Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XXXV parte)

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Severus PitonRoger in gioventù non aveva la chioma argentea, mi dicono li avesse avuti neri e lisci, poi talmente ricci da essere stato soprannominato di "Napo Orso Capo".
Studi classici e poi subito immerso nel mondo del lavoro della pubblica amministrazione. Mi racconta anche della "bellissima esperienza vissuta intensamente", che gli ha fatto conoscere "persone fantastiche" nel mondo del volontariato. Ci lasciamo con una cordiale stretta di mano ed un sincero arrivederci.
Il mio tour sui chiaro scuri torinesi riprende proprio da piazza Castello.
Una delle esposizioni che non mi stancherei mai di vedere è proprio L'Armeria Reale, una delle più ricche collezioni di armi e armature antiche del mondo. Ha sede nella manica di collegamento tra Palazzo Reale e le Segreterie di Stato da dove vi è l'ingresso principale.
L'ambiente che raccoglie l'armeria è già di per se un piccolo capolavoro come lo scalone di Benedetto Alfieri (1738-1740), la sala della Rotonda (1842), la galleria Beaumont progettata da Filippo Juvarra (1732-1734) e completata da Alfieri dopo il 1762 e decorata ad olio su muro da Claudio Francesco Beaumont, che rappresentò sulla volta le Storie di Enea (1738-1743), e infine la sala del Medagliere disegnata da Pelagio Palagi (1835-1838).
L'idea di costituire una Reale Armeria ebbe origine dopo l'inaugurazione (1832) della Regia Pinacoteca ossia l'attuale Galleria Sabauda, voluta dal re di Sardegna Carlo Alberto. La Galleria Beaumont, svuotata dei quadri fino ad allora esposte, divenne il luogo ideale di raccolta delle armi collezionate dalla intera dinastia dei Savoia. L'Armeria fu aperta al pubblico nel 1837 ed oltre le collezioni personali di casa Savoia, fu arricchita da armi provenienti dal Museo di Antichità e dagli arsenali di Torino, Alessandria e di Genova; negli anni successivi la collezione fu notevolmente ampliata con l'acquisto di ulteriori raccolte nonché grazie a cospicue donazioni.
L'Armeria conserva numerosi tipi di armi e armature dal neolitico fino al XX secolo. Bellissime le armi medioevali tra i quali sono molti i pezzi appartenuti ai sovrani sabaudi, come la spada di San Maurizio, preziosa reliquia appartenuta ai Savoia, databile intorno al XIII secolo. Questa spada è conservata nella sua custodia quattrocentesca in cuoio impresso, dorato e dipinto, insieme ad armi appartenute all'imperatore Carlo V d'Asburgo, le armature appartenute a Emanuele Filiberto, la spada usata da Napoleone Bonaparte nella campagna d'Egitto e nella battaglia di Marengo, oltreché tutte le armi appartenute ai re di Sardegna e poi d'Italia. Ma anche un armatura giapponese donata nel 1870 a Vittorio Emanuele II. Da sempre sono particolarmente attratto dalla collezione di oltre 250 bandiere, per la maggior parte legate dalla storia dei Savoia e dell'esercito sardo durante le guerre del Risorgimento italiano. Molte anche le armi e armature orientali e africane.
Mentre per la sala del Medagliere, ossia la sala che ospitava la collezione delle medaglie e monete antiche e medioevali che re Carlo Alberto amava collezionare, i mobili sono di gusto neo-greco disegnati dallo stesso Pelagio Pelagi e realizzati dall'ebanista di corte Gabriele Cappello di Moncalvo, invece gli affreschi sono di Claudio Francesco Beaumont.
Sempre sotto i portici delle Segreteria, esattamente sotto alla finestra indicata da una lapide che ricorda che da quella finestra re Carlo Alberto dichiaro l'inizio della prima guerra d'indipendenza il 23 marzo 1848, vi è invece l'accesso alla Biblioteca Reale. È una delle più importanti istituzioni culturali nazionali che fu istituita nel 1839 sempre dal re Carlo Alberto, che diede incarico al conte Michele Saverio Provana del Sabbione di raccogliere e inventariare di quanto era rimasto del patrimonio librario nel Palazzo Reale dopo le spoliazioni dell'età napoleonica e dopo la donazione di molti testi da parte di Vittorio Amedeo II all'Università di Torino. Vennero raccolti altri volumi, sia donati dal re che acquistati. Il bibliotecario Domenico Promis, lo stesso del gabinetto del Medagliere ebbe poi un ruolo fondamentale per lo sviluppo della biblioteca, realizzando una raccolta specializzata nella storia degli antichi Stati Sardi e in argomenti militari, oltreché ovviamente di araldica e di numismatica.
