La visita è breve e suggestiva, come breve e suggestiva la sosta effettuata a Pyrgos, una cittadina situata nell'entroterra, al centro di una fertile area collinare e di pianura, situato nella periferia della Grecia occidentale.
Raggiungiamo Olimpia, antica città della Grecia dove si svolgevano i giochi "olimpici" ma anche luogo di culto di grande importanza, come testimoniano i resti di antichi templi, dei teatri e dei vari monumenti e statue, venuti alla luce con gli scavi archeologici.
Olimpia era incastonata in una valle situata lungo il corso del fiume Alfeo, nell'Elide, come viene definita l'area geografica nord-occidentale del Peloponneso. Ci aggiriamo in una giornata caldissima tra gli antichi edifici spesso adibiti ad alloggio per gli atleti che partecipavano ai giochi che si svolgevano ogni quattro anni in onore di Zeus, detti appunto olimpici.
Olimpia comprendeva un recinto sacro, l'Altis, che in greco antico vuol dire bosco sacro, situato in posizione sopraelevata rispetto alle altre costruzioni e al cui interno sorgevano i più importanti monumenti di culto. Il più famoso tempio era quello eretto in onore di Zeus: internamente vi si trovava la gigantesca statua crisoelefantina del dio realizzata in oro e avorio da Fidia (o Phidia) nel 430 a.C. e inserita fra le sette meraviglie del mondo. Si racconta che la colossale scultura era alta 12,40 m; un viaggiatore, Pausania, descrisse nel II sec. d.C.: Zeus seduto in trono, che reca uno scettro nella sua mano sinistra e una vittoria alata (Nike) nella destra. La statua era ricoperta di avorio e d'oro.
Il tempio di Zeus, che era il più grande ed importante dell'Altis, fu cominciato nel 470 a. C. e venne completato nel 456 a. C., come svelerebbe una incisione su un blocco facente parte di un timpano. L'edificio sarebbe stato dedicato dagli Spartani al dio per celebrare la loro vittoria a Tanagra sugli ateniesi.
Vaghiamo tra i ruderi sotto un caldo sole, con un leggero capellino a proteggerci dai raggi, ma tra la terra arsa e le pietre che riflettono i raggi solari, si fa veramente fatica a soffermarsi ad ammirare lo spettacolo di questa città dei giochi olimpici.
L'Heraion era invece il tempio dedicato alla dea greca Era, uno dei più antichi edifici di arte dorica esistente e di cui oggi si possono ancora ammirare i resti. Mi colpisce l'idea che questo fosse il luogo dove venivano custodite le corone di alloro riservate ai vincitori dei giochi.
Percorriamo lentamente una delle vie principali di Olimpia che un tempo era fiancheggiata da dodici thesauroi, ossia dei templi votivi al cui interno venivano custoditi i tesori delle città che partecipavano ai giochi.
Verso la parte orientale dell'Altis osserviamo quello che rimane dello stadio e delll'ippodromo, mentre sul lato opposto vi erano la palestra e il ginnasio. Questi ultimi erano i luoghi in cui almeno un mese prima dell'inizio delle gare gli atleti che volevano partecipare ai giochi dovevano allenarsi.
Ed erano in questi luoghi che si svolgevano ogni 4 anni i celebri Giochi Olimpici (Olimpiadi). Olimpia però non assunse mai la configurazione di una vera città, rimanendo sempre un insieme di templi, terreni sacri, palestre e luoghi dove allenarsi e gareggiare in attività sportive.
Fu un archeologo inglese, Richard Chandler, che nel 1776 portò per primo alla luce le rovine dell'antica Olympia, ma i veri primi scavi effettuati vennero eseguiti da un gruppo di archeologi francesi nel 1829, seguiti poi da un gruppo di tedeschi tra il 1875 ed il 1881. Da questi scavi venne riportata alla luce la famosa statua di Ermes col piccolo Dioniso.
Le Olimpiadi erano in realtà una festa sportivo-religiosa che vedeva uniti tutti i greci e riusciva a far cessare tutte le guerre tra le varie città elleniche durante il suo svolgimento. Ciò ci fa comprendere che in realtà il vero mito di Olimpia, non fosse quello del barone Pierre de Frédy di Coubertin, conosciuto per essere stato il fondatore dei Giochi olimpici moderni, «L'importante non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale non è la vittoria ma la certezza di essersi battuti bene». In verità contava solo la vittoria.
Mentre i miei compagni di viaggio vagano tra le rovine della città olimpica, mi siedo sui gradoni, che oggi chiameremmo spalti, e il mio pensiero corre a quello che erano gli antichi giochi olimpici. Avevo letto tante storie sul loro svolgimento, soprattutto sulle leggende che li riguardano e mi percorrono la mente molte di queste narrazioni. Mi immagino le gare che si svolgevano, con il pugilato, la corsa, il pentathlon - cioè un insieme di 5 gare che prevedevano il salto in lungo, la corsa, il lancio del disco, il lancio del giavellotto e la lotta, ma anche le gare con i cavalli e con i carri, oltre all'hoplitodromos, come veniva chiamata la corsa con le armi. Il primo documento scritto che può riferirsi alla nascita delle Olimpiadi narra di una "festa" con una unica gara di corsa: lo stadion. Successivamente altri sport si aggiunsero alla corsa con il numero delle gare che crebbe fino a venti, per durare sette giorni.
