La piazza è celebre per l'imponente obelisco in granito di Baveno, alto ventun metri, che vi fu eretto nel 1853, a ricordo delle leggi Siccardi del 1850.
L'obelisco venne progettato dal pittore Luigi Quarenghi, tra i sostenitori, il più accanito del progetto fu il direttore della "Gazzetta del Popolo", Giovanni Battista Bottero, che lanciò una sottoscrizione popolare e addirittura propose di sistemarlo in piazza Carignano. Sull'obelisco sono incisi tutti i nomi delle città che contribuirono alla sua realizzazione.
Le leggi Siccardi, molto invise alla Chiesa, regolavano la separazione dei poteri fra Stato e Chiesa, per il Regno di Sardegna. Con queste leggi si abolirono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico. Tali privilegi erano tra l'altro il foro ecclesiastico, un tribunale apposito che sottraeva alla giustizia laica gli uomini di Chiesa, l'abolizione del diritto di asilo, ovvero l'impunità giuridica di coloro che trovavano rifugio nelle chiese e la manomorta, ossia l'inalienabilità dei possedimenti ecclesiastici. Con quest'ultimo termine si indicava il patrimonio immobiliare degli enti, civili o ecclesiastici, che erano inalienabili ossia non trasmissibili ad altri; questo istituto giuridico era di origine longobarda e toglieva la capacità impositiva dello Stato di imposte sulla vendita e imposte di successione. Il termine giuridico, manomorta, deriva dal francese antico main morte per indicare una forma di possesso rigida come quella della mano di un morto che non lascia più la presa perché contratta dalla rigidità cadaverica.
Ovviamente le leggi Siccardi, dal nome del guardasigilli Giuseppe Siccardi che le propose, furono approvate a gran maggioranza dalla Camera, nonostante le resistenze dei conservatori più legati alla Chiesa Cattolica. L'obelisco fu inaugurato non senza aspre discussioni con il clero torinese, il 4 marzo 1853, come ricorda una delle frasi incise sull'obelisco: «Abolito da Legge IX Aprile MDCCCL il Foro ecclesiastico, popolo e municipio posero IV Marzo MDCCCLIII». Sotto il monumento per volontà del Comune di Torino fu interrata una cassa contenente alcuni oggetti simbolo della città e del Piemonte: alcune monete, un kg di riso (buon auspicio), grissini, una bottiglia di Barbera e due copie della Gazzetta del Popolo, la n° 141 e 142 del 1850.
Nonostante i bombardamenti durante la II Guerra Mondiale, che videro colpire la vicina casa di rendita dell'orfanotrofio e l'ufficio d'igiene, l'obelisco rimase sempre in piedi. Anche quando i combattimenti si svolsero per strade cittadine, rischiò di cadere solo quando alcuni colpi di mortaio furono sparati in direzione di piazza Savoia. Il monumento, in questo caso, fu danneggiato e vacillò, ma rimase in piedi e fu successivamente restaurato.
Sempre in piazza, ma con il prospetto principale su via della Consolata 3, vi è palazzo Martini di Cigala, appartenuto alla famiglia di banchieri Martini Cortesia, progettato dallo Juvarra. Filippo. Martini, colui che volle edificarlo, fu presidente del Senato e conservatore delle gabelle, nominato conte di Cigala da Vittorio Amedeo II
Di fronte a questo palazzo nobiliare si prospetta la casa costruita dall'Orfanotrofio nel 700 come casa da rendita, ossia da affittare, sul terreno demaniale già un tempo occupato dalle fortificazioni. Tipico esempio di casa settecentesca; l'ala settentrionale fu ricostruita dopo i bombardamenti dell'ultima guerra.
Sempre su questa piazza però ad angolo con via della Consolata e via del Carmine si affaccia il palazzo Saluzzo di Paesana, un palazzo settecentesco che fu voluto quasi come una reggia, da Baldassarre Saluzzo di Paesana, Cavaliere della Santissima Annunziata. Il palazzo fu progettato e realizzato dall'architetto Gian Giacomo Plantery fra il 1715 e il 1722. È il più vasto ed articolato palazzo Nobiliare della città ed occupa un’ intera isola tra via Garibaldi, via della Consolata, via del Carmine.
Dotato di un atrio trionfale con colonne doriche e corinzie, l'ingresso si affaccia su un grande ed imponente cortile d'onore, dotato di due grandi scaloni.
