Non usando nessun navigatore satellitare, debbo aggiustarmi con le cartine stradali, ma questo non mi impedisce di raggiungere Portula.
Questo piccolo comune del Biellese, immerso tra i boschi a poco meno di 700 metri slm è posto a cavallo tra la Val Sessera e le valli del Triverese, forse il suo nome deriva proprio da essere la porta d'accesso tra le due valli, come sarebbe ad indicare anche lo stemma comunale.
Di certo diventa Comune autonomo il 24 ottobre 1627, come depone il suo trattato di fondazione firmato dal principe Carlo Emanuele di Savoia, prima faceva parte del Comune di Trivero. Infeudato alla famiglia Melani, ne segui le sorti fino alla fine del settecento, quando s'inaugurò l'era repubblicana francese. Il paese, con le sue molte frazioni ha sempre vissuto di agricoltura, pastorizia e solo grazie al fiorire dell'industria tessile nella seconda metà del Settecento, decine di lavoranti iniziarono a lavorare con telai a mano portando un po' di benessere. Poi industrializzando la produzione tessile, molti abitanti si dovettero trasferire a lavorare nelle fabbriche più a valle, dove la forza motrice dell'acqua era maggiore, ancora oggi molti abitanti lavorano nelle aziende di Coggiola, Trivero e Pray.
Parcheggio l'auto davanti al palazzo municipale, dove si prospetta anche la grande chiesa parrocchiale del capoluogo, attualmente dedicata all'Immacolata Concezione, fu costruita nel 1628 su un preesistente oratorio cinquecentesco. La chiesa ha un prospetto veramente immenso, con un grande portico anteriore che corre per tutta la facciata, molte sono le iscrizioni su terracotta e marmi collocate sotto il portico della facciata. Con il classico prospetto a capanna, il sovraportico presenta un lungo corridoio coperto con 6 finestre suddiviso da un accenno di semplici lesene, un marcapiano divide quest'ultimo da un timpano con una lunetta a mezzaluna. Al suo interno colpisce subito l'altare maggiore e la sua balausta in marmi policromi. Molto belli anche i confessionali, riccamente scolpiti e il pulpito con pannelli ornamentali. Gli affreschi che decorano il presbiterio di fine XVII secolo ricordano l'Annunciazione e la Natività di Gesù.
Purtroppo non mi è possibile ammirare i due antichi organi conservati, in quanto vi è veramente poca luce al suo interno.
Nella piazza antistante vi è il monumento commemorativo ai Caduti, con piedistallo quadrangolare in granito lucidato. Sopra di esso è collocata un'ara interamente in bronzo fuso, sopra alla quale vi è raffigurata la morte di un soldato, accudito da una figura femminile. Sui fianchi destro e sinistro a rilievo, i nomi dei caduti e sul retro un bassorilievo con il profilo di un soldato alpino accanto alla testa di un mulo, sullo sfondo i profili delle montagne. Mi avvio, con passo sicuro, certo altresì che le nuvole oggi non vorranno farmi scherzi, munito di macchina fotografica, decido di arrampicarmi sul colle che sormonta l'abitato. Una leggenda vuole che qui vi sorgesse un castello, o forse una magione ossia una grande dimora, appartenenti ai conti di Rossiglione di Bel Monte. In cima al colle in una posizione che sicuramente può essere considerata uno dei luoghi più incantevoli della Val Sessera si erge un edificio sacro recente costruito, essendo stato edificato agli inizi del XX secolo. Questa chiesetta è dedicata alla Madonna bruna d'Oropa e fu progettata dall'architetto Giovanni Ferroggio di Camburzano che s'ispiro al tempietto dipinto da Raffaello Sanzio che fa da sfondo allo "Sposalizio della Vergine". Il santuarietto di Rossiglione è a pianta centrale con cupola poligonale ed è circondato interamente con un porticato; tutto realizzato con mattoni a vista e con leggeri archetti che con il loro disegno ne alleggeriscono ulteriormente l'aspetto. Consacrato nel giugno del 1910 dal vescovo di Biella, ancora privo di pavimento che fu poi posato nel 1926. Nel 1967 davanti all'ingresso fu collocata una fontana in sienite. Il luogo è immerso nel verde, con alberi frondosi che con il fruscio delle loro foglie accarezzate dal vento rendono il luogo veramente magico. Scendo lentamente dalla collina sovrastante il borgo, il sentiero è stato recentemente pavimentato e i boschi e prati adiacenti sono curati. Il panorama che si gode sulla vallata è veramente splendido, complice un cielo che continua ad essere terso. Riprendo la mia piccola autovettura e mi dirigo verso gli altri obiettivi della giornata.
