Blog di Dante Paolo Ferraris

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Luci ed ombre a Torino (XLVIII parte)

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Rita SkeeterPercorriamo via delle Orfane e lentamente ci allontaniamo da piazza della Consolata. Sono molte le storie e le leggende che riguardano questa e alcune vie contigue. Una delle storie riguarda la chiesa di Sant'Agostino, sita nell'omonima via, all'angolo con via Santa Chiara. La chiesa originaria risale al XII secolo ed era dedicata ai santi apostoli Giacomo e Filippo. Integralmente ricostruita tra i secoli XVI e XVII secolo, venne poi assegnata all'Ordine di sant'Agostino. E' stata ristrutturata tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX dall'architetto Carlo Ceppi. In un pozzo appositamente scavato all'interno della chiesa, nel 1706, vennero sepolti i prigionieri francesi morti durante l'assedio della città. Si racconta che le loro anime, di notte, vaghino senza meta nelle strade intorno all'edificio religioso. La chiesa è a tre navate e conserva importanti monumenti funebri: quello del collezionista d'arte Cassiano dal Pozzo, e il mausoleo di Carlo Tommaso Maillard de Tournon, nato a Torino, il 21 dicembre 1668 e morto a Macao il 8 giugno 1710. Egli fu un cardinale e Legato pontificio per l'India e la Cina.
Ma anche la casa dello scrivano; Francesco Ludovico Soleri (1650-1721) che lavorava al Senato e a nell'isola di San Bernardo. Costui fu l'autore di un "Diario" manoscritto che racconta gli avvenimenti della città dal 22 marzo 1682 al 27 febbraio 1721 e il suo "Giornale dell'assedio" del 1706 e in particolare dell'assedio del 1706. Francesco Ludovico Soleri venne sepolto nei sotterranei della Consolata.
La strada è stretta e nonostante sia poco trafficata, dobbiamo quasi camminare in fila indiana. Sempre nell'adiacente via Sant'Agostino al civico 15 una lapide posta nel febbraio 1997 dall'associazione "Amici Teatro Regio " ricorda che vi soggiornò, dal 24 giugno al 9 luglio 1884, il musicista e compositore Giacomo Puccini. La sua opera, Manon Lescaut, venne rappresentata, per la prima volta a Torino nel 1893, nel 1896, invece, ci fu la prima, sempre al Regio della Boheme, diretta da Arturo Toscanini.
Ci soffermiamo un attimo ad ammirare la scura facciata della chiesa di Santa Chiara, già monastero delle Francescane scalze. La porta della chiesa, l'ho sempre trovata chiusa, forse perché fu annessa al monastero delle Clarisse. La chiesa, infatti, è parte di un complesso monastico molto più ampio, oggi quasi completamente perduto. Restano l'edificio di culto e quello che dicono essere un bellissimo chiostro. Lessi sulle guide che il primo edificio aveva forme gotiche e fu rifatto interamente tra il 1742 ed il 1745 su progetto di Bernardo Vittone.
Le suore Clarisse rimasero nel convento fino al 1842, quando furono trasferite da Carlo Felice a Carignano, subentrandovi le suore della Visitazione.
Il convento passò alla gestione alle Piccole Serve del Sacro Cuore di Gesù nel 1930. La facciata, di straordinaria eleganza, è percepibile quasi solo di scorcio, proprio per quanto è alta e affacciata su una stretta strada chiusa da alti palazzi. Possiamo solo ammirare l'elegantissimo portale.
Ci troviamo ora su una piccolo slargo, retro dell'Ufficio d'Igiene di Torino. L'edificio fu costruito nell'ottobre del 1936 dove sorgeva il convento della Visitazione. Il bombardamento dell'8 dicembre 1942 da parte della RAF ne distrusse un'ampia parte, tanto che dovette poi essere ricostruita. L'Ufficio d'Igiene di Torino fu il primo fondato in Europa, a metà 800, da dott. Fedele Torchio. L' Ufficio ebbe il gravoso compito la vigilanza igienico-sanitaria della città durante tutto il 1859. Anno in cui Torino dovette provvedere, oltreché alla propria salute, anche a quella delle 120 mila truppe di passaggio, al ricovero ospedaliero di altrettanti fra feriti e malati italiani e francesi.
All'angolo dello slargo, con ingresso in via delle Orfane c'è la chiesa della santissima Annunziata, della Natività di san Giovanni Battista. La chiesa faceva parte dell'antico Istituto delle Orfane. La struttura è piccola costruita nel Cinquecento e successivamente ampliata, attualmente in uso per il culto Ortodosso Greco.
Mentre ci soffermiamo, ad ammirare e anche "spettegolare" con gli amici, davanti a palazzo Barolo detto anche palazzo Falletti di Barolo, vediamo transitare, attraversando la vicina via san Domenico, Rita Skeeter.
