La devastazione di quella che fu una tomba per decenni venerata dai romani, prosegui con la famiglia dei Colonna che lo trasformarono in fortilizio. Passò poi, ai Conti agli Orsini e nel 1550 ai Soderini, che ne fecero un giardino pensile. Nel XVIII secolo fu adattato dal marchese Benedetto Correa a teatro. Oltre a rappresentazioni teatrali, fu luogo di Giostre, corride, e manifestazioni pirotecniche, ossia in romanesco fochetti. Solo nel 1829 Pio VIII, né vieto lo svolgimento dei giochi. Dopodiché, fu adattato a fonderia ma vi proseguirono ancora le rappresentazioni teatrali e qualche volta utilizzato come luogo di svago, come riporta il giornale "Il Messaggero" del 17 settembre 1906, il quale riferisce che, in occasione della tombola al Teatro Corèa, fu messa in palio una donna che avrebbe concesso le sue grazie al vincitore. Nel 1908, assumendo il nome di Augusteo, l'edificio venne destinato a sala dei concerti.
Nel 1932 iniziarono una serie di scavi e restauri, demolendo tutte le costruzioni addossate e che avevano integrato parte del mausoleo. Il teatro Augusteo perse la sua destinazione a Sala dei Concerti per ritornare ad illustre rudere. Condizioni che vi versa ancora oggi. Nota è la leggenda che lo vuole terra di fantasmi sia di antichi romani che dei militari che vi combatterono quando fu trasformato in fortezza ma anche di Cola di Rienzo, che vi fu mutilato e bruciato. Anche Augusto pare svolazzi come fantasma tra le sue rovine; infatti si racconta che un vecchio pretoriano giurò di aver visto salire al cielo il fantasma di Augusto, subito dopo la sua cremazione. Vicino al mausoleo, in una nicchia, tra via della Ripetta e piazza Augusto imperatore è addossata la graziosa fontana della "Botticella", alimentata dall'Acqua Vergine (aqua virgo). Fu voluta nel 1774 dalla confraternita degli osti di Ripetta, durante il pontificato di Clemente XIII (1758-1769), come ricorda una grande e strana epigrafe che sovrasta la nicchia. Da non confondersi con la fontana della "Botte", quest'ultima era dedicata ai portatori d'acqua, mentre quella della "botticella" ai facchini, portatori di vino. L'epigrafe ha una particolarità: le cifre riportate non sono quelle tradizionali romane, il XIV di Celemente viene scritto con XIIII, mentre la data ha alcune lettere rovesciate od allungate, chissa se era segno di sfregio o una moda dell'epoca? La fontana raffigura, al di sopra di un barile di vino, la testa di un facchino oppure di un oste con il caratteristico berretto sbilenco, portato di lato che versa sorridendo l'acqua dalla bocca in un sottile bacile ovale. Originariamente la fontana era addossata alla facciata di Palazzo Valdambrini, demolito per l'apertura di Piazza Augusto Imperatore (1935-1940). La posizione attuale e quella tra le chiese di san Rocco e san Girolamo degli Schiavoni, infatti di fronte a san Rocco, vi era il porto di Ripetta dove attraccavano le navi cariche di mercanzia, perciò la Confraternita degli Osti volle erigere una fontana ristoratrice raffigurante un facchino quale simbolo che trasportava il vino che arrivava a Roma per via fluviale dall'alto Lazio, ed è sempre davanti alla chiesa, che avveniva il rito dei portatori della degustazione del vino proveniente in barili, ma anche luogo di feste e baldorie.
Mentre cammino per via di Ripetta, cercando di schivare la massa di turisti che occupa il marciapiedi e di evitare di essere fermato da una moltitudine di venditori ambulanti che riempiono la via, mi soffermo per un attimo davanti al negozio di Squatriti. E' un negozio antichissimo e piccolissimo di restauri, oggi dedicato al restauro di bambole di porcellana ma anche di cellulosa. Gli oggetti restaurati o da restaurare sono posti ovunque, sul pavimento come sugli antichi e stracolmi scaffali, come appese al soffitto. E' un negozio che mi ha sempre affascinato, forse anche per il suo stile da film horror con tutte quelle bambole senza testa, ma forse anche pensandolo un ospedale delle bambole.
Arrivo finalmente in piazza del popolo, e finalmente sono sotto all'obelisco Flaminio. E' alto 20 metri, ma con il basamento e la croce raggiunge i 36.50, prende il nome dall'antica via flaminia ed è il secondo più antico obelisco antico di Roma, Fu portato da Augusto, nel 10 a.C dal tempo del sole di Eopoli, per celebrare la conquista dell'Egitto, collocandolo inizialmente sulla spina del circo Massimo. Fu realizzato all'epoca dei faraoni Ramesse II e Seti I (XIII secolo a.C.), Restaurato su ordine di Papa Sisto V dopo che fu ritrovato spaccato in tre tronconi, fu successivamente innalzato in piazza del Popolo e ancora nel 1823 ornato da Giuseppe Valadier con quattro vasche circolari e altrettanti leoni in pietra, di stile egizio. Ancora oggi sui lati Nord e Ovest del basamento è leggibile l'iscrizione con cui il princeps chiariva le ragioni della dedica "Augusto…ha offerto questo dono al Sole per aver assoggettato l'Egitto al potere del popolo romano". Sulle quattro facce dell'obelisco Flaminio risultavano ancora oggi leggibili le iscrizioni geroglifiche dei faraoni della XIX dinastia .
