Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il Mio Piemonte: Quargnento

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QuargnentoStamattina il cielo è plumbeo, quasi lo sento borbottare sopra di me, ma sono certo che qualche raggio di sole s'infilerà tra i gomitoli di fili grigi che le nuvole hanno disegnato.
La giornata la dedico ad una visita alla mostra temporanea che il Comune di Quargnento ha voluto dedicare al suo più illustre concittadino, il pittore Carlo Carrà.
Sarà per me anche l'occasione per fare due passi tra le antiche strade di questo antichissimo borgo dell'alessandrino.
Il viaggio è tranquillo, ascoltando un cd dei miei cantanti preferiti. Tanto che il viaggio sembra più breve di quello che è in realtà.
Devo parcheggiare l'auto dietro la chiesa parrocchiale, perché la piazza è occupata da molte automobili, complice sicuramente la mostra e il mercato settimanale.
La mostra è ospitata nel Palazzo Comunale, un edificio costruito tra la fine del XVIII e inizio XIX secolo. L'edificio ha forma quadrangolare su due piani fuori terra, con un bel portico sulla parte anteriore. Realizzato in cotto con i muri esterni con i mattoni a vista, rendendone gradevole e leggera la visione. Ciò anche grazie al bel piccolo prato antistante la costruzione, arricchito da bassi e colorati arbusti. Sotto i portici, alcune lapidi, tra le quali quella che ricorda i caduti per la libertà 1943-1945 di Quargnento.
Al primo piano, nella sala consigliare, recentemente restaurata e affrescata con gli stemmi delle città più importanti dell'alessandrino e della città di Torino è allestita la mostra.
Il Sindaco Luigi Benzi mi accoglie, dandomi il benvenuto e offrendomi la massima ospitalità.
Il primo quadro che mi soffermo ad ammirare è "la strada di casa". Carlo Dalmazio Carrà, nasce a Quargnento nel febbraio del 1881 e muore a Milano nell'aprile del 1966. La prima documentazione pittorica dell'artista si trova nella soffitta di casa paterna, dove ancora oggi si dice, siano visibili tracce di decorazioni eseguite a tempera sulle pareti, realizzate quando l'artista aveva 12 anni.
Il padre lo affidò a una impresa edile per imparare un mestiere e iniziò così a lavorare come decoratore murale a Valenza. Frequentò i corsi serali alla scuola superiore di Arte applicata all'Industria negli anni 1904-1905 a Milano. Prima di iscriversi nel 1906, all'accademia di Brera, viaggiò a Parigi e Londra. A Parigi si recò per decorare alcuni padiglioni dell'esposizione universale del 1900. In tale occasione ebbe modo di entusiasmarsi per la pittura di Delacroix, Manet, Cezanne, Camille Pisarrò, Claude Monet, Guaguin e Renoir.
Nel viaggio a Londra conobbe le opere di William Turner e John Constable. È in quegli anni che frequenta gruppi anarchici, frequentazioni che pero interruppe ben presto.
Ebbe modo di assistere al funerale dell'anarchico Galli, ucciso durante lo sciopero generale del 1904. Di quell'evento e degli scontri con la Polizia ne rimase profondamente colpito, tanto da abbozzare alcuni schizzi che si trasformeranno poi in un opera pittorica nel 1910.
Il dipinto "il funerale dell'anarchico Galli " attualmente è esposta al Moma di New York.
Ha una breve esperienza tra i pittori "divisionisti" per poi essere attratto dal manifesti del "futurismo" di Martinetti, partecipando al nuovo movimento con Giacomo Balla e Gino Severini.
Nel 1915 iniziò ad abbandonare i temi della velocità e del dinamismo tanto cari al movimento "futurista", per avvicinarsi alla pittura "metafisica" di Giorgio De Chirico.
