Blog di Dante Paolo Ferraris

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La minaccia biologica

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minaccia biolologicaL'argomento è sicuramente interessante quanto controverso, proprio perché vasto e di difficile trattazione. Guerra biologica e bioterrorismo rappresentano, infatti, temi tanto affascinanti quanto ostici che, non senza ragione, suscitano in molti attrazione, ma anche paura e repulsione.
Se però l'argomento crea panico nell'uomo comune, al professionista è richiesto di dominare l'avversione che esso può suscitare.
Ci limiteremo a trattare, benché brevemente, cosa sia l'offesa biologica: con questa espressione intendiamo qualsiasi utilizzo di aggressivi biologici ai fini di operazione bellica o terroristica, condotta con l'intento di ridurre le capacità operative dell'avversario o di creare panico nella popolazione. Inoltre parleremo del modo in cui il nostro paese si organizza a difesa della popolazione civile.
Ridurre le capacità operative della controparte è lo scopo di qualsiasi arma, che sia definita convenzionale o non convenzionale.
Ciò che cambia non è lo scopo dell'arma, ma il mezzo utilizzato. Le armi convenzionali provocano lesioni sul corpo umano, sui mezzi o materiali, essendo principalmente oggetti fisici quali proiettili, schegge o altri oggetti perforanti. Sono considerate, invece, armi non convenzionali quelle chimiche, che utilizzano appunto sostanze chimiche tossiche per l'organismo (ad es. quella nucleare, che sfrutta mezzi fisici come l'onda d'urto, il calore e le radiazioni ionizzanti) e quelle biologiche, che si basano sostanzialmente sull'impiego di due classi di aggressivi biologici: i microrganismi, le tossine ed oggi le mutazioni genetiche, capaci di provocare stato di malattia nell'uomo, negli animali o nelle piante ed altresì provocare il deterioramento di quei materiali che, per le loro caratteristiche tecniche e biologiche, possono essere utilizzati a scopo bellico.
Mentre per l'impiego di queste armi chimiche e biologiche esistono due convenzioni internazionali che ne limitano o addirittura in alcuni casi ne vietano l'uso (il Protocollo di Ginevra del 1925 e la Convenzione del 1972), per i terroristi non esistono norme scritte, se non quella della civile convivenza dettate dalla propria coscienza.
Il Protocollo fu redatto a seguito dell'esperienza negativa sull'utilizzo di armi non convenzionali utilizzate nella prima guerra mondiale, ma anche in precedenti guerre. Lo scopo del protocollo era ed è quello di bandire l'uso di proiettili contenenti sostanze infiammabili o gas nocivi.
Tutte le grandi potenze e la maggior parte delle nazioni del mondo hanno ratificato il Protocollo di Ginevra per la proibizione dell'uso in guerra di gas asfissianti, tossici e simili, di tutti gli analoghi prodotti liquidi o di altra natura e dell'uso di aggressivi biologici per scopi bellici.
Intento degli estensori del Protocollo era che la proibizione venisse in seguito approvata universalmente come parte di una legge internazionale che vincolasse le nazioni. Tuttavia molti dei firmatari si riservarono il diritto di rispondere ad un eventuale attacco chimico o biologico con le stesse armi. Altri invece implicitamente assunsero la stessa posizione, mantenendo riserve di armi chimiche come deterrente. Pertanto il Protocollo viene considerato un accordo che vieta l'uso delle armi suddette, tranne nei casi di ritorsione verso quei paesi che per primi le avessero utilizzate.
Ci viene in soccorso anche la Convenzione sulle armi Biologiche del 1972. La Convenzione entrò in vigore nel 1975, dopo la sua ratifica da parte degli Stati Uniti, del Regno Unito, dell'Unione Sovietica e della maggior parte delle altre potenze militari.
Attualmente sono più di 140 gli Stati firmatari della Convenzione, con la quale le parti contraenti si impegnano, per un tempo illimitato, a non progettare, produrre o procurarsi, accumulare, vendere e indurre altri a fabbricare o ad acquistare:
  1. agenti microbici o altri agenti biologici o tossine di qualsiasi origine e comunque ottenuti, di tipo e di quantità tali da non poter essere giustificati con scopi pacifici;
  2. armi, dispositivi o mezzi di propagazione destinati all'impiego degli agenti o delle tossine di cui sopra per scopi ostili o in conflitti armati.