La crescita dell'istituzione rallentò notevolmente con l'avvento al trono di Vittorio Emanuele II e con lo spostamento della capitale dapprima a Firenze e poi a Roma.
I sovrani comunque continuarono ad inviare a Torino i libri ricevuti in omaggio.
Un dono importante fu sicuramente quello del codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci da parte del conte Teodoro Sabachnikoff. Tra i materiali conservati, sicuramente il più importante è costituito dall'autoritratto di Leonardo da Vinci, venduto al re Carlo Alberto dal collezionista Giovanni Volpato nel 1839. Autoritratto che ebbi modo di vedere in una rara esposizione, custodito in un reparto sotterraneo della biblioteca. Ma non sono meno importanti degli incunamboli, manoscritti, incisioni, anche i disegni di celebri artisti come Tiepolo, Raffaello, Giovanni Bellini ed altri. Di quella visita ricordo l'ambientazione neoclassica di Pelagio Palagi con scaffalature in legno che coprono interamente le pareti, mentre il soffitto è affrescato, mentre enormi mappamondi sono posti al centro delle sale insieme a preziose vetrine. Nella mia visita mi recai nel sottosuolo dove sono state ricavate delle stanze, veri e propri bunker dotati di sofisticati accorgimenti climatici e di controllo dove vi sono racchiuse ed esposte le opere più preziose come i disegni di Leonardo da Vinci.
Mentre mi reco verso il centro di piazza Castello, incontro Severus Piton, o come la Rowling lo chiama nella sua Hogwarts: Severus Snake (serpente), è un professore di pozioni e di difesa contro le arti oscure oltreché, per un breve periodo di tempo, preside della scuola di magia e Stregoneria di Hogwarts. Anche Severus Piton della Hogwarts torinese ha sempre assunto ruoli di vertice ed è stato guida istrionica di molte correnti di pensiero.
Severus Piton, alla scuola di magia è direttore della casa dei Serpeverde, da sempre antagonista di tutti i maghi della casa di Grifondoro, ma anche di quelle Corvo Nero e Tasso Rosso. In quella torinese fu uno dei miei vicini collaboratori, dimostrandosi un opportunista per eccellenza, benché mi abbia sempre manifestato pubblicamente grande amicizia e considerazione.
Credo che sia un vero e proprio "antieroe" anche se vuole apparire il contrario. La Rowling lo descrive come un uomo alto ed esile, con capelli neri lunghi e sempre unti, il naso adunco e la carnagione pallida. Vestito sempre di nero, tanto che la scrittrice lo definisce simile ad un grande pipistrello. In quello torinese invece ha un viso ovale, colorito chiaro, una bocca con labbra sottili, due occhi profondi ed una capigliatura folta e chiara, potrei definirla quasi bianca evanescente con riflessi violacei.
I Piton di entrambi le Hogwarts hanno una personalità cinica, severa e si comportano con ostilità verso tutti quelli che non appartengono ai Serpeverde o che comunque non la pensano come loro. Cercano sempre di privilegiare i loro adepti, difendendoli in ogni caso, sopratutto se sono mangiamorte. L'apparenza almeno in quello torinese è che nasconda un animo coraggioso, nobile e leale, oltre che furbo e astuto (queste ultime due sono caratteristiche tipiche dei Serpeverde). Il Severus torinese è come quello della Rowling, un mago eccezionale, sin da ragazzo un ottimo occlumante, raccogliendo benevolenza da tutti i suoi professori, dimostrando dimestichezza nella preparazione di ogni tipo di pozione ed intrighi, ha sempre sfruttato la sua ampia conoscenza della magia per uscire dalle situazioni più ingarbugliate e pericolose, sapendo fare ben uso della "legilimanzia" ossia della abilità magica che gli permette di leggere nella mente di un'altra persona le intenzioni o la memoria. Per questo motivo e attraverso il suo utilizzo è venuto a conoscenza degli intenti dei suoi potenziali anniversari. Benché sia un mezzosangue, ha sempre cercato di stare nella élite cittadina, facendo sempre il doppiogiochista.
