Dal balcone di casa, ammirando i campi con il grano appena germogliato, sento l'odore di primavera pervadermi, accompagnato dai primi cinguettii. All'orizzonte nuvole dispettose a un sole capriccioso, riempiono l'aria di quello strano profumo inebriante che mi è mancato per tutto l'inverno. Se oggi passerà qualche nuvola in cielo sarà solo per ricordarmi quanto è bello il sole.
Mi avventuro in un paesino poco distante da casa mia, parcheggio l'auto sotto l'antico viale di platani che costeggiano la strada d'accesso a Bosco Marengo. Voglio dedicare la giornata a conoscere meglio questo borgo dell'alessandrino, posto nella pianura d'oltrebormida, quella più comunemente chiamata "fraschetta". L'abitato il cui nome è Bosco Marengo (Lucus Maricorum), deriverebbe dal nome delle tribù celto-liguri dei Marici che abitavano questo luogo prima della romanizzazione. Probabilmente ai tempi dei romani forse era una stazione lungo la strada Levata che allora era chiamata via Aemilia, oppure un semplice villaggio di allora sito nelle vicinanze della via Emilia. Dopo la caduta dell'impero romano c'è chi racconta che furono i Longobardi a trasformare Media Silva, così pare fosse chiamato il villaggio di Bosco Marengo in una fortezza a dominio della pianura. Ma il borgo, secondo la tradizione, invece fu fondato nel 498 da Teodorico, re degli Ostrogoti. Negli ultimi anni del I millennio, Ottone I imperatore di Germania concesse Bosco ad Aleramo, marchese di Monferrato. Il suo discendente Ugone, fu il primo Marchese di Bosco, e uno dei sette marchesati Aleramici. Il borgo, allora, era completamente circondato da pianura completamente ricoperta dai boschi, e fu da sempre terra di confine tra importanti ducati e marchesati. Fu in quel periodo intorno al mille che Bosco fu fortificata con tanto di possenti mura aventi lo sviluppo di un chilometro e più, con un largo fossato che lo circondava. Si racconta che il borgo fosse dotato di tre porte d'accesso, dodici torrioni di cui l'ultimo che si conserva è l'attuale campanile della chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Pantaleone, due castelli interni, sorti in epoche diverse. Uno di questi castelli era detto di Castelvecchio perché il più antico e sorgeva sopra i muraglioni di mezzogiorno che sovrastano la Valgelata, area che sovrasta la campagna verso Casalcermelli, l'altro detto di Castelnuovo o di Santa Maria del Tiglieto, si trovava all'incirca dove ora sorge il centro ricreativo comunale della Pro Loco e un terzo castello, detto il Castellotto, era posto fuori le mura, a protezioni di queste ultime e collocato poco fuori di essa in direzione Fresonara, ma ancora nell'attuale centro abitato, all'incirca dove vi era un tempo un ristorante.
Il territorio del Marchesato di Bosco si estendeva fino quasi alle coste liguri. Tra i fondatori di Alessandria nel 1168 troviamo i Marchesi di Bosco, città che sorse su terreni di loro proprietà. Bosco Marengo fu conquistato da Marco Visconti nel 1316 ed incorporato nei possedimenti milanesi. Un importante fatto d'armi si svolse il 18 ottobre 1447 sotto le mura di Bosco Marengo, con l'epica battaglia, detta del Tiglieto, in cui si scontrarono l'esercito francese guidato da Dresnay e quello del ducato milanese condotto da Bartolomeo Colleoni. In quella battaglia l'intervento dei boschesi fu determinate per la vittoria del Colleoni, tanto che una lapide posta sulle mura del castello Sforzesco a Milano ricorda la fedeltà dei boschesi in quell'occasione. Nel 1537 Carlo V, su proposta degli alessandrini, fece smantellare il forte di Bosco Marengo. Questi avevano il timore che in caso di assedio della loro città, il forte di Bosco Marengo potesse essere usato dagli assedianti, come loro base. Furono abbattute alcuni tratti di mura, i ponti levatoi e il materiale della demolizione cominciò a riempire i fossati che cingevano le mura. Distruggendo così il più bel complesso edilizio fortificato che la pianura alessandrina avesse mai avuto. Nel 1642 il comandante spagnolo della piazzaforte di Milano, diede ordine di demolire ciò che rimaneva dell'antica fortezza. Fu risparmiata una sola torre che oggi è la torre campanaria della chiesa parrocchiale e le muraglie verso l'Erzano e gli archi delle tre porte d'entrata. Demolite queste ultime alla fine nel 1814. Dell'antica fortificazione di Bosco Marengo rimangono oggi solo tratti di bastioni.
