Blog di Dante Paolo Ferraris

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Dietro le quinte di Cuba (IV parte)

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Cuba (04/2010)Mi sveglio la mattina presto e preparo una sacca con un po' di indumenti per cambiarmi nei prossimi giorni e carichiamo l'auto con gli acquisti fatti da Wilmer per la madre e la sorella.
Sono proprio curioso di conoscere i suoi familiari. Probabilmente incontrerò anche il padre (divorziato) che fa l'infermiere ma è sempre in giro per il centro america con l'organizzazione ALBA.
Già per uscire da Matanzas con l'auto è un avventura, i cartelli stradali sono pochi e le strade sono malmesse, ampi buchi sull'asfalto ti costringono a fare degli slalom ed a procedere non troppo velocemente.
Dobbiamo raggiungere l'autopista nacional, una specie di autostrada che negli intendimenti doveva collegare Pinan del Rio a Santiago de Cuba e Guantanamo ed invece termina a Jatibonico.
Un'opera inconclusa in tante parti, non vi sono guardrail, segnaletica, reti di protezione, incroci a raso ovunque, insomma 650 km circa di asfalto disseminata di crateri che la rendono molto pericolosa.
Il Progetto prese forma attorno al 1980 con finanziamenti concessi dall'U.R.S.S., a quell'epoca unico grande partner commerciale del governo cubano.
Questa ambiziosa Autopista Nacional doveva unire l'occidente con l'oriente dell'isola, ma la caduta del governo sovietico, bloccò il suo completamento. Otto corsie incompiute con scheletri di ponti lasciati a metà e senza protezione.

Guidare a Cuba non è facile, non perché il codice della strada sia diverso, nemmeno per il traffico, che non c'è, devi solo saper orientarti con il sole, avere fortuna negli incroci senza segnaletica, avere abilità di slalomista più o meno come si fa con i carrelli della spesa al supermercato. Devi inoltre stare attento ai passaggi a livello che ti appaiono all'improvviso e non sono segnalati, sempre senza barriere e non bisogna farsi ingannare dal fatto che la linea ferroviaria sembra in disuso vedendo l'erba sui binari, perché il treno passa lo stesso.

Se il traffico automobilistico è scarso, non lo è quello delle biciclette, dei pedoni e dei carri trainati da buoi o cavalli.
Non di rado la sede stradale è occupata da animali che si sdraiano sull'asfalto pacificamente e non è il caso di suonare il clacson, potrebbero imbizzarrirsi o incuriosirsi e quindi conviene conquistare la strada lentamente senza far troppo rumore o brusche accelerate.
Nei villaggi trovi invece i bambini che giocano o ti schizzano in mezzo alla strada velocemente.

Ma il vero spauracchio degli automobilisti è la polizia, assolutamente inflessibile. Non ha alcuna importanza che tu sia turista e non parli l'idioma o che tu sia un indigeno: il codice della strada va rispettato e ti ritrovi la multa scalata dal deposito cauzionale.

Le cinture di sicurezza sono obbligatorie ed i limiti di velocità sono di 50 Km/h orari nei centri abitati, 90 km/h sulle extraurbane e 100 sull'autopista. In realtà le auto cubane non raggiungono tali folli velocità.
Trovi molte persone che ai lati della strada fanno autostop per chiedere un passaggio (botella) e generalmente ti sventolano davanti qualche banconota locale per dimostrarti che possono pagare il tuo trasporto. Sono spesso occasione per fare nuove conoscenze.

Il paesaggio è splendido, non posso che ammirarlo con attenzione, mentre Wilmer mi racconta del suo lavoro di ballerino, dei compagni di lavoro, dei loro problemi giovanili, delle speranze di un miglioramento economico ma anche dei piccoli antagonismi fra colleghi.
Intorno vi sono coltivazioni di ogni tipo di frutas (frutta), lime, platano (banane), fruta bomba (papaya), naranja (arancia) e mamey, zapote ma anche verduras (Verdure) : boniato (patata dolce), col (cavolo), aguacate (avocado. Piantagioni di canna da zucchero che si alternano a vasti campi coltivati a maiz (granoturco) e a pascoli destinati a foraggio ne fanno una enorme fattoria. Qua e la case sparse con contadini impegnati nei lavori dei campi, molti con le biciclette altri con carri trainati da cavallo e i rari trattori sembrano usciti dai film anni 60/70.

Non è raro vedere avvoltoi volare a cerchio sull'autostrada in attesa di una preda facile che transita sull'autopista o meglio di qualche animale già morto investito da un auto o da un camion.

