La costruzione della chiesa parrocchiale di San Candido risulta presente come chiesa campestre già nei documenti della visita apostolica del 1584. Nel XVII secolo, a causa di una frana, crollò ed il parroco, con le reliquie di San Candido, si trasferì in Murisengo presso le mura del castello dove esisteva una casa per il vice parroco ed una chiesetta. Ma tra la frazione e il capoluogo non vi furono sempre rapporti idilliaci. Infatti gli abitanti di due Cantoni, Tacri e Tarici, posti a valle dello stura e componenti la parrocchia di San Candido, si diedero alla ricostruzione della chiesa agli inizio del XVIII secolo e fu oggetto di lite proprio il ritorno da Murisengo delle reliquie di San Candido.
Superato il torrente Stura del Monferrato, sosto presso la chiesa di San Sebastiano, nel cantone Rivo, costruita tra il 1836 e il 1861. È un piccolo edificio con fattezze semplici ma conservata con dedizione, segno della grande religiosità e rispetto dei suoi abitanti. Mi inoltro per una strada sterrata, ma ben inghiaiata che costeggia la collina di Montelungo, ricoperta da un folto bosco. La strada si conclude davanti ad un cancello, dal quale si vedono aldilà guardie armate, che mi osservano con attenzione. Loro non sanno che non nutro nessun interesse nei loro confronti e della azienda che produce materiali esplosivi, ma io sono invece fin qui giunto per vedere la fonte di acqua solforosa, detta "Pirenta". L'acqua arriva da un terreno tufaceo-calcare e si raccoglie, mediante tubo in ferro, in vasche di pietra, dove, un tempo mi raccontano vi si macerava la canapa.
Raccolgo nel calice delle mani dell'acqua solforosa che risulta essere oleosa, fredda al tatto ed emana un odore di gas idrosolforato. Essa sgorga dalla bocca di un piccolo leone che non ha nulla di spaventoso. Nel XVIII e fino a buona parte del XX, in quello che oggi è parte dello fabbrica di munizioni vi fu un fiorente stabilimento termale, divenuto un importante centro turistico molto apprezzato. Le sue acque un tempo adoperavano per i disturbi gastrointestinali e nelle malattie della pelle. La fonte sulfurea ha una facciata in pietra scolpita, voluta dal marchese Giuseppe Scozia nel 1859.
Rientrato sulla Strada provinciale mi arrampico lentamente verso l'antico borgo. Sosto con l'auto in via Umberto I e dirigo la mia attenzione verso la chiesa della Madonna delle Grazie e della Neve, volgarmente detta "La Madonnina" Questa chiesa è situata in fondo al paese, fu fatta costruire all'inizio del sec. XVII, come ex-voto dopo la peste del 1530, da due famiglie di Murisengo: Ossola e Mola. È di forma rotonda e in stile neoclassico,conserva un trittico del XVI secolo della scuola di Moncalvo. A poca distanza, su un rilievo, ora in aperta campagna ma a ridosso delle scuole elementari si erge la torre campanaria, ed è ciò che rimane della antica chiesa di San Pietro. Ancora oggi questa zona mantiene la stessa denominazione. La Chiesa era costruita in stile romanico, posta in faccia al paese e la tradizione vuole che un tempo ivi esistesse un convento appartenente a Monaci regolari, forse Benedettini. Dell'antica costruzione oggi resta solo la Torre, il convento attiguo, molto grande ed importante, fu distrutto dalle soldataglie napoleoniche. Ci si accede comodamente attraverso un sentiero campestre. Oggi la torre è rifugio per piccioni, che con il loro guano ne segnano la loro presenza.
Mentre m'avvio per via Umberto I, raccolgo le mie reminiscenze storiche per ricordare la storia di Murisengo.
La storia di Murisengo ha inizio almeno dal 940 quando, secondo un documento ufficiale, il nobile "Gumbertus de Munesingo" partecipa ad un placito astigiano come vassallo del Conte Umberto di Asti, In antichità per placito, si intendeva il parere del giudice su di una lite o disputa. Murisengo o Munesengum, appare inoltre tra i possessi del monastero di San Pietro in Ciel d'oro di Pavia in un diploma di Corrado II del 1027.