Ci salutiamo cordialmente, ben sapendo cosa cova nel suo animo il solo vedermi.
Piazza Castello è la piazza principale e cuore del centro storico della città: vi sono situati i più importanti palazzi cittadini, quali palazzo Reale, palazzo Madama, la chiesa di san Lorenzo, palazzo Chiablese, il teatro Regio, palazzo delle segreteria e vi confluiscono quattro dei principali assi viari del centro: via Garibaldi anticamente via Dora Grossa (pedonale), via Po, via Roma e via Pietro Micca.
La piazza fu progettata nel 1584 da Ascanio Vittozzi e si estende su una superficie di circa 40.000 metri quadrati, facendone la seconda piazza per estensione in città, dopo ovviamente piazza Vittorio Veneto. La piazza vide nel XVII diverse manifestazioni popolari, anche sanguinose. La piazza fu successivamente ricostruita da Maria Cristina di Francia, la madre di Carlo Emanuele II di Savoia, futuro duca di Savoia. Fu sempre Lei a far ammodernare il palazzo Reale, e avvio i lavori per il rifacimento del castello degli Acaya poi divenuto palazzo Madama tra il 1645 e il 1646.
La piazza per tutto il seicento e per buona parte del settecento era divisa in tre settori distinti: la zona più antica, ossia quella antistante palazzo Madama, quella antistante il palazzo reale chiamata ancora oggi piazzetta reale e l'altra era quella eretta a seguito dell'ampliamento della città verso via Po. La "piazzetta reale", era all'epoca divisa dal resto della piazza da un muraglione in mattoni, costituita da un lungo porticato, usato dai Savoia come luogo da cui si affacciavano per le manifestazioni pubbliche come per il falò di san Giovanni o per le ostensioni della "sacra Sindone" o "sacro Lino" come veniva chiamato. Tale costruzione era chiamata volgarmente "Padiglione Reale" o "Terrazza di Piazza Castello" e venne demolita nel 1811 da un incendio sviluppatosi durante i festeggiamenti per la nascita del figlio di Napoleone Bonaparte ossia Napoleone Francesco Giuseppe Carlo Bonaparte, re di Roma e imperatore dei francesi. Portò anche il nome di Napoleone II per un brevissimo lasso di tempo.
Il padiglione venne sostituito da una cancellata in ferro fuso, progettato da Pelagio Palagi tra il 1835 e il 1842 per volontà di re Carlo Alberto.
Un altra importante struttura, non più esistente oggi, era la manica che univa la Reggia sabauda a palazzo Madama, percorribile al suo interno dai Savoia. Questa galleria fu realizzata in legno nel 1606 e fu voluta da Carlo Emanuele I, decorata da esimi pittori tra cui Guglielmo Caccia detto Moncalvo; anche questa galleria fu distrutta a causa degli incendi del 1667 e del 1679, venne ricostruita su ordine di Carlo Emanuele II ma demolita, infine, dai francesi di Napoleone Bonaparte.
E fu sempre nel periodo napoleonico che gli edifici della piazza corsero il rischio di esser rasi al suolo perché qualcuno suggerì agli ingegneri dell'Imperatore di distruggere Palazzo Madama per destinare il luogo a Campo di Marte. Fortuna volle che Napoleone considerò folle il progetto e i monumenti furono preservati, purtroppo la stessa sorte non tocco ad Alessandria, mia città, in cui per realizzare la piazza d'armi fu raso al suolo il medioevale duomo.
