Il valico, conosciuto dai romani come Mons Cinerum, fu attraversato da Annibale verso la fine di settembre del 218 a.C, da Pipino il Breve nel 754, quindi da Carlo Magno e poi da Enrico IV diretto a Canossa nel 1076, un secolo dopo in senso opposto vi transitava Federico Barbarossa durante la sua ritirata. Dal 1860 fino a dopo la seconda Guerra Mondiale segnava il confine tra Italia e Francia. Confine poi venne arretrato da parte Italiana nel 1947 con il trattato di Parigi, poiché il territorio del Moncenisio passò dall'Italia alla Francia a compensazione dei danni di guerra subiti dai francesi. Nel Medioevo il Colle diventa uno dei punti di passaggio alpini più frequentati tra Italia, Francia e Europa del Nord, diventando uno snodo fondamentale del fascio di itinerari denominato Via Francigena sebbene usato anche in alternativa al Gran San Bernardo. Il percorso attraverso il valico è stato chiamato nel tempo con vari nomi, da quello più comune di via "romea" a strada "lombarda" o "pellegrina", a strada "antica delle gallie", via "franchigena" ed infine "strada reale".
L'itinerario venne favorito sin dal IX secolo con la fondazione dell'Ospizio del Moncenisio da parte dell'imperatore Ludovico il Pio, circa mille anni dopo verrà ricostruito da Napoleone Bonaparte, oggi totalmente sommerso dalle acque del grande lago del Moncenisio a seguito della costruzione di una diga lunga 1500 metri ed alta 120 per creare un invaso artificiale a 1974 metri che ha portato l'invaso a 316 milioni di m³.
È curioso sapere che nel 1868 venne costruita lungo la strada del colle la Ferrovia del Moncenisio con locomotive a sistema Fell o a binario centrale, sistema ideato dall'ingegnere inglese John Barraclough Fell intorno alla metà del XIX secolo per aumentare l'aderenza delle locomotive in modo da poter percorrere tratte particolarmente ripide e tortuose. La Ferrovia del Moncenisio valicava il Colle a quasi 2000 metri grazie a questo ingegnoso sistema, superando fortissime pendenze.
Il treno che collegava Susa a Saint-Michel-de-Maurienne, poteva trasportare 48 passeggeri alla velocità di 25 km/h in salita e di 17 km/h in discesa. La durata del tragitto era cinque ore rispetto alle dodici ore delle diligenze, con una percorrenza di quattro treni andata e ritorno, i treni erano tutti composti da tre vagoni passeggeri e da tre utilizzati per il trasporto merci.
La ferrovia venne smantellata alcuni anni, dopo nel 1871, in occasione dell'apertura del Traforo ferroviario del Frejus; sulla strada che sale da Susa sono ancora presenti numerosi manufatti, come gallerie, ponti ecc.. usati per quella ferrovia.
Scendendo dal Lago del Moncenisio, facciamo una breve sosta al brullo pianoro, un esteso e verdeggiante altopiano caratterizzato da una flora assai colorata, vengo attratto da un borgo ormai disabitato, la piccola Borgata Grand Croix fino al 1947 era una frazione italiana, appartenente al sottostante Comune di Venaus. La frazione fu abbandonata in seguito alla costruzione della nuova diga del lago del Moncenisio nel 1968 e divenne definitivamente disabitata nel 1986, dal borgo si vede lo sbarramento del muraglione della diga.
Mi aggiro tra i ruderi con cautela in quanto i muri sono fatiscenti e pericolanti, non manca ovviamente la chiesa, dedicata a Notre Dames des Neiges che come recita una lapide in bronzo è stata recentemente restaurata nel 1992 e fondata nel 1626.
Dopo una deviazione dalla strada principale raggiungiamo il paese di Moncenisio o Ferrera Cenisia come denominato fino al 1940, Frere Cenisio in franco-provenzale. Questo minuscolo borgo, un Comune tra i più piccoli in Italia, come numero di abitanti, circa una quarantina, ma residenti effettivi poco più di una decina è bagnato dal torrente Cenischia. La storia di Ferrera Cenisia è indissolubilmente legata al valico del Moncenisio e al transito dei viandanti attraverso il valico. Il borgo permetteva ai viaggiatori di pernottare, di ferrare i cavalli prima di proseguire lungo le impervie mulattiere che transitando da Ferrera raggiungevano il valico per scendere a Lanslebourg.