Altro modo in cui un tempo veniva identificato Murisengo fu "Munesenge", come scritto nel diploma di Federico I del 6 ottobre 1164, ove il borgo è inserito tra le terre donate dall'imperatore all'aleramico Guglielmo il Vecchio marchese di Monferrato. Nel 1224 i signori locali, sono definiti "domini de Moliseng",e ricordati come Vassalli marchionali.
Nei secoli successivi vi è un susseguirsi di diversi vassalli che infeudano Muriseng, da i Signori di Montiglio, i Radicati di Brozolo e, dal 1420, gli Scozia con titolo comitale che per ben quattro secoli ne rimangono feudatari.
Ritroviamo ancora nel 1320 Murisengo citato nelle cronache del tempo per l'intervento di Alberto Calcagno di Murisengo al parlamento di Chivasso, al quale parteciparono tutti i Vassalli Monferrini con l'impegno a fornire "un cavaliere ben equipaggiato ed altri ancora" e dove furono nominati comandanti della milizia monferrina.
Percorro lentamente la strada principale e su una piccola casetta, una lapide in marmo bianco ricorda che vi nacque il musicista-compositore, direttore di banda musicale, Massimo Boario, nato nel 1880, considerato tra i massimi compositori piemontesi di musica bandistica del novecento. Con un repertorio di oltre 200 composizioni per complesso bandistico, su un totale di 580 opere, mori nel 1956. Sulla strada si affacciano diversi negozi e alcuni ristoranti, mi soffermo a leggere i menu della tradizione monferrina, tutti da leccarsi quei baffi che non ho. Come resistere alla Carne cruda alla monferrina, ai Tajarin al ragù o Agnolotti quadrati astigiani al sugo d'arrosto, ancora, l'eccellente Bollito alla Piemontese, il Fritto Misto alla Monferrina e la Bagna Cauda sono solo alcune tra le gioie che ogni palato non può non gustare. Supero la piazza della Vittoria ove si affaccia il bruttissimo e moderno palazzo municipale, m'inerpico ancora verso la chiesa parrocchiale e il castello.
Da via Umberto I, alzando gli occhi alla mia sinistra si affaccia l'imponente palazzo di mattoni rossi della scuola elementare. Sempre lungo la strada una enorme lapide con incisi i nomi dei caduti murisenghesi caduti nelle guerre, ed è un vero peccato vedere una lapide che ricorda persone del paese che hanno combattuto per un ideale e per la patria ridotta in queste condizioni.
Poco dopo in uno slargo l'edificio della vecchia scuola materna, intitolata a Luigi ed Emilia Lavazza. Questa scuola mi porta a ricordare un importante famiglia di Murisengo che ne furono per anni benefattori. Infatti Luigi Lavazza, nato il 24 Aprile 1859 a Murisengo e qui morto il 16 agosto 1949 fu il capostipite di una nota impresa di torrefazione torinese. Luigi, inizio la sua attività imprenditoriale rilevando una vecchia drogheria nel centro di Torino, iniziò a miscelare i vari tipi di caffè, trasformando la sua drogheria in un attività industriale, tanto che nel 1927 la Società Lavazza divenne una società per azioni. La via maestra da qui s'inerpica ancor più, e da qui inizia il borgo vecchio di Murisengo, superato quella che doveva essere una vecchia porta d'accesso al borgo vecchio s'intravedono le mura del castello e la merlata torre.
