In un paese nel quale si occupano di prevenzione a vario titolo 3.600 enti, e che conta per la definizione dei procedimenti ambientali circa 1.200 norme, parlare di protezione civile e francamente difficile.
Infatti non voglio nemmeno accennare al problema ricostruzione di un territorio sia sotto l'aspetto urbanistico che antropologico post evento calamitoso, voglio soltanto parlare di come e soprattutto di chi è titolato oggi a mitigare il danno atteso, fare prevenzione e gestire un emergenza.
Con grande enfasi nel 1992 si attribuivano al Sindaco molte competenze in tema di Protezione Civile, proprio perché non solo rappresentante del Governo sul territorio ma anche perché, permettetemi il bisticcio di parole, unica figura in grado di gestire il governo del suo paese, di essere collante tra popolazione e istituzioni e rappresentante della comunità. A costui, giustamente si è affidato il compito di Autorità di Protezione Civile e come tale di gestore e coordinatore dell'emergenza nel suo Comune; gli si è dato la possibilità di dotarsi di strumenti urbanistici per mitigare il rischio ed è suo il dovere di tutelare la sua popolazione, gli insediamenti e l'ambiente, aggiungerei anche la sua storia.
Fu una scelta felice, una buona intuizione che si scontrò contro una atavica abitudine del pensare che protezione civile fosse sinonimo di emergenza e che a risolvere il problema fossero organi sovraordinati.
L'obbligo di redarre un piano comunale di emergenza e della possibilità di organizzare un proprio servizio di protezione civile fu ed è fondamentale per ogni Amministrazione locale, come importante fu inserire questa attività nei servizi pubblici essenziali garantiti.
Illuminata fu anche la scelta di individuare con la L. 225/92 la Provincia come estensore del Programma provinciale di previsione e prevenzione, organo di vasta area, come è di moda indicarlo oggi, quale ente tecnico sovraordinato in grado di indicare ed analizzare le situazioni di rischio, e quello di individuarlo quale redattore del Piano di coordinamento di emergenza provinciale in accordo con i locali Uffici territoriali di Governo come disciplinato dal Decreto Legislativo 112/98.
Per armonizzare il tutto si affidò, eroicamente posso affermare, la competenza alla Regione di redarre le linee guida di stesura dei piani per Comuni e Province.
Ora passando alla mia personale esperienza, e qui senza timore di essere sconfessato posso affermare che molti hanno preso sotto gamba queste normative, considerando la protezione civile quasi un attività ausiliaria e non fondamentale per gli Enti locali, ovviamente fino a che l'evento calamitoso non travolge le singole comunità. Poi colpa di chi? Quali verifiche sulla reale applicazioni delle norme esistono? La miscela esplosiva di terremoto, di un alluvione di una nevicata straordinaria che colpiscono l'immaginario collettivo e spesso, troppo spesso trovano le