Passò poi ai Savoia nel 1713, come tutto il territorio dell'alessandrino. Decido di iniziare la mia visita dal monumento più importante del piccolo comune, ossia dal complesso monumentale del convento di Santa Croce. Imponente complesso conventuale tardo-rinascimentale che fu uno dei primi in cui trovarono applicazione le tesi della controriforma espresse nel concilio di Trento. Voluto dal suo più importante concittadino, Michele Ghislieri, salito al soglio pontificio nel 1566, come Pio V. Costui promosse fin da subito la costruzione nella sua terra natia di un convento domenicano dedicato alla Santa Croce e Ognissanti, con la bolla Praeclarum quidem opus del 1566. Il complesso monumentale sorge a metà strada tra i nuclei urbani di Bosco e di Frugarolo, che secondo le intenzioni del pontefice, doveva costituire il centro di una nuova città, aggregante i due centri abitati, ma così purtroppo non fu. La chiesa conventuale, secondo le volontà del papa doveva fungere da sepolcro per il Papa stesso. Il complesso si compone della chiesa e di edifici conventuali con due chiostri, il refettorio e la biblioteca a tre navate ed altri numerosi locali. La chiesa, a croce latina, di gusto tardorinascimentale, possiede dieci cappelle che fiancheggiano la navata. Il convento e la chiesa furono progettati dall'architetto perugino padre Ignazio Danti, affiancato da Giacomo Della Porta e i lavori proseguirono sotto la direzione di Martino Longhi il vecchio. Già quando era cardinale, Michele Ghislieri poi Pio V, tentò di costruire un convento domenicano a Bosco Marengo, acquistando terreni e case nel centro storico del borgo per la sua realizzazione. Quando fu eletto papa, avendo maggiori risorse finanziarie a disposizione, volle realizzare un progetto di più ampie dimensioni. Dopo soli quattro mesi dall'elezione il, 9 maggio 1566, inizio ad acquistare i terreni ed all'edificazione del convento, che terminò nell'ultimo decennio del '500. Papa Pio V ebbe un breve pontificato e ciò non permise al pontefice di vedere ultimato il convento. Nonostante questo, dopo la sua morte i lavori proseguirono anche se con più esigue risorse come risulta evidente dalla minore sontuosità di molti locali.
Ebbi modo di entrarci diverse volte, sia nell'area conventuale che nella chiesa. Infatti il convento, fu soppresso da Napoleone, fu nel 1815 e destinato ad accogliere un Campo di militari veterani Francesi. Alla caduta di Napoleone, seguì il ritorno dei frati ma il convento venne nuovamente e definitivamente soppresso nel 1860, destinato per brevi periodi a deposito militare e ospedale oftalmico. Nel 1862 infine trasformato in Casa per la Rieducazione dei Minorenni anche detto riformatorio. Fu infatti dedicato ai giovani "discoli e corrigendi" già dopo l'Unità nazionale. Ebbe una grande rilevanza proprio per le sue dimensioni: 320 celle, 275 posti nel refettorio, 4 laboratori, un'officina per intagliatori, una scuola industriale, scuole elementari, sala conferenze, teatro e biblioteca. Un importante centro che raccoglieva i "discoli" come venivano chiamati i ragazzi condannati a pene detentive ma anche semplicemente vagabondi, finanche minori di 14 anni. Una fama mantenuta ininterrottamente dal 1894 al 1989, anno della definitiva chiusura. Fu durante l'ultimo periodo di funzionamento del Riformatorio che entrai per la prima volta nell'area ex conventuale, in veste di volontario che cercava di insegnare piccoli rudimenti di primo soccorso ai giovani detenuti. Un esperienza brevissima ma che mi permise di conoscere la realtà detentiva minorile e anche l'antica struttura conventuale. Ebbi modo altresì di entrare nelle parte restaurate del convento, quando parte dello stesso, dopo la chiusura del riformatorio divenne sede del World Political Forum fondato nel 2002 da Michail Gorbačëv. Appena vi accedi ti accoglie il primo chiostro, dal quale puoi avere accesso anche al museo Vasariano di recente istituzione. Sempre al piano terreno si trova il grande refettorio con decorazioni seicentesche, ricoperte da calce bianca durante il periodo napoleonico e per tutto il periodo che fu utilizzato quale Riformatorio. Interessante anche la sala capitolare, come il locale che era destinato a cucina con le sue ampie aperture nella volta per l'aerazione e l'illuminazione. Per trovare le celle dove venivano trattenuti i "discoli" bisogna salire al primo piano, ancora oggi le griglie metalliche delle celle di poco metri quadri fanno rabbrividire al solo pensiero che giovani ragazzi, per lo più adolescenti errabondi, indisciplinati, dediti per lo più al furto e ad altri piccoli reati vi venissero rinchiusi. Altre celle erano state ricavate nei vecchi granai soppalcando i silos e realizzando due piani di celle, fredde ed anguste. Ragazzi chiusi tra inferiate e pesanti porte di legno in luoghi umidi. Fortunatamente erano celle scarsamente utilizzate. Sempre al primo piano si trova la biblioteca, nel disegno, simile a quella del convento di San Marco a Firenze, a tre navate separate da file di delicate colonne. La biblioteca fu dotata dal Papa di numerosi e rari volumi per lo studio dei frati. Durante il periodo che il complesso fu utilizzato da riformatorio, i salesiani affrescarono la biblioteca con disegni e rappresentazioni sacre che ricordavano ai "discoli" le preghiere. Un semplice altare e posto in fondo alla biblioteca, dove un grande quadro raffigurante San Giovanni Bosco ricorda l'attività dei salesiani nella educazione ai più giovani. Ancora ben conservati i portali in pietra di Visone di accesso alla sala capitolare, alla biblioteca e di collegamento tra lo scalone principale e il refettorio.
Il convento domenicano funzionò dal 1567 al 1802 ed era autosufficiente. All'interno delle sue mura vi erano orti ed una peschiera alimentata quest'ultima dalle acque di una roggia in cui i frati allevavano pesci per il proprio nutrimento. Vi era anche una fornitissima spezieria dove i frati producevano farmaci di ogni genere. Erano molte le proprietà terriere (circa 1500 ettari), che Pio V volle assegnare al Convento per il suo sostentamento, oltreché numerose rendite. Chissà se partiva da questo convento il vino che il Papa si faceva mandare direttamente a Roma. Vitigno ormai scomparso ma che ne era il principe della tavola per gli abitanti e i nobili della piana alessandrina: il Nerello della fraschetta. Il secondo chiostro ha un bel loggiato al piano terreno, realizzato in preziosi marmi e colonne binate, mentre il piano superiore, realizzato dopo la morte del Papa, è in semplici mattoni. Intorno vi sono le celle che ospitavano i novizi, mentre a centro del cortile vi è un tempietto in marmo per il pozzo e per la raccolta delle acque piovane. Molti marmi per la costruzione del convento arrivarono non solo da cave piemontesi e toscane, ma addirittura da Roma, riciclando i marmi dalle dimore patrizie dell'antica Roma.