La Convenzione sulle armi biologiche costituisce un importante risultato, poiché mette fuori legge non solo l'uso,
ma anche il possesso e la progettazione di armi biologiche; ovviamente ciò non è sufficiente per salvaguardare la comunità internazionale da tali minacce.
Attualmente i negoziati della comunità internazionale sono ripresi con lo scopo non solo di far aderire anche le nazioni che finora non hanno partecipano alla convenzione, ma anche e sopratutto implementare la convenzione, prevedendo la possibilità di effettuare ispezioni per verificare il reale rispetto dell'accordo.
Tutto ciò, ovviamente, non interessa i terroristi che vogliono utilizzare l'offesa biologica.
Dopo l'attentato alle Twin Towers dell'11 settembre 2001, l'invio di molte lettere contenenti Antrace, spedite a inizio nuovo millennio a molti parlamentari statunitensi, ma sopratutto dopo lo smantellamento di alcune superpotenze e dei loro arsenali militari, nonché la nascita di movimenti terroristici con caratteristiche internazionali talvolta appoggiati da Stati definiti canaglia, l'attenzione all'utilizzo di armi non convenzionali a fini terroristici è diventato argomento di interesse generale.
Si definiscono "non convenzionali" quegli attacchi in cui non è inizialmente noto l'aggressivo, che sono privi di evidenza immediata degli effetti, ed in cui risulta difficile interpretare lo scenario e gli effetti complessivi.
Essi sono riconducibili a casi di:
  • dispersioni e/o rilasci di un agente NBCR-E in ambienti chiusi di qualsiasi dimensione;
  • rilascio di un agente NBCR-E in area aperta da un punto unico su area urbana;
  • dispersione di un agente NBCR-E su vasta superficie urbana;
  • segnalazione di plichi sospetti e contaminati da presunte spore batteriche (es. antrace);
  • infezioni epidemiologiche veicolate attraverso acque o alimenti.
Nel nostro caso, trattando di armi biologiche, che meglio si definisco come MINACCIA BIOLOGICA, la manifestazione del danno spesso non è immediata e possono trascorrere giorni prima che si manifestino sintomi nella prima generazione di persone infette: nel frattempo l'agente può diffondersi ad altre persone, originando una seconda generazione di casi. La minaccia biologica tende quindi, sostanzialmente, ad eliminare, almeno operativamente, un gran numero di persone, indebolendo la difesa dello Stato, fiaccandone la resistenza e creando, così, una grande fonte di panico e di terrore.
La diffusione nell'ambiente di agenti biologici patogeni con conseguente induzione di uno stato di malattia infettiva nei soggetti colpiti può comunque originarsi sia con la diffusione naturale della malattia dovuta a cause indipendenti dalla volontà dell'uomo (vedi influenza, Aids, ecc.), che con la diffusione accidentale della malattia dovuta a cause indipendenti dalla volontà dell'uomo, ma in cui l'uomo ha delle responsabilità (rischio industriale), come ad esempio la disseminazione intenzionale nell'ambiente, con conseguente eventuale ulteriore diffusione indotta. Nel secondo caso la minaccia è di tipo convenzionale, cioè ad evidente manifestazione dello scenario e degli effetti con mezzi di offesa ed aggressivi noti.
Sostanzialmente possono essere riconducibili a:
  • esplosioni;
  • incendi;
  • versamenti deliberati di sostanze pericolose note in luoghi controllati (stabilimenti industriali) o in incidenti stradali e nei limiti delle previsioni dei Piani di Emergenza Interna ed Esterna;
  • danneggiamento con fuori servizio di stazioni di energia elettrica e del gas;
  • segnalazione di ordigni esplosivi in luoghi chiusi o in adiacenza di edifici.
Tali tipologie di eventi sono gestite secondo le ordinarie procedure di intervento da parte degli Enti dello Stato preposti al soccorso tecnico (VVFF), al soccorso sanitario (118) e all'ordine pubblico (Forze dell'Ordine).