La partecipazione, quale combattente, alla prima guerra mondiale fu per Carrà, tanto dolorosa da dover essere ricoverato in un neurocomio. Dopo il 1920 abbandona la "metafisica" e ha un periodo in cui le sue opere possono definirsi appartenenti ad un percorso personale, trascendente, che proseguirà fino alla fine dei suoi giorni.
Mi soffermo molto ad osservare questo primo quadro esposto,"la strada di casa"; uno dei quadri più famosi dell'artista. Qui Carrà ha voluto rappresentare il suo affetto per il paese natio, attraverso la strada che passa davanti alla sua abitazione. La strada è riprodotta attraverso un irraggiamento concentrico di luci e colori, quasi fosse il taglio di un tronco, ma dal centro ne scaturisce una intensa luce.
Ma sono tante le opere su cui vale la pena soffermarsi. Dalle sue caratteristiche case senza finestre, al ritratto del babbo, ai paesaggi marini, fino all'ultima opera datata 1966: una natura morta.
Lascio il Palazzo Municipale, e prima di fare un giro per il borgo, colgo l'occasione per fare una visita alla chiesa parrocchiale.
Mentre attraverso la piazza, penso alla storia di Quargnento. Questo borgo, ha origini romane e il nome dovrebbe derivare dal latino. Potrebbe essere "Quadraginta" ossia quaranta, corrispondente circa alla distanza in miglia da Torino. Un'altra ipotesi è "Quadringentum", ossia 400 come le miglia che distano da Roma.
E se le origini sono romane, sicuramente l'area era già abitata dalla tribù degli Stazielli.
Di certo questo popoloso borgo nel 1168 partecipò alla costruzione di Alessandria. Infatti il Vescovo di Asti autorizzò 40 famiglie a stabilirsi nella civitas nova.
Subito dopo la caduta dell'impero romano d'occidente, Quargnento fu sottoposta ai domini temporali del Vescovo Conte di Asti. Ed è in questo periodo, intorno al 907 che avvenne la traslazione delle reliquie del martire cristiano Dalmazio da Pedona, l'attuale Borgo San Dalmazzo in provincia di Cuneo, a Quargnento.
Infatti Pedona era soggetta alle scorrerie dei Saraceni e il vescovo Audace ordinò di spostare le reliquie del martire li conservate. Ancora oggi le reliquie sono ospitate nella basilica minore di Quargnento e San Dalmazio ne è diventato il santo patrono.
Prima di entrare in chiesa, dopo aver salito la lunga scalinata, mi volto a guardare la piazza antistante. Proprio di fronte alla basilica si affaccia l'ex chiesa della Santissima Trinità, costruita nella seconda metà del 1500, con navata unica e piccolo campanile. La facciata in puro stile barocco piemontese è molto semplice.
Realizzata in mattoni a vista, due grandi lesene angolari ne slanciano il prospetto e una grande lunetta sulla porta ne garantisce la luminosità.
Mi domando dove fosse collocato il castello del borgo, che secondo la tradizione fu distrutto per rappresaglia dall'imperatore Federico Barbarossa. Castello di cui l'Imperatore ne aveva fatto il suo quartiere generale durante l'assedio di Alessandria. Forse era situato in una zona del paese in cui il toponimo è "an castè".
Guardando la facciata della chiesa parrocchiale elevata a basilica minore nel 1992 da papa Giovanni Paolo II, noto tutta la sua imponenza. Costruita a fasce alternate di calcare e laterizio che ne impreziosiscono la facciata come un delicato disegno. La facciata con il culmine a capanna è divisa da quattro lesene, sormontate al tetto da pinnacoli. La parte centrale presenta un elegante ingresso con colonne binate e una mezzaluna affrescata che ne caratterizza la facciata neo-gotica, essendo la stessa rifatta nel XIX secolo.