Nel convento soggiornarono importanti ospiti, come nel 1666 l'infante di Spagna Margherita, figlia di Filippo IV, diretta in Austria per il suo matrimonio con l'imperatore Leopoldo, ma anche nel 1664 il cardinale Carlo Bonelli di origini boschesi, nunzio apostolico in Spagna. Napoleone Buonaparte il 2 maggio 1796 occupò le stanze del convento durante la prima campagna d'Italia. Il convento fu visitato dai re sabaudi Carlo Felice nel 1824 e Carlo Alberto col figlio Vittorio Emanuele II nel 1846. Pio V voleva che il Convento fosse soprattutto luogo di studio, ecco perché volle l'importante biblioteca, trasformando il convento nei fatti in una università. Negli anni tra il 1841 e il 1845 studiò nel convento il padre domenicano Jean-Baptiste Lacordaire, famoso teologo, artefice della restaurazione dell'ordine domenicano in Francia dopo la soppressione degli ordini religiosi. Lascio il convento per accedere all'adiacente chiesa. La chiesa è a croce latina, di gusto tardorinascimentale, possiede dieci cappelle che fiancheggiano la navata. Nonostante le distruzioni e le spoliazioni subite nel corso dei secoli, il complesso ancora conserva pregevoli opere: "Giudizio Universale" di Giorgio Vasari, originariamente pala di un altare smembrato nel 1710; uno stupendo coro ligneo con stalli intagliati da Angelo Marini, raffiguranti parecchi santi; ma anche la Pala d'altare della cappella di santa Caterina da Siena con la tela "Le mistiche nozze di Santa Caterina da Siena" datata 1575-1585 di un pittore attivo a Roma; come anche nella cappella del battesimo di san Paolo con Pala d'altare: "Il battesimo di San Paolo" del 1575; interessante nella cappella di sant'Antonino la Pala d'altare: "Sant'Antonino libera un'indemoniata" di un Pittore attivo a Roma 1575-1585, in questa tela la scena è ambientata in Santa Croce, sullo sfondo si può notare il preesistente altare maggiore progettato da Giorgio Vasari e scomposto nel 1710; "Adorazione dei Magi" di Giorgio Vasari posta nella cappella dei re magi. Lo stesso Vasari scriveva ne "Le Vite": "Tornato dunque a Fiorenza, e per averlomi Sua Santità comandato, e per molte amorevolezze fattemi, gli feci, sì come avea commessomi, in una tavola l'Adorazione dei Magi, la quale come seppe essere stata da me condotta a fine, mi fece intendere che per sua contentezza e per conferirmi alcuni suoi pensieri, io andassi con la detta tavola a Roma,...". Sempre nelle cappelle di destra vi è quella dedicata di santa Rosa con una pala d'altare forse di Carlo Preda. Sul lato opposto troviamo a scendere verso l'uscita la cappella delle reliquie. Pio V donò alla chiesa di Santa Croce moltissime di reliquie, racchiuse in preziosi reliquiari. Per custodirle si realizzo un apposito reliquiario, purtroppo delle moltissime reliquie che conteneva ne restano che poche; tante andarono disperse, rubate o distrutte. Un dipinto del reliquario lo si può osservare nella chiesa parrocchiale di Bosco Marengo. Proseguendo vi è la cappella dei santi domenicani, anticamente dedicata a San Vincenzo. Nel 1673-74, in occasione della beatificazione di Pio V fu stabilito di mutarne la dedica per venerarvi cinque nuovi Santi e Beati dell'ordine Domenicano. Infatti la pala d'altare raffigura un gruppo di Santi Domenicani. L'autore probabilmente è il milanese Carlo Preda. È invece di Grazio Cossali la pala d'altare "Madonna del Rosario" della cappella del rosario o della vittoria di Lepanto (1597). In questa pala sono raffigurati la Madonna del Rosario tra i santi Domenico e Caterina da Siena, in basso Pio V con alle spalle il nipote Cardinale Bonelli e sulla destra Filippo II di Spagna e il doge veneziano Mocenigo. L'altare celebra la vittoria di Lepanto, nella quale la Lega voluta da Pio V con Spagna e Repubblica Veneziana sconfisse nel 1571 la flotta turca. Ancora un altro grande pittore come Guglielmo Caccia detto "Il Moncalvo" a dipingere la pala d'altare con L'apparizione di Gesù a San Tommaso D'Aquino posta nell'omonima cappella di san Tommaso. Chiude la cappella di san Giacinto con una bella pala d'altare: L'apparizione della Vergine a san Giacinto, anch'essa di Guglielmo Caccia detto "Il Moncalvo", di fine '500. Degne di particolare attenzione due acquasantiere di marmo serpentino, verde, sicuramente proveniente da qualche antico scavo di Roma. Infatti le acquasantiere di forma ovale, contengono altorilievi di serpentelli ecc..
Il transetto, molto ampio e luminoso, ospita sul lato sinistro della croce l'altare di san Domenico, opera in marmo nero di Giulio Tencala, realizzato nel 1672-73 in occasione della beatificazione di Pio V. La pala d'altare invece è realizzata nello stesso periodo dell'altare e raffigura San Domenico con Santa Caterina e Santa Maria Maddalena, forse anch'essa opera di Carlo Preda. Mentre sull'altro braccio si può ammirare il cenotafio di Pio V. Il papa di Bosco Marengo desiderando essere sepolto a Santa Croce, nel suo paese natale, vi fece erigere il proprio monumento funerario. Il desiderio del pontefice tuttavia non fu rispettato e le sue spoglie sono tuttora custodite nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Non si conosce con certezza l'autore di questo monumento funerario, di certo si sa che le sculture e alcune parti architettoniche vennero inviate da Roma a Bosco Marengo. Nel 1744, purtroppo l'urna funeraria, in marmo rosso, posta alla base del monumento, fu spostata nella parete di fronte e al suo posto fu realizzato l'altare tutt'ora esistente.