La strada che mi conduce alla frazione di Castagnea è stretta e tortuosa, benché ben tenuta. Le case che si affacciano richiamano l'antico benessere economico del luogo. Anche la piccola frazione è accogliente, pare uno di quei villaggi dei presepi romani, ma le case sono quelle tipiche della nostre montagne, tetti in losa, ampie e lunghe balconate in legno, angoli fioriti e edifici colorati con tinte tenue. I numerosi camini e la presenza di cataste di legna, ci ricordano la vita di montagna. La piazzetta in cui sosto con l'auto è ampia e spaziosa per il piccolo borgo di Castagnea. Subito si nota una vecchia ma graziosa chiesetta che si prospetta sulla piazzetta del piccolo borgo,con suo aspetto serio e solenne. La storia del borgo è intensamente legata alle sue chiese e alla rivalità tra gli abitanti di Castagnea e di Portula. Questa chiesetta sorse originariamente come oratorio dedicato a Santa Maria della Neve, alle dipendenze della parrocchia di Trivero. Di origine Seicentesca, subì diverse modifiche ed ampliamenti. Presentava una volta dipinta, tre altari, quello maggiore dedicato alla Vergine gli altri dedicati a San Giuseppe e a Sant'Anna ampiamente decorati a stucco.
La chiesa divenne parrocchiale nel 1796, anche a causa di alcuni scontri tra gli abitanti di Portula e Castagnea che culminò con l'uccisione di un abitante di Castagnea, che fu assassinato sulla piazza di Portula, mentre rientrava dalla funzione religiosa.
La chiesa con la facciata a capanna presenta con una coppia di colonne binate incorporate sul frontespizio, indicante la volontà di allungare ulteriormente la chiesa. Sopra il marcapiano al centro della facciata vi è un affresco raffigurante la Madonna con il bambino racchiuso in una cornice di stucco, mentre ai due lati vi sono due nicchie prive di statue.
Sul lato sinistro la casa parrocchiale con il massiccio campanile in pietra, quest'ultimo con una cella campanaria con ampie aperture decorate contenenti piccole colonne. Il campanile è separato dal resto del corpo di fabbrica della casa parrocchiale. Sul retro della chiesa, vi era un tempo il cimitero. Questa chiesa fu presto abbandonata perché troppo piccola per contenere l'accresciuta popolazione perciò si costruì l'attuale parrocchiale, posta su una collinetta a poche decine di metri dall'antica chiesa. Ci si accede attraverso un ampia scalinata o attraverso una comoda stradina. Purtroppo la vecchia chiesa fu per diverso tempo utilizzata come cineteatro, perdendo così molte delle sue caratteristiche. La nuova chiesa, molto più grande e maestosa, è in stile neoclassico con una facciata maestosa e un porticato abbellito da un colonnato ed arricchito da due statue in pietra collocate ai lati del portale. Sempre ai lati, della chiesa fanno bella mostra due fontane con dei mascheroni, opera del 1859. L'interno è a navata unica molto semplice negli arredi e nelle decorazioni. La settecentesca statua della Madonna vi fu trasportata dall'antica parrocchiale ed è oggi collocata sopra l'altare maggiore. Come pure la settecentesca statua di San Giuseppe, mentre forse la statua di Sant'Anna è andata perduta quando la vecchia parrocchiale, ad inizio XX secolo fu parzialmente demolita per ricavarne spazio per allargare la strada che conduce a Portula.
Lascio il centro abitato di Castagnea, non prima di aver visitato l'oratorio della Madonna Assunta posta sulla strada per Trivero. Questo oratorio di proprietà privata è conosciuto dai locali sotto il titolo di San Giovanni Battista, in quanto il santo è effigiato nel catino absidale vicino alla Madonna. L'oratorio benedetto nel 1860 è di piccole dimensioni, con un altare in muratura e una piccola abside semicircolare. Il borgo di Castagnea ha ancora le strade in ciottolato con lastre di pietra per i mezzi carrabili, caratteristica che rende il borgo affascinante.