Raggiungo con un po' di fiato lungo la piazza su cui s'affaccia da un lato il muro del vecchio castello con una portina d'accesso costruita più recentemente. Dall'altro lato un bel vedere su tutto il Borgo e sulle colline circostanti, ma a farla da padrona è la chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate. Venne edificata nel 1748 su disegno dell'architetto Peruzzi, unicamente con le spontanee offerte dei parrocchiani, si presenta nella sua imponenza fatta di mattoni a vista, un'unica porta d'accesso con una lunetta su cui è raffigurato un dipinto di Sant'Antonio abate. La facciata è scandita da tre lesene per lato . Il suo interno è scenografico, uno dei più mirabili esempi di rococò piemontese con raffinati affreschi e dipinti, bei marchi policromi e stalli intarsiati del coro. Si presenta a croce greca con una sola navata e quattro coretti. Tra i sette altari, sia grandi e piccoli, dedicati: al SS.Sacramento, a Sant'Antonio Abate, a Sant'Orsola, alla Madonna del Rosario, Sant'Anna, San Giuseppe, San Luigi, mi soffermo davanti a quello di San Candido. Mi si racconta che in quest'ultimo altare sia conservata, dentro una busta d'argento collocata in una nicchia nel muro e chiusa con inferriata e porticina, parte delle reliquie del Santo protettore. Dal sagrato della chiesa posso ammirare buona parte del castello, che risulta essere un falso storico ottocentesco. Infatti dell'antico castello rimane solamente la torre a base quadrata, risalente forse al XI secolo, che anch'essa nella seconda metà dell'Ottocento venne arricchita di una merlatura tutt'oggi visibile; sono ancora visibili sulla torre il coronamento dei beccatelli. Dell'origine dell'antico castello si conosce veramente poco, si pensa che sia stato costruito intorno all'anno mille e che tra i proprietari vi fossero i Radicati di Brozolo, di certo gli Scozia divennero feudatari dal 1420 fino al 1883, quando Donna Tarsilla Scozia sposò Francesco Guasco Gallarati marchese di Bisio e di Francavilla. Da un registro di casa Scozia, mi par aver letto che una serie di saccheggi e distruzioni che funestarono il castello ne cancellarono l'intera storia. Di sicuro da questi eventi non ne passo indenne nemmeno il borgo. La distruzione del castello comunque ne porto una ricostruzione che dalle caratteristiche attuali penso possa essere stato ricostruito in parte nel Seicento, poi ancora rimaneggiato successivamente. Di certo si sa che vi soggiorno Silvio Pellico nel 1813 per scrivere la "Francesca da Rimini" ed una targa posta all'interno del castello lo ricorda. Oggi il castello è proprietà di un impresario edile. Chissà se la stradina in salita che costeggia il muro di cinta del castello e conduce verso l'ingresso principale del castello è la stessa che il Nicolini in un suo libro chiamava dei famigli, oggi nessuno più si ricorda di questa denominazione.
La mia attenzione è rivolta ad un'altra chiesa presente nel borgo antico, ed esattamente a quella di San Michele, che in un documento del 1500 è denominata Oratorio degli Angeli, sede della compagnia degli Angeli e poi sede di una Confraternita di disciplinati. Fu utilizzata per diversi anni e funzionava come parrocchiale, avendo anche il fonte battesimale, ove si battezzò fino al 1624. Davanti ad essa esisteva un piccolo cimitero, oggi si presenta in fase di restauro e forse la sua nuova destinazione d'uso sarà sicuramente diverso. Sul sagrato, ove insisteva il piccolo cimitero ora insiste una bella piazzetta belvedere sul borgo e sulle colline circostanti. La chiesa, totalmente in cotto, presenta un avancorpo con un lungo porticato a tre archi, sotto il quale vi è la porta d'accesso alla chiesa. Il porticato ha un primo piano munito di tre grandi finestre rettangolari. Bella tozza e quadrato il campanile. Sotto la cella campanaria un corso di quattro bifore sui quattro lati della chiesa.
Ormai scendo dal borgo antico, lasciando alle mie spalle un pezzo di storia monferrina, rivolgo la mia attenzione alle frazioni che compongono il Comune di Murisengo, soprattutto alle chiese che possiedono e che sono la memoria storia dei loro luoghi.
Mentre mi allontano con l'auto mi sovviene l'antica gloria sportiva di Murisengo il gioco del tamburello, uno sport radicato nella storia monferrina fin dal medioevo, che ha sempre coinvolto intere generazioni, anche sfogo di ancestrali rivalità tra i diverse paesi. Un grande momento di ripresa di agonismo sportivo Murisengo l'ebbe nel gioco del Tambas, negli anni 1969 e 1973, allorquando vinse alcuni scudetti. Tra i più grandi tifosi e sostenitori vi fu Pericle Lavazza.