Sul monumento funebre, un altorilievo scolpito nel marmo chiaro, san Michele che abbatte il demonio, al centro Pio V orante dinnanzi a Cristo risorto, ai lati le statue della Fede e della Carità. Un medaglione sopra la mensa dell'altare, in altorilievo raffigura Pio V. Difronte è quindi posto l'urna in marmo rosso che avrebbe dovuto contenere le spoglie del Papa.
Sotto l'urna l'epitaffio dettato da Pio V:
PIVS PAPA V BOSCHENSIS EX FAMILIA GHISLIERIORUM
ORIUNDUS ORDINEM PRAEDICATORUM PROFESSUS DIEM
MORTIS VNIVERSALIQVE RESVRRECTIONIS PRAE OCULIS
HABENS A DIE ASSVMPTIONIS SUAE AD APICEM APOSTOLATVS
MONVMENTVM ISTVD ERIGI MANDAVIT PRO CADAVERE SUO
REPONENDO QVANDO DIVINAE CLEMENTIAE VISVM FVERIT
IPSVM AB HOC SAECVLO NEQVAM ERIPERE
(Il Papa Pio V, boschese, della famiglia Ghislieri, dell'ordine dei predicatori, avendo presente inanzi a sé il giorno della morte e della universale resurrezione dal giorno della sua elevazione al più alto grado dell'apostolato, fece erigere questo monumento perché vi fosse posto il suo cadavere quando fosse piaciuto alla divina clemenza di toglierlo da questo mondo corrotto).
Uno sguardo attento merita anche l'altare maggiore; Pio V incaricò da Giorgio Vasari di realizzare "per l'altar maggiore di detta chiesa del Bosco, non una tavola come s'usa comunemente, ma una macchina grandissima, quasi a guisa d'arco trionfale, con due tavole grandi, una dinanzi e una dietro ed in pezzi minori circa trenta storie piene di molte figure" (G. Vasari – ricordanze). Quest'opera fu completata già nel 1569, l'aspetto originario della "macchina" è riprodotto nel dipinto che si trova nella cappella di Sant'Antonino e in un disegno dello stesso Giorgio Vasari conservato nel museo del Louvre a Parigi. Purtroppo nel 1710 per onorare la canonizzazione di San Pio V i frati smembrarono l'intera opera (in legno dorato) sostituendola con l'attuale altare di marmo. La tavola principale, il "Giudizio Universale" e posta nell'abside centrale, sopra il coro. La miglior descrizione della tavola è quella del Vasari stesso, che annota avervi figurato in alto la gloria dei Santi intorno a Gesù Cristo; et sotto gli angeli con tutta la passione (gli strumenti della passione) e San Michele che divideva i buoni dai cattivi. La tavola è posta in una pregevole cornice lignea intagliata e dorata di Pietro Girolamo Chiara, datata 1710. Anche tutte le altre tavole sono esposte o nella chiesa, o nel limitrofo museo Vasariano ricavato nei locali del convento. Il grande crocifisso ligneo che sovrastava la "macchina", opera di Angelo Marini detto il Siciliano, è posto sull'attuale altare maggiore. Una leggenda spiega perché il volto di Cristo si trovi rivolto verso sinistra guardando l'altare. Infatti il racconto popolare vuole che Cristo si sia girato verso la cappella delle reliquie a guardare chi fossero i ladri che le stavano trafugando.
Anche il coro a doppio ordine di stalli merita attenzione. Infatti è un opera del 1571 di Angelo Marini "il Siciliano" e di Giovanni Gargioli. Il rilievo centrale figura San Michele Arcangelo che abbatte il demonio.
Lasciato il convento mi dirigo verso il centro cittadino, sono diverse le chiese che insistono sul concentrico urbano di Bosco Marengo, tra le quali cito soltanto la chiesa della santissima Trinità, sede dell'omonima confraternita, a cui un tempo sorgeva sul suo fianco l'ospedale di San Giacomo dei pellegrini. Difronte a questa chiesa un tempo vi sorgeva l'oratorio di San Sebastiano, costruita nel 1598 Inoltre vi è la chiesa di Sant'Antonio abate, eretta nel 1628 dall'omonima confraternita; la chiesa di San Rocco, posta appena fuori le mura, risalente al XIII sec e più volte rimaneggiata e la chiesa di san Giovanni Decollato sostituita da un brutto palazzo moderno.
Ma quella che mi attende in centro è la chiesa parrocchiale di San Pietro e Pantaleone, che fu edificata nel sec. XIII su una precedente pieve e che da testimonianze documentali risulterebbe esistente già nel 945.
L'edificio ha subito nel corso dei secoli molteplici restauri e modifiche che hanno interessato gran parte delle strutture murarie.
Dell'epoca medioevale rimane il campanile romanico a base quadra e le pareti laterali, ricavato da una antica torre. Interessante l'esterno del prospetto nord, dove purtroppo a causa della posizione elevata non sono molto visibili delle formelle incastonate, recanti bassorilievi.
La trasformazione, sicuramente la più radicale fu quando il Cardinale Bonelli, pronipote di Pio V, realizza la volontà manifestata in vita dallo zio, eseguendo importanti opere di ristrutturazione e modificando addirittura l'orientamento dell'edificio, al fine di consentire l'ingresso direttamente dal borgo mentre la facciata originaria prospettava ad ovest, sui bastioni.
