per ospitare studi di produzione, registrazione e trasmissione di programmi radiotelevisivi.
Infatti se la prima trasmissione radiofonica andò in onda il 6 ottobre 1924 dagli studi URI ( Unione Radiofonica Italiana) di Roma, questa nacque dalla fusione della torinese Sirac e della romana Radiofono. Quattro anni dopo si costituì l'EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) con direzione generale e laboratorio ricerche appunto a Torino. Sempre in questi locali nel 1939 iniziarono i primi esperimenti per la realizzazione della rete televisiva, che trasmise in Italia per la prima volta il 3 gennaio1954 in bianco e nero e a colori nel 1977. All'interno del palazzo Centro di produzione RAI, costruito nel 1968 sul retro dell'ex Ospizio di Carità, è stato realizzato il museo della radio e della televisione, con oltre 1500 cimeli relativi alla storia della comunicazione, a partire dalla Pila di Alessandro Volta del 1799 alle ultime tecnologie. La visita al museo, oltre essere molto interessante, mi ha molto divertito per aver potuto vedere e far "cantare" dal vivo l'uccellino della RAI, un canto simile al fringuello, creato da un congegno meccanico azionato a molla, entrato a far parte della storia della radio in Italia e trasmesso con regolarità nelle pause di programmazione delle trasmissioni in onde corte della RAI, fino alla cessazione dell'utilizzo di questa gamma di frequenze. Oggi è riprodotto registrato e solo in una sequenza sonora, anziché nelle quattro originali RAI, da Radio1 nelle pause precedenti la trasmissioni dei giornali radio trasmesse dalle sedi regionali.
Poco distante c'è la Mole Antonelliana, dove una lunga fila di persone è in coda per entrare nel museo del cinema ospitato al suo interno. La Mole Antonelliana è il monumento simbolo della città e prende il nome dall'architetto che la ideò, Alessandro Antonelli. Con i suoi 167,5 metri d'altezza, è ancora attualmente l'edificio più elevato di Torino, ma sarà prossimamente superata dal Grattacielo Intesa Sanpaolo e dal Grattacielo della Regione Piemonte.
La Mole fu per molto tempo la costruzione in muratura più alta d'Europa. Nel corso degli anni importanti ristrutturazioni ne rinforzarono la struttura con cemento armato e travi d'acciaio, per cui non può più considerarsi una struttura esclusivamente in muratura.
La sua forma è singolare ed unica, particolarmente azzardata per l'architettura ottocentesca. La parte inferiore è a base quadrata di forma piramidale e sopra di essa si innalza una grande cupola anch'essa quadrata e curva, mentre al di sopra della cupola vi è un piano aggiuntivo colonnato, il cosiddetto Tempietto e una alta guglia o cuspide.
La costruzione della Mole ebbe inizio nel 1862, dopo che nel 1848, con la promulgazione dello Statuto Albertino da parte di Carlo Alberto fu concessa la libertà ufficiale di culto alle religioni non cattoliche. La comunità ebraica torinese volle erigere un proprio tempio e a tal fine acquistò il terreno nella zona chiamata all'epoca "contrada del cannon d'oro", oggi via Montebello.
Il progetto scelto dalla comunità ebraica prevedeva un edificio alto 47 metri ma con diverse proposte di modifiche l'architetto Antonelli innalzò la costruzione a 113 metri. Ovviamente queste modifiche portarono all'allungamento dei tempi di costruzione e naturalmente all'aumento dei costi, tanto che nel 1869, per mancanza di fondi, la comunità ebraica fece terminare i lavori con un tetto piatto provvisorio a circa 70 metri di altezza. Nel 1873 gli israeliti torinesi barattarono l'edificio con il Comune di Torino, che cedette loro in cambio un terreno nel quartiere San Salvario per costruire l'attuale sinagoga.
Il Comune si fece carico dei costi di ultimazione della Mole, per dedicarla al re d'Italia Vittorio Emanuele II. Alessandro Antonelli riprese i lavori nel 1873, e portò complessivamente l'altezza fino a 163,35 metri. Il 23 febbraio 1887 una scossa di terremoto, sebbene di lieve entità, creò nuovi problemi strutturali che imposero altre modifiche durante la fase finale di costruzione.