I vincitori delle gare venivano fatti oggetto di ammirazione e immortalati in statue e poemi, e fregiati di una corona di alloro. La partecipazione era riservata ai cittadini greci maschi liberi. Ed erano solamente uomini di lingua greca che potevano partecipare alle olimpiadi provenienti dalle varie Città Stato della Grecia ma anche dalle colonie.
Mi diverte il pensiero anche su quanti racconti mitologici sono nati sui giochi olimpici. Una versione vuole che il fondatore dei giochi sia stato il semidio Eracle (Ercole) dopo aver ripulito le stalle di Augia (sesta impresa delle celebri dodici fatiche di Eracle): abbattute le pareti vi deviò il corso del fiume Alfeo e dopo aver ucciso il re che si era rifiutato di consegnargli la dovuta ricompensa, per ingraziarsi gli Déi istituì i giochi stabilendo che il premio fosse un verde rametto d'ulivo proveniente dalle fonti dell'Istro. Sempre secondo questa leggenda alla prima edizione parteciparono anche Apollo ed Ares. Invece Pausania il Periegeta, nella sua Periegesi della Grecia (V e VI libro), scrive che i creatori dei Giochi sarebbero stati i cinque fratelli Dattili, appartenenti al popolo dei Cureti esuli dall'Eubea, custodi a Creta del giovane Zeus figlio di Rea, incaricati di nasconderlo al padre Crono che l'avrebbe divorato. I Dattili per passare il tempo si cimentarono in una gara di corsa. Anche Pindaro, autore del V secolo a.C. e autore di 14 odi olimpiche, riferisce di altre origini mitiche dei giochi.
Nel 393 d.C. l'imperatore Teodosio I, assieme ad Ambrogio vescovo di Milano, bandisce i giochi perché considerati pagani. Dopo quasi 15 secoli di interruzione, il barone francese Pierre de Coubertin, nel 1896, ripristinò i giochi olimpici modernizzandoli e ai quali ovviamente potevano partecipare atleti di tutto il mondo. Le olimpiadi moderne si sarebbero svolte in nazioni sempre diverse e, dal 1900, vi potevano partecipare anche le donne.
Ancora oggi l'inizio delle Olimpiadi moderne si svolge simbolicamente a Olimpia, con la cerimonia di accensione del fuoco sacro da parte di alcune "sacerdotesse". Il fuoco viene trasportato con fiaccole da atleti in staffetta fino alla sede scelta per lo svolgimento dei giochi.
Mentre i miei compagni di viaggio vengono a riposarsi, sedendosi anch'essi sulle gradinate, mi soffermo a pensare se anche a quell'epoca esistesse il problema del doping, con lo scopo di aumentare artificialmente il rendimento fisico e le prestazioni dell'atleta, assumendo o abusando di sostanze o medicinali proibiti.
A differenza di quanto affermava Pierre de Coubertin. "l'importante è partecipare", per gli antichi greci non era partecipare ma vincere. Per loro, la vittoria era così importante da rischiare di doparsi, anche se era vietato già all'epoca. Vincere una gara era l'affermazione di un valore sociale e fisico, il primo per l'appartenenza ad una Città Stato, il secondo perché la forza e il senso estetico della bellezza del corpo ricoprivano un importate ruolo nella società. Chi non riusciva a primeggiare provava una profonda vergogna ed era additato da tutti come un perdente.
Pertanto gli ideatori dell'Olimpiade furono anche i primi a sperimentare pratiche di doping per favorire gli atleti in gara, anche se il giuramento olimpico, fin dal 776 a.C., vietava esplicitamente l'uso di sostanze dirette a modificare le prestazioni atletiche durante le gare. Le pene erano severe: si passava dalla squalifica, fino a vere punizioni corporali. Ma vincere alle olimpiadi non era solo questione di prestigio ma voleva dire premi in denaro e diminuzione delle tasse, pertanto l'alloro olimpico era molto ambito e gli atleti più arrivisti ed indisciplinati ieri come oggi cercavano di avvantaggiarsi con qualunque sistema. E se ieri non c'erano pastiglie, siringhe, anabolizzanti, steroidi, sicuramente c'erano degli intrugli, magari naturali che potevano aiutare l'atleta. Si racconta che Galeno suggerisse di somministrare agli atleti erbe ergogene, funghi e testicoli di toro, e che Ippocrate, suo maestro, consigliasse agli atleti di bruciare funghi secchi sul loro fianco sinistro per aumentare la loro reattività. Erano vietati dal giuramento olimpico l'uso di unguenti a base di semi di sesamo. Ma anche l'alimentazione era oggetto di particolari riguardi, infatti, si credeva che il consumo di carne assicurasse muscoli vigorosi e voluminosi. Si racconta che di Milone di Crotone,vincitore di sei olimpiadi consecutive, fosse solito mangiare fino a 10 chilogrammi di carne al giorno, assieme a dosi massicce di vino o di idromele.
Fine III parte.