Rita Skeeter della Rowling fa la giornalista per la Gazzetta del Profeta e scrive soprattutto articoli su Harry Potter dipingendolo come eroe tragico. Straordinariamente impicciona, procurò non pochi guai a Rubeus Hagrid rivelando la sua natura di mezzogigante. È un animagus non registrato, nella forma di uno scarabeo. Utilizzando questa sua capacità di trasformarsi ha potuto spiare senza essere vista, divertendosi a ridicolizzare le vittime dei suoi articoli. Giornalista perfida, abile nel manipolare i lettori contro le persone che intende screditare. La Rita Skeeter della mia Hogwarts non è torinese, ma arriva da un'altra provincia piemontese. Per introdursi nella Hogwarts torinese, non ho mai saputo quali stratagemmi abbia usato, ma conoscendo il mondo di provenienza, sicuramente perfidia e inciuci devono essere stati tra i metodi usati. È piccolina, bionda tinta, con capelli folti che non scendono mai oltre le spalle. Viso tondo, occhi profondi, porta due occhiali da vista all'ultima moda, sopracciglia folte e bionde, naso a patata e un viso che sebbene truccato mostra le rughe dei suoi anni. Non è acida come Rita Skeeter della Rowling, ma gli piace atteggiarsi da persona superiore ma è servile davanti ai mangiamorte. Non ci ha sicuramente visti, ma non dubito che se ci avesse notati avrebbe fatto sicuramente finta di non vederci.
Palazzo Barolo è una dimora patrizia che fu costruita alla fine del Seicento da Gian Francesco Baroncelli come ristrutturazione della casa qui già posseduta dal conte Ottavio Provana di Druento, « primo scudiero » e « gran guardarobiere » di Vittorio Amedeo II di Savoia.
Nel palazzo abitarono l'unica figlia del conte Ottavio, Elena Matilde, con il marito, marchese Gabriele Falletti di Barolo, con i tre figli nati dal matrimonio.
Questo palazzo, dalle belle forme barocche, racchiude però tanti chiaroscuri. Infatti, ad esempio quando il marchese Gerolamo Gabriele Falletti di Barolo, abbandona il palazzo perché il suocero non assegnò alla figlia la ricca dote già promessa al momento del matrimonio, pare persa al gioco, impedendo altresì alla figlia di seguire il marito, iniziarono le tragedie famigliari. Elena Matilde, non sopportando la situazione si suicidò a 27 anni gettandosi dalla finestra della sua camera di questo palazzo. Monsù Druent, così chiamato dai torinesi per la eccentricità, quando morì volle che la sua salma fosse vestita elegantemente, posta seduta su una portantina e portata in cimitero accompagnata da due cappuccini e due poveri. Il palazzo passa da prima in eredità al nipote Ottavio Giuseppe, primogenito di Elena e Gabriele Falletti di Barolo. Giuseppe, nuovo proprietario intorno alla metà del Settecento ne affidò un profondo restauro all'architetto Benedetto Alfieri per adeguarlo ai nuovi gusti architettonici. Poi ancora vi abitò Ottavio Alessandro Falletti, uomo di studi, e Carlo Tancredi, ultimo marchese di Barolo, che fu ciambellano e conte dell'Impero, nonché Sindaco di Torino nel 1826-27 e consigliere di Stato nel 1829. Costui avviò la costruzione del Cimitero Generale, su un terreno da lui donato e si dedicò con la moglie, Giulia Colbert di Maulévrier, alla attività filantropica. Ospite dei marchesi, dopo la pubblicazione de “Le mie prigioni”, soggiornò per molti anni lo scrittore Silvio Pellico, che vi svolse il ruolo di segretario e di bibliotecario. Lo stesso Pellico, ricordato da una lapide posta sulla facciata del palazzo, aiutò Giulia di Barolo nelle sue opere di carità, anche insegnando nelle scuole fondate dalla marchesa. Alloggiò nell'ala più antica, in un'elegante camera tappezzata di damasco rosso, trascorrendovi i suoi ultimi anni, fino alla morte, avvenuta il 31 gennaio 1854. Con i coniugi, Tancredi e Giulia di Barolo, si estinse la casata, a essi sono legate vicende storiche interessanti. Giulia Colbert era una nobildonna francese di Vandea discendente di Jean Baptiste di Maulévrier, ministro delle Finanze del re Sole. Invece Carlo Tancredi, era l' ultimo erede di una delle famiglie più ricche d'Europa. Carlo Tancredi a 18 anni venne nominato paggio imperiale e fu Napoleone Bonaparte, a combinare il suo matrimonio con la damigella di corte Giulia Colbert. Fautore e mediatore di questo matrimonio fu il principe Camillo Borghese. Convolarono a nozze a Parigi il 18 agosto 1807.