Sempre nel secolo XVI al nome della parrocchiale di San Pietro al Bosco venne aggiunto quello di San Pantaleone in ricordo della chiesa al di fuori della cinta muraria, anch'essa parrocchia e distrutta durante l'assedio del 1497.
Ma anche l'attuale facciata è una ricostruzione ottocentesca su impianto del tardo '500. L'interno molto luminoso ed ampio. La chiesa è a tre navate con undici cappelle. Il complesso si presenta maestoso e solenne. Nella quinta cappella di destra è ancora presente il fonte battesimale della primitiva chiesa dove nel quale nel 1504 fu battezzato Antonio Ghislieri futuro papa Pio V. Pregevoli le opere presenti come la pala del 1545 "Madonna e SS. Antonio e Biagio" posta nella seconda cappella di destra. Nella prima cappella di sinistra è presente un bell'affresco seicentesco della natività. Di rilievo anche alcuni affreschi eseguiti nel secolo XIX da Francesco Mensi. Mentre nella quarta cappella si trova la tomba dell'ultimo dei tre cardinali boschesi: Pio Tommaso Boggiani nato a Bosco Marengo nel 1863 e morto a Roma nel 1942.
L'altare dedicato a San Pio V è posto invece a sinistra dell'altare maggiore e fu edificato nel sec. XVIII dopo la canonizzazione del 1712.
Uscito dalla parrocchiale noto come il cielo si sia scompigliato, le nubi talvolta tendono ad oscurare il sole o tentano di impedirgli di illuminarmi e scaldarmi questa giornata.
Nella piazza, un imponente monumento ricorda san Pio V, è la copia bronzea realizzata nel 1936 dall'originale posto sulla tomba di San Pio V, opera di Leonardo Sarzana e sito nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Mentre proprio di fronte vi è il palazzo municipale con le lapidi che ricordano i suoi cittadini più illustri, come Luigi Verde. Costui nacque il 16 luglio del 1816 da Pietro e Isabella Zanetti ambedue appartenenti ad agiate famiglie di Bosco Marengo. Diplomatosi in Chirurgia nel luglio del 1831 e laureato in Medicina nel maggio del 1839. Luigi Verde scelse di servire il proprio Paese arruolandosi nella Real Marina in qualità di Chirurgo Supplente nel 1842. Nella Real Marina sarda Luigi Verde si trovò subito a suo agio. Il 4 aprile del 1842 s'imbarcò sulla fregata "Euridice", diretta nell'America meridionale. Poi nel 1844 passò sul brigantino "Eridano", bastimento a vela, comandato dal conte Carlo Pellion di Persano, che stava per iniziare un'impegnativa crociera nell'Oceano Pacifico, esperienza sicuramente importante. Occorre considerare che benché le navi del Regno sardo fossero dotate di notevoli strutture sanitarie con una gamma dei farmaci molto ampia, erano comunque rigide le consegne sulle norme di igiene, dalla conservazione dell'acqua potabile al confezionamento dei cibi, alla pulizia dei locali. In quel tempo, durante le traversate, era facile che malattie legate all'ambiente si diffondessero a bordo; come lo scorbuto e le cosiddette "febbri putride". Lo scorbuto insorgeva in conseguenza della protratta mancanza di viveri freschi e il conseguente deficit alimentare della vitamina C. Le "febbri putride" erano in realtà febbri di tipo tifoide, allora chiamato febbre maligna pestilenziale. Promosso chirurgo di 2a classe nel 1846 fu destinato sui piroscafi "Archimede", "Gulnara" (adibito in quel periodo al Servizio Postale di Stato tra Genova e la Sardegna e Tripoli. L'imbarco sulla fregata "San Michele" dal maggio 1847 all'Ottobre del 1849 costituì un periodo decisivo per la carriera e la vita di Luigi Verde. La nave, al comando del capitano di vascello Giorgio Mameli, dopo aver compiuto una crociera verso i mari del nord, sulla via del ritorno venne destinata ad operare in Adriatico insieme ad altre unità per la difesa di Venezia insorta. Con l'armistizio di Salasco nell'agosto del 1848 le unità navali rimasero inattive fino all'aprile del 1849. Dopo la prima guerra d'indipendenza, Verde, nominato chirurgo di 1a classe, viene imbarcato dapprima sul piroscafo "Authion", che espletava Servizio Postale di Stato, e poi nel giugno sulla Regia fregata "Des Geneys". Dopo la promozione a medico di fregata di 2a classe e l'imbarco quale capo servizio sanitario sulla Regia Nave "Eridano" e successivamente sulla Regia pirofregata "Costituzione", il 20 febbraio del 1855 venne assegnato sulla Regia pirofregata "Governolo". L'unità era al comando del capitano di fregata Giovanni Battista Albini, pronta a fare rotta per la Crimea assieme ad altri 16 vascelli che componevano la Divisione navale, che avrebbe partecipato alla guerra Turco-Russa. I nemici più pericolosi per gli alleati nella campagna di Crimea non furono solo i russi ma le malattie come il colera, dissenteria, scorbuto, tifo, vaiolo, congelamento e Luigi Verde in quella circostanza fu chiamato a dare prova della sua professionalità ad abnegazione nella assistenza e nella cura degli ammalati