La conformazione architettonica è simile a quella di altre piazze cittadine, con ampi portici lungo una parte consistente del suo perimetro.
Fu da sempre uno dei quattro ingressi della città e prese il nome di Porta Segusina perché da essa dipartivano importanti strade per la Val di Susa, la strada Rippolarum, ossia Rivoli, e la via Collegii cioè per Collegno. La porta fu abbattuta nel 1585, ma il nome, mutatosi in porta Susa, rimase alla piazza, che venne in seguito rinominata con il nome attuale a ricordo dello Statuto Albertino.
Il nome Porta Susa, peraltro, rimase alla stazione ferroviaria situata nella quasi contigua Piazza XVIII Dicembre, impropriamente usato da molti per riferirsi a quest'ultima piazza.
Anche in questa piazza, durante il periodo di occupazione francese tra fine XVIII ed inizio XIX secolo fu eretta la ghigliottina. La piazza ebbe il suo massimo sviluppo architettonico dopo il 1864, quando le situazioni politiche fecero presumere che la capitale del Regno d'Italia sarebbe rimasta a Torino, proprio per le difficoltà incontrate dal governo sabaudo a conquistare la città di Roma al papa Pio IX. Ci sarebbero pertanto rese necessarie molte abitazioni in più per alloggiare la gran quantità di funzionari, militari, politici e così via per la nuova capitale del Regno d'Italia. Così l'impresa londinese di costruzioni Italian Building Society Ltd. iniziò la costruzione dei palazzi che attualmente circondano la piazza. Invece, il trasferimento della capitale d'Italia a Firenze e poi a Roma avvenne subito dopo. L'impresa perse interesse nel completamento dell'opera e il cantiere fu allora ceduto al Comune di Torino che completò l'opera e poi vendette i palazzi all'asta.
Sempre piazza Statuto fu teatro di violenti scontri nel settembre 1865 tra oppositori del trasferimento della capitale da Torino a Firenze e il Regio Esercito, che li represse duramente facendo molte vittime fra i manifestanti sia in piazza Statuto che piazza san Carlo. Scenario ripetuto anche nel 1962, di uno dei primi grandi scioperi di operai del dopoguerra. Furono decine di migliaia i dimostranti che tra il 6 ed il 10 luglio 1962 si riversarono in piazza, per il rinnovo dei contratti del settore metalmeccanico provenienti soprattutto dalla Fiat e dalla Lancia. Le manifestazioni di protesta erano soprattutto contro la UIL (Unione Italiana dei lavoratori), che qui aveva in piazza la sede, colpevole secondo i lavoratori protestanti di aver firmato un accordo separato con la Fiat. Vi furono gravi scontri con la polizia, con centinaia di fermi ed arresti tra i manifestanti.
Ma già anticamente questa era un'area considerata infausta, non solo perché posta ad occidente, ossia, dove tramonta il sole e iniziano le tenebre, ma perché parte integrante della vasta area che, veniva denominata valsi occisorum, da cui il nome della zona Valdocco, dove non solo venivano crocifissi i cristiani e poi impiccati i condannati, ma venivano originariamente anche tumulati. Facendo di questo luogo una vasta necropoli, quindi facilmente comprensibili quali leggende malefiche vi fossero ambientate.
Ciò favori la credenza che anche la piazza avesse un qualcosa di malefico, facendola diventare uno dei vertici del triangolo della magia nera (gli altri sarebbero Londra e San Francisco).
Per la precisione, si ritiene che il vertice di tale triangolo sia nelle immediate vicinanze di un piccolo obelisco, sulla quale sommità vi è un astrolabio. Tale obelisco è posto nell'aiuola di un mal curato giardinetto di fronte al più grande monumento del traforo ferroviario del Frejus. In realtà, questo giardinetto, ora è più uno spartitraffico e l'obelisco, che fu eretto nel 1808, segna un punto geodetico, in ricordo di un vecchio calcolo trigonometrico del 1760 sulla lunghezza di una porzione di meridiano terrestre (il Gradus Taurinensis), eseguito dal geofisico e matematico piemontese Giovanni Battista Beccaria. L'obelisco infatti è anche chiamato, "guglia Beccaria", e a quest'ultimo fu altresì intitolato il piccolo tratto di corso che parte dal giardinetto dell'obelisco verso il corso Principe Eugenio.