In merito all'ultimo, in Italia si fa riferimento al Piano di Difesa Civile per attacco di tipo terroristico, dove la minaccia è riconducibile a possibili azioni deliberate da parte di singole persone o gruppi intenti a conseguire per lo più uno scopo dimostrativo atto ad incutere terrore e panico alla cittadinanza, destabilizzare le istituzioni e mettere in crisi il sistema economico, anche con perdite significative di vite umane.
I metodi comunemente in uso e verosimilmente in grado di rappresentare una minaccia terroristica sono costituiti prevalentemente dall'uso di sostanze nocive o di agenti patogeni, diffusi in vario modo in ambiente o in ambiti circoscritti, per conseguire un danno immediato o differito o contaminare la catena alimentare. Il carattere poco diffuso e poco conosciuto di dette sostanze e le modalità imprevedibili con cui l'attacco può essere attuato qualificano la minaccia terroristica prevalentemente di tipo "non convenzionale" e il rischio conseguente di natura NBCR-E.
Soffermando la nostra attenzione sulla minaccia biologica e sui possibili aspetti riprovevoli della ricerca biologica occorre quantomeno conoscere al meglio l'oggetto per prepararsi a fronteggiarla.
Per bioterrorismo intendiamo la provocazione da parte del nemico (terrorista) di indurre malattie negli uomini e negli animali utili all'uomo, ma anche nelle piante a mezzo di microrganismi patogeni, di tossine microbiche e di prodotti chimici nocivi alle piante.
Utile ricordare fin da ora che una minaccia terroristica è caratterizzata comunemente dai seguenti elementi:
  • imprevedibilità nel tempo (quando?) e nello spazio (dove?);
  • non conoscenza preventiva e nell'immediatezza del mezzo di offesa;
  • difficile individuazione dell'area interessata dalla minaccia in caso di impiego di sostanze gassose;
  • assenza di segni clinici manifesti o di evidenze cutanee nell'immediatezza di un evento di natura biologica;
  • difficile controllo del veicolo di contagio nella fase immediata di un evento di natura biologica.
L'insieme di tali indeterminatezze impone che l'attivazione delle procedure del Piano necessitino di elementi di possibile certezza da parte delle Sale Operative degli enti istituzionali preposti al soccorso, disponibili soltanto dopo che l'offesa si è manifestata.
In generale gli indicatori di un'offesa bioterroristica sono:
  • scoppio o esplosione con limitati effetti anche in luogo pubblico;
  • segnalazione di vistose anomalie da parte di responsabili di industrie chimiche;
  • segnalazione di un dispositivo, un contenitore o un veicolo che ha disperso una sostanza gassosa o nebulizzata;
  • numero significativo di persone che lamentano un effetto apparentemente senza causa o senza traumi;
  • segnalazione di odori insoliti provenienti da liquidi o sostanze nebulizzate;
  • segnalazione di dispositivi, contenitori o tubi estranei all'ambiente o comunque sospetti;
  • animali morti;
  • indumenti/dispositivi di protezione individuale abbandonati.
Ricordiamoci che l'attentato potrebbe o meno essere rivendicato nell'immediato, ma soprattutto il bioterrorista utilizzerebbe modalità di attacco quali:
  1. immissione con aerosol in zone affollate come edifici pubblici, mezzi di trasporto e luoghi di riunione, attraverso impianti di climatizzazione o da un contenitore pressurizzato;
  2. immissione allo stato liquido o di polvere, con azioni di sabotaggio, nei corpi idrici, negli impianti di distribuzione o della catena alimentare;
  3. immissione indiretta tramite contaminazione di materiali, animali, alimenti per arrecare danni di tipo economico. Azioni volte a provocare malattie mortali per gli esseri viventi prodotte da agenti biologici quali virus, batteri, tossine, attraverso contaminazione per via inalatoria (sotto forma di aerosol), per assorbimento cutaneo e per ingestione di acqua e viveri contaminati.
Propongo di soffermare maggiormente l'attenzione su questo aspetto di minaccia biologica in campo umano, ma i ragionamenti ad essa relativi possono estendersi ai campi della zoopatologia e della fitopatologia e quindi a quello che comunemente è definito come agroterrorismo.
Ma il bioterrorismo è erede della guerra biologica, la quale non è una novità dei giorni nostri; la storia ci fornisce esempi di impiego di tali armi fin dai tempi più remoti.