Piazza Castello nel periodo della permanenza in città della Corte sabauda, fu il luogo più importante dello Stato piemontese, ma ancora recentemente rappresenta insieme agli edifici di maggiore importanza e di più grande valore artistico il cuore del potere sabaudo. Vi sono pregevoli monumenti come il monumento al Cavaliere d'Italia, opera di Pietro Canonica del 1923, curioso sapere che in origine il monumento al Cavaliere d'Italia, era stato collocato di fronte a via Po e in quel luogo in origine vi era un monumento dedicato a Galileo Ferraris opera di Luigi Contratti (Portogruaro 1868- Torino1923) che aveva suscitato scandalo per l'opulenza di un nudo femminile e di una sfinge alata, posta sul basamento della statua del famoso scienziato, quale allegoria della verità della natura e della scienza. Il Monumento di Galileo Ferraris fu poi spostata nel quartiere crocetta. Da quel luogo il Cavaliere d'Italia, sarà successivamente spostato a lato di palazzo madama per far posto all'immensa opera di Eugenio Baroni dedicata al duca d'Aosta e alla sua terza armata, realizzato per celebrare la prima guerra mondiale. Si narra che la statua in bronzo del duca e dei combattenti furono fusi nel bronzo dei cannoni nemici. Frontale invece a via Garibaldi vi è la scultura dedicata all'Alfiere dell'Esercito Sardo, opera di Vincenzo Vela inaugurata nell'aprile 1859 e donato dai cittadini milanesi alla città di Torino nel 1857. I torinesi ricambiarono l'omaggio intitolando la via che transita davanti al palazzo comunale alla città di Milano, prima denominata via d'Italia. Piazza Castello è circondata quasi interamente da monumentali portici, costruiti in periodi differenti, sotto questi portici esisteva l'Hotel Trombetta (divenuto poi Hotel Europa ed oggi non più esistente), che ospitò nel 1861 le delegazioni delle varie regioni italiane, le quali portavano le loro adesioni all'Unità d'Italia, ma vi alloggiò anche Giuseppe Garibaldi quanto si intratteneva a Torino per le sedute del parlamento. Faccio due passi verso il centro della piazza accompagnato da Severus Piton, sempre vestito con i suoi completi in velluto color nocciola. Mi fermo davanti al monumento all'Alfiere dell'Esercito Sardo, dove è stato immortalato dallo scultore ticinese un alfiere con sciabola sguainata e tricolore. Questa posizione mi permette di osservare tutti i principali edifici, eretti nel corso dei secoli e che offrono uno spaccato della storia torinese attraverso questa piazza che ne rappresenta un libro aperto.
Il monumento all'Alfiere dell'Esercito Sardo è stato collocato dove un tempo si accendeva il falò per la festa patronale di san Giovanni Battista, il 23 giugno, alla presenza di una gran folla e dei dignitari di corte. Si racconta che erano gli uomini di Grugliasco a dover procurare le fascine. Si narra altresì che un anno, il 1384, gli uomini di Grugliasco si rifiutarono di portare le fascine e che i torinesi, inferociti, si recarono nella cittadina e abbatterono un tratto delle mura difensive.
Era il principe che accendeva il falò con un tizzone acceso, consegnatogli dal Sindaco, avendo cura di accendere la catasta di fascine sorrette da un alto palo posto centralmente, partendo dalla parte più bassa. Ancora oggi i torinesi, benché il falò non s'abbruci più in piazza Castello, trattengono il fiato mentre divampano le fiamme che avvolgono l'intera pira, traendo le loro sorti per i dodici mesi successivi, infatti la tradizione vuole che se la grande catasta infiammata cade verso la stazione ferroviaria di Porta Nuova sono propiziati dalla buona sorte, se cade dalla parte avversa le previsioni sono di carestie e difficoltà.
La particolarità del falò torinese dedicato a san Giovanni Battista e che non s'abbruci il 24 giugno, ricorrenza del santo ma la sera prima del 23 giugno. Infatti i torinesi hanno legato il sacro al profano, mantenendo il rito pagano del solstizio d'estate, un passaggio secondo i druidi celti che porta la Terra dal predominio lunare a quello solare, nella notte più breve dell'anno. Il rito, nel medioevo, serviva anche per esorcizzare quella che era considerata una notte carica di energie positive che combattevano contro le negative, infatti era d'uso accendere dei falò sulle colline e sui monti con lo scopo di cacciare demoni e streghe e anche per prevenire le malattie. Tipica convinzione piemontese era che il falò di san Giovanni servisse per assicurare buoni raccolti, proteggere da tuoni, grandine e anche preservare dalle malattie il bestiame. Nelle campagne i riti propiziatori più curiosi come quello di comperare l'aglio per assicurarsi un anno propizio, oppure di raccogliere un ramo di felce a mezzanotte e conservarlo in casa per favorire la fortuna o ancora raccogliere le noci ancora acerbe e preparare il "nocino".