La Mole fu inaugurata il 10 aprile 1889 con la posa sulla guglia di una statua color oro raffigurante un grande genio alato alto complessivamente circa 4 metri e con una stella sulla testa. I torinesi identificarono il genio come un "angelo" che portò l'altezza complessiva della Mole a 167,5 metri. Un uragano nel 1904 abbatté il genio dorato che era collocato sulla sua sommità e che fu poi sostituito da una stella. Il genio alato rimase prodigiosamente in bilico sul terrazzino sottostante ed attualmente è visibile all'interno della Mole dove ancora oggi viene regolarmente confuso con un angelo. Il 23 marzo 1953 un nubifragio di inaudita violenza, seguito da una tromba d'aria, si abbatté sulla guglia spezzandola all'altezza della terza balconata sopra il "tempietto" facendo precipitare il troncone di ben 47 metri nel piccolo giardino sottostante della sede RAI, ma senza provocare danni alle persone. La guglia fu rapidamente ricostruita e lo scheletro fu rinforzato in metallo e rivestito in pietra. La stella a cinque punte fu sostituta da una tridimensionale a 12 punte.
Una volta inaugurata la Mole divenne la sede del Museo del Risorgimento e fu anche una delle prime costruzioni ad essere illuminata attraverso lampade a gas. Quando il Museo del Risorgimento fu trasferito a Palazzo Carignano nel 1938, la Mole fu usata solo come sede di mostre estemporanee. Dopo 4 anni di chiusura, tra il 1996 e 2000 per lavori di ristrutturazione, necessari sia per rinnovare l'ascensore che per rafforzare la struttura dell'edificio, la Mole diventò la sede permanente del Museo Nazionale del Cinema.
Sotto la mole, mentre mi reco ad ammirare casa Scaccabarozzi, incontro Thorfinn Rowle, che nella saga della Rowling è un mago e un Mangiamorte, fisicamente enorme, alto  e muscoloso, con una lunga chioma di capelli biondi, occhi azzurri, viso luminoso, anche abile spadaccino oltre che molto crudele, avido di fama e fortuna; (caratteristiche che ha anche il Thorfinn Rowle torinese che conobbi a suo tempo) e che era frequentatore dei sabba con Draco Malfoy, Barty Crounch jr, Stanley Picchetto, Rookwood, Malfoy senior, Evan Rosier, Amycus Carro, Crosta ossia Peter Minus e tanti altri, anche se in luoghi e momenti diversi in quanto gli riesce particolarmente difficile fare squadra.
Un ragazzo alto, un viso ovale con carnagione olivastra, pochi capelli, una cadenza particolare nel linguaggio che lo rendeva riconoscibile a distanza, amato ed odiato dai propri amici e conoscenti mangiamorte per il voler essere sempre "prima donna", un atteggiamento che lo ha sempre contraddistinto, nonostante gli abiti maschili.
Mi sorride, si sofferma un attimo e con una scusa alquanto vaga si allontana rapidamente. Nonostante sia intraprendente e coraggioso, solo ovviamente per interessi personali, ha sempre tenuto con il sottoscritto un atteggiamento distaccato, benché sapesse di aver fatto parte delle trame più oscure contro la Hogwarts torinese che frequentavamo.
Thorfinn è un nome norreno, e può riferirsi a Thorfinn il Possente. Nella Saga Orkneying egli è descritto come "insolitamente alto e forte... un uomo avido di fama e fortuna. Ha fatto bene in battaglia, perché era sia un buon tattico che pieno di coraggio", caratteristica che il Thorfinn Rowle torinese non possiede proprio, militando tra le truppe del Signore oscuro. Il Thorfinn Rowle torinese nonostante l'indole solitaria riuscì a legare, almeno per motivi professionali con Antonin Dolohov, sia nella saga della Rowling che in quella personalmente vissuta.
Raggiunta casa Scaccabarozzi, più familiarmente conosciuta come "la fetta di polenta" per la bizzarra forma trapezoidale, lunga, stretta, alta sei piani e tinteggiata di colore giallo, mi soffermo a pensare cosa mai avrà detto la moglie di Alessandro Antonelli, quando il maritò gliela donò. Infatti l'edificio è alto 24 metri con lati di dimensioni differenti, che vanno dai 16 metri di via Giulia di Barolo, ai 4,35 metri su corso San Maurizio fino ai 54 cm sul lato opposto. Inizialmente era solo di 3 piani e poi lo stesso Antonelli la elevò a 6 piani, andandovi ad abitare per dimostrare agli scettici che non sarebbe crollata. In questo edificio ebbe sede il Caffè del Progresso, rifugio di carbonari e cospiratori nel periodo preparatorio dell'unità d'Italia Il mio interesse è dato da una lapide sulla facciata che ricorda la permanenza in quella casa di Niccolò Tommaseo. Non fu comunque la sola residenza torinese del filologo Tommaseo, infatti dimorò anche in via Garibaldi.