Con l'auto m'inerpico per una tortuosa e stretta strada, dapprima asfaltata poi sterrata, incorniciata per tutto il percorso da alti alberi di faggio, castagni e betulle. Dopo breve, raggiungo un pianoro dove vi è collocata il l'imponente santuario della Novareia.
Le origini di questo santuario Mariano, dedicato alla Madonna delle Grazie, risalgono al XVIII secolo e sono legate all'apparizione della Vergine. La tradizione vuole che a metà del Seicento, ad un'anziana signora, tal Antonina Cravetta, residente in Cantone Coggiola, apparve la Madonna, manifestandole il desiderio di veder edificata una chiesetta in questo luogo. I paesani non diedero molto credito alle due parole, perciò Antonina, sul luogo dell'apparizione creò una cappelletta con delle frasche di nocciole, al di sotto della quale poneva delle immagini della Vergine e un crocifisso. La signora si recava ogni giorno a pregare invitando i pastorelli, che conducevano a pascolare gli armenti a sostarvi per una preghiera. Ciò continuo anche dopo la morte di Antonina, fintanto che nel 1712, si ha una nuova presunta apparizione e la guarigione di Giacomo Michel di fu Quirico. Costui recatosi in luogo della cappelletta costruita di fronde fece voto di edificare e adornare la chiesa se recuperava la salute. Si ha così inizio la costruzione del santuario nel 1713. La chiesa ad unica navata, in stile rinascimentale presenta decorazioni di gusto barocco, le cappelle laterali sono arricchite da pregevoli sculture di San Giacomo e San Rocco, mentre l'altare maggiore e la balaustra sono in marmo. Sempre all'interno della chiesa è conservato una statua della Madonna del 1715. Molteplici sono gli ex voto che decorano le parete, a dimostrazione della forte vocazione della popolazione territorio e non solo alla Madonna e al suo santuario. Un'anziana signora, modestamente vestita di scuro e con il velo di pizzo sulla testa, dapprima raccolta in preghiera, mentre mi accingo ad uscire dalla chiesa, m'intrattiene amichevolmente sotto lo splendido porticato che corre lungo la facciata della chiesa e vengo così a scoprire e a sapere diverse cose. Come ad esempio che ad inizio degli anni 80 del secolo scorso, dalla chiesa furono rubate due pregevoli tele dedicate a San Rocco e a Sant'Anna e che l'attuale pulpito decorato con motivi floreali è recente in quanto il Settecentesco pulpito è sparito. Mi ricorda inoltre che dall'epoca della sua fondazione, vicino alla sacrestia fu costruita una casa per l'eremita che fu per molti anni il vero custode di questo luogo sacro. Racconta che l'eremita viveva di elemosine e che girava tutto il territorio in cerca di soldi per abbellire e completare la chiesa. Vengo così anche a sapere che i popolani che possedevano bestiame erano e sono molto legati al Santuario. Questa riconoscenza popolare verso il Santuario, credo sia dovuta ad una forte epidemia tra il bestiame e tra la popolazione che colpì la zona nel 1744. In quel tempo fu organizzata una solenne processione verso il Santuario ed è forse per questo motivo che vi fu eretta una cappella a favore di San Rocco. Sotto il portico sono altresì' collocate tre fontanelle di acqua e una lapide in granito inciso, invita il pellegrino a dissetarsi. Un cartello posto sotto il portico, firmato da don Ugo ricorda che Papa Francesco ha voluto donare al Santuario, un mattone che era inserito nella Porta Santa della Basilica Vaticana alla chiusura del Giubileo dell'anno 2000. Mentre osservo nel piazzale antistante la splendida statua della Vergine, l'anziana Signora nel salutarmi mi invita a tornare al Santuario in occasione della festa dei ciclamini che si svolge a luglio e che fioriscono abbondantemente intorno alla chiesa. La ringrazio per le preziose informazioni e rientro verso Portula.