Curiosa è la storia del trasporto dall'Egitto dei due obelischi che ornavano il Circo massimo. In base al racconto di Plinio il Vecchio (N.H., XXXVI, 69-71), in cui Plinio, erroneamente, scrive di un solo obelisco; Augusto, all'indomani della conquista dell'Egitto aveva deciso di trasferire due obelischi da Heliopolis nell'Urbe, utilizzando una imponente nave da trasporto. Il pesante carico sostò per diversi anni nei cantieri navali di Pozzuoli dove la nave venne distrutta da un incendio. Poi in occasione del ventennale di quella vittoria egizia, i due obelischi vennero trasportati a Roma, forse risalendo il Tevere durante le fasi di piena su una imbarcazione adatta alla navigazione fluviale . Il secondo obelisco che era nel circo massimo, compagno di viaggio di quello oggi denominato Flaminio si trova attualmente in piazza S.Giovanni in Laterano. La piazza e l'obelisco fu utilizzato per molti anni a far divertire i ragazzi romani, che dopo aver bendato un compagno di giochi, lo obbligavano a camminare a ripetutamente intorno all'obelisco e poi raggiungere sempre bendato via del Corso; era molto difficile che il poveretto riuscisse a concludere il percorso intralciato sia dagli ostacoli che dai passanti lungo il suo cammino.
Prima di lasciare l'immensa e scenografica piazza del popolo, per salire al parco del Pincio, non posso non notare che piazza del Popolo è posta alla confluenza di tre delle vie dello shopping più importanti di Roma: via del Corso, Via del Babuino e Via di Ripetta, che formano un tridente per la loro posizione rispetto alla piazza e all'obelisco, ciò rende la piazza sempre piena di vita, ogni giorno dell'anno e fino a notte inoltrata . L'origine del nome della piazza ha diverse ipotesi e pare che derivi da populus (pioppo) in riferimento alla tradizione che vuole che in questa zona ci fosse un boschetto di pioppi.
La piazza assunse l'attuale forma e iniziò ad essere uno dei centri vitali della città quando iniziò il processo di urbanizzazione dell'area con insediamenti ecclesiastici e solenni palazzi aristocratici, mentre le pendici del Pincio mantenevano il caratteristico ambiente campestre con ville lussuose
Fu l'architetto Valadier, aiutato da numerosi artisti, a trasformare definitivamente l'aspetto di Piazza del Popolo. Se al centro della piazza Valadier pose quattro vasche attorno all'obelisco la cui acqua proveniva dai leoni in stile egizio, nei due semicerchi laterali furono poste due imponenti fontane a conchiglia con gruppi di sculture che simbolizzano rispettivamente il dio Nettuno con tritoni e la dea Roma con affianco le personificazioni del Tevere e dell'Aniene.
Anche due chiese che sembrano gemelle si affacciano su piazza del popolo. Sono edifici di culto della seconda metà del Seicento: Santa Maria di Montesanto (1662-1679) e Santa Maria dei Miracoli (1675-1681) costruite per volere di Papa Alessandro VII.
Santa Maria in Montesanto conosciuta come la Chiesa degli Artisti, contiene una delle opere artistiche più anacronistiche che conosco. Il nome della chiesa deriva dal fatto che essa rimpiazzò una piccola chiesa che apparteneva ai frati Carmelitani della provincia di Monte Santo in Sicilia. Fu edificata in stile barocco per volontà di papa Alessandro VII nel 1662, ma i lavori s'interruppero ben presto per la sopravvenuta morte del pontefice nel 1667; ripresi poi nel 1673 e terminati nel 1679 sotto la supervisione del Bernini e di Carlo Fontana.
Dal 1953 la chiesa è soprannominata "degli artisti" in quanto si svolgono le Messa degli artisti, una caratteristica iniziativa ideata nel 1941 da don Ennio Francia; un prete e storico d'arte italiano. Infatti in questa chiesa tutte le domeniche viene celebrata una messa a cui prendono parte rappresentanti del mondo della cultura e dell'arte; altresì vengono officiate le esequie di persone legate al mondo della cultura e della televisione. Il quadro molto particolare, che da sempre attira la mia attenzione è stato dipinto nel 1982 dal pittore Riccardo Tommasi Ferroni (1934 -2000), proprio per questa chiesa ed è posto sull'altare barocco di una della cappella dedicata alle anime del purgatorio. Il quadro raffigura la Cena in Emmaüs: Il turista o il viandante affrettato a prima vista non coglie che i suoi colori lo fanno apparire un dipinto classico che si confonde con l'architettura barocca che lo circonda ma soffermandosi e guardandolo con attenzione ci si accorge che uno degli astanti indossa un paio di jeans, una moderna canotta e delle scarpe da ginnastica, mentre sul tavolo dove si svolge la cena ci sono dei fogli di giornale stampati. La scena evangelica è così in un contesto senza tempo, dove forme barocche ed abiti rinascimentali convivono con figure e personaggi contemporanei . Il viaggio deve continuare ed iniziamo ad arrampicarci lentamente su per il Pincio.
Fine IX parte.