e dei feriti. Su proposta di Camillo Benso conte di Cavour, il re Vittorio Emanuele II, approva con Regio Decreto il 1° aprile 1861 il nuovo Ordinamento del Corpo e del Servizio Sanitario per la Real Marina, istituendo la figura apicale di Ispettore, e il boschese Luigi Verde ne assunse l'incarico il 1° gennaio 1862. Le esperienze maturate in Crimea con la necessità d'imbarcare ammalati e feriti su navi che non erano organizzate per fare questo servizio, risultò fatale per un gran numero di infermi; Luigi Verde che aveva vissuto quelle drammatiche esperienze, dovendo organizzare, curare e seguire il trasporto di ammalati sul "Governolo" da Balaklava, agli ospedali del Bosforo, volle alla vigilia della terza guerra d'indipendenza, quando si ipotizzò nello scenario bellico contro l'Austria di una battaglia navale in Adriatico, realizzare la prima nave ospedale. L'unità prescelta per la trasformazione a Nave Ospedale fu la "Washington", un piroscafo di 1.400 tonnellate, con possibilità di 100 posti per ricovero. Il 17 maggio 1866 al comando del luogotenente di vascello Zicavo, questa nave fu destinata al seguito della squadra dell'ammiraglio Persano; la sua presenza fu provvidenziale a Lissa. Il 12 luglio 1866, Luigi Verde, s'imbarcò sulla "Re d'Italia" in qualità di capo dei Servizi Sanitari della Squadra e facente parte dello Stato Maggiore dell'Armata. La "Re d'Italia", durante i combattimenti venne speronata dalla prora ferrata del "Ferdinand Maximiliam", poco dopo l'unità affondava; su 600 uomini se ne salvarono 160. Oltre al comandante dell'unità, Faà di Bruno, persero la vita l'ispettore Luigi Verde e gli altri tre sanitari di bordo. Luigi Verde si colloca così nel Risorgimento, come una delle personalità che ha fortemente contribuito a fondare nella Marina italiana, il suo Corpo Sanitario e come eroe che ha contribuito alla nascita dello Stato unitario. Un'altra lapide ricorda invece il Maggiore Carlo Rodi, nato a Bosco Marengo nel 1801 e morto a Fresonara il 22 febbraio 1862. Fu tra i 1000 che sbarcarono a Marsala 11 maggio 1860, facente parte dell'Esercito meridionale (Garibaldino). Altri eminenti personaggi boschesi sono sicuramente Tommaso Pio Boggiani (Bosco Marengo, 19 gennaio 1863 – Roma, 26 febbraio 1942), Cardinale e arcivescovo cattolico; entrato a far parte dell'ordine dei domenicani, fu eletto vescovo di Adria, fu nominato delegato apostolico per il Messico e promosso arcivescovo titolare di Edessa di Osroene, arcivescovo di Genova, promosso cardinale vescovo della sede suburbicaria di Porto e Santa Rufina ed ancora il 13 marzo 1933 fu nominato cancelliere della Cancelleria Apostolica. Ma anche Michele Bonelli (Bosco Marengo, 25 novembre 1541 – Roma, 28 marzo 1598) anch'esso cardinale e pronipote di papa Pio V, costui mutò il suo nome di battesimo (Carlo) in quello religioso di "Michele" nel 1559, quando entrò nell'Ordine dei frati predicatori. Ordinato sacerdote, insegnò teologia a Perugia. Il papa lo creò cardinale presbitero nel concistoro marzo 1566 e lo nominò Cardinal Nepote nel 1571: in tal veste, fu incaricato di numerose missioni diplomatiche (in Francia, in Spagna) e venne posto anche alla guida di alcune congregazioni. Promosse la bonifica della zona detta dei Pantani, situata fra la Colonna Traiana e il Foro della Pace. Il 20 marzo 1591 venne nominato cardinale-vescovo di Albano e duca di Salci nel 1570. Poco distante dal Palazzo Municipale vi è Palazzo Bonelli, edificato da Don Serafino Grindelli, fiduciario di Pio V, quale convento per i canonici Lateranensi. Dopo la morte di Don Grindelli nel 1590 il palazzo diventa dimora dei conti Bonelli, feudatari di Bosco Marengo fino al 1800. Tra i personaggi famosi boschesi mi piace ricordare Luigi Giacobbe (Bosco Marengo, 1º gennaio 1907 – Novi Ligure, 1º dicembre 1995), costui fu un corridore professionista ciclista su strada. La sua attività agonistica sulle due ruote dal 1926 al 1936, gli fece vincere la tappa di Cuneo nel 1931 al Giro d'Italia. Viene ricordato come corridore per la Wolsit e la spinettese Maino. Partecipò anche a tre edizioni del Tour de France: 1931, 1933 e 1935. Vinse il Giro del Penice nel 1928, la Ventimiglia-Genova e la Tre Valli Varesine nel 1931. Partecipò a dieci edizioni del Giro d'Italia tra il 1927 ed il 1936, e concludendo le competizioni per cinque volte tra i primi dieci. Ancora Pier Luigi Bruzzone, giornalista, storico e romanziere nato nel 1832 a Bosco Marengo e scomparso nel 1915, a lui si deve un importante opera storica, letta anni orsono dal sottoscritto, ossia "Storia del Comune di Bosco". Scrisse anche romanzi come "Giuditta della fraschetta" che narra l'insorgenza contadina contro l'invasione francese del 1796 e diversi altri romanzi. Pubblicò diversi articoli per la Gazzetta del Popolo e la Nazione di Firenze.
