C'ero già entrato diverse volte in questa industria, un'azienda che sento come parte integrante dell'ambiente in cui vivo. Da bambino ammiravo le grandi ciminiere che sbuffavano i loro fumi, le montagne di minerali di pirite che davano alla biancheria stesa, quando erano giornate ventose, quel particolare colore rosso, come rossa diventava d'inverno la neve che cadeva dal cielo.
Vi avevo persino fatto domanda d'assunzione, appena finito il triennio delle superiori, poi avevo scelto un'altra attività, più a contatto con le persone e meno con le macchine.
Lo stabilimento ha una storia antica, vi ha lavorato mio nonno, mio padre e mio zio, forse per quello che la considero parte della storia della mia famiglia. La nascita della fabbrica è datata 1905 quando un gruppo di imprenditori alessandrini comprò i locali di una fabbrica sorta qualche anno prima a Spinetta Marengo. Utilizzando quei capannoni provvisti di forni speciali, ha così inizio la produzione di prodotti chimici con la neonata Società di Marengo.
Dapprima si cominciò con la produzione di solfato di rame, poi fu costruito un impianto per la produzione di acido solforico e un impianto per la produzione di un ottimo fertilizzante: "Super", un concime chimico.
Lo stabilimento, pian piano aumentando di dimensioni, favoriva un maggior impiego di manodopera, offrendo lavoro a buona parte del paese e dei sobborghi vicini. Gli operai erano passati dai 20 del primo periodo a un'ottantina circa.
Durante la guerra del 1915-1918 nello stabilimento fu realizzato un impianto per la produzione di ossigeno, necessario per fronteggiare lo sforzo bellico. Dopo la guerra e con la crisi degli anni Venti, ed esattamente nel 1928 La Marengo acquisì degli stabilimenti limitrofi e fu costruita una linea di collegamento con le Ferrovie dello Stato.
L'azienda ancora agli inizi degli anni Trenta acquisì altri stabilimenti in varie regioni d'Italia, diventando così una fra le principali realtà chimiche italiane. La Marengo, allora produceva oltre un milione di quintali di fertilizzanti chimici all'anno e circa trecentomila quintali di solfato di rame, canfora sintetica, bicromati e albumi di cromo, e altre lavorazioni minori. Nel 1933, appoggiata dal governo, la Montecatini, azienda nata nel 1888 per la lavorazione del rame dell'area toscana di Montecatini Val di Cecina, acquisì l'azienda alessandrina.
La Montecatini aprì le produzioni dei "colori" arsenicati di piombo, fluosilicati: sodio, bario, zinco, magnesio e i reparti di acido muriatico e acido concentrato.
Durante la seconda guerra mondiale, le lavorazioni subirono rallentamenti per la mancanza di materie prime e per il calo della domanda.
Successivamente nel 1954 si iniziò con la produzione di pigmenti di ferro e di titanio e di lana di vetro. Negli anni sessanta del XX secolo il personale superava le mille unità con varie specializzazioni.
Nel 1966 Montecatini si fuse con Edison, società per la produzione elettrica, diventando Montedison, che nel 1981 si trasformerà in una holding industriale.
Ne seguì una razionalizzazione e fu costituita la Montefluos, che operava nel campo dei prodotti chimici rivolta particolarmente al campo del cloro e dei fluoroderivati, degli ossigenati, degli additivi per polimeri e degli isolanti. Nel 1992 la società assunse il nome di Ausimont e nel 2002 Ausimont fu acquisita dal Gruppo Solvay, un gruppo multinazionale che opera nei settori chimico con sede a Bruxelles. Solvay è attiva in 55 Paesi con una forza lavoro di 29.000 unità. Ricordo le biciclette color giallo degli operai che giravano per il paese, il Dopolavoro della Montecatini, collocato all'interno della villa del castello di Marengo, con il suo piccolo bar, il campo di bocce, la pista da ballo e il campo di calcio. Spazi che utilizzavo per i miei primi innocenti giochi da bambino nell'immenso parco. Supero così la portineria, con il mio amico Matteo, percorriamo i lunghi viali, costeggiati da prati dall'erba appena tagliata, sui cui sono stati costruiti antichi e moderni capannoni. Dopo aver percorso un centinaio di metri ed aver incontrato molta gente, soprattutto famiglie che portano i propri figli a visitare lo stabilimento, che ha aperto le proprie porte alla popolazione per un giorno. Mi incuriosisce il fatto che sono famiglie con bambini piccoli e che nessuno dei genitori lavora nello stabilimento, elemento che mi fa comprendere come l'iniziativa abbia acceso la curiosità di molte persone.