In epoca antica, quella biologica era talvolta l'unica arma che poteva essere impiegata per colpire molte persone contemporaneamente. Solo a scopo dimostrativo facciamo un breve percorso storico.
Per indebolire il nemico gli eserciti buttavano le carcasse degli animali morti nei fiumi, in modo da inquinare l'acqua delle sorgenti che raggiungevano le città sotto assedio. Gli Assiri avvelenavano i pozzi con la segala cornuta, durante il medioevo i Tartari catapultarono corpi infetti da peste bubbonica oltre le mura della città di Kaffa (1346) per vincere la resistenza della popolazione (Fonte Biological Warfare at the 1346 Siege of Caffa - Vol. 8 No. 9 - September 2002 - Emerging Infectious Disease journal - CDC), fino ad arrivare alla nota "peste nera", che dal medioevo fino a manzoniana memoria sconvolse l'Europa.
Possiamo poi ricordare, in epoca più recente, la guerra dei Sette Anni negli Stati Uniti, che vedeva contrapposti francesi ed inglesi. Questi ultimi, preoccupati della presenza degli indiani quali possibili fiancheggiatori dei francesi, regalarono loro, come atto di amicizia, coperte che provenivano da un ospedale nel quale si curavano i malati di vaiolo; gli indiani furono letteralmente decimati (1763). Sempre nel 1797 sembra che Napoleone provò a forzare la resa di Mantova infettando gli abitanti con la Leptospirosi.
In quegli anni comincia a farsi strada l'idea che lo sviluppo della scienza e della tecnologia a livello dell'industria farmaceutica, ma anche della chimica industriale, possa tornare utile ai fini bellici, ed infatti alcune testimonianze parlano dell'impiego di gas nocivi durante la prima guerra mondiale.
Quasi tutti ricordano il gas vescicante (guerra chimica) utilizzato nel 1915 nella battaglia di Ypres, località belga in cui i tedeschi impiegarono per la prima volta il Solfuro di 2,2-diclorodietile, chiamato anche gas mostarda o iprite, causando oltre cinquemila morti. Si ricorda inoltre, sempre da parte delle truppe tedesche, l'uso del fosgene durante la battaglia di Verdun (1917).
Poco è scritto in merito, ma si ipotizza che agenti tedeschi infiltrati abbiano iniettato l'Antrace a cavalli e muli utilizzati dai soldati nemici. Ancora meno nota è la vicenda del Dott. Anton Dilger, (fonte Erhard Geißler: Biologische Waffen - nicht in Hitlers Arsenalen. Biologische und Toxin-Kampfmittel in Deutschland von 1915 bis 1945. Lit-Verlag, Münster,), oriundo tedesco abitante a Washington D.C., che nel 1915 fu accusato di aver coltivato nella propria abitazione il bacillo dell'Antrace e del Cimurro, fornitogli dalla Germania, per inocularli nelle carni di cavalli, muli e bovini, attraverso portuali di Baltimora che avrebbero imbarcato gli animali per le esigenze belliche in Europa.
Chiuso il dramma della prima guerra mondiale, giunge l'influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la Grande Influenza, nome di una pandemia influenzale che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. È descritta come la più grave forma di pandemia della storia dell'umanità, che uccise più persone della terribile peste nera del XIV secolo.
Sempre poco conosciuto è anche il primo programma di guerra batteriologica giapponese, che fu sperimentato dall'Unità 731 (nome di un'unità dell'esercito giapponese, che fu attiva dal 1936 al 1945 in Manciuria-Cina nordorientale, ufficialmente destinata alla purificazione dell'acqua).
Gli esperimenti furono principalmente effettuati nel campo di Ping Fang, situato nel nord-est della città cinese di Harbin, da parte del governo fantoccio di Manchukuo.
Il responsabile del programma fu il generale Ishii Shiro (esperto batteriologo) e l'unità fu incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche in violazione del protocollo di Ginevra, che il Giappone aveva firmato nel 1925, ma ratificato solo nel 1970, anno in cui tali armi furono messe al bando.
