Ci inerpichiamo verso le mura ciclopiche che la circondano ed è naturale pensare gli sforzi sovrumani che gli antichi abitanti devono aver compiuto per erigere così possenti mura in pietra squadrata. Di origini antichissime, Tirinto fu un'importante città dall'inizio dell'età del bronzo e, specialmente, in epoca micenea. Sopravvisse alle distruzioni subite durante l'invasione dorica (1000 a.C.), anche in età classica, partecipando alla lotta contro i Persiani (battaglia di Platea 479 a.C.).
La sua storia si eclissò quando fu distrutta da Argo intorno al 470 a.C.
Le mura ciclopiche, il cui spessore è in media di 6 m, in qualche punto raggiungono ancora i 10 m di altezza. Le grandi mura fanno contrasto con le piccole porte d'accesso alla città, costruite in pietra ed a forma di capanna. Sicuramente strette e anguste per controllare il passaggio e impedire l'accesso di truppe nemiche.
Della città restano soltanto alcuni resti archeologici: le mura e le rovine del Palazzo Reale, tra le quali passeggiamo solitari.
La leggenda narra che Tirinto sia stata fondata da Preto, fratello di Acrisio e che le sue mura siano state innalzate dai Ciclopi. Preto ebbe una lunga contesa con il suo gemello per l'eredità paterna, ma Acrisio ebbe la meglio e divenne re di Argo, mentre Preto lasciò la sua città e divenne re di Tirinto. Quivi sposò Stenebea (detta anche Antea), figlia del re di Licia Lobate. Preto fu anche molto sfortunato finì infatti pietrificato dal nipote Perseo tramite la testa di Medusa. Le sue tre figlie, le cosiddette Pretidi: Lisippa, Ifinoe e Ifianassa, invece, furono colpite da maledizione divina, da pazzia e condannate a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve, gli sfortunati viandanti.
La mitologia vuole che il veggente Melampo, si offrì di curare le tre fanciulle in cambio di un terzo del regno di Licia, ma Preto non accondiscese a tale richiesta. Dopo la partenza di Melampo tutte le donne di Tirinto e forse dell'Argolide vennero colpite da pazzia, uccidendo i propri figli e abbandonando le loro case per unirsi alle tre figlie di Preto. Melampo richiamato indietro volle da Preto anche un altro terzo del regno di Licia per suo fratello Biante. Il re Preto su consiglio di Melampo sacrificò ad Elio, venti buoi rossi. Dopo il sacrificio Melampo, con suo fratello Biante e un gruppo scelto di guerrieri raggiunsero le montagne e scacciarono le donne invasate spingendole a immergersi in un pozzo sacro in cui sarebbero guarite dalla pazzia. Le tre figlie di Preto, riuscite a fuggire alla caccia si rifugiarono in Arcadia in una grotta sovrastante il fiume Stige. Vennero ritrovate da Melampo e dopo un'immersione nelle acque del fiume Stige, Lisippa e Ifianassa superstiti riguadagnarono il senno. Mentre la sorella Ifinoe, si scoprì che era morta durante la fuga. Un'altra storia mitologica narra che Stenebea, moglie di Preto, s'innamorò di Bellerofonte, ospite del marito. Sentitasi scoperta accusò Bellerofonte di averla sedotta e convinse Preto ad ucciderlo. Però le leggi dell'ospitalità impedivano l'uccisione di un commensale e quindi Preto inviò Bellerofonte da Lobate, con la scusa di consegnargli una lettera, che ne richiedeva, in realtà, l'uccisione. Anche Lobate però ospitò Bellerofonte, e per le solite leggi, non poté assassinarlo direttamente. Richiese pertanto al giovane di uccidere la Chimera, un mostro con la testa di leone, il corpo di caprone e la coda di serpente che sputava fiamme. Vinta la chimera gli venne chiesto di affrontare ulteriori prove, come uccidere le Amazzoni, combattere contro il violento popolo dei Solimi, superando anche indenne un attentato preparato dallo stesso Lobate. Sopravvissuto a tutte le imprese, Lobate riconobbe la protezione divina di cui godeva Bellerofonte e gli diede in sposa una delle sue figlie. Una versione del mito, vuole che quando Antea scoprì che Bellerofonte era ancora vivo, in preda alla rabbia si uccise, un'altra versione invece vuole che fu Bellerofonte a vendicarsi di lei, tornando ad Argo e caricandola su Pegaso, per poi farla precipitare nel vuoto. Insomma una bella famiglia!
Di Tirinto ne scrive sia Esiodo nella Teogonia che Omero, nell'Iliade che è così cantata:
Seguìa l'eletta de' guerrier, cui d'Argo
mandava la pianura e la superba
d'ardue mura Tirinto e le di cupo
golfo custodi Ermïone ed Asìne
Sono tante le opere e le tragedie che hanno a che vedere con Tirinto. Oltre il mito di Bellerofonte e Preto, si ricordano anche quelli di Perseo, di Eracle, di Euristeo e di Anfitrione.mandava la pianura e la superba
d'ardue mura Tirinto e le di cupo
golfo custodi Ermïone ed Asìne
La più antica delle porte della città, appartiene al periodo della prima costruzione della città arroccata. È costituita da uno stretto passaggio fra due bastioni che si prolungano verso l'interno. Qui la luce filtra a fatica ed è facile immaginare lo stretto controllo che i viandanti erano costretti a subire nell'entrare od uscire dalla città. Infatti con fatica faccio ad immaginare il potente e possente Eracle che attraversa questi stretti passaggi per raggiungere il palazzo di Euristeo figlio di Stenelo e Nicippe e cugino dello stesso Eracle.
Sempre la mitologia greca vuole che Zeus avesse stabilito che i troni di Tirinto e di Micene sarebbero stati destinati al primo nato della stirpe di Perseo, tentando, in questo modo, di assegnare il trono a suo figlio Eracle avuto con Alcmena. Sua moglie Era, però, intervenne e fece in modo che prima di Eracle nascesse Euristeo, che divenne quindi il re delle due città. E fece anche in modo che Eracle fosse sottomesso a Euristeo, tanto da fargli compiere una serie di imprese al di là di ogni forza umana, divenute note come le dodici Fatiche di Eracle. Queste vicende sarebbero in parte avvenute nel ciclopico palazzo di Tirinto. Palazzo costituito da un cortile interno con un quadriportico al cui ingresso è sistemato un altare. Dopo il prodromos, cioè l'antisala, si apre il megaron, con focolare posto al centro della sala. Altre stanze a destra e a sinistra, più ridotte di dimensioni, fungevano da magazzini e uffici.
Non mi è facile aggirarmi tra queste antiche pietre che tanto segnarono la storia dell'antica Grecia e dell'umanità intera. Ci allontaniamo da Tirinto e dalle rovine del palazzo. Questa immersione nella mitologia, quasi vagando tra antichi bastioni e tra le rovine di palazzi, antiche tombe e templi mi ha fiaccato. Complice il solleone che impietosamente mi ha trafitto per tutto il tempo, è stata una visita interessante ad una città patrimonio dell'umanità che ha messo alla prova la mia scarsa cultura ellenistica. Giungiamo così alla nostra piccola vettura pronti per partire verso una nuova meta.
Fine VI parte.