Nel piccolo paese di Ferrera, nel 1800 si contano ben quattro alberghi: di "Sant'Antonio", "dell'Angelo", "della Croce Bianca" e "del Montone". Proprio a Ferrera vi erano molte delle guide e portatori che accompagnano i viandanti attraverso il Moncenisio. tali portatori avevano il nome di "marrons" che, dietro lauti compensi, provvedevano al trasporto di persone e materiali attraverso il valico utilizzando muli e rudimentali portantine (le "ramasses", rozze e robuste slitte, il cui nome deriva dal fatto che anticamente queste slitte erano semplicemente dei fasci di rami). La costruzione della strada Napoleonica segnerà il declino della Val Cenischia e dell'abitato di Ferrara Cenisia, i suoi oltre 300 uomini che svolgevano attività di guida, portantino, oltre a coltivare la terra e dedicarsi alla pastorizia, furono impegnati nella costruzione della Strada, ma presto dovettero ripiegare alla sola pastorizia o emigrare a valle.
Parcheggiato l'auto ci avviamo a piedi per il piccolo borgo, la piazzetta del Municipio è veramente piccolina come lo è l'edificio in pietra che lo ospita. Tutte le indicazioni stradali e turistiche che troviamo sono in lingua, italiana e franco-provenzale, e il centro storico del paese è caratterizzato da piccole case dalla tradizionale architettura montana, con bellissime balconate in legno, spesso adornate da graziosi fiori. La presenza di diverse meridiane mi incuriosisce, questi orologi solari, alcuni anche se semplici ed essenziali nelle linee, risalgono sicuramente a molti anni fa, altri sono invece molto più recenti. Molti sono decorati con fiori montani e quasi tutti riportano frasi scritte nel patois locale, soprattutto attinenti al tempo che passa.
Vicino al Comune, oltre alle lapidi che ricordano i caduti delle guerre mondiale una bella fontana in pietra locale con una freschissima sgorgante acqua. Prima di accedere in un caratteristico locale per riposarci, facciamo un breve giro per il piccolo borgo, ed oltre alle caratteristiche meridiana mi colpiscono alcuni affreschi che in taluni casi decorano le case, come il grande disegno della "ramassa" che ingentilisce una grande casa intonacata di bianco, ma sono soprattutto gli affreschi votivi che attirano la mia attenzione, come alcune Madonne con bambino e il santo patrono: San Giorgio. A Moncenisio c'è anche un interessante Ecomuseo, dedicato ai mestieri della montagna (la lavorazione del latte, la fienagione, l'attività delle guide).
Subito in centro trovo la cappella di San Giuseppe, realizzata interamente in pietra a spacco lasciate in vista, la facciata è a semplice capanna, con le due falde del tetto sporgenti sull'ingresso a protezione dello stesso, il tetto è a copertura in lose e da questo si eleva un campanile "a vela". L'interno è molto piccolo, a navata unica conclusa da abside piatta con semplici e recenti arredi. Ma Moncenisio dispone anche di altre cappelle come quella di Santa Barbara, posta ai piedi della mulattiera, la Strada Reale che dalla parte alta del paese porta al valico, questa Santa è invocata contro la morte improvvisa ed in particolare contro i fulmini. La Cappella di Sant'Antonio Abate, visibile arrivando dall'antica Strada Reale di Novalesa e per ultima la Cappella di San Pancrazio.
Sulla piazza antistante la chiesa parrocchiale di San Giorgio, si erge maestoso il trecentesco frassino, indicato tra gli alberi monumentali del Piemonte.
Entro così nella piccola chiesa parrocchiale che benché sia piccola, raccoglie al suo interno una straordinaria bellezza. Infatti con il suo pavimento in legno, la sua luminosità, i suoi tre altari barocchi ornati con colonne, di cui due tortili, con tralci di vite e le belle statue lignee, compresa quella di San Giorgio, la rendono particolarmente calda ed accogliente.
La chiesa fu fondata tra l'XI e il XII secolo e ricostruita in seguito al distacco dalla parrocchia di Novalesa, avvenuto nel 1464. Un rimaneggiamento della chiesa avviene nella seconda metà del XVII secolo dell'edificio, della precedente chiesa rimane il campanile, di stile romanico. La chiesa attuale ha una struttura a capanna a cui è addossato il nartece. L'interno ha una sola navata, con da un'abside piatto e sulla massiccia porta d'accesso fa bella mostra un altorilievo con San Giorgio che uccide il drago.