Passato Castagnea, mi soffermo a fotografare la chiesetta dedicata a San Giovanni Battista in frazione Scaglia di Portula. Anticamente, nel XVII secolo, questa frazione era denominata come Mondorotondo, poi prese il nome di Galfione, forse dal cognome più comune delle famiglie residenti. L'oratorio era già presente nel 1621, la facciata è molto semplice, con la tipica forma a capanna, suddivisa da due alte lesene sormontate da semplici capitelli, paraste angolari anch'esse sormontate da semplici capitelli decorativi ne slanciano il prospetto. Un marcapiano, divide sopra la porta d'accesso, un ampia finestra rettangolare che ha lo scopo di favorirne l'illuminazione interna. Il timpano poggia su una trabeazione modanata, mentre due nicchie, vuote, sono poste ai lati del finestra superiore, un affresco, ormai quasi illeggibile decorava il sovraportale d'accesso. L'accesso alla chiesa avviene attraverso alcuni consunti gradini.
Non mi resta che raggiungere alcuni amici, che mi attendono in un vicino agriturismo. Il locale è realizzato all'interno di un vecchio opificio dove incontro Lele e Gian, due amici, profondi conoscitori del biellese. Prima di iniziare il pranzo, la Signora titolare dell'agriturismo mi permette di fare un giro per guardare come ha trasformato questa antico stabilimento tessile in un comodo e caratteristico agriturismo. L'ambiente è raffinato e famigliare, le camere sono arredate con gusto e con colori e arredi gentili, per offrire massimo relax agli ospiti. L'incuria del tempo che stava portando al degrado più totale dell'edificio è stato fermato realizzando una bellissima struttura alloggiativa, immersa nel verde ed ecosostenibile, dove il rispetto dell'ambiente e della natura si può toccare con mano, senza farsi mancare nessuna moderna comodità. Travi in legno a vista, letti in ferro battuto, pizzi e merletti rendono le stanze veramente suggestive. Ma è giunta l'ora di soddisfare anche i palato e con i miei amici ci immergiamo in un lauto pranzo casalingo, fatto con prodotti del loro orto e della loro campagna. Pura genuinità a km Zero. Tradizione piemontese rispettata ma fortemente legata ai sapori della montagna e soprattutto del territorio. Ed allora in silenzio quasi monacale gustiamo frittatine con le erbette selvatiche, formaggi come il Maccagno e salumi locali, verdure ripiene, fiori di zucca, il capunet fatto con le fogli di cavolo e molto altro ancora. Il tutto innaffiato con un fantastico vino rosso: il Mesolone. Un vino dal carattere molto forte, corposo al palato e bisognoso di molta ossigenazione per far si che i gusti si manifestino al meglio, prodotto ormai solo una sola azienda agricola a Brusnengo con da viti di Croatina, così mi raccontano.
Sono più convinto che il Mesolone, sia un ottimo vino da compagnia. Un tempo avevo letto nel bel libro Vino al vino di Mario Soldati che così lo descrive: "Dalla baraggia, approdiamo alla collina di Brusnengo, detta della Meisola, dove si fa il vino Mesolone. ... qui si sono specializzati nel Mesolone: lo pigiano da uve raccolte esclusivamente dai loro privati vigneti. Composizione sia 60 - 70% Nebbiolo e 40- 30 % Bonarda, e un po' di Vespolino. Si pigia di raspa ... poi il vino fermenta per tre settimane. Due travasi il primo anno, un travaso all'anno per i due o tre anni successivi. Al terzo, o al quarto anno si imbottiglia. il Mesolone è un vino estremamente simpatico: proprio per il suo carattere medio, passante, e cioè gustoso, corposo, serio, sì, ma non troppo impegnativo." e prosegue "... il Mesolone è un vino da festa, da chiasso, da grande allegra "mangiata": specialmente se si è decisi nonostante la compagnia, ad evitare ogni tipo di vino spumante o spumoso".
Ritemprato lo spirito, accontentato lo stomaco, ritrovato vecchi amici con cui ho passato un bel pomeriggio di chicchere, mentre il sole inizia a sbadigliare e il buio cerca di vincere la sua battaglia, rientro verso la terra mandrogna, stanco ma anche oggi soddisfatto.