Niccolò Tommaseo, detto anche Nicolò, era nato a Sebenico (Croazia) il 9 ottobre 1802, ancora sotto il dominio austroungarico e morì a Firenze il 1º maggio 1874. Fu un linguista, scrittore e patriota italiano. Al suo nome sono legati il Dizionario della Lingua Italiana, il Dizionario dei Sinonimi e il romanzo Fede e bellezza. Di costui potrei scrivere ore per narrare le sue vicissitudini, soprattutto quelle patavine. La sua vita fu caratterizzata da continui scontri con altri scrittori e personaggi pubblici, spesso dovuti alla sua intemperanza comportamentale.
Giunto esule in Torino nel 1854, il letterato dalmata scrisse il Dizionario della lingua italiana, quest'opera gli venne proposta nel 1835 dall'editore e tipografo torinese Giuseppe Pomba ma la scrisse solo quanto si trasferì nella capitale dello Stato Sabaudo.
Rientrato in via Po mi sovviene di aver letto, non ricordo dove, che nella notte del 28 agosto1862, un grosso incendio distrusse casa Tarino, all'epoca ubicata al numero 18 della via, ora dovrebbe essere il 39, causando ben 17 morti tra i vigili del fuoco ed i soccorritori intervenuti. All'epoca esistevano due Stazioni di Pompieri di cui una, quella civica, all'interno del palazzo di città e l'altra, quella reale, all'interno del castello, residenza dei reali. Dopo il tragico evento il Consiglio Comunale adottò dei provvedimenti migliorativi, istituendo cinque stazioni di guardia, collegate telegraficamente con la Stazione Centrale di Palazzo Civico.
Ovviamente non posso non visitare la chiesa santissima Annunziata, costruita originariamente nel 1648 per la confraternita del santissimo nome di Gesù, poi demolita nel 1914 sia perché era poco capiente, sia perché era d'ostacolo per aprire via sant'Ottavio. ricostruita interamente su un terreno adiacente e munita di una grandiosa facciata neobarocca nel 1932, dell'antica chiesa rimane il settecentesco altare maggiore e il gruppo scultoreo policromo della Pietà.
Transito sotto i portici di Palazzo degli stemmi, come è chiamato l'edificio che un tempo ospitava l'ex Ospizio di Carità, per gli stemmi della famiglie che contribuirono alla sua costruzione. Istituito da Vittorio Amedeo II per ospitare i mendicanti e toglierli dalle strade di Torino, fu costruito a fine XVII secolo, poi modificato quando venne realizzata via Po. Sotto i suoi portici c'è l'antica farmacia degli stemmi, inaugurata nel 1717 e aperta al pubblico nel 1732. L'Ospedale di Carità di via Po 33 funzionò fino al 1887 e dal 1896 in questo edificio ebbero luogo le prime proiezioni cinematografiche pubbliche con il cinematografo Lumiere. L'ultima proiezione risale al 3 marzo 1897. oggi è sede di uffici del vicino Ateneo universitario. Durante la seconda guerra mondale subì pesanti danni a seguito dei bombardamenti alleati e durante quelli del dicembre 1942 e agosto 1943, oltre a perdere diverse opere d'arte ivi contenute, fu distrutta una parte dell'isolato, compresa la pertinente chiesa.
Ovviamente anche questa chiesa, benché ricostruita, ha i suoi enigmi e sopratutto in questo caso, misteri; si dice infatti che dalla cripta della SS. Annunziata vi sia celato l'ingresso alla terza grotta alchemica.
Infatti nella Torino misteriosa e sotterranea vi sono chilometri di gallerie che un tempo erano percorsi utilizzati da militari, vie di fuga ma anche rifugi di guerra.
Oltre che nella cripta della SS. Annunziata, pare che gli introvabili accessi alle Grotte Alchemiche possano trovarsi anche nei sotterranei di Palazzo Madama. Torino è stata da sempre meta di personaggi famosi nel mondo dell'esoterismo e dell'alchimia come di Nostradamus, Paracelso, Cagliostro e il Conte di Saint Germainsi, si dice proprio perché attratti dalla fitta di reti sotterrane. Infatti su Torino s'incrociano importante linee sincroniche, geomagnetiche e telluriche, (da non confondersi con i terremoti) come afferma la scienza di frontiera che prende il nome di geobiologia. Si narra anche che Apolonnio di Tyana, grande mago e conoscitore dell'arte occulta nel preparare talismani, nel 93 d.C. circa nascose un potente talismano in un luogo segretissimo e inespugnabile, ma che i templari lo ritrovarono e lo portarono a Torino nascondendolo nella terza Grotta Alchemica. Si dice che il potentissimo talismano potrebbe essere la famosa pietra filosofale. Del resto pare che i Savoia fossero profondi conoscitori dei misteri di Torino e alla loro corte erano sempre benvenuti maghi e celebri alchimisti.