Il campanile dalle forme possenti, risale al XVI secolo e fu rialzato nel XVII secolo. Si ha notizia di una grandiosa e nuova parrocchiale già nell'alto medioevo e fu papa Pasquale II nel 1111 a consacrare la chiesa di Quargnento, mentre era di ritorno dalla Francia. Questa chiesa distrutta dal Barbarossa insieme a castello, fu ricostruita con forme tardoromaiche nel 1270, conserva di quell'epoca l'abside e la base del campanile. Nel 1560 la chiesa venne nuovamente ampliata con la realizzazione delle due navate laterali.
Sulla porta centrale mi accoglie Nunzia, una collaboratrice del parroco.
L'interno è a tre navate, coperte con volte a crociera archiacute. Nunzia gentilmente mi indica il prezioso polittico di Gandolfino di Roreto, raffigurante la Madonna col bambino, i Santi Pietro e Dalmazio e l'Annunciazione, opera dell'inizio del XVI secolo. Nella stessa cappella posta in fondo alla navata di sinistra, il sarcofago con le spoglie di San Dalmazzo. Presente in chiesa anche un polittico di terracotta del 1461 di Francesco Filiberti. Mi soffermo davanti ad un reliquario contenente una reliquia di San Giovanni Bosco. A corona del reliquario le statue di Santa Maria Mazzarello e di San Giovanni Bosco. La presenza di quest'ultimo a Quargnento non è solo ricordata con le sue reliquie ma anche da una lapide posta sull'edificio che ospita l'asilo del borgo, da lui istituito e affidato alle figlie di Maria Ausiliatrice. Vengo informato, da Nunzia, su una importante tradizione, quella della Allegrezza. Una processione Mariana di metà maggio, in onore della Madonna del Rosario.
Manifestazione istituita nel 1630, a voto per la liberazione dal contagio della peste, in cui si era stabilito che annualmente il Sindaco dovesse offrire alla chiesa sessanta lire d'oro. In quel periodo, Quargnento, era sotto il dominio spagnolo e le monete erano quelle fatte coniare da Filippo IV. Da allora, la sera prima della domenica dopo Pasqua, inizia l'ottovario delle Allegrezze. Un tempo le funzioni iniziavano con la processione all'interno della chiesa, fatta dalle Confraternite presenti nel borgo, al canto dell'Ave Maria Stella, alla recita del Rosario e da altre litanie. Il Priore, accompagnato da due membri della confraternita che tenevano la candela accesa, si dirigeva verso l'altare per offrire al celebrante un grosso fascio ceri, culminati con un mazzo di fiori che venivano posti ai piedi della statua della Madonna. Con la scomparsa della Confraternita e i gruppi di un tempo, l'offerta della mazze, cosi denominate, viene fatta oggi dalle Associazioni e gruppi locali.
Sempre per rievocare il voto fatto alla Vergine nel 1630, ogni anno ha luogo la sfilata in costume d'epoca per le vie del borgo, con giochi di tiro con la balestra e il palio dell'oca. A contendersi il palio dell'oca sono quattro rioni: Cavalera, Crusetta e Zola, Pont e Pra Slà.
Nella cappella dedica alla Madonna del Rosario, la splendida statua del XVIII secolo, è posta sotto ad un delicato e abbagliante baldacchino, laccato e dorato, con colonne tortili, riccamente ornato con disegno neogotico. La Madonna del Rosario è la coopatrona di Quargnento.
Ringrazio Nunzia, esco dalla chiesa dopo aver osservato la cappella di San Bovo, il dipinto dell'Ultima Cena di Vincenzo Boniforti, quest'ultimo molto caratteristico perchè i personaggi del dipinto ritraggono gli abitanti del paese. Inizia così il mio breve giro per le strade del paese, seguendo per quanto possibile le installazioni che sono state collocate per il borgo, per ricordare Carlo Carrà e riproducenti alcune opere dell'artista.
Proprio sulla piazza della basilica minore è posta la riproduzione della "Vigilia di Pasqua", un opera del dipinta tra il 1929 e il 1937. All'angolo tra la piazza e via Mazzini vi è un'altra installazione, posta nei pressi dell'edificio scolastico, riproduce un olio su tela del 1916 "Ricordi d'infanzia ". Un opera quest'ultima del periodo di svolta dell'artista, da quello "futurista" a quello "metafisico". Un opera senza tempo, legata ai sogni e alle memorie da bambino.