Nel 1902 un grave fatto di cronaca sconvolse la città: nelle cantine del palazzo vi fu ritrovato il cadavere di una bambina di poco più di cinque anni. Era il corpicino di Veronica, scomparsa alcuni mesi prima. Molti furono gli errori giudiziari: dapprima fu accusato il giovane Alfredo Conti, che aveva lavorato come garzone al locale gestito dai genitori di Veronica, il caffè Savoia, ma fu che licenziato per scarso rendimento. Dopo il ritrovamento del corpo della bambina, durante alcuni lavori nelle cantine di palazzo Paesana, la colpa di quel truce assassinio avvenuto con molte coltellate, fu data a Carlo Tosetti, factotum del marchese. Benché ci fossero solo sospetti finì in carcere per due mesi. L’ uomo perse il lavoro e visse emarginato, sospettato di essere un delinquente. Un anno dopo, sempre in piazza Savoia, scomparse un’altra bambina: Teresina Demarca. Lei fortunosamente fu ritrovata, sempre nelle cantine di palazzo Paesana, ancora viva. Il colpevole fu finalmente individuato in Giovanni Gioli, un ragazzo di 23 anni affetto da ritardo mentale ed addetto alla raccolta della spazzatura. Messo alle strette confessò anche l'assassinio della piccola Veronica e altri misfatti.
Il processo, fu molto seguito dal pubblico e dai giornali che si auspicavano la pena di morte, ma invece fu condannato a 25 anni di carcere. Giovanni Gioli però morirà in carcere appena otto anni dopo.
Palazzo Paesana oggi ospita concerti e ricevimenti e nei suoi interni furono girate molte scene de "Il Divo" il un film biografico del 2008 scritto e diretto da Paolo Sorrentino, sulla vita del senatore a vita Giulio Andreotti fino agli anni novanta.
Sul lato opposto dell'ingresso di palazzo Paesana, al civico 6 di via della Consolata, una targa ricorda il partigiano Mario Luigi, nato a Torino il 12 aprile del 1906, padre di cinque figli, professione elettricista. Costui giunto il 27 aprile 1945 sotto l'abitazione del partigiano Davide Ighino, fu colpito mortalmente da un cecchino, appostato nel palazzo difronte. Mentre Davide Ighino fu ferito ad un braccio.
Sulla piazza, da un locale alla moda e di grande successo del "quadrilatero" esce il Basilisco un ex compagno di avventure. Costui noto anche come Re dei Serpenti, è una creatura magica che la Rowling presenta nel suo romanzo, come una creatura nata da un uovo di gallina covato da una rana. È un enorme serpente le cui zanne contengono un potentissimo veleno, e può uccidere con il solo sguardo. Nella Hogwarts torinese, non ha proprio la fattezze del grande serpente anche se ama farsi chiamare come un "rettile". È un ragazzone, dall'aspetto gioioso, sempre con il sorriso stampato su un faccione rotondo, capello castano, occhi azzurri, naso piccolo e ben arrotondato. Sempre elegantemente vestito, come un vero lumbersexual. Un tempo con il Basilisco ci incontravamo frequentemente, poi nonostante non avesse mai lavorato con la Hogwarts torinese nel periodo di mia frequentazione, ha comunque preferito condividere amicizie con dei mangiamorte, come Peter Minus, ossia Codaliscia e credo il Professor Quirinus Raptor. Il Basilisco sale su un auto, parcheggiata davanti a locale e elocemente si allontana. Su piazza Savoia, s'affaccia anche la farmacia collegiata Dott. Ferrero, già figurante fra le ventiquattro spezierie della città nel Cinquecento, anche se non se ne conosce l'esatta ubicazione di allora.
Tra il 1761 e il 1768, la farmacia si stabilisce nei locali commerciali all'angolo tra via del Carmine e piazza Savoia, allora piazza Susina, al piano terreno del fastoso palazzo Saluzzo Paesana.
Oggi la farmacia e il suo laboratorio contengono, espone nelle sue vetrine e scaffalature,vasi in ceramica e contenitori in vetro e tutta l'antica attrezzatura con bilancini, mortai, torchi, tra i quali un mortaio in bronzo con base in legno che reca incisa la data del 1767.
M'inoltro per via del Carmine, ed attraversando l'incrocio con via Piave, mi sovviene un altro fattaccio, sempre accaduto il 27 aprile 1945, in un luogo a me non conosciuto, in quanto la lapide che era posta davanti al civico 3 di via Piave è sparita. Qui una casalinga, nata il 9 marzo 1889 a La Cassa in provincia di Torino e residente in città in via Pellice, Miola Francesca Teresa in Grosso, collaboratrice dei partigiani, viene colpita mortalmente da una raffica di mitraglia nazi-fascista. Morirà presso la sede della Croce Rossa in via del Carmine. Era consueta definire tutti i partigiani a cui lei portava assistenza "suoi figli".