Raggiungiamo la piccola e inventata stazione ferroviaria interna. Infatti lo stabilimento è collegato alla rete ferroviaria e al proprio interno alcuni binari percorrono un percorso quasi circolare, formando di fatto un anello, utile al trasporto delle merci. In un piazzale ampio, è stata realizzata una provvisoria stazione ferroviaria, con tanto di cartelli indicatori, bigliettai che controllano i biglietti d'invito, macchinisti e capostazione che dà la partenza della sbuffante locomotiva a carbone serie ‘880, in bella mostra il numero 51 che indicava era la cinquantunesima costruita su sessanta esemplari prodotti dal 1916 al 1922 dalle officine Breda. Locomotiva che traina una serie di storiche carrozze di seconda e terza classe della serie cento porte. Tutto originale e messo a disposizione dai musei delle ferrovie dello Stato. Ci accomodiamo sulle panche di legno, dopo aver preso un caschetto antinfortunistico giallo, posto nella cappelliera sopra le panche e messo a disposizione dall'azienda.
Le carrozze centoporte sono carrozze delle ferrovie italiane che prestarono servizio tra il 1928 e gli anni ottanta del secolo scorso. Erano progettate per treni locali con forte affollamento di viaggiatori, erano accomunati da uno schema derivato da un disegno delle diligenze, caratterizzate da numerose porte per ogni fiancata, in alcuni modelli fino a dieci,allo scopo di favorire la rapida salita e discesa dei passeggeri.
Sul vagone, una giovane ragazza che si presenta come un'ingegnere che lavora in azienda e ci dà il benvenuto. Dopo il fischio del capostazione, la vecchia locomotiva, sbuffa il suo vapore bianco della caldaia ed inizia il nostro breve viaggio all'interno dell'azienda. La nostra hostess ci inizia a raccontare la storia dello stabilimento, sembra una lezioncina imparata a memoria, per essere ripetutamente recitata. Ci mette molta enfasi nel suo racconto, accentuando le parti che riguardano lo sviluppo dei prodotti dello stabilimento. Di certo questa ragazza che si presenta come una volontaria, in questa particolare giornata di "fabbriche aperte", ci mette un grande impegno nel raccontare la storia dello stabilimento. Ovviamente lei può essere solo la pronipote di chi iniziò l'antica storia della chimica a Spinetta Marengo. Lungo il breve viaggio ci racconta cosa vediamo dai finestrini. È tutto veramente pulito, all'interno dell'azienda, non vi è una cartaccia per terra, non si vedono nemmeno operai girare per l'azienda, quei pochi che si vedono sono sostanzialmente queste giovani guardie.
È un intrigo di tubi che salgono e scendono, valvole sbuffanti vapori, un complesso intrigo di congegni, apparecchiature e sistemi atti a svolgere un preciso compito. Il treno sbuffante, lentamente raggiunge una altra provvisoria stazione, dove carri merci chiusi ed aperti e carri serbatoi sostano in attesa di caricare o scaricare le loro merci, trainati da più moderni locomotori diesel. Scendiamo dai vagoni, sembriamo una mandria che cerca il proprio capo branco, ossia la nostra hostess. Dopo qualche minuto, mentre un altro gruppo di visitatori sale sul treno che ci ha portati fin qui, la nostra accompagnatrice ci raduna e ci accompagna in un primo stabile per vedere una sala controllo dello stabilimento. Vi sono quattro operatori, seduti di fronte a degli schermi su cui scorrono le immagini dei processi produttivi, comandati a distanza. Una serie di spie ed allarmi segnalano eventuali anomalie che potrebbero verificarsi. Sono pressoché tutti taciturni, mentre la nostra accompagnatrice cerca di spiegare cosa stiamo guardando. Qualche domanda, quasi tutte ovvie e banali e la nostra guida ci conduce in un altro stabile. Le poche decine di metri che percorriamo a piedi, mettono in evidenza quale lavoro di preparazione e di impegno l'Azienda ci ha messo nel rendere fruibile lo stabilimento.