Con l'auto raggiungo il piccolo nucleo di abitazioni di Case Battia, dove si erge la chiesa dell'Immacolata. Questa risale al 1646 e conserva una Settecentesca statua della Madonna. La chiesetta in mattoni a vista è piccolina ed una brutta e moderna porta a vetri con infissi in alluminio anodizzato è posta a protezione della originale porta lignea. Per lo più protetta dalle intemperie da una tettoia in plexiglas e ferro. La facciata è a semplice capanna, ai lati della porta d'accesso due finestre rettangolari incassate in una modulatura di mattoni che richiama un disegno di finestra ad arco acuto. Sopra la porta un frontone ne adorna la facciata e sopra ad essa una lunetta priva di decorazioni e affreschi. Su un angolo della chiesa una lapide marmorea ricorda il partigiano Aurelio Raschio, ivi nato il 27 ottobre del 1925 e caduto in combattimento il 29 marzo 1944 a Venasca nel Cuneese. Costui fece parte della Divisione Cuneo 181° brigata Morbiducci.
A Sorina invece trovo la chiesa parrocchiale della Natività della Beata Vergine, risalente al secolo XVIII e restaurata nel 1932 e nel 1967. La Chiesa dalla facciata semplice, intonacata e tinteggiata presenta una sola porta d'accesso, nessun finestra e rosone se non una finestra rettangolare su un timpano a forme arrotondate. La finestra dovrebbe proteggere una statua dalla madonna riposta dentro una nicchia. La facciata a due ordini, presenta due semplice lesene divise da due marcapiano, leggermente in rilievo, oltre le due lesene angolari. Conserva dipinti di pregio, una balaustra ottocentesca e un pavimento in marmo. Sul sagrato un bel monumento, un po' in stato di abbandono ricorda i caduti della guerra in Libia e della prima guerra mondiale, del borgo. Sempre a Sorina è presente un antico oratorio, le cui attuali fattezze risalgono al XVIII secolo, nel quale è conservata una settecentesca tela. Anche questo piccolo oratorio è molto semplice, costruito con tetto a capanna, in mattoni a vista, un'unica porta d'accesso con sovraporta in cotto a forma di mezzalunetta. Una ampia finestra a forma di lunetta si presenta sulla facciata ma purtroppo con diversi vetri rotti. Quattro leggere lesene, di cui due d'angolo, sempre in cotto ne aggentiliscono la facciata fino al bel timpano a capanna. Non presenta nessun campanile se non una piccola cella campanaria. L'Interno deve aver poca illuminazione naturale, considerato che solo il lato sinistro presenta una finestra a lunetta circolare, mentre sul lato destro è tamponata, come è tamponata la finestra rettangolare all'altezza dell'abside semicircolare.
Mi spingo in auto fino a Corteranzo che fu Comune per molti anni. Sul colle dove oggi sorge la chiesa, un gruppo di case e un importante resort, un tempo esisteva un castello, di cui si sa poco o quasi nulla se non quello che è scritto sul "Dizionario generale geografico-statistico degli Stati Sardi: desunto dalle più accreditate opere corografiche, dalle recenti statistiche officiale e da documenti inediti" - di Pomba e comp. del 1855, in cui si indica la presenza di un Castello Vetusto, infeudato alla famiglia Ranzi di Vercelli, da cui il nome Corteranzo. Pare che il castello fosse collegato alla chiesa di San Martino che fu ricostruita nel 1720. Raggiungo il piccolo sagrato erboso, attraverso una rampa di scale. L'esterno dell'ex parrocchiale, soppressa nel 1986 è completamente intonacato sia la facciata che i prospetti laterali. La facciata è molto bella ed è composta da due ordini, con primo piano di maggiore larghezza, diviso da sei lesene, di cui due angolari, sorreggenti una trabeazione a cornicione aggettante; il secondo piano presenta quattro lesene reggenti un timpano triangolare e un'ampia e bella finestra quadrilobata . Presenta una sola ampia porta d'accesso a cui si accede attraverso una breve scalinata. Poco sotto alla chiesa in una piccola piazzetta si erge l'antico edificio municipale sul quale due targhe marmoree ricordano i caduti di Corteranzo delle guerre del secolo scorso. Sempre in auto mi reco al poco distante cimitero del borgo di Corteranzo a vedere una piccola bomboniera del Monferrato.