Al centro della piazza c'è un imponente monumento con fontana, dedicato alla realizzazione del Traforo ferroviario del Frejus. Il monumento che fu inaugurato nel 1879, consiste in una alta piramide formata da enormi massi provenienti proprio dallo scavo del traforo; sotto la cima della piramide sono collocate delle figure marmoree, rappresentanti dei Titani abbattuti che vorrebbero rappresentare le inenarrabili fatiche dei minatori. Dalla mia comoda posizione posso osservare con calma la statua di un angelo, con la stella in fronte che regge nella mano destra una penna, nella quale su un enorme roccia sottostante ha scritto i nomi dei tre ingegneri che progettarono l'opera: Sebastiano Grandi, Severino Grattoni e Germano Sommellier. L'idea era sicuramente quella di creare un'allegoria del trionfo della ragione sulla forza bruta, ma personalmente lo trovo assai tetro. Opto per la versione popolare che né legge le sofferenze patite dai minatori per realizzare il traforo. Per realizzare quella galleria di 12.847 metri persero la vita 48 operai, ivi compresi i 18 morti a causa di un epidemia di colera che scoppio nel 1864 nel campo base del cantiere. Inoltre a rendere tetra, una bella piazza, a mio parere, c'è anche l'accesso che conduce al sistema fognario; questo elemento favorì il crearsi di leggende e credenze che la indicavano come fulcro della magia negativa o, addirittura, punto di ingresso di una delle tre "Grotte Alchemiche" o peggio ancora l'accesso agli inferi.
Sul lato ovest della piazza, all'imbocco di corso Francia, sorge un alto edificio noto come Torre BBPR, che ritengo personalmente particolarmente brutto. È una rara testimonianza dell'architettura post-razionalista in città; commissionata dalla Reale Mutua Assicurazioni e è stata progettata nel 1959 dal noto Studio BBPR di Milano e inaugurata nel 1961. Sotto il palazzo, all'angolo con via Cibraio una targa ricorda il panettiere Voglino Antonio, nato nel 1897 ad Asti e giunto a Torino in giovane età, costui morì per mano nazifascista il 24 aprile 1945, vicino al civico 12, ma la lapide è posta vicino ad un'altra lapide, che ricorda un eccidio, sotto il civico 1. Infatti il sottotenente dell'Aeronautica Alasonatti Osvaldo nato nel 1922, il comandante partigiano Giuseppe Casana nato nel 1908, il partigiano foggiano Ciro Castellaneta nato nel 1924, il novarese partigiano, già commissario di brigata della 2a divisione Garibaldi, Guido Di Costanzo nato nel 1925, il partigiano Giovanni Battista Gardoncini nato nel 1895, il partigiano Vittorio Marangoni nato 1912, il partigiano Ermanno Scaglia e due partigiani francesi non identificati, sono ricordati su una lapide a imperitura memoria della fucilazione avvenuta il 12 ottobre 1944, per rappresaglia ad un attentato partigiano del giorno precedente e che aveva visto il ferimento di 8 militari tedeschi e un civile italiano per il lancio di una bomba avvenuta contro la facciata dell'albergo "Tre Re" in piazza Statuto. I nove partigiani fucilati, erano già detenuti nelle carceri nuove. Finalmente mi siedo su una panchina a riposarmi e a godere dell'ampio spazio verde che offre la piazza, ricca di alti alberi e abbellita con molti fiori. Stanno giocando molti bambini, attentamente controllati dalle mamme, mentre gruppi di adolescenti, seduti sulla panchina vicino alla mia, chiacchierano e se la ridono sonoramente. Sulla mia sinistra, palazzo Paravia, un edificio anch'esso costruito Italian Building Society Ltd., all'indomani dell'unità d'Italia. L'edificio realizzato in uno stile sobrio neoclassico inglese, come del resto tutti i palazzi che circondano su tre lati la piazza, venne in seguito acquistato dal noto editore torinese, Paravia, da cui l'attuale nome. Proprio davanti al numero civico 18, alle 16 di ogni sabato, fin dagli anni ottanta si ritrovavano i fans della subcultura giovanile "Mod" che si sviluppò a partire dagli anni cinquanta a Londra, poi diffusasi lentamente in tutta Europa. E i "Mod" torinesi, termine abbreviativo di modernism come quelli di tutta Europa avevano scelto come logo identificativo del movimento, il simbolo della Royal Air Force (l'aeronautica militare britannica), spesso presente sui giacconi Parka indossati dai Mod.
