Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il dirigibile in città

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dirigibileCalzati gli scarponcini, ancora sporchi di fango ormai seccato e verificato di aver preso la macchina fotografica, con Matteo mi avvio verso un appezzamento di terreno posto in città e abbandonato da anni, dove è nata una folta boscaglia spontanea.
Il cielo stamani ha colori strani, verso le colline del Monferrato è sclento, di quell’azzurro che pare essere lo scenario del paradiso: il sole con i suoi raggi lancia saette che lo rendono ancor più luminoso e a tratti pare biancheggiare, ma come volgo lo sguardo verso le montagne, il cielo si rabbuia, nuvole bianche nascondo l’azzurro cielo e il sole fa fatica ad attraversare quelle masse nuvolose che paiono a tratti disegnare alte torri e castelli mentre in altre sembrano coprire come un grande velo l’azzurro del cielo. La bianca tela delle nuvole qua e là pare squarciata e disordinata mentre il sole tenta d’infiltrarsi con i suoi luminosi raggi.
Una signora cammina con il suo cagnolino scodinzolante di pura razza bastardina sotto il viale pedonale alberato con eleganti ed ombrosi tigli che in questa stagione emanano un gradevole e dolce profumo. Il parcheggio del cimitero cittadino è vuoto, l’ampio prato verde recentemente tagliato pare ancora bagnato dalla rugiada mattutina, solo alcune biciclette sono appoggiate ai muri del camposanto.
Ci avventuriamo in quella che sembra una giungla, seguiamo una via tracciata da qualche animale incontrando frondose robinie, aceri, frassini, roverelle, ciliegi selvatici che fungono da rifugio per una moltitudine di uccelli, che al nostro passaggio scappano intimoriti. Le erbe sono alte, il passaggio è difficoltoso, roveti di more rendono ancora più difficile l’inoltrarsi in questa giungla cittadina, impossibile non rimanere punto dalle spine degli arbusti delle More selvatiche. Con le mani e con i piedi devi allargarti il sentiero, cercando di piegare le erbe più alte.
Pare un atlante di erbaccioni, fortunatamente la Bardana non ha ancora fruttificato, quindi possiamo almeno evitare di essere punti dalle sue setole acuminate: è presente la Calcatreppola, la Stipa pennata e vari tipi di Festuca, Euforbia, Avena fatua, Vitalba, Stellaria. Sono ormai alte le Fitolacche americane o Uva turca, anche i Convolvoli stanno affastellando le piante e i rami degli odorosi e spinosi Biancospini. Attraversiamo una distesa di Pepe d’acqua prima di raggiungere il nostro obbiettivo per il quale abbiamo fatto questa scarpinata.
Davanti a noi, sopra una montagnola di terra, si erge solitaria una delle più importati memorie storiche dimenticate dagli alessandrini. Ogni tanto qualche giornalista locale si avventura in questa piccola boscaglia per verificare se l’ultima memoria storica dell’antico aeroscalo per dirigibili è ancora in piedi… Infatti nel 1913 il Regio Esercito decise di stabilire proprio ad Alessandria un aeroscalo per dirigibili. Vi fu innalzato un pilone d'ormeggio sul lato sud-est di quello che oggi è l'aeroporto di Alessandria e vi fu costruito un hangar, anzi vi fu rimontato un hangar giunto da Bengasi, su un treno composto da 49 vagoni per accogliere una delle meravigliose navi dell'aria, come venivano definiti i dirigibili all’epoca. Infatti l’hangar era stato usato per il dirigibile d'osservazione impiegato nella guerra Italo/Turca del 1911/1912.
Furono così destinati ad Alessandria un nutrito numero di ufficiali, meccanici, specialisti aerostieri. Tale iniziativa era stata sostenuta dall'allora Sindaco Comm. Franzini promuovendo un’istanza per far diventare Alessandria sede di una squadriglia di aeroplani che del dirigibile, allora, costituivano il completamento.
Il pilone di attracco per i dirigibili è ancora oggi visibile mentre l'hangar venne smantellato al termine del primo conflitto mondiale.
L'arrugginito pilone d’attracco che decidiamo di fotografare, vuole essere un ricordo ed una memoria storica della mia città. È infatti storicamente anche legato alla storia aeronautica della città sia per gli usi militari sia perché utilizzato da Celestino Usuelli. Costui, milanese di nascita, attratto da quelli che oggi chiameremmo sport estremi, scalò le più alte vette delle Ande. Nel 1901 fu il primo alpinista a scalare la vetta del vulcano Chachani in Perù, alto 6.075 metri; mentre nel 1903 fu il secondo a scalare il vulcano ecuadoriano Chimborazo (m. 6.310). Ma per gli alessandrini era il marito di Giulia Strada, figlia di Rosa Borsalino e nipote di Giuseppe Borsalino. Legato pertanto alla più importante famiglia industriale di Alessandria.
Celestino e Giulia ebbero un figlio, Teresio Usuelli (ultimo proprietario del noto cappellificio) che si unì in matrimonio con Giovanna Raisini. Da questo matrimonio purtroppo non nacquero figli e la dinastia dei Borsalino ebbe fine. L’amicizia che mi legava con Giovanna, oltre che il desiderio di ricordare un pezzo di storia civica, ha voluto che oggi con Matteo raggiungessimo questo pilone d’attracco oramai dimenticato da tutti, in primis dalle pubbliche istituzioni che avrebbero l’obbligo morale di salvaguardarlo. Infatti qualcuno afferma che il pilone d’attracco fu voluto e realizzato da Celestino Usuelli, prima che ad Alessandria fosse montato l’hangar.