Alla famiglia dei Ranzo, succedette la famiglia dei Giunipero che vi fu infeudata nel 1112 con terre e castelli di Corteranzo e Robella dagli Aleramici e riconfermati nel 1484, dai Paleologi. Fu Tommaso Giunipero, ultimo residente nel palazzo nobiliare di Corteranzo, a far erigere la piccola chiesetta dedicata a San Luigi. Questo tempietto è un mirabile esempio di barocco piemontese e sorge solitaria tra le colline verdeggianti del Monferrato che gli fanno da cornice. Accanto ad essa un minuto cimitero dove riposano poche anime dal 1838. La chiesa dovrebbe essere stata edificata intorno al 1760, molto tempo prima del cimitero, ha forma a pagoda, a tre ordini sovrapposti così dissimile dagli stili tradizionali, con una lanterna esagonale centrale, munita di piccole e deliziose finestre. La facciata come tutta la chiesa è in cotto, risulta leggermente concava, quasi ad invitare ad entrare il viandante. Ai lati del portale si trovano quattro lesene che sorreggono un timpano sormontato da una finestra rotonda con una particolare cornice circolare. Anche il terzo ordine ha una cornice di belle finestre tonde. L'incarico per il progetto fu affidato, all'inizio del 1700, allo studio del Juvarra di Torino e, venne poi realizzato, dall'architetto Bernardo Vittone. Grazie alla disponibilità del Comune posso accedervi e così ammirarne l'interno. Sorprende subito il senso di verticalità conferito dalle cupole, mentre lo stesso interno è disadorno e molte macchie di umidità attentano a bianco intonaco e ai delicati colori degli stucchi. La parte più ingegnosa è la cupola costituita da archi incrociati a stella esagonale. Tra gli archi vi sono le sei finestre rotonde del terzo ordine. L'incrocio degli archi alla sommità della cupola, forma un esagono che decora la della lanterna, disegnando grazie al prisma esagonale un fiore con sei petali, che con la luce delle sei finestrelle da all'intera chiesa un fascino e una luce caratteristica e misteriosa. L'interno è completamente disadorno, anche l'altare è privo di ogni suppellettile. La Chiesa di San Luigi è sicuramente un luogo magico per tutta la Valcerrina. Il suo contrasto dell'articolata architettura barocca, dal disegni complesso e dinamico, immersa nel verde e sereno, tranquillo del Monferrato ha qualcosa di singolare e misterioso. Come mi rimane un mistero anche il il motivo del titolo della chiesetta e della sua localizzazione. All'ombra degli alberi che incorniciano il piccolo prato antistante la chiesetta di San Luigi, mi sovviene un fatto d'arme accaduti a Corteranzo, ossia quando truppe nazi-fasciste per rappresaglia saccheggiarono le case e furono fatti ostaggio e minacciati di morte dal maggiore Mayer 17 abitanti del piccolo borgo, poi rilasciati dopo trattative. Infatti l'area del basso Monferrato era zona di azione delle divisione partigiane, Garibaldi, Monferrato e Patria. In questo contesto è bene ricordare che durante il periodo di occupazione nazifascista a Murisengo si stampavano clandestinamente due giornali partigiani "Libero Monferrato" e "Stella rossa" Un primo e il più antico fatto d'arme lo avevo però letto su un libro di Idro Grignolio, e riportava una nota di un famoso trovatore alla corte del Marchese del Monferrato. Rambaldo di Vaqueiras, questo è il nome del trovatore, pare ricordi in una poesia musicata quando il Marchese presso "Cortetrastenò" respinse con soli tre cavalieri l'attacco di quattrocento astigiani, durante la famosa battaglia di Mombello del 1191, quando una coalizione di astigiani, alessandrini, novarese vercellesi e piacentini assalirono il Monferrato, convergendo le loro truppe verso Moncalvo. Dopo queste reminiscenze storiche, mi allontano da Murisengo, dal suo castello e dalle sue frazioni che nel loro insieme racchiudono di storia, cultura, architettura, natura e tradizione, facendo di questa parte del Monferrato una perla ancora tutta da scoprire.