Migliaia di prigionieri, soprattutto cinesi (donne e bambini compresi), catturati fra il 1942 e il 1945, ma anche mongoli, russi, coreani e alcuni inglesi e americani, furono usati come cavie in diversi esperimenti con sostanze batteriologice. Sostanze testate per poter poi essere usate contro il nemico. Furono altresì sperimentati nuovi vaccini sui prigionieri sottoposti a contagio, per poter più efficacemente preservare i soldati giapponesi malati o feriti. Esistono documenti che comprovano l'esistenza di queste sostanze, in quanto i giapponesi spararono sulla Cina delle vere e proprie bombe biologiche contenenti il bacillo della peste bubbonica, ad esempio lanciando dagli aerei sciami di zanzare infette, o contaminando con agenti patogeni i pozzi con risultati rimasti per lo più ignoti. (Fonte http://www.sipri.org/contents/cbwarfare/cbw_research_doc/cbw_historical/cbw-hist-geneva-parties.html#J).
Nel 1943 i Tedeschi attuarono il primo ed unico attacco bioterroristico contro gli Alleati e contro la popolazione civile italiana finora noto, infestando la provincia di Latina, bonificata pochi anni prima da Mussolini, con il plasmodio della malaria. (fonte Snowden Frank (2008). Latina Province, 1944-1950. Journal of Contemporary History. 43(3): 509-526).
Con la fine del secondo conflitto mondiale e l'inizio della Guerra Fredda, tutte le grandi potenze si misero al passo con programmi militari di guerra batteriologica e chimica, scambiandosi poi accuse sull'effettivo utilizzo di tali agenti patogeni.
La possibilità di condurre attacchi chimici e biologici venne studiata per molti anni da più parti, soprattutto nei paesi più industrializzati, sia in vitro sia su esseri viventi, compresi gli esseri umani.
Di questi esperimenti conosciamo soprattutto quelli condotti dagli Stati Uniti, anche se presumibilmente con parziale documentazione, sulle proprie popolazioni e su quelle di altri paesi tra la Seconda guerra mondiale e la fine degli anni Sessanta. Mentre poco o quasi nulla conosciamo su esperimenti condotti dal blocco sovietico.
La stessa Gran Bretagna, ad esempio, sviluppò un suo programma di sperimentazione sulla guerra biologica sulla scorta delle informazioni relative a quelle condotte da tedeschi e giapponesi. Gli inglesi fecero degli esperimenti fondati sull'impiego delle spore del bacillo dell'Antrace, sull'isola di Gruinard (vicino alla Scozia). Le conseguenze
furono devastanti e provocarono un'epidemia di antrace tra il bestiame. Pare che ancora oggi l'isola di Gruinard sia contaminata da spore.
Il governo Usa sottopose ad esperimenti milioni di persone, civili e militari, per studiare gli effetti di materiali chimici e biologici che agiscono sul sistema nervoso, radiazioni nucleari e una quantità di droghe di controllo dei processi mentali, compresi l'LSD e altri allucinogeni.
Molto materiale è reperibile su rense.com e su © 1998-2000 Health News Network http://www.healthnewsnet.com/ a cui rimando per una approfondita lettura.
Il bioterrorismo compare una prima volta il 20 marzo 1995 nella metropolitana di Tokyo con il gas nervino Sarin (sostanza estremamente tossica, che distrugge il sistema nervoso e soffoca le vittime paralizzando i muscoli) fatto sprigionare dai sacchetti di plastica posti nei vagoni di tre linee della metropolitana e nei cestini di 16 stazioni del centro. Muoiono 12 persone, altre 4.700 rimangono intossicate. Responsabili dell'attentato sono i membri della setta ‘Aum Shinrikyo'.
Alcuni storici ritengono che due delle piaghe dell'esodo nella Bibbia fossero epidemie di carbonchio. Le spore di antrace sono potenzialmente un'efficace arma batteriologica, se trattate in modo da poter essere inalate, vista l'alta mortalità degli affetti dalla forma respiratoria. Più volte, dopo l'11 settembre 2001, gli attacchi terroristici di tipo batteriologico hanno utilizzato le endospore come strumento di morte. Buste con tracce di antrace furono recapitate da ignari postini a senatori del partito democratico USA e alle redazioni di alcuni giornali del nuovo continente, con esiti infausti: morirono 5 persone e 17 si ammalarono.