Guardando l'attuale ingresso della chiesa parrocchiale sua destra vi è un complesso di abitazioni, la cui casa principale viene ancor oggi chiamata la cardinala, perché era il palazzo del cardinale Michele Bonelli. Fu da lui fatta costruire nel 1571 e vi abitò con la sua sfarzosa corte. Il palazzo doveva essere anticamente porticato. Parte del suo cortile, rivolto verso la chiesa fu fino al 1835 il cimitero di Bosco Marengo. Sempre in quest'isola suppongo ci fosse stato per diverso tempo anche il piccolo e vecchio convento domenicano, il primo voluto da Papa Pio V, prima di essere spostato nell'attuale Convento di Santa Croce. Mi inoltro per via Ghislieri, salendo per l'irta strada per quello che un tempo era il Castelvecchio, antichissima fortificazione, un tempo vi era anche la sede del palazzo di giustizia e vicino al torrione ora distrutto sorgeva anche la chiesa di San Giacomo e Santa Caterina, della quale non esistono indizi di sorta. In questo quartiere, lungo la strada maestra sorge ancora tutt'oggi, nonostante alcuni rimaneggiamenti la casa natale di Pio V al tempo Antonio Ghislieri che poi entrato nel convento domenicano di Voghera prese il nome di Michele dal Bosco. L'ultimo Ghislieri, possessore della casa fu il Signor Pio che la passò a Bartolomeo Gallina di Giacomo che l'ereditò come parente più prossimo. Da costui passo in eredità al figlio Pio che ne fece dono alla Confraternita di San Giovanni decollato; la quale nel 1690 la donò al Convento domenicano di santa Croce. Nel 1765 i padri domenicani cedettero la casa al dott Carlo Giuseppe Ricci che fece delle modifiche soprattutto alle mure di recinzione. Passata di proprietà al figlio Vincenzo e da questo alla famiglia Scalzi. Passo quindi a Felice Inverardi e solo dopo diversi passaggi divenne proprietà comunale nel 1936. Il Comune pose una lapide sulla facciata e nella camera dove nacque il pontefice fu costruita una cappelletta. Sulla casa oggi insiste anche il grande stemma nobiliare del Papa e dalla adiacente piazzetta Castelvecchio si può ammirare rivolto verso la parrocchiale il vecchio e antico campanile.
Fatto un giro intorno ai vecchi bastioni, visto il bastione di mezzanotte, ove esisteva la casa-torre del capitano della guardia. Una costruzione del XV secolo che ancora oggi conserva al primo piano belle finestre ad arco acuto, mi porto verso l'antico lavatoio dove ancora oggi scorre la roggia. Nei secoli passati fu un importante elemento nell'economia di Bosco Marengo, sia per l'irrigazione sia per il funzionamento del mulino, oggi è sede della Riserva Naturale del Parco dell'Orba. Seduto sotto la rinnovata pensilina del lavatoio, mentre sento scorrere le acque, un tempo sicuramente anche abitate da molti pesci mi sovviene di aver letto di antichi fatti boschesi del 1491, quando il Marchese del Monferrato concedette alla comunità di Bosco e a quella di Frugarolo il diritto di estrarre acqua dal torrente Orba mediante una roggia e al riconoscimento di un canone annuo di una libbra di cera da versare al Comune di Capriata nel cui territorio è posta la deviazione delle acque. Mi si racconta che ancora oggi, la vigilia di Natale di ogni anno, il Comune di Bosco offre un cero a Capriata d'Orba. Per secoli si susseguirono infinite liti legate alla gestione delle acque e dei mulini, tra il Comune di Bosco Marengo, Frugarolo e i padri del Convento di Santa Croce. Ad esempio nel 1560 il Comune di Bosco a causa dei debiti dovuti alle continue guerre cedette i diritti sull'acqua e sui mulini ad un tal Camillo de Petra e solo 1570, Papa Pio V riscattò i diritti e i mulini a favore del Comune di Bosco e del Convento di Santa Croce, ma le controversie durarono ancora per diversi secoli. La roggia infatti nasce in prossimità della confluenza del torrente Lemme con l'Orba e irriga molti ettari di terreno ancora oggi. A Bosco Marengo questa roggia alimentava un mulino funzionante fino a non molti anni or sono. Inoltre la caduta dell'acqua venne sfruttata anche per la produzione di energia elettrica per il funzionamento del mulino stesso e per l'illuminazione pubblica notturna. In lontananza posso ammirare la chiesetta campestre del Crocifisso, facente ora parte di un cascinale. Un tempo luogo questo, immerso tra i campi coltivati era vi era stato realizzato un lazzaretto per raccogliere gli sventurati colpiti dalla pesta del 1630, luogo trasformatosi presto in un cimitero. Nel 1631 si decide di edificarvici una chiesetta campestre. Costruzione che ebbe compimento dopo diversi anni a causa di continue guerre che coinvolsero il borgo di Bosco Marengo.
Nella mia passeggiata mi sovvengono altri personaggi nati a Bosco, come Germano Buzzi, medico ed artista ( 1908 – 1967) che dedico tutta la sua vita alla medicina, soprattutto alla radiologia, pubblicando anche una serie di lavori sulla tomografia assiale trasversa. Come artista fu un valente scultore e pittore, formatosi alla scuola di Felice Casorati. Ancora un medico il Prof Gemma Giovanni Battista per lunghi anni primario della divisione di Chirurgia d'urgenza dell'ospedale Galliera di Genova, a cui sono stati conferiti diversi riconoscimenti ed autore di circa duecento pubblicazioni a carattere medico-scientifico. Ma anche Enrico Giraudi, nato nel 1902 che fu un noto industriale e il Sindaco più anziano d'Italia fino al 1990, di umili origine contadine riusci ad avviare una florida azienda di carpenteria, fu sindaco ininterrotto di Bosco Marengo dal 1965 al 1990. Un altro valente medico nato A Bosco Marengo, benché originario della Valle Pellice fu Manfredi Nicolò (1836 -1916) amante della musica, tanto da discutere la sua tesi di laurea conseguita nel 1860 sugli effetti terapeutici della musica. Studioso di fama internazionale di oftalmologia, dapprima assistente alla Clinica oculistica della regia università di Pavia fino ad alla cattedra di oculistica della regia Università di Modena dapprima e poi di Pisa. Commendatore della Corona d'Italia, frequentò personaggi molto noti come Francesco Carrara, Antonio Pacinotti e l'attrice Virginia Marini.