La leggenda vuole inoltre che l'erba raccolta la notte del 23 giugno, servisse a scacciare i diavoli ed era chiamata "l'Erba di san Giovanni", l'erba in questione era l'iperico che era usata e lo è ancora oggi per i suoi poteri terapeutici contro la depressione.
San Giovanni Battista è il patrono di Torino insieme a santa Maria Consolata, il primo da tempi quasi immemorabili, infatti già nel 602, durante il regno del duca Agilulfo, esisteva in città una chiesa a lui dedicata e nel medioevo in onore del patrono la città si fermava per due giorni. In quei due giorni i cittadini e contadini provenienti delle campagne circostanti si radunavano per assistere alla tradizionale corsa dei buoi che aveva luogo in Borgo.
Sempre in questa piazza si alzò il primo "albero della libertà" nel dicembre 1798 e sempre in questa piazza i torinesi abbruciarono il 21 gennaio dell'anno successivo diplomi, pergamene, titoli nobiliari e molti altri importanti documenti, presi dalla frenesia giacobina. Gli "alberi della libertà" furono atterrati il 26 maggio 1799 dall'intervento del generale Suvarov e del feld maresciallo Melas, ma non tardarono a risorgere il 23 luglio 1800 dopo la vittoria di Napoleone a Marengo il 14 giugno 1800, ossia il IV termidoro anno VIII.
Più recentemente, sempre da questa piazza partiva una particolare linea tranviaria che collegava piazza castello con il sobborgo Sassi, zona ai bordi della collina, ma partivano sempre da piazza castello sei delle diciotto linee tranviarie che fungevano da collegamento urbano.
Mi soffermo a guardare palazzo Madama, il cui nome vero sarebbe casaforte di Casa Acaia, il quale si erge sulle rovine dell'antica porta Decumana, poi inglobata nel castello. L'edificio divenne sistema difensivo e poi palazzo vero e proprio, simbolo del potere a Torino fino al XVI secolo, quando venne scelto l'attuale palazzo Reale come sede dei duca di Savoia.
La primitiva fortificazione passò ai marchesi di Monferrato nel XIII secolo, e questo fu il luogo dove nel 1280, con buona probabilità, venne siglato il trattato tra Guglielmo VII del Monferrato e Tommaso III di Savoia che prevedeva la liberazione del primo e della moglie Beatrice di Castiglia per la cessione di Torino, Grugliasco e Collegno ai Savoia.
La fortificazione di Porta Decumana passò in proprietà dei Savoia-Acaja (ramo cadetto dei Savoia) nella prima metà del XIV secolo che lo ingrandirono e lo trasformarono a castello, fu da allora che i Savoia esercitarono su Torino un effettivo potere, facendo della casa-forte il centro del potere. Fu sempre un Acaja, ossia Lodovico, a rimaneggiare ulteriormente il castello, facendogli assumere la forma quadrata con corte e portico, quattro torri cilindriche angolari, due sono ancora quelle romane dell'antica porta. Con l'estinzione del ramo d'Acaja il castello si trasformo in una residenza per gli ospiti dei Savoia. Il Castello fu designato quale residenza temporanea del duca, nel corso dei suoi viaggi a Torino, quando ancora la capitale era a Chambéry. Tra gli ospiti di Casa Savoia spicca la figura di Carlo VIII di Francia, che qui ebbe dimora il 4 settembre 1494, in occasione della sua discesa verso il Regno di Napoli. Fu anche dimora stabile della reggente Bianca di Monferrato, moglie di Carlo I di Savoia, durante il periodo di permanenza torinese in occasione della minore età dell'unico figlio, Carlo Giovanni Amedeo, morto poi prematuramente. Quando Carlo VIII giunse a Torino, Bianca, che allora abitava le stanze del palazzo, cedette i suoi appartamenti al re di Francia, ritirandosi nelle sale del palazzo vescovile.