Il progresso scientifico e tecnologico sviluppatosi negli ultimi anni ha riproposto la minaccia dell'arma biologica con la scoperta della molecola del DNA (Acido Desossiribonucleico), quale fattore responsabile delle informazioni genetiche e quindi dei caratteri degli organismi viventi e dei virus. Questa scoperta ha aperto nuove frontiere allo studio della biologia ed alla sua applicazione, sia in campo pacifico che bellico e terroristico. Anche se in quest'ultimo caso sono necessari professionalità e laboratori altamente specializzati e attrezzati.
L'ingegneria genetica come branca specializzata della biologia molecolare e altre nuove biotecnologie hanno aperto un nuovo fronte, rivoluzionando il concetto di arma biologica: non più arma costituita da agenti biologici "naturali", ma aggressivi biologici progettati e costruiti secondo le esigenze operative.
Le attuali conoscenze tecnico-scientifiche, già impiegate nel campo biomedico, agronomico e veterinario, sono un utilissimo aiuto per sviluppare sistemi dedicati alla rivelazione e protezione da eventuali contaminazioni. Le scoperte scientifiche recenti offrono elementi indispensabili per attuare un'efficace difesa biologica, ma potrebbero essere impiegate a scopi tutt'altro che pacifici per aumentare la virulenza di agenti patogeni già naturalmente presenti in ambiente o per rendere patogeni agenti biologici normalmente innocui.
Molte possono essere le caratteristiche "utili" da conferire a ipotetici aggressivi biologici: la resistenza ai farmaci, l'insensibilità ai tradizionali vaccini e ai normali fattori immunologici, la possibilità di influire sulla persistenza all'ambiente naturale e all'azione di sostanze bonificanti.
In Europa e in Italia si è cercato di affrontare la minaccia bioterroristica unendo le risorse a livello europeo. Fortunatamente l'Europa non ha subito veri attacchi bioterroristici; nonostante ciò i paesi europei, Italia compresa, hanno subito una forte pressione mediatica, accelerando di fatto tutte le azioni tese a contrastare questo rinnovato pericolo.
La comunità internazionale ha reagito a questa nuova minaccia adottando diverse misure per preparare una pronta reazione della sanità pubblica, davanti alle conseguenze di una deliberata diffusione di agenti biologici e chimici.
Le autorità nazionali e le strutture sanitarie hanno assunto un ruolo determinante in tal senso soprattutto per:
  • mettere a punto un sistema di vigilanza sanitaria efficace;
  • favorire la conoscenza nei medici verso le sindromi a cui devono prestare particolare attenzione;
  • disporre orientamenti sanitari condivisi relativi alla presa a carico dei casi;
  • realizzare dispositivi efficaci in grado di garantire informazioni celeri alle autorità incaricate di raccogliere e di valutare i dati epidemiologici;
  • realizzare un sistema di conoscenza e scambi di informazioni sanitarie specifiche nel settore della sanità pubblica;
  • dotare i laboratori di analisi delle competenze e delle capacità necessarie per poter affrontare l'analisi degli agenti a rischio elevato;
  • costruire una rete territoriale di pronto intervento;
  • creare una capacità di rilevazione e di identificazione degli agenti biologici e chimici rapida ed efficiente;
  • creare degli stock di medicinali e di antidoti prontamente disponibili, nonché un sistema di soccorso che consenta di disporre di medicinali e di personale medico specializzato in caso di attacchi;
  • definire regole e diffondere raccomandazioni sui mezzi sanitari necessari per affrontare tali emergenze;
  • adeguare i piani di emergenza ospedalieri e le relative procedure sia per Massiccio Afflusso di Feriti (MAF) che di soccorso sanitario territoriale;
  • adeguare i meccanismi di sicurezza dei prodotti alimentari al fine di potenziare il loro funzionamento tenendo conto della minaccia bioterroristica;
  • adeguare i meccanismi di sicurezza e controllo degli animali selvatici e di compagnia per evitare la diffusione di malattie attraverso questi (contaminazione indiretta);
  • adeguare i meccanismi di sicurezza dei vegetali anche attraverso un maggior controllo dei prodotti fitosanitari che possono agire nella catena alimentare (contaminazione indiretta);
  • potenziare la sicurezza dell'acqua potabile e delle acque all'individuazione precoce di agenti infettivi o di sostanze tossiche;
  • creare una banca dati nazionale e costruire poli d'eccellenza;
  • costruire una rete di interscambio rapido di informazioni a livello comunitario e internazionale;
  • costruire un servizio sanitario integrato in una forma di coordinamento con le forze di polizia, militari, dei Vigili del Fuoco, ecc.
