Scorrono sul palcoscenico televisivo le immagini di violenti scontri tra popolazione civile, forze di polizia ed esercito. Se passo da un canale all'altro della TV, saltando dal digitale terrestre al satellite, cambiano gli idiomi, cambia la voce ma purtroppo si vedono sempre immagini di violenza.
Il comune denominatore di tutti questi moti di rivolta è la richiesta di maggiore libertà, di democrazia, una lotta contro dittature mascherate, anche in quei paesi dal benessere effimero.
A muovere tutto, questa volta, non è la religione, non è il petrolio, ma la ricerca di un maggior benessere sociale.
Protagonisti i giovani, uomini e donne, studenti e disoccupati. La comunità internazionale è stata scossa da queste rivoluzioni che sconvolgono l'intero mondo arabo.
In tre settimane piene di incertezze gli Stati Uniti sono passati dal sostegno a un alleato strategico come H. Mubarak, ai rallegramenti per la sua caduta. La Francia ha fatto più o meno lo stesso con la Tunisia e l'Italia ha sconfessato l'alleato libico.
Queste rivolte sembrano essere solo l'inizio del processo di liberazione dai vecchi regimi.
Il passa parola mediatico di internet ha spodestato in Tunisia il secondo leader in due mesi; la gente vuol cambiare davvero e non tollera più governi legati ai vecchi regimi.
In Egitto facebook ha permesso a migliaia di giovani di creare un movimento di contestazione organizzando raduni oceanici nelle piazze.
Prima è stata la volta di Tunisia ed Egitto, i cui Presidenti sono stati deposti dalle rivolte. Successivamente sull'onda emotiva le manifestazioni si sono estese in Algeria, Bahrein, Iraq, Arabia Saudita, Siria, Giordania, Yemen e Iran, non ultima la Libia dove l'iniziale contestazione si è presto trasformata in una sanguinosa guerra di liberazione.
Questi paesi si differenziano molto gli uni dagli altri. La matrice comune è costituita da regimi autoritari e oppressivi, misere condizioni sociali e una popolazione giovane con aspettative crescenti.
Sono i giovani che hanno assunto un atteggiamento di sfida aperta nei confronti dei loro governi autoritari, il cui destino è ora incerto e questo grazie alle nuove tecnologie di comunicazione di massa.
L'attenzione del mondo, grazie ai maggiori media, si è concentrata in gran parte sulla Libia e sul suo rais Gheddafi, ma le truppe libiche non sono le uniche a sparare sui dimostranti. Dopo una manifestazione a Baghdad, le forze di sicurezza irachene hanno arrestato circa 300 persone, ed almeno 29 persone sono morte in tutto il paese nel giorno della "collera" in Iraq cosi come in Yemen e Siria.
Secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) dall'inizio della crisi in Libia nel periodo che va dall'11 marzo 2011 al 20 di marzo 2011, più di 230.000 persone sono fuggite dalla Libia, dirette verso la Tunisia (118.000 con una media di 2.500 al giorno) e l'Egitto (107.000), verso il Niger (2.000) e l'Algeria (4.300), ma di questi ultimi due spostamenti di popolazione mediaticamente sappiamo poco o niente.
L'attuale crisi politica nei paesi del Nord Africa sta creando un'emergenza umanitaria di ampie proporzioni benché non ancora paragonabile ad altre presenti in Africa (esempio Darfur).
Il flusso migratorio che arriva in Italia però, finora, non riguarda tanto i libici quanto i tunisini.
Dal 16 gennaio al 23 febbraio i dati ufficiali del Ministero dell'Interno italiano scrivono di 6.300 arrivi, prevalentemente sulle coste di Lampedusa, (rispetto ai 9.573 totali del 2009). Gran parte sono giovani tunisini (6.200), spinti più da motivi economici e quindi senza possibilità di fare domanda di asilo, quasi tutte queste persone potrebbero essere rimpatriate.
L'Italia ha avviato alcune iniziative a livello nazionale ed europeo. organizzando una missione "umanitaria" in Tunisia a Djerba e Zarzis, i due principali porti tunisini da cui partono gli immigrati, al fine di offrire assistenza ai profughi in loco. Il governo italiano ha inoltre provveduto all'evacuazione di alcuni cittadini eritrei da Tripoli, realizzato con un ponte aereo, iniziativa di rilievo perché il trattamento dei cittadini dei paesi dell'Africa sub-sahariana, rifugiati o lavoratori in Libia, è fonte di preoccupazione per l'Unhcr.
Allo stesso tempo, l'Italia ha predisposto un piano di prima accoglienza nel caso in cui vi sia un esodo di massa di rifugiati libici.
Discorso diverso è il problema dell'ospitalità e del riconoscimento dei tunisini e di cittadini di altre nazionalità dove non vi sono conflitti armati in atto o dove lo stesso Unhcr non veda situazioni di particolare gravità.
Ma tutto ciò "che ci azzecca" con il mio blog? Semplicemente perché uno dei miei hobby preferiti è l'analisi e lo studio delle situazioni di crisi e di quelle umanitarie in particolare ed il blog mi permette di esprimere il mio punto di vista personale.
Sono sempre stato convinto che le rivolte appartengono ai popoli che le hanno volute.
Libici, egiziani, yemeniti e tunisini, hanno fatto enormi sacrifici, sorprendendo tutti con la loro determinazione e il loro eroismo, quasi tutti non vogliono e non cercano interventi esterni. Ma questo non vuol dire che la comunità internazionale sia ininfluente, anche perché vi sono grossi interessi commerciali con questi Stati.
In questi paesi anche i movimenti di opposizione sono attraversati da un conflitto generazionale, lo si nota soprattutto nei fratelli musulmani egiziani che non sono stati in grado di coinvolgere la voce e le esigenze delle migliaia di giovani, ciò perché la vecchia generazione si basa su una cultura politica fondata sul culto del leader carismatico.
Nelle società arabe, i conservatori solo oggi si preoccupano perché non sanno che direzione potrebbe prendere il movimento giovanile democratico e si sono resi conto che la repressione o la via delle armi non è vincente.
Resta da chiarire se una rivoluzione senza nessuna guida forte sarà in grado di creare una leadership senza spaccarsi.
L'occidente sembra aver accolto favorevolmente questo processo di democratizzazione, anche se è ossessionato dalla necessità di mantenere lo status quo; ad esempio una pace benché fredda tra Israele e il mondo arabo, è meglio che uno scontro tra occidente ed oriente.
Ma ciò non può escludere che il conflitto tra la politica e gli ideali continui anche oggi e dopo anni di torpore trovi sempre l'elemento scatenante come nelle rivolte di questi giorni.
La politica è l'unica cosa che dovrebbe unire un popolo, è la forza delle intenzioni, è la pianta di orientamento di una nazione, è il progetto delle generazioni, è la speranza di una società responsabile.
Quando questo sarà riconosciuto come scienza di governo allora la politica potrà iniziare ad occuparsi delle persone.