Non ci resta che riposarci, magari ritemprandoci con un caldo caffè, quale miglior locale scegliere se non uno dal tipico nome "La Ramasse".
Il locale è piccolo, realizzato totalmente in pietra, con un bancone che difficilmente permette la sosta di più di tre persone. Si presenta come una piola-polenteria, gestito da una giovane coppia di ragazzi torinesi, scappati dalla città per rifugiarsi in questo piccolo borgo con la loro bambina e il cagnolino. Il locale è molto curato, con arredi in legno massello, delicate fioriere, pizzi e soprattutto prodotti tipici. il riscaldamento a legna con il camino e l'arredamento rendono l'atmosfera magica. Colgo l'occasione per scoprire di più del piccolo borgo che d'estate decuplica gli abitanti, proprio alla ricerca di refrigerio e tranquillità.
Prima di tutto scopriamo le ricette con la polenta integrale, macinata a pietra, sia condita con spezzatino e salsiccia che concia con i formaggi d'alpeggio. Anche la scelta del mais per la polenta è importante; allora scopriamo dei mais coltivati sugli altopiani con caratteristiche diverse che rendono le polente ancor più saporite e diverse tra loro, come l'utilizzo del Pignoletto Rosso che deve il suo nome alla caratteristica forma a pigna del chicco di un bel colore arancio acceso, oppure il mais "ottofile" così chiamato dal numero di file di chicchi che ha sul tutolo della pannocchia. Ma anche il sempre più raro ottofile rosso che viene definito mais del Re, in quanto fu Re Vittorio Emanuele II ad imporne la semina. Curiosi i diversi condimenti che accompagnano la polenta, potrebbe esserci nel menù del giorno, sugo di carne di cervo o cinghiale oppure spezzatino e funghi. Anche i dolci sono fatti in casa come la torta di mele, le martin sec al vino, le pesche ripiene. Ma si può anche assaporare semplici ma abbondanti taglieri di affettati e formaggi di montagna, il tutto accompagnato del buon vino rosso. Ma trovi anche i piatti tipici della tradizione piemontese come la Bagna Càuda. Curiosa è una ricetta molto antica in uso in alpeggio durante il periodo estivo, che Marco, il nostro oste ci fa leggere e ci racconta e che io trascrivo: "Prima di andare al pascolo si preparava una polenta molto densa, poi si versava su un'asse in legno per farla raffreddare e con le mani bagnate la si lavorava facendo delle palline. Infine si praticava un foro con il dito e si sistemava al centro un pezzo di toma e di burro e si richiudeva accuratamente. Le alpenballu ossia palline d'alpeggio, così preparate venivano cotte in una padella di rame ben unta di burro, chiusa con un coperchio e messa nella brace del camino. Un piatto pronto, dorato e croccante!"
Ma ciò che mi appassiona di più nella ricerca del folclore tradizione popolare sono gli abbigliamenti tradizionali e su questo, torniamo alla festa patronale di San Giorgio che si celebra, con una caratteristica processione, l'ultima domenica di aprile In patois, la festa si chiama fè patrùnal de sènt Dzôrs, oppure chiamata in patois, Frèrà« Mounèini – fè patrà nal de sènt Dzà´rs. Le donne del luogo spesso si vestono con il costume tradizionale femminile savoiardo, la cosiddetta "roba savouierda". Questo vestito, come posso vederlo dalle fotografie è composto di un abito nero in lana con il colletto in pizzo bianco, un grembiule in raso nero con un grande fiocco in vita, uno scialle in seta con le frange, una cuffia plissettata coordinata allo scialle. Anche i piccoli tesori di famiglia vengono esposti quel giorno, indossando vari gioielli, soprattutto spilla in oro e la croce savoiarda.
Ancora una particolarità prima di lasciare il borgo, con le bottiglie acquistate nella piola: tutte le meridiane indicano rigorosamente l'ora locale, che si scosta di mezz'ora circa dall'ora ufficiale nazionale. Lasciamo Moncenisio, piccola perla sulle Alpi piemontesi, con un unico rammarico, non aver trovato la Viola Cenisia, uno degli endemismi botanici di una biodiversità ancora ben conservata in questo scrigno.