Entriamo in un reparto nuovissimo, si potrebbe quasi pensare che non sia mai entrato in servizio. La nostra accompagnatrice ci propina un lungo elenco di prodotti chimici che escono dallo stabilimento e che diventano poi prodotti finiti nei nostri negozi, da lenti a contatto a indumenti a prodotti per le officine meccaniche e attività agricole. Infatti la Solvay Specialty Polymers produce un'ampia gamma di polimeri, ponendosi tra i leader mondiali dell'industria chimica. Infatti, continua la nostra accompagnatrice i prodotti rendono più longevi, flessibili, resistenti e anche idrorepellenti molti dei prodotti finiti, tanto da essere impiegati anche nell'industria aerospaziale, dei trasporti, medica, petrolifera, elettronica, dei cavi, come rivolti alle energie alternative, per la produzione di impianti fotovoltaici, celle a combustibile e batterie al litio di nuova generazione per la mobilità del futuro.
Tornati alla stazione ferroviaria, attendiamo l'arrivo del prossimo treno che sbuffante del vapore bianco della caldaia della locomotiva, lentamente e sferragliante arriva. Permettiamo ad altri visitatori di scendere e poi risaliamo sul vagone centoporte. Il nostro scompartimento è pieno di bambini, urlanti e piagnucolanti, sono forse stanchi di una visita alla fabbrica forse per loro poco interessante, se non per i palloncini loro offerti. Forse non vedono il momento invece di raggiungere lo spazio dedicato a pompieropoli, dove i Vigili del fuoco, li faranno giocare istruendoli su come comportarsi davanti ad un incendio. Il viaggio di ritorno è breve, scendiamo dal vagone e ci portiamo verso un grande magazzino, forse uno dei più antichi dello stabilimento. Ci attendono due dipendenti-volontari che ci fanno sedere su delle panche realizzate con dei pallets. Ci illustrano l'attività e le dimensioni del magazzino, sembra che recitino tanto da avere il dubbio che siano due attori. Dopo un filmato illustrativo ci portano in un grande spazio coperto e ci illustrano, con dovizia di particolari del Il Solar Impulse 2, ossia dell'aereo solare che vola senza utilizzare una sola goccia di combustibile. Parte del progetto vede protagonista come fornitore di alcuni componenti per il funzionamento dell'aereo solare anche l'industria spinettese. Il Solar Impulse vola a velocità comprese fra 50 e 100 chilometri all'ora, equipaggiato con 15 prodotti Solvay che trovano impiego in più di 6.000 componenti del velivolo, prevalentemente materie plastiche ad alte prestazioni e lubrificanti.
Terminata la visita, il cielo pare non promettere nulla di buono, acceleriamo il passo, non prima di aver dato una veloce sbirciatina alla sala E. Solvey, dedicata al fondatore Ernest Solvay. Costui nacque il 16 aprile 1838 a Rebecq-Rognon (Belgio), fu inventore, industriale, senatore, ministro di Stato, dottore honoris causa all'Università Libera di Bruxelles e all'Università di Ginevra, socio corrispondente dell'Istituto di Francia e dell'Accademia delle Scienze di Berlino. In queste sale, in collaborazione il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano i visitatori possono vedere alcuni esperimenti con sostanze chimiche.
L'elenco dei prodotti che la multinazionale Solvay è incredibile, produce dal "Solvera" per gli imballaggi alimentari, dalle proprietà idro e oleo-repellenti, al "Rhodia Filter Tow", usato per i filtri delle sigarette, ancora il "Rhovanil" per la produzione di vanillina, usato per cioccolato, gelati, dolci confezionati e pasticceria e bevande analcoliche, ma anche "Fomblin", ingrediente per la produzione di prodotti per la cura del viso e dei capelli, l'"Eureco", il detergente biodegradabile per lavatrici, la "Soda", per la realizzazione del vetro. Poi l'"Alfoglon" e "Polymist", additivi per inchiostri da stampa; il "Diofan", materiale utilizzato nei blister dei farmaci, l'"Emana", nylon usato in diversi capi di abbigliamento, ancora "Kalix" e "Fomblin" per la lubrificazione dei meccanismi delle macchine fotografiche e per proteggere e migliorare la performance dei flash, per il miglioramento delle prestazioni di telefoni cellulari e tablet, "Ixan" e "Diofan" per produrre i film trasparenti per proteggere gli alimenti e l'"Algoflon" per realizzare membrane utilizzate per scarpe con la suola traspirante.
Dopo una visita non posso non considerare come da sempre il rapporto tra le industrie chimiche e l'ambiente sia stato sempre stato difficile. I disastri ecologici del passato, sono nella memoria di tutti. Ma è anche vero che senza la chimica non esisterebbe il "comodo" mondo come lo conosciamo oggi e che forse dobbiamo riuscire a conciliare sempre le esigenze della modernità da quello che è il mantenimento di un giusto equilibro ecologico.