Invece Federico Ghislieri nato a Bosco nel 1550 fu uomo d'armi, ingegnere militare, educato a Roma durante il pontificato di Pio V, venne dapprima inviato in Portogallo e in Fiandra dal Cardinale Bonelli e impiegato sotto il comando spagnolo nelle guerre di Fiandre e Lorena. Fu anche al comando e al servizio della chiesa nell'offensiva anti turca in Ungheria, distinguendosi nella presa di Strigonia e negli assedi di Giavarino e Canissa. Al soldo della Toscana partecipò alla conquista di Preveza in Epiro. Dopo essere stato nominato Colonnello da papa Paolo V, passa al servizio dei Savoia salendo ai massimi gradi gerarchici e giungendo ad essere Generale di Cavalleria. Partecipa alla guerra del Monferrato del 1613 e alla conquista di San Damiano d'Asti del 1617 e partecipa ai fatti d'armi di Felizzano.
In campo musicale, Bosco Marengo diede i natali a molteplici valenti protagonisti di quest'arte, come Martini Gian Mario, compositore boschese nato nel 1933, laureato in lettere, fu collaboratore della RAI, compose molte brani sia per concerti che come compositore di musica radiofonica.
Ma anche Paolo Molenino nato a metà del XVI secolo e morto nel 1599 che fu un importante organaro. Costui abitò sempre a Bosco Marengo, tra le sue più mirabili opere è sicuramente l'organo per il Convento di santa Croce, realizzato insieme al figlio, ma molti sono i suoi interventi come quello nel vecchio duomo di Alessandria e a molti altri organi presenti in diverse chiese.
Sempre nel campo musicale, è necessario ricordare il tenore Savarezza Antonio, nato a Levata di Bosco Marengo nel 1902 e scomparso nel 1985. Costui di famiglie umili, dopo aver fatto il bracciante, emigra in Argentina per lavorare in una fabbrica di laterizi. Predisposto per il canto con registro tenorile e frequentato le scuole di canto, debuttò al Municipale di Rio de Janeiro nel "Rigoletto" di Giuseppe Verdi. La sua ascesa fu da subito immediata, cantò per la prima volta in Italia nel 1939 al teatro dell'Opera di Roma nella "Resurrezione" del compositore Franco Alfano, trasmessa in diretta dall'EIAR, oggi RAI. Cantò in diversi teatri in tutta l'America latina e in Italia e poi si ritirò nella sua Levata di Bosco Marengo dove fece echeggiare la sua voce ancora nell'austera chiesa della frazione natia.
Ancora Grindelli Serafino nato a metà del XVI secolo, fu canonico lateranense, segui Michele Ghislieri quando venne eletto Papa,. Fu amministratore delle somme stanziate dal Papa per l'edificazione del Convento di santa Croce, sembra sia stato sepolto nella chiesa del Convento di santa Croce. E sempre nel campo dell'arte ricordo Zuccotti Gamondi Giovanni Lorenzo, nato a Bosco Marengo nella seconda metà del XVII secolo, architetto, ingegnere, matematico e scenografo, figlio del notaio Gian Domenico che esercitava nel borgo, lavorò come scenografo al teatro regio di Torino, ma anche a Milano e nel teatro di Alessandria. All'architetto Zuccotti la città di Alessandria conferì la cittadinanza onoraria.
Un borgo, Bosco Marengo che ha una storia importante per il Piemonte ed in particolare per l'alessandrino che troppe volte sottovalutiamo e che invece meriterebbe maggiore attenzione e conoscenza da parte di tutti.
Prima di rientrare verso casa, ancora due passi in via dell'ospedale, dove oggi c'è la Casa di Riposo per anziani e persone non autosufficienti. Il 18 novembre 1386 la Famiglia Coltella donò al paese questo edificio, per farne un "ospitale". Nel corso dei secoli questo edificio è stato anche ospedale, dove si praticava la Medicina, la Chirurgia e l'Ostetricia prima di essere trasformato in una residenza per anziani.
Mi reco a prendere l'automobile che avevo lasciata parcheggiata in via XX settembre, dove ancora oggi esistono i bastioni di uno dei vecchi castelli di Bosco Marengo. Proprio sui bastioni, dinnanzi a a piazza del mercato, ove ora esiste un bar, un tempo vi era la chiesa di Padre Ghirindelli, facente parte di quello che era un tempo il convento dei Canonici lateranensi, poi divenuto palazzo Bonelli. Il portone, gli scalini le colonne di questa chiesa furono poi riutilizzati per costruire la chiesa della Trinità. Mentre mi reco verso la mia abitazione, percorrendo via Gatti mi domando dove un tempo vi fosse collocata l'oratorio di San Bovo, gestita dalla congregazione omonima, costruita nel 1630 anno in cui il borgo fu colpito da una grave pestilenza. È considerato protettore degli animali domestici, in particolare contro le malattie infettive dei bovini. Non posso lanciare uno sguardo alla chiesetta di San Rocco con l'abside risalente al XIII sec., il resto è stato più volte rimaneggiato. Sicuramente questa chiesa posta alle porte del borgo fu edificata come voto a protezione del borgo dalle pestilenze che per molti anni imperversarono nelle campagne dell'alessandrino. Certamente la storia di questo borgo è veramente intrigante, le vestigia che rimangono in piedi danno soltanto l'idea di quella che fu la storia e le vicissitudini delle locali popolazioni.
Tanto si potrebbe ancora scrivere di Bosco Marengo e della sua storia, ma la giornata si sta avviando verso la conclusione e io rientro verso la mia abitazione.