Nulla è servito spiegare che la maggioranza degli uomini va anche a cena e a far la spesa con i bermuda o i calzoncini corti. Certamente se dovessi andare in ufficio non li metterei mai, non ritenendo scandaloso usarli in ufficio ma sicuramente poco dignitoso.
Il mio modo di vestire è sempre stato abbastanza colorato, forse con l'età che avanza può sembrare pacchiano, ma se io mi trovo bene con i colori pastello e con vistose disegni sulle t-shirt non comprendo perché dovrei cambiare solo per piacere ad altri, ovvio che sul lavoro è diverso.
Poi ritengo il pantalocino corto al ginocchio sia un abbigliamento estivo, che comodo, tiene fresco o almeno ne da l'idea. Certamente l'uomo con il pantaloncino con la ciabatta difficilmente potrà essere elegante, ma perché rinchiuderlo in un cassetto? Perché considerarlo solo un abbigliamento della nostra gioventù? Sono fortemente convinto che il pantaloncino corto e le bermuda siano capi d'abbigliamento democratici; infatti mette in bella mostra il polpaccio bianchiccio dell'impiegato, nascosto per nove mesi sotto i pantaloni, quello del contadino che vive all'aria aperta, quello peloso del macho di un tempo, quello depilato del palestrato e dello sportivo, quello flaccido dell'intellettuale, quello turgido del muratore, quello dal pelo bianco del pensionato e quello vissuto e sudato dell'operaio. Insomma il pantaloncino corto ha intercettato un bisogno primario dell'identità maschile quello della rivendicazione della parità tra uomini e donne, mostrando il ginocchio. E se l'uomo con il pantaloncino è quanto di più brutto si possa immaginare, come afferma Floriana, cosa dobbiamo dire di alcuni personaggi giunonici femminili che nonostante tutto si concedono di indossare abiti aderenti dai quali strabordano le loro prosperose forme?
E poi, quando togli il pantalocino corto dalla naftalina come per il bikini è subito estate, ed allora godiamocela e se a qualcuno non piace, non gli vieto di voltarsi da un'altra parte.