Sono poco più di 300 km per raggiungere Jatibonico in Provincia di Sancti Spiritus e per raggiungerla dobbiamo attraversare la provincia di Cienfuegos e di Villa Clara.

Cienfuegos è una Provincia piccola e non ci fermiamo a visitarla essendoci stato nel mio viaggio precedente a Cuba, ma la ricordo come una città elegante che unisce l'imponente architettura neoclassica a un atmosfera quasi più francese che caraibica.
Purtroppo la provincia e la città furono duramente colpite nel 2005 dall'Uragano DENIS che ha lasciato evidenti segni di distruzione sulle abitazioni.
Nella storia patria cubana è ricordata per il suo D-Day del settembre 1957, quando gli ufficiali della marina militare di stanza presso la locale base navale, diedero il via ad una rivolta contro la dittatura di BATISTA che fu purtroppo sedata nel sangue.

Mentre percorriamo l'autopista verso Santa Clara, Wilmer mi fa un rapido racconto della storia di Cuba, soprattutto della Rivoluzione, di Fidel, dei suoi compagni e dell'embargo che l'occidente e soprattutto gli U.S.A. hanno imposto da anni su Cuba, costringendo il Governo a razionare spesse volte i generi alimentarie e ad organizzare un' economia più autarchica possibile.

Mentre ci fermiamo a fare il pieno di carburante, mi bevo una buona cerveza seduto al sole su una panchina al bar del distributore di benzina, mentre Wilmer prende un succo di frutta.
Vorrei poter essere una lucertola per godermi tutto questo caldo e bellissimo sole ma ho paura di scottarmi visto che sono bianchissimo. Invidio la bella carnagione mulatta di Wilmer, il sole non gli fa paura, anzi sulla sua pelle scura pare trovi anche la forza di far riflettere i suoi lineamenti.
Siamo vicino a Santa Clara e Wilmer mi racconta lo storia di un suo leggendario abitante.

La sua storia la conosco bene, avendola studiata e soprattutto perché ho già fatto il mio pellegrinaggio al suo mausoleo che è visibile da qualunque parte della città ma mi dispiace interrompere Wilmer nel suo racconto sentita la passione che ci mette nel narrarmelo.
Il Comandante CHE', che troviamo effigiato anche in occidente su magliette, tazze, bandiere, bandane ed altro, qui è considerato un vero eroe nazionale ormai mitizzato.
La figura di Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come il Che' è il simbolo della rivolta, della conquista della Libertà per antonomasia.
Il suo volto lo trovi in ogni angolo dell'Isola a memoria della rivoluzione castrista. Nato a Rosario in Argentina nel giugno del 1928, laureato in medicina, etichettato come sex symbol, macho e guerrillero è stato per anni tra i più famosi ricercati della C.I.A.. Troverà la morte nel 1967 in Bolivia, fucilato mentre cercava di diffondere tra le popolazioni locali il verbo rivoluzionario.

La vita del CHE' è di per se stessa un romanzo. Uomo di sacri ideali, fedele agli stessi, mai si piegò al volere altrui, combattente da sempre lascia un incredibile ricordo, quasi mitologico, nei giovani di oggi.
Chi ricorda la sua storia sa che benché nato malaticcio e con problemi di asma, le sue prime battaglie avvennero sul campo di rugby dove gli fu affibbiato il nomignolo di “Fuser” per la sua fama di combattente indomito.


Dopo la laurea, non volle iniziare la tradizionale carriera da medico, ma inforcò la sua motocicletta con l'intenzione di girare il mondo in compagnia del suo amico Alberto GRANATA.
Una serie di suoi diari, pubblicati postumi alla sua morte ci raccontano come il CHE' conobbe nel suo girovagare per l'America latina la povertà, l'oppressione alla quale erano assoggettati molti popoli sudamericani negli anni 50 del secolo scorso. Iniziò a divorare libri Marxisti aumentando il suo rancore contro il capitalismo e contro gli U.S.A. in particolare.

Nel 1954 in Guatemala appoggia il governo di sinistra di Jacobo ARBENZ e proprio nei giorni del colpo di stato pilotato dagli Stati Uniti, viene deportato in Messico, dove nel 1955 un particolare incontro cambia il volto della storia del centro America.

Mentre Wimer racconta la storia del CHE' transitiamo vicino a Santa Clara ma scegliamo di proseguire e di non fermarci.
La città è tranquilla e l'unico contrattempo che puoi incontrare sono i jineteros (seccatori) che attendono i turisti per offrire ogni tipo di servizio.