Sempre sull'edificio delle scuole elementari, invece vi è un altorilievo che ricorda Giuseppe Motta. Costui fu un ufficiale e aviatore nato a Quargnento il 10 ottobre 1894 e che morì nel lago di Garda il 22 agosto 1929. Motta prese parte alle fasi iniziali della prima guerra mondiale nelle fila del Regio Esercito, passando poi al Corpo Aeronautico Militare. Congedatosi nel 1919, continuò a volare come pilota civile. Ricoprì l'incarico di Sindaco di Quargnento e di consigliere provinciale di Alessandria. Nel 1924 rientrò in servizio nella Regia aeronautica militare come istruttore. Diventato vice Comandante del Reparto Alta Velocità (R.A.V.), morì a causa di un incidente aereo mentre pilotava un Macchi M.67.
Proseguo la mia passeggiata per via Mazzini, dove trovo all'angolo con via Guasta un ulteriore installazione che riproduce il quadro "La strada di casa" del 1900, di cui ho potuto appena ammirare l'originale. Eseguito dal pittore appena diciannovenne al ritorno dai soggiorni di Milano, Parigi e Londra, è posta proprio sull'angolo della strada che Carlo Carrà volle riprodurre.
Poco distante la sua casa natale, un'altra riproduzione ricorda gli "sgorbi" come lui li definiva, che erano stati eseguiti ovunque sulle pareti di casa. Il padre fu costretto a intonacare casa e relegare il fervore pittorico di Carlo Carrà infante a sbizzarrirsi nel solaio, luogo che il padre fece appositamente intonacare, affinché vi potesse realizzare i suoi "sgorbi".
La mia passeggiata continua per via Alessandro Manzoni, via Piave e via della Libertà, transitando davanti a bei giardini, antichi cascinali, dirute case, affreschi sacri posti su antichi edifici. Coccolosi sono i gatti che escono dalle inferiate delle finestre delle case abbandonate, in cerca di carezze. I loro languidi sguardi, possono raccontare la storia del borgo, vissuta e vista insieme ai suoi abitanti. Una storia di lavoro e di fatiche contadine in questo borgo, ma anche la miseria e la fame che i popolani dovettero consumare.
Raggiungo così un'altra postazione, dove è collocata un'altra riproduzione di Carlo Carrà. Questa volta a far da sfondo all'installazione sono i muri sbrecciati degli antichi possedimenti agricoli di Villa Cuttica di Cassine. La riproduzione del quadro, rappresenta "Il pino sul mare". Un opera del 1921 dipinto a Moneglia durante un estate. Un quadro dai grandi valori plastici e che racconta la sensazione e lo stato d'animo dell'artista nel silenzio in un paesaggio marino.
Percorro le strade che circondano per un lungo tratto i possedimenti di Villa Cuttica. Alte mura e costruzioni agricole ne impediscono la vista. La Villa fu costruita nel 1763 come dimora di campagna del marchese Cesare Cuttica di Cassine, su richiesta e idea della moglie, Teresa Orsini di Rivalta e dei conti di Orbassano. Ristrutturata nel 1795; ha il corpo centrale di tre piani, realizzato con mattoni a vista e due corpi di fabbrica laterali più bassi che gli fanno da ala.
Severa e semplice, ornata con un grande frontone a timpano e da un leggero porticato centrale che rende monumentale la scenografia della Villa.