Vi trovo residenza anche se per breve periodo Emanuele Filiberto di Savoia, che ne voleva fare la residenza dei duchi dopo aver spostato la capitale da Chambéry a Torino, fintanto che il vecchio palazzo vescovile non fu trasformato in palazzo reale. Palazzo Madama divenne cosi un edificio destinato ad ospitare illustri invitati. Comunque matrimoni importanti, ricorrenze e festività solenni come l'esposizione del "sacro Lino" vide palazzo Madama protagonista. Nel 1637 a palazzo Madama vi trovò dimora la reggente del duca Carlo Emanuele II di Savoia, Maria Cristina di Borbone-Francia, volendo sottrarsi all'aria pesante della corte. Vengono fatti importanti lavori come la copertura della corte (che ancora oggi si eleva un piano al di sopra del resto della costruzione) e l'ammodernamento degli appartamenti interni.
Un'altra donna, sessant'anni più tardi,Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours (reggente di Vittorio Amedeo II di Savoia) abiterà il castello che ormai è un palazzo, ma è a lei si deve l'aspetto attuale e parte del nome del palazzo stesso, come sede delle reggenze di due "Madame Reali".
Viene rimosso l'antico ponte levatoio, ancora presente fino al 1686, vengono chiamati ai lavori di restauro e modifiche Carlo ed Amedeo di Castellamonte, assieme al pittore Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. Il vecchio castello medioevale venne riqualificato anche grazie all'opera architetto di casa Savoia, Filippo Juvarra che lo ridisegna in stile barocco, opera che rimarrà incompleta tranne per la sua è la grande facciata in pietra bianca, che ancora oggi domina piazza castello. Sopra ad un piano a bugnato si eleva alto un corpo con grandi finestroni scandito da colonne e lesene che sorreggono una trabeazione scolpita sormontata da un'elegante balaustra decorata con vasi e statue anch'esse di marmo bianco che pare tutta appoggiata all'antico castello medioevale.
Scrivere di palazzo Madama è impossibile non pensare per un attimo al talamo nuziale di Cristina di Francia che nel 1619 a soli 13 anni andò in sposa al principe ereditario dei Savoia Vittorio Amedeo, ma anche ai capricci di Maria Giovanna Battista, moglie di Carlo Emanuele II, donna dissoluta e dai numerosi amanti.
Gli interni del palazzo, subirono pesanti rimaneggiamenti dovuti ai diversi usi che se ne fece, da commissariato di polizia a sede del governo provvisorio francese durante le campagne napoleoniche e poi ancora sede dei Comandi Militari, fino ad essere adibito ad osservatorio astronomico dal 1822, erigendovi sulla sommità dell'edificio, una curiosa cupoletta per le osservazioni scientifiche, osservatorio fortunatamente poi spostato in collina.
Re Carlo Alberto trasformo l'edificio, facendolo diventare sede della Pinacoteca Regia (poi Museo Civico) e successivamente del Senato Subalpino e quindi sede della Corte di Cassazione: il Senato, venne inaugurato l'8 maggio 1848, mentre il re era in guerra contro l'Austria; l'ultima seduta è datata 9 dicembre 1864. L'aula del Senato Subalpino rimase integra fino al 1927 e venne demolita per lavori interni all'edificio.
Fu a palazzo Madama che il 6 maggio 1949 si svolsero i funerali della squadra di calcio del Grande Torino, dopo il tragico incidente aereo di Superga. Le salme furono esposte nel palazzo per poi essere trasportate fuori in un lungo corteo, immerse da una folla di circa 500.000 persone radunatesi per dare l'estremo saluto ad una delle più belle ed esaltanti compagini calcistiche di tutti i tempi.
Non a caso Guido Gozzano scriveva in L'Altare del Passato, La casa dei secoli: «La casa dei secoli è il palazzo Madama. Nessun edificio racchiude tanta somma di tempo, di storia, di poesia nella sua decrepitudine varia. [...] Il Palazzo Madama è come una sintesi di pietra di tutto il passato torinese, dai tempi delle origini, dall'epoca romana, ai giorni del nostro Risorgimento».
Oggi nel palazzo ha sede il Museo civico d'arte antica che ho avuto modo più volte di poter vedere e che sempre con fascino mi piace frequentare.
Severus Pitus, dopo una lunga chiacchierata su labili argomenti, quasi volesse leggermi il pensiero e manifestandomi una antica amicizia, che oggi più che mai ritengo tradita dall'opportunismo mi lascia con il suo solito sguardo lusingatore e con passo rapido si allontana, verso palazzo piazza delle erbe.



Fine XXXV parte.