Wilmer prosegue la sua narrazione, ricordando come fu proprio in Messico che avvenne l'incontro con Raùl Castro e grazie a lui con il fratello Fidel, già divenuto personaggio carismatico.
Con la famosa motonave Granma nel 1956 il Che' parti da Tuxpàn in Messico alla volta di Cuba, in qualità di medico per raggiungere i rivoltosi. La motonave Granma è oggi visibile all'Havana, proprio vicino a museo de la Coleccion de arte cubana ed è praticamente impossibile non vedere il Pavillon Granma, protetto da una teca di vetro e guardata a vista da militari armati.
Granma è anche il nome del maggior quotidiano cubano. Il CHE' sopravvisse all'attacco a Las Coloradas e, da combattente coraggioso, riuscì a conquistare la fiducia dei cubani tanto che nel 1958 Castro lo elevò al grado di Comandante.

Ricambiò tale fiducia con la vittoriosa battaglia di Santa Clara del 29 dicembre 1958 dove con 18 uomini bloccò un treno che trasportava 350 soldati dell'esercito di BATISTA.
Il Buldozzer usato dai guerriglieri per bloccare il treno militare è ora posto su un piedistallo in città nel punto dove avvenne lo scontro armato ed io ebbi modo di vederlo nel viaggio precedente a CUBA.

Il CHE' divenne cittadino cubano e Ministro dell'Industria e Presidente della Banca Nazionale, ma per la sua indole rivoluzionaria non poteva rimanere troppo inerme davanti al grido dei popoli latino-americani che rivendicavano maggiori libertà. Nel 1965 lascia Cuba e lo ritroviamo in Bolivia, dove appunto troverà la morte. Le sue spoglie mortali furono restituite a CUBA nel 1997 e ora sono sepolte nel mausoleo a lui dedicato a Santa Clara insieme ad altri guerriglieri uccisi nel fallito tentativo rivoluzionario in Bolivia.

Entriamo finalmente a Sancti Spiritus, il viaggio è stato accompagnato da musiche latino-americane e da musica classica di cui Wilmer è appassionato ascoltatore.
Vicino alla città iniziamo a superare gli sgangherati camiones, utilizzati come mezzo di trasporto pubblico per centri abitati nella stessa provincia o provincie limitrofe.
Non esiste un terminal ufficiale, generalmente ti metti in coda e attendi di salire sul camion e il viaggio può essere fatto in piedi o seduto su panche, dipende dal trasportatore, ossia dal padrone del camion. Generalmente non sono ammessi turisti ma se ti lamenti un po' e dici di non avere i soldi per il pullman o la guagua (Trasporto urbano) di linea ti fanno salire.

Facciamo una breve sosta in centro a Sancti Spiritus, dopo aver parcheggiato e fedelmente seguo Wilmer che mi pare entusiasta di farmi da guida nella sua città natale. Mi conduce subito a vedere la Iglesia parroquial Mayor del Espiritu Santo, tinteggiata di un color celeste acceso che non puoi non notare anche da lontano. L'interno e' molto spoglio benché abbia un bel soffitto in legno ed è molto curioso vedere tranquillamente entrare ed uscire dei piccoli uccelli dalle ampie finestre delle due pareti laterali dell'unica navata; sembra che addirittura abbiano nidificato dentro.

Transitiamo davanti al Teatro Principal, sobria costruzione del 1876, nulla di eccezionale ma Wilmer è orgoglioso di mostrarmelo, d'altra parte è un artista.
Vicino c'è il ponte sul Yayabo, 4 arcate in mattone rossi ed ha un aspetto più britannico che caraibico, costruito dagli spagnoli nel 1815, oggi è monumento nazionale.
Sinceramente sono più attratto dal vivace spettegolare di alcune signore sedute su sgabelli e sedie vicino alla porte delle loro case dipinte da vivaci colori gialli, rossi e azzurri.
Nella vicina piazza Parque Serafin Sanchèz i suonatori della locale banda stanno accordando i loro strumenti diversi giovani e meno giovani sono seduti sulle panchine all'ombra di alti alberi, teneramente abbracciati o mano nella mano. Io mi soffermo a farmi fotografare davanti al bianchissimo edificio della Biblioteca Provincial Rueben Martinez Villana, un bellissimo edificio costruito nel 1929 che aggrazia ancor più la piazza.
Facciamo ancora un rapido giro per il centro e ripartiamo per Jatibonico a conoscere i famigliari di Wilmer.


Fine IV parte.