Sempre accostato ad un muro di cinta del giardino della Villa, all'incrocio tra via Bellana e via Gamboa c'è l'installazione che riproduce di Carlo Carrà, il quadro "I Pagliai" del 1930. Opera che è conservata nella Pinacoteca di Alessandria. Un interpretazione realistica del paesaggio agreste dai colori vivaci e luminosi. Raggiungo attraverso via San Giovanni Bosco, piazza Garibaldi. Ciò che è definita piazza è poco più che uno slargo tra quattro strade. Qui addossato al muro di un cascinale, quasi confuso tra i cartelli pubblicitari c'è un'altra installazione. Questa riproduce un opera "metafisica" di Carlo Carrà, dipinta, come dice l'autore nella sua autobiografia, nelle drammatiche circostanze di un ricovero nell'ospedale di Ferrara. L'opera "La musa metafisica" è del 1917 e raccoglie le esperienze delle forme plastiche delle opere di De Chirico. Tornando lentamente davanti al municipio, tra via Dante Alighieri e via Roma vi è la riproduzione dell'olio su tela del 1910 "I funerali dell'anarchico Galli" in cui traspare la drammaticità del momento, nei colori forti e scuri il periodo "futurista" di Carlo Carrà.
Poco distante in uno spiazzo a prato, posto di fronte alla Casa di Riposo "Madre Teresa Michel" vi è un'altra installazione dell'importante pittore quargnentino. L'opera che vi è esposta è l'autoritratto di Carlo Carrà. Eseguito tra il 1949 e il 1951 è esposto nelle sale della Galleria degli Uffizi a Firenze. È collocato in una posizione tale che chiunque arrivi da Alessandria è costretto a vederlo. È un ritratto rigoroso in cui il pittore si ritrae con gli strumenti di lavoro, tavolozza, pennelli in mano, cavalletto con tela di fronte a se e l'immancabile basco in testa, quasi fosse un segno distintivo di Carlo Carrà.
L'Istituto per anziani "Madre Teresa Michel", nasce con la donazione di una casa a civile abitazione con adiacente terreno, da parte dei coniugi, Isabella Carrà e Giovanni Ghiri, nel 1900 a madre Teresa Michel che ne fece una grande e importante residenza per anziani anche non autosufficienti.
Lentamente torno sullo piazza della chiesa, rimango colpito dalla bandiera segnavento posto sopra la costruzione vicino al peso pubblico. Se la vista non m'inganna, sembra che nel ferro della bandiera sia ritagliata la data 1858.
Faccio rientro verso l'auto e non posso fare a meno di notare nel giardinetto dietro l'abside della chiesa, due piccoli monumenti. Uno ricorda il Capitano Giuseppe Ferraris, quargnentino morto a Dreznica nel 1943. Costui ufficiale del 259° reggimento Fanteria "Murge", fece parte delle truppe italiane che combatterono in Jugoslavia. Fu decorato con medaglia d'oro al valor militare alla memoria per aver fronteggiato nel febbraio del 1943, due giorni di attacchi, morì insieme ai suoi uomini. L'altra ricorda il maresciallo pilota Guerci Mario (1917 – 1968), appartenente alla 73° squadriglia aerea, entrato nell'albo degli assi Italiani della seconda guerra mondiale con 5 vittorie.
Ma di Quargnento voglio anche ricordare altri personaggi illustri, comunque legati al piccolo borgo, quali: Il pittore Giulio Benzi, nativo di Quargnento 1907 e morto nel 1955 che fu assistente di Felice Casorati all'Accademia Albertina di Torino; Giuseppina Reposi, anch'essa nativa di Quargnento e morta nel 1994, pittrice ed insegnante. Ancora il dott Giovanni Roggero, nato di Quargnento nel 1820 e morto nel 1899, fu un importante medico chirurgo e studioso di antropologia. Costui oltre ad aver prestare servizio presso diverse opere pie ospedaliere, fu anche chirurgo presso il penitenziario di Alessandria, dove inizio a occuparsi di antropologia criminale e di igiene e alimentazione negli istituti carcerari. Consigliere e assessore al Comune di Alessandria, scrisse diverse pubblicazioni sulla criminalità.
Riprendo la mia strada verso casa, accompagnato sempre da un cielo plumbeo che però fortunatamente non minaccia pioggia.