Lele e Gian vogliono farmi visitare il castello di Brich Zumaglia vicino a Biella. Il viaggio in auto è breve. Indossati i miei occhiali da sole, messa in tasca la piccola macchina fotografica e indossato il bel cappellino di "viaggia e scopri" iniziamo a inerpicarci sulla stradina sterrata che conduce al castello. Essa è incorniciata da alberi ad alto fusto come faggi, castagni, roveri, roverelle, aceri e querce ma anche resinosi abeti e tassi. Il sottobosco è tappezzato da margherite, violette ranuncoli, veroniche ed erba cimicina.
Giungiamo sotto le mura del castello. Prima di entrarvi mi soffermo ad ammirare lo splendido panorama: si possono vedere molti paesi del Biellese orientale fino alle piane del Novarese, oltre alla zona risicola del Vercellese e verso il Monferrato.
È curioso sapere che il toponimo Zumaglia che da nome al sottostante paese deriva da zumaja, che nel dialetto locale significa mammella. Infatti il Brich, dove si erge il castello è la collina gemella del monte Prevè, che viste dalla pianura sembrano due mammelle.
Il territorio di Zumaglia nel medioevo era assoggettato al Vescovo di Vercelli che ne affidò la gestione ai Signori di Buronzo. Comprendo facilmente perché qui fu edificato il primo castello: da questa posizione si può dominare buona parte del Biellese e del vercellese. Le cronache raccontano che il primo castello fu edificato durante l'episcopato di Lombardo della Torre, vescovo di Vercelli dal 1328 al 1343. Con la sua morte, i signori di Valdengo, gli Avogadro, assalirono il castello, espugnandolo e misero in fuga il castellano e le sue truppe. Ma presto il possesso ritornò al vescovado.
Durante l'episcopato di Giovanni Fieschi, il castello venne ancora rinforzato, diventando luogo di rifugio del Vescovo, quando i rapporti con la comunità Biellese diventarono particolarmente tumultuosi. Soprattutto quando, nel 1377, la rivolta capeggiata dal canonico di Santo Stefano di Biella, Ardizzone Codecapra pose fine al dominio dei vescovi di Vercelli sul Biellese. La Rocca di Zumaglia seguì la sorte di Biella e passò sotto il dominio diretto di Amedeo VI di Savoia detto il conte Verde.
La gestione diretta del castello avvenne tramite castellani nominati dalla casa regnante e poi infeudato dalla famiglia degli Avogadro. Nel XVI secolo il territorio di Zumaglia venne ceduto a Filiberto Ferrero Fieschi fino al 1620. Nel 1556 però il castello venne in gran parte distrutto durante un attacco d'artiglieria dalle truppe di Enrico II di Francia. In questo contesto collochiamo, tra storia e leggenda, le vicende del capitano Giovanni Francesco Pecchio. Lele mi racconta che Pecchio nel 1537 ricevette l'incarico di far eseguire una sentenza del duca Carlo III contro Filiberto Ferrero Fieschi. Il capitano però fu rinchiuso da Fieschi per vent'anni nelle celle sotterranee del castello.
Nel 1556, quando i francesi conquistarono il castello, sentendo i suoi lamenti lo liberarono dalla prigionia. Un'altra versione della storia vuole invece che Pecchio fu fatto rapire da Filiberto Ferrero Fieschi mentre stava tornando a cavallo alla sua tenuta ad Asigliano. Si sarebbe trattato di una vendetta, dato che il Pecchio aveva fatto eseguire una sentenza di carattere finanziario contro di lui. Ferrero sparse la voce che il gentiluomo fosse rimasto ucciso dopo aver subito una rapina e il marchese non esitò ad accusare due poveracci, che sotto tortura confermarono un delitto mai commesso. I due furono poi impiccati. Comunque sia, i francesi, abbattuto il muro che nascondeva il Pecchio, che veniva alimentato attraverso un foro creato nella parete, trovarono un uomo ormai in uno stato larvale e a fatica riuscirono a farsi raccontare le sue storie. Il Pecchio non sopravvisse a lungo e dopo tante sofferenze dovette subire anche l'umiliazione di non essere stato riconosciuto dalla sua famiglia. La moglie, che nel frattempo si era risposata, era morta durante la sua prigionia e i figli avevano sperperato e venduto il suo patrimonio. Il castello ormai abbandonato e caduta in rovina, venne acquistato e ricostruito dal conte Vittorio Buratti nel 1931.