Se tutto ciò in molti paesi europei, e non solo, vede l'attività della protezione civile quale principale attore nell'analisi degli scenari probabilistici di accadimento e nella redazione di piani di intervento, in Italia questo compito è affidato al sistema di Difesa Civile del paese.
Difesa Civile è un'espressione che indica l'attività preposta alla tutela, alla vigilanza ed al soccorso della popolazione civile in situazioni emergenziali, con metodologie di tipo civile, cioè non militare, sebbene con diverse sfumature di significato, anche se dirette in forma gerarchica e militare.
In vari paesi europei ed extracontinentali, con il nome Civil Defense vengono individuate sia le attività di Protezione che di Difesa Civile. Tuttavia ad oggi non ne esiste una definizione univoca, nemmeno a livello normativo nel diritto internazionale umanitario.
Durante la prima e la seconda Guerra mondiale, il termine veniva utilizzato in relazione alla difesa degli obiettivi civili dai bombardamenti e dagli attacchi con il gas, quindi principalmente di tipo militare.
In tempi più recenti, l'espressione individua quell'attività di tutela della popolazione e degli interessi nazionali svolta da parte dello Stato in occasione di eventi che mettono in pericolo la società e la continuità di governo dello Stato.
L'espressione designa quindi un modello di difesa di tipo prettamente civile, ma organizzato in forma gerarchico militare.
Sebbene attualmente non esista una definizione formale, la competenza in materia di Difesa Civile in Italia è attribuita al Ministero dell'Interno con alcune eccezioni riservate al Dipartimento della Protezione Civile, che vede protagonisti sul territorio gli Uffici Territoriali di Governo, che la esercitano attraverso il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, nel cui ambito opera la Direzione Centrale per la Difesa Civile. L'attività di Difesa Civile si differenzia da quella svolta dalla protezione civile per diversi aspetti. In Italia le due strutture hanno anche un diverso incardinamento istituzionale: Dipartimento della Presidenza del Consiglio a livello centrale - Regioni (potestà legislativa concorrente) a livello decentrato (Protezione Civile); Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (Difesa Civile). In ciò l'Italia si differenzia dalla quasi totalità delle Nazioni, dove le due materie afferiscono la stessa organizzazione statuale, usualmente coincidente con l'Amministrazione dell'Interno, se non direttamente con le strutture di polizia.
Il Prefetto, in Difesa Civile come in materia di protezione civile, assicura a livello locale il coordinamento a livello provinciale, anche per mezzo del Comitato provinciale, per l'ordine e la sicurezza pubblica ed il Sindaco assicura il coordinamento a livello comunale.
Conseguentemente la Difesa Civile trova un rapporto gerarchico diretto tra struttura Centrale e periferica nelle Prefetture, considerando le Regioni, Province e comuni esclusivamente parti integranti del sistema come funzionali e di supporto per le attività collaterali, quali l'assistenza alla popolazione, l'attività di assistenza sanitaria e di ricerca sanitaria.
In funzione di questa organizzazione, in caso di attacchi a carattere bioterroristico, in cui le misure di protezione fisica e di aiuto devono poter essere adottate quanto più rapidamente possibile, le strutture sanitarie territoriali come ospedali e servizio 118 sono immediatamente coinvolte per l'assistenza sanitaria.
I centri di ricerca sanitari specializzati, che devono procedere ad una prima valutazione delle conseguenze e dei rischi sanitari, una volta compreso l'utilizzo del meccanismo di contaminazione biologica, devono poter realizzare immediatamente interventi adeguati. Le autorità sanitarie hanno la responsabilità di adottare le misure preventive, correttive e terapeutiche necessarie (decontaminazione delle persone esposte, prelievo di campioni a fini di analisi o somministrazione di cure profilattiche, ecc.). D'altro canto, l'attuazione dei piani di emergenza per la Difesa Civile (da non confondersi con i piani di emergenza di protezione civile) sono redatti dai Prefetti e devono poter garantire un livello di risposta efficace e, pertanto, considerare e coinvolgere le strutture sanitarie locali. Il piano di Difesa Civile deve altresì considerare come l'assistenza alla popolazione coinvolta sia competenza diretta dei Sindaci, che coinvolgeranno le strutture di protezione civile locali.