Celestino, oltre ad essere membro del consiglio d’amministrazione della nota azienda, fu anche pilota e progettista di dirigibili. Tornato in Italia dalle sue escursioni e scalate in centro america, fu affascinato dai dirigibili e divenne uno dei primi temerari dirigibilisti italiani. Fra le sue imprese, il raid Torino-Milano del 14 novembre 1911, compiuto in poco meno di cinque ore di navigazione aerea nonostante un forte vento contrario, ma passò alla storia quando l'11 novembre 1906 sorvolò le Alpi insieme a Carlo Crespi, percorrendo in poco più di quattro ore la tratta Milano-Aix-les-Bains. Il 5 luglio 1907 Usuelli raggiunse i 5700 metri in pallone aerostatico; partecipò anche a varie manifestazioni aerostatiche internazionali, come le edizioni 1908 e 1912 della coppa Gordon Bennet. Compagno in molte azzardate imprese aeree era stato sovente il Commendatore Mario Borsalino, fratello del senatore Teresio.
Come progettista di dirigibili, Celestino non ebbe molta fortuna; aveva il suo laboratorio di progettazione alla Bovisa, nella periferia di Milano e tra le sue realizzazioni si ricordano l'U3, dirigibile floscio del 1914 (U stava per Usuelli) e l'U4, per la lotta ai sommergibili. Mentre L'U1 e l'U2 furono trascinati dalla furia dei temporali mentre erano ormeggiati a terra; l'U3 fu ritirato dall'attività prima dello scoppio della prima guerra mondiale, dopo aver subito il medesimo destino dei due precedenti e l'U4 fu utilizzato solo a titolo sperimentale. Il colpo di grazia l’ebbe con l’U5 che dopo aver effettuato 69 ascensioni, precipitò al suolo il 2 maggio 1918 presso Castellina Marittima (Pisa) causando la morte dei cinque membri dell'equipaggio.
Terminata la prima guerra mondiale, Usuelli proseguì a Roma la sua attività di progettista e costruttore, e nel 1919 realizzò e vendette negli Stati Uniti, il dirigibile T34. Il T34 (T per "transatlantico" e 34 per il volume in migliaia di mc) fu il più grande dirigibile semirigido costruito fino a quel momento. Aveva appena progettato un'aeronave più grande, il T120, quando, il 6 aprile 1926, per un incidente automobilistico a San Germano vercellese, scomparve prematuramente a soli quarantanove anni.
Compagno di viaggio in molte avventure aeree, Mario Borsalino non fu da meno, infatti anche lui fu pilota di pallone aerostatico. Il suo viaggio più sfortunato fu quello del 17 gennaio dell’anno 1907 quando, partito da Alessandria fu costretto a scendere a Tovo San Giacomo, un paesino della Riviera Ligure in provincia di Savona; il suo mezzo inavvertitamente urtò contro il comignolo di una abitazione sbattendolo a terra, per fortuna rimase incolume. Sempre con il nipote, Celestino Usuelli, Mario Borsalino vinse la Coppa Gordon Bennett nel 1908, superando i 23 equipaggi in gara sorvolando per primo Berlino.
Dopo queste digressioni su una pagina di storia cittadina poco nota di cui rimane solo questo arrugginito attracco del dirigibile che pare con tenacia voglia rimane in piedi a sfidare intemperie, ruggine, vandali e anche lottando contro un Bagolaro che ha voluto insidiare la base dell’attracco con le sue radici crescendo all’interno del suo traliccio, lascio a Matteo il compito di fotografarlo, mentre mi arrampico, con non poca difficoltà, fino alla sua base.
Dopo alcuni scatti fotografici ed aver scambiato qualche commento sulla storia dell’attracco, lentamente ci allontaniamo. Un leggero venticello caldo si è alzato e mi spettina i pochi capelli che ormai ricoprono la mia nuca: ripercorriamo a ritroso la vegetazione spontanea che ha coperto questo angolo dell’antico aeroscalo e che l’incuria degli uomini ne ha sepolto una parte consistente.
Dalla strada asfalta che costeggia il cimitero volgiamo lo sguardo verso l’antica piazza d’Armi e ad una cinquantina di metri dal cimitero è ancora ben visibile quel che rimane dell’antico attracco per dirigibili. Nonostante l’intrico della vegetazione spontanea, pare voglia rimanere sentinella di antica memoria tutta cittadina. Lasciando alle nostre spalle l’attracco e la giungla cittadina che lo circonda, con Matteo ci chiediamo se qualcuno avrà mai voglia di recuperare e riportare alla luce un reperto che rappresenta parte della nostra storia cittadina e dell’Italia intera.

Bibliografia
Sito web http://www.aerostati.it/ottoenove.htm
Sito web http://www.lapulceonline.it/2013/01/22/
Il Piccolo (giornale di Alessandria) del 10 aprile 1926
Franco Montaldo su Oggi Cronaca del 13 Ottobre 2013
La Lega Liberale periodico politico amministrativo della Provincia di Alessandria anno XXVIII n°42 sabato 18 ottobre 1913
Basilio Di Martino, I dirigibili italiani nella Grande Guerra, Ufficio storico A.M., Roma, 2005, pagg. 359-60
Michele Quirici, Paolo Gori. L' aeroscalo di Pontedera. I dirigibili italiani. Fornacette, 1986, pag. 69 e succ.