Vittorio Buratti era il primo di quattro fratelli di un'antica famiglia di industriali nel settore tessile del Biellese. Egli era impegnato nell'associazionismo cattolico. Sposò in seconde nozze Virginia Zanchi, anch'essa proveniente da una famiglia di industriali, che si occupavano della lavorazione e produzione di bozzoli da seta, nel Bergamasco. Il matrimonio, l'adesione al partito fascista, la ricostruzione del castello di Zumaglia gli valse nel 1942 il conferimento da parte di Vittorio Emanuele III del titolo di conte della Malpenga.
L'unica parte originale dell'antico castello rimane quella inferiore. Tra i resti è presente la profonda cisterna per la raccolta dell'acqua e l'ipotetica prigione dove fu detenuto il capitato Giovanni Francesco Pecchio. Dal grande terrazzamento del castello si erge l'unica torre ricostruita. Essa è molto imponente, è di forma quadrata ed è stata realizzata in pietra.
Mentre i miei amici si soffermano a parlare con una loro conoscenza mi aggiro sotto il piccolo portico che unisce la torre al salone di rappresentanza. Attraverso una scala accedo ad una seconda terrazza che funge anche da tetto. Essa è incorniciata da merli a coda di rondine e da questo luogo lo sguardo può spaziare a 360°, abbracciando l'intero arco alpino e tutta la pianura padana.
Ovviamente non può esistere un castello senza leggende e quello di Zumaglia ne ha tante. Una di queste me la racconta Lele. Parla del fantasma di una lavandaia che appare durante i temporali per stendere i panni macchiati di sangue che la pioggia non riesce però a lavare. Leggenda triste che ricorda le antiche tragedie e sventure che hanno visto il castello protagonista. Il cortile sottostante come il terrazzamento pare proprio indicato per disegnarci il cerchio magico delle masche e ben si adatta ai racconti che vuole in località "Al torrione" si riunissero in congrega le streghe per celebrare i loro Sabbat.
Scesi dal terrazzo superiore entriamo nel salone che presenta un alto soffitto ligneo e un grande camino adornato con affreschi di paesaggi locali. Ancora oggi esso viene utilizzato per riscaldare gli ambienti come testimonia l'abbondante cenere. Le altre pareti sono affrescate con delle vicende che, credo, vogliano rappresentare la storia del castello.
Oggi il castello viene utilizzato per eventi culturali, tra cui mostre e spettacoli teatrali, oltre a ricevimenti.
Intanto che usciamo Lele mi racconta un'altra storia: nel 1384 durante un violento temporale un fulmine colpì una torre provocando un incendio. Il castellano resosi conto che le riserve d'acqua non erano sufficienti ordinò di utilizzare il vino della cantina del Conte Amedeo di Savoia VII detto il conte Rosso. Chissà quali traversie dovette subire il castellano per aver utilizzato il vino del conte Amedeo VII, figlio del conte Verde?.
Mentre scendiamo, ammirando un fremontodendron californicum con i suoi grandi fiori gialli a coppa, Lele mi racconta altre leggende. Una di esse narra che vi siano dei passaggi segreti: uno unirebbe il castello al pozzo di San Girolamo, dove oggi sorge villa Sella, un secondo passaggio porterebbe verso il torrente Riasco ed altri condurrebbero più lontano. Un'altra leggenda, è quella del fantasma del caprone. Un animale di impressionanti dimensioni che appariva ad un giovane mentre rincasava in tarda notte dopo aver fatto visita alla fidanzata. Talvolta appariva, invece del caprone, un enorme ariete che anch'esso, impennandosi ed emettendo mostruosi belati, obbligava il giovane innamorato a retrocedere. Altre volte, invece, compariva all'improvviso una fiamma infuocata che lo inseguiva. Si vuole che il caprone sia l'anima vagante del marchese Ferrero Fiaschi che morì dopo giorni di malattia con nascosto accanto al letto un diavolo. Esso, con delle allucinazioni, gli aveva fatto rivivere sulla sua pelle le crudeltà che il marchese aveva inferto all'inerme popolazione e ai suoi antagonisti. La leggenda vuole che con la sua morte si aprì una voragine di fuoco che inghiottì il corpo del marchese, che non fu mai ritrovato.
Dopo aver visitato questa rocca mi rendo conto che, più dal castello stesso, sono rimasto affascinato dalle storie e dalle leggende che lo riguardano.
Finisce così un'altra scoperta del mio Piemonte. Sono molto riconoscente verso Lele e Gian che hanno saputo presentarmi questo piccolo maniero, collocato in uno dei posti più panoramici di tutto il Piemonte.