Ovviamente la direzione unitaria rimane alle strutture operative nazionali, anche decentrate.
In un'ottica più europea la U. E. funge da coordinatore, ponendosi i seguenti obiettivi:
  • Instaurare un meccanismo di allarme e di scambio di informazioni. Questo meccanismo è organizzato da un comitato di sicurezza sanitaria e da un sistema di allertamento rapido. Il comitato deve poter scambiare informazioni sulle minacce collegate alla salute, sui piani di preparazione e di reazione, nonché sulle strategie di gestione delle crisi. Il sistema di allertamento rapido (in codice è "RAS-BICHAT"), in funzione dal giugno 2002 per le notifiche di incidenti che comportano la diffusione deliberata di agenti biologici e chimici con l'intenzione di nuocere, diventa fondamentale per lo scambio di tali informazioni in forma condivisa. In tale ottica, la rilevazione della diffusione deliberata di agenti biologici si basa in primo luogo sui sistemi di vigilanza di cui dispongono gli Stati membri per controllare l'insorgere di malattie infettive. Ciò ha reso necessari maggiori sforzi per la messa a punto di nuovi strumenti diagnostici per il rilevamento rapido.
  • Favorire il coordinamento dei sistemi di vigilanza nazionale in un quadro comunitario concernente la sorveglianza e il controllo delle malattie trasmissibili.
  • Realizzare una classificazione degli agenti biologici che possano essere utilizzati nel bioterrorismo, anche legata ai vari elenchi di agenti biologici e chimici, cui si applicano disposizioni collegate al controllo delle esportazioni.
  • Realizzare una forma di coordinamento per la risposta comunitaria, mantenendo rapporti con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali, favorendo consultazioni a livello comunitario e internazionale volte a migliorare ed adeguare i piani di emergenza nazionali alla nuova minaccia di una diffusione dissimulata di agenti chimici e biologici.
A tal fine la pianificazione nazionale e comunitaria ha previsto la disponibilità e la costituzione di dotazioni di medicinali per far fronte agli attacchi bioterroristici.
La maggior parte degli Stati membri ha costituito stock di antibiotici e vaccini (soprattutto antivaiolo) a livello nazionale.
Il periodo che ha seguito gli attacchi bioterroristici lanciati contro gli Stati Uniti ha posto in evidenza l'importanza di disporre di medicinali, favorendo la capacità dell'industria di rimediare a qualunque carenza nella produzione e nell'approvvigionamento. Una task-force comunitaria (Commissione e industria farmaceutica), è stata creata nel dicembre 2001 con l'obiettivo di esaminare la disponibilità, la capacità di produzione, lo stoccaggio e la capacità di distribuzione di medicine, che possono essere utilizzate per reagire agli attacchi bioterroristici. Non è stato costituito a livello comunitario nessuno stock di medicinali.
L'Italia ha inoltre adottato un Codice di Condotta per la Biosicurezza, il cui "scopo principale è quello di contribuire ad elevare l'attenzione sulla possibilità che la ricerca e le sue applicazioni possa contribuire, direttamente o indirettamente, allo sviluppo ed uso improprio di agenti biologici e tossine", predisponendo un Piano di Emergenza su tutto il territorio Italiano e istituendo un Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie, con il compito di analizzare e gestire i rischi collegati alla diffusione delle malattie infettive e al bioterrorismo
La lotta contro il bioterrorismo è una delle politiche di difesa nazionale e comunitaria che non può essere combattuta in forma sporadica ed isolata, ma che ha bisogno della compartecipazione di diversi protagonisti; il mondo della ricerca scientifica è una delle risorse fondamentali che non può essere scollegata da una corretta pianificazione di protezione civile in un più ampio quadro di gestione delle crisi proprie della difesa generale degli interessi nazionali - Difesa Civile).

Bibliografia