Inoltre proprio i Savoia, con l'istituzione "dell'Ordine del Collare", poi denominato "Ordine della SS. Annunziata" fondato da Amedeo VI di Savoia in occasione del matrimonio della sorella Bianca con Galeazzo II Visconti nel 1362, hanno ispirato spiritisti e esoterici. L'ordine del collare, che nasce con lo scopo di "indurre unione e fraternità tra i potenti sicché si evitassero le guerre private", era riservato ai nobili più illustri e fedeli. La regola statutaria prevedeva che tutti gli insigniti fossero tra loro considerati dei pari e che conseguentemente si chiamassero tra loro "fratelli". Sono proprio le insegne dell'Ordine che secondo gli esoterici nascondono dei segreti. Infatti le insegne originali erano costituite da un collare d'argento dorato con il motto FERT, chiuso da un anello con tre nodi sabaudi. I "Milites Collaris Sabaudiae", come erano chiamati gli insigniti, erano al massimo quattordici, oltre al gran maestro dell'ordine e loro guida, cioè Amedeo VI, in onore delle quattordici allegrezze di Maria Vergine, sette in cielo e sette in terra. Fu poi Amedeo VIII di Savoia che stabilì che nel collare fossero alternati i nodi sabaudi con la scritta FERT e quindici rose, a memoria della Rosa d'Oro inviata da Urbano V al conte Amedeo VI nel 1364 quando gli conferì le insegne di cavaliere crociato. Invece fu Carlo Giovanni Amedeo di Savoia che con nuovi statuti ne modificò il nome in Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Inoltre fece inserire un medaglione con l'immagine dell'Annunziata e aumentò il numero degli insigniti portandolo a venti.
Dobbiamo aspettare il 1869 perché Vittorio Emanuele II decidesse che l'investitura all'ordine potesse avvenire anche senza origini nobili, purché per altissimi meriti resi allo stato o alla corona.
I collari sono sempre gli stessi perché gli insigniti, al momento dell'investitura, devono promettere di inserire nel testamento l'obbligo per gli eredi di farne restituzione alla Casa Savoia. Ciò fa si che ogni singolo gran collare abbia una propria storia e l'elenco dei suoi precedenti possessori viene annotato sul coperchio della scatola del collare. Un piccolo collare, invece, non viene restituito e resta come dono alla famiglia del cavaliere.
Gli insigniti erano esentati dal pagamento di tasse e imposte, in quanto considerati "cugini del re" e al quale possono rivolgersi dandogli del "tu". Inoltre avevano diritto a portare il titolo di "eccellenza", ad avere la precedenza protocollare davanti a tutte le cariche dello stato, e anche il diritto agli onori militari.
In origine i nodi sabaudi erano anche denominati "nodi del Signore", "lacci di Salomone" o "nodi d'amore", alimentando il mistero che già aleggiava su di loro. Ancora più misterioso e controverso è il significato dell'acronimo "FERT" sul collare. Un'ipotesi accreditata, forse la più probabile, è che sia l'acronimo della frase "Foedere et religione tenemur", cioè un patto cavalleresco ed il profondo legame religioso dell'ordine. Però è altresì probabile che l'acronimo derivi dal verbo ferre, cioè portare o sopportare, riferito agli impegni assunti con la devozione mariana, obbligandosi a "sopportare" ogni pena richiesta.
Ripensando a Thorfinn Rowle e a quanto gli sia sempre piaciuto fare il "maestrino" soprattutto nel mondo dei Mangiamorte torinesi, personaggio che non ha nulla da insegnare se non come essere opportunista, e se è vero che un vero maestro ha molti difetti ed un falso maestro non ne ha, Thorfinn Rowle farebbe di tutto solo per apparire un vero maestro. Lo guardo mentre si allontana con la testa e il collo leggermente inclinati in avanti, come a dimostrare che possiede un corpo troppo robusto in confronto alla propria consistenza interiore e quindi cerca di "comprimersi" su sé stesso. Porta il solito taglio di capelli a spazzola e la barba scura che circonda interamente ed esclusivamente la bocca. Ha un viso tondo e le guance rosate, ricorda molto un pastore in effetti
Proseguiamo la passeggiata, recandoci a vedere, almeno dall'esterno, il teatro Gobetti nella vicina via Rossini.



Fine XXIX parte.