Sono giunto davanti alla chiesa della Madonna del Carmine, posta in via del Carmine angolo via Bligny. Progettata da Filippo Juvarra, e costruita tra il 1732 il 1736. La prima pietra della chiesa venne solennemente posta il 13 maggio 1732 con la seguente iscrizione: «Ecclesiae Beatae Mariae Virgini de Carmelo - primum lapidem - Carolus Emmanuel Rex Sardiniae - XIII Maii MDCCXXXII». La chiesa fu affidata ai Carmelitani, in quanto il convento annesso alla chiesa di santa Maria in Piazza non era più sufficiente. Filippo Juvarra non poté seguire la costruzione della chiesa da lui progettata, poiché venne chiamato a Madrid per costruire il nuovo Palazzo Reale. La consacrazione della chiesa avvenne il 26 aprile 1736, benché la facciata non fosse ancora completata, i lavori saranno terminati tra il 1871 e il 1872. La chiesa è a una sola navata con quattro cappelle per parte. L'altare maggiore del 1763, di Benedetto Alfieri, custodisce una reliquia del beato Amedeo IX, donata ai carmelitani nel 1739 da Carlo Emanuele III.
Nell'abside, un'icona, rappresenta la Madonna del Carmine ed il beato Amedeo IX di Savoia, dipinta nel 1755 da Carlo Beaumont.
La chiesa nella notte dell'8 agosto 1943, fu gravemente danneggiata da un bombardamento, aprendo una voragine fra la seconda e la terza cappella e distrusse anche il coro ligneo. La chiesa venne integralmente restaurata e riaperta al culto il 19 ottobre 1955. La storia di un fantasma lega la chiesa, via del Carmine e via Bligny. Si tratterebbe di uno spettro di un frate che bussa incessantemente al portone laterale della chiesa, tutte le notti, oppure lo si trova seduto sul gradino. Dovrebbe essere un frate infedele che era stato scacciato dalla chiesa per indegnità.
Giunto in fondo a via del Carmine, all'incrocio con corso Valdocco, si prospettano sulla via gli ex i Quartieri Militari.
Due grandi isolati porticati, erano adibiti a caserme, con la piazza d'armi quale spazio aperto sul fronte, mentre piazza Susina, attuale piazza Savoia, dava di spalla e fungeva da cerniera con la città. Anche questi edifici furono realizzati su progetto di Filippo Juvarra, su commessa del sovrano Vittorio Amedeo II. Il complesso dei "Quartieri Militari di San Celso e San Daniele" o "Quartieri Militari di Porta Susina" fu costruito, per ospitare le truppe di fanteria.
Il complesso delle due caserme, edificate sugli isolati di San Celso e San Daniele, ultimati solo nel 1773 e successivamente ancora elevati da Ignazio Birago di Borgaro.
Rimasero caserma militare fino al 1926, anno in cui metà dell'edificio, quello prospiciente su via Garibaldi fu demolito e costruito, un edificio dalle fattezze attuali che all'inizio degli anni Trenta, divenne la sede del quotidiano "La Gazzetta del Popolo", giornale a tiratura nazionale, ormai scomparso.
La parte di edificio rimasta mantiene tuttora l'originario aspetto settecentesco, ha ospitato scuole, enti, associazioni e alloggi in affitto, ora una parte ospita il "Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione della Guerra, dei Diritti e delle libertà" Durante i lavori, è stato scoperto un rifugio antiaereo, risalente al secondo conflitto mondiale, posto a circa dodici metri di profondità rispetto all'asse centrale di corso Valdocco.
Alcune lapide poste all’interno del cortile del "Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione della Guerra, dei Diritti e delle libertà" ricordano alcuni eccidi. Ad esempio una lapide ricorda i 34 operai e impiegati della Fiat Grandi Motori uccisi tra il 18 e 28 aprile 1945. La lapide era in precedenza posta nel cortile dello stabilimento Fiat. Un'altra era posta in un'altra fabbrica della Fiat e ricorda i 41 appartenenti alla 7ma brigata sap (squadre di azione patriottica), morti combattendo negli stabilimenti, martiri nelle rappresaglie o deportati in campi di concentramento tedeschi. Ed ancora una lapide che si trovava in origine all’interno della Conceria Fiorio a ricordare i caduti del C.L.N. piemontese (Comitato di Liberazione Nazionale) ma anche la sede del C.L.N. Piemonte ospitato all’interno della fabbrica e protetti dalla complicità delle maestranze e dell’industriale Sandro Fiorio, liberale di sentimenti monarchici ed impegnato nella lotta di liberazione.
Fine XLIX parte.