Dopo la caduta dell'impero di Napoleone la coppia si stabilì nel palazzo di via delle Orfane. Qui si iniziò a ospitare l'élite culturale e politica, tra cui Cesare Balbo, il conte di Cavour, i marchesi di Saluzzo, i nunzi pontifici, il maresciallo De La Tour, gli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Austria, Toscana, Spagna. Ma sempre nello stesso palazzo il marchesi offrono il pasto a circa duecento poveri. Questa attività filantropica e sostanzialmente dovuta al fatto che la coppia non potendo avere figli, decise di adottare come tali i poveri della città.
La coppia organizzò, nel 1925, il primo asilo infantile del Piemonte accogliendo gratuitamente 250 bambini di famiglie povere. Sempre nell'inverno dello stesso anno, che fu freddissimo, Tancredi fece distribuire seimila razioni di legna ai poveri. Sempre lo stesso marchese fu considerato un ottimo amministratore civico, quale decurione municipale, segretario della deputazione del Consiglio Generale per l'Istruzione Pubblica e consigliere di Stato di re Carlo Alberto. Promosse anche grandi opere urbane facendo costruire giardini, fontane con acqua potabile e migliorando l'illuminazione pubblica. Nel 1827 istituisce la prima Cassa di Risparmio torinese per i piccoli risparmiatori, ossia domestiche, commercianti e artigiani. Inoltre la coppia fonda scuole e ospedali, ospizi, mense per i poveri, congregazioni di suore e si dedica al soccorso degli ammalati durante l'epidemia di colera del 1835.
Per l'eroico servizio agli ammalati di colera, alla marchesa Giulia fu conferita la medaglia d'oro dal Governo e al consorte, già da tempo malato, venne insignito della Commenda dei santi Maurizio e Lazzaro.
La marchesa Giulia si adoperò molto per le carcerate, insegnando loro a leggere, scrivere e pregare. Si fece promotrice affinché nelle celle delle detenute ci fosse più luce, pulizia e igiene. Essi lasciarono il palazzo alla fondazione Opera Pia Barolo. Fondazione creata nel settembre 1856 dalla marchesa Giulia, con testamento segreto.Ella morì nel 1864 senza eredi. Nel palazzo ora ha la sua sede l'Opera Pia Barolo, un'Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza. Un palazzo che può senz'altro definirsi unico, con la sua facciata nella stretta via delle orfane. Ma entrati nell'atrio si rimane subito affascinati dal maestoso scalone a forbice che conduce al piano nobile. I prestigiosi ambienti in stile barocco, affrescati con scene mitologiche e allegoriche maschere, non fanno però di Palazzo Barolo un palazzo museo. Infatti gli oggetti dell'arredamento originale sono stati venduti per ricavare i fondi ma si respira comunque un'aria di un palazzo vivo, che conserva la sua eleganza signorile e la sua vitalità, grazie soprattutto agli eventi che la Fondazione vi organizza.
All'inizio del XX secolo venne demolita una parte dell'ala sud per consentire l'allargamento di via Corte d'Appello, ma ciò non snaturò né nascose la bellezza di questo palazzo e i suoi chiaro scuri.
Come ogni palazzo nobile, che si rispetti, anche Palazzo Barolo ha il suo fantasma, ed in questo caso è quella di Elena Matilde Provana di Druent, che si racconta nelle notti di luna piena, vaghi aggirandosi per le sale del palazzo. Donna e fantasma molto amato proprio per la sua tragica vicenda che la vede allontanata dal marito e dai figli, tanto da farla impazzire. Si racconta che quando l'architetto Benedetto Alfieri nel 1743 fu incaricato di ristrutturare anche la facciata del palazzo, ornò le finestre del piano nobile con visi sorridenti di angioletti, ma l'angioletto posto sulla finestra dove si getto la sventurata, pare invece che sorridere pianga. Ma il fantasma fu anche visto materializzarsi, da giovani coppie di innamorati, su una panca di pietra posta all'ingresso del palazzo, dove Elena Matilde spirò, dopo essere stata soccorsa. Molti dicono che se non ne vedono lo spettro, ne sentono i passi e la sentono chiamare il marito e i figli.
Giungiamo così in piazza Savoia, che un tempo ospitava il mercato della legna e della paglia, detta anche piazza delle Paté perché vi si commerciavano anche gli stracci. Questo era anche il luogo in cui i campagnoli si ritrovavano in cerca di lavoro in città.
Lascio Ron ed Hermione, con l'impegno di trovarsi più tardi in un noto locale, per mangiare qualcosa insieme.



Fine XLVIII parte.