Dalla piazza ha preso anche il nome il gruppo musicale ska modernista degli Statuto, che potrei definirlo un complesso musicale riconducibili alla scena Mod.
La piazza dovette assistere ad un altro tragico evento avvenuto la sera del 13 febbraio 1983, quando l'incendio del Cinema Statuto, provocò la morte di 64 persone per intossicazione da fumi e per ustioni; 31 uomini, 31 donne e due bambini. Il cinema, che prendeva il nome dalla piazza, era sito in via Cibrario 16-18. Nonostante una capienza di circa 1200 posti, quel giorno erano presenti in sala solo un centinaio di persone. Al momento dell'incendio, era in proiezione la pellicola La capra, con Gérard Depardieu. Le fiamme si sarebbero propagate partendo da una tenda e sebbene le vittime, avessero tentato la fuga, trovarono le uscite di sicurezza chiuse, non riuscendo così a scampare alle esalazioni prodotte dalla combustione delle poltrone, dal rivestimento plastico delle lampade e dai tendaggi alle pareti.
Già dal titolo del film, agli spiritisti e gli esoteristi viene data la possibilità di fare molte allusioni. Infatti la capra (Capra hircus), un animale da sempre utilizzato dall'uomo e spesso stata associata al maligno. Nel medioevo in Europa s'identificava il diavolo (termine generico per indicare Satana) con una capra o meglio con un grottesco essere antropomorfo con le sembianze di caprone. Questo assioma capra-diavolo divenne sempre più a consolidarsi, proprio quando nei processi contro la stregoneria, si narra di alcuni tipi di cerimonie in cui le streghe e stregoni erano soliti indossare teste di capra. Oppure arrivare al sabba a cavallo di capre. Lo stesso diavolo e talvolta raffigurato durante i sabba come un caprone, le streghe gli devono obbedienza, baciandoli i genitali o anche la zampa sinistra, offrendogli candele nere o ombelichi di bambini. Molte storie raccontano che il diavolo, tramutato in caprone s'accoppiasse, durante il sabba con le streghe.
Anche il celebre Baphomet (Bafometto), o "demone esoterico" adorato, pare, anche dai Templari, era rappresentato da un essere androgino con la testa di capra sulla cui fronte era disegnato un pentagramma. Si racconta che durante il famoso processo contro i Templari, qualche cavaliere ammise di adorare un'icona che raffigurava un uomo con le fattezze da capra con una lunga barba al quale dovevano rendere omaggio una volta iniziati all'ordine. Sono fortemente convinto che sia un storia inventata per macchiare la storia di questi cavalieri. Invece Erodoto già nel V secolo a.C. sosteneva che una popolazione del delta del Nilo (detta di Mendes) venerasse le capre come dèi, e Plutarco nel 120 d.C., scriveva che le donne più belle venivano scelte per fare l'amore con il dio caprone di Mendes. Ciò ovviamente lascia alle menti fervide, fantasiose idee sull'immane disgrazia.
Seduto comodamente sulla panchina, posso osservare con molta calma il culmine della piramide dove l'angelo o il genio alato con una stella a cinque punte sul capo e che, se la memoria non m'inganna, è stata associata a quella del principe degli inferi, Lucifero, che si vuole osservi appunto la sottostante entrata degli inferi. Monumento che comunque non piacque mai ai torinesi. D'altra parte come dargli torto. La bibbia narra che Lucifero era l'arcangelo più bello, portatore di luce, il più vicino a Dio e con il quale voleva condividere la gloria. Per questo motivo venne sconfitto e scacciato e la sua luce fu spenta insieme agli altri angeli ribelli, facendolo precipitare nelle viscere delle terra, dove divenne il signore del male.
Vedo passare, poco distante da me, il professor Quirinus Raptor. Costui non è residente nel torinese, anzi ha sempre manifestato idiosincrasia a questa città, essendo molto più legato a Milano, forse perché più vicina al suo luogo di residenza abituale. Fu comunque un insegnante della mia Hogwarts. E se la Rowling lo descrive come un personaggio abbastanza pauroso e balbettante, insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, in quella torinese la parlantina non gli mancava anche se poteva apparire timido. Raptor, è presentato nel romanzo come un giovane pallido dall'aria nervosa, con un tic ad un occhio, personaggio molto bizzarro con indosso sulla testa un turbante color porpora, da cui proviene uno strano odore, da lui impiegato per nascondere il volto del "malvagio" sulla nuca. Balbetta sempre, ha paura di tutto e si spaventa per ogni minimo rumore. Atteggiamenti che sono solo una copertura: il suo vero carattere è crudele e determinato. Anche Quirinus Raptor torinese è un mago piuttosto talentuoso, esperto conoscitore di veleni ed intrighi che utilizza sempre a suo uso e consumo. Un apparente gioviale ragazzo, non molto alto, dalla carnagione chiara e dai capelli biondi, con un bel portamento e modi cortesi, ma che nasconde un'anima nera. Mi fu molto vicino, tanto da diventare mio confidente, ma ebbi come risultato l'infedeltà. Lo lascio andare, non vorrei apparire ipocrita con un saluto freddo. D'altra parte come molti altri mangiamorte, sono loro che portano addosso il peso del peccato. Forse, chissà, s'appropinqua a scendere negli inferi, visto che siamo nella piazza in cui la magia nera ha uno dei suoi vertici.
Qui vicino in corso san Martino, la strada che conduce alla stazione ferroviaria di porta Susa, una lapide all'altezza del civico 5, ricorda La Rocca Pasquale, morto il 27 aprile 1945, all'età di 35 anni, mentre transitava in corso san Martino, rimase ferito gravemente da una pattuglia di militari tedeschi. Il partigiano, appartenente alla 25ma brigata Sap, fu soccorso da un'autolettiga della Croce Verde, ma non ci fu per lui nulla da fare.
Volendo rimanere in zona stazione porta Susa, ricordo che dentro alla stazione ferroviaria un ulteriore lapide ricorda la morte di tre sappisti, Bratto Tommaso, D'Agostino Archimede e Molino Marco, cadute nelle giornate insurrezionali il 27 aprile 1945. Entrarono intorno alle 15 in stazione con l'intento di raggiungere la stazione di Torino Dora con una locomotiva, dove un gruppo di nazisti resistevano alle forze partigiani. I fascisti su carro armato, interpretato le intenzioni dei partigiani, sfondano il cancello della stazione, catturando i tre partigiani e "passandoli subito per le armi".
Sotto i portici di piazza XVIII dicembre, all'angolo con via Cernaia una lapide ricorda che vi abitò anche Edmondo De Amicis, nel palazzo all'angolo nord, dove scrisse il suo libro più famoso, Cuore. Sempre nello stesso edificio visse per un breve periodo di tempo Emilio Salgari.
Ricordiamo che piazza XVIII dicembre è dedicata alla memoria delle vittime dell'eccidio commesso dai fascisti di Piero Brandimarte, la cosiddetta strage di Torino, tra il 18 dicembre ed il 20 dicembre 1922.
Costui tra il 18 ed il 20 dicembre 1922 guida manipoli di squadristi, torinesi nella rappresaglia che sfociò con la morte di 14 uomini e di 26 feriti, inoltre vennero date alle fiamme: la Camera del Lavoro, il circolo anarchico dei ferrovieri, il Circolo Carlo Marx e devastata la sede di Ordine Nuovo. Tutto ebbe inizio il 17 dicembre, quando due fascisti, Giuseppe Dresda e Lucio Bazzani, aggredirono il tranviere anarchico Francesco Prato che li uccise. Sempre nelle vie che si diramano da piazza Statuto, troviamo altre lapidi che ricordano ancora dei partigiani caduti per la liberazione dai nazifascisti della città, come sempre in via Cibrario, vicino al civico 46c una lapide ricorda Saio Giuseppe, nativo nell'alessandrino a Novi Ligure il 13 dicembre 1882 e residente in via Cibraio che rimase ucciso in una sparatoria il 26 aprile 1945, tra partigiani e nazifascisti, mentre passeggiava con la moglie. Anche in corso Francia troviamo dei caduti, come quella posta al civico 203b, che ricorda il sedicenne Frati Pier Davide di Chivasso, nato il 4 settembre 1928 ed abitante in via Nizza, appartenente alla 10ma brigata Sap "Antonio Gramsci" con il nome di battaglia Ego. Ucciso il 16 dicembre 1944, mentre cercava di recuperare un paio di scarpe per un compagno in un negozio di calzature da un commerciante, noto fascista. Ancora in corso Inghilterra, sulla facciata del palazzo vicino al civico 47, Pizzorno Carlo, nativo di Romagnano Sesia il 5 settembre 1922, residente in Torino, in corso Costanzo Ciano 47, laureando in giurisprudenza e allievo ufficiale dell'esercito all'8 settembre 1943, diventa comandante distaccamento delle Sap cittadine. Arrestato a seguito di una delazione, venne torturato e condannato a morte e fucilato insieme ad altri partigiani al Martinetto il 22 settembre 1944 a soli 22 anni. Corso Costanzo Ciano è l'attuale corso Inghilterra. Il Martinetto, ora sacrario del Martinetto si trova in corso Svizzera, angolo corso Appio Claudio. Sorge in un area che nel 1883 il Comune cedette alla Società del Tiro a Segno Nazionale, che ne fece un poligono. Dopo l'annuncio dell'armistizio, l'8 settembre 1943, e con la nascita della Repubblica Sociale, il poligono fu usato come luogo per le fucilazioni di partigiani e oppositori politici. In questo periodo vennero effettuate 59 esecuzioni.
Anche quest'area fu scenario di molti film, ad esempio in piazza Statuto, ricordiamo solo "Amore e Ginnastica", del 1973, Bubù del 1971, "Il gatto a Nove code" di Dario argento del 1971, "Poliziotti" del 1994, mentre in piazza XVIII dicembre e stazione porta Susa i film "A cavallo della tigre" del 2002 di Carlo Mazzacurati, "L'eroe della strada", del 1948 di Carlo Borghesio con Erminio Macario, Delia Scala e Arnoldo Foà, girato nella vicina caserma Pietro Micca e che tanto fece discutere il mondo politico post bellico. Il film: "La seconda volta" di Mimmo Calopresti del 1995, con interpreti Nanni Moretti. Il cortometraggio: "Manila paloma blanca" di Daniele Segre del 1992. Nell'adiacente via Cernaia troviamo scene dei film "Il giorno in più", del 2011 regia Massimo Venier, dove Fabio Volo ricostruisce il suo omonimo romanzo ambientato a Milano e New York a Torino, interprete anche lo stesso Fabio Volo, Luciana Littizzetto, Lino Toffolo, Stefania Sandrelli. Mentre Riccardo Scamarcio e la Giovanna Mezzogiorno interpretano due terroristi nel film "La prima linea" del 2009 diretto da Renato De Maria, liberamente ispirato al libro "Miccia corta" di Sergio Segio.
Dopo essermi riposato, abbeverato ad una fontanella posta sulla piazza, ammirato i fiori, apprezzato le mamme che controllano i propri bimbi, intenti a giocare, credo che sia ora di avviarsi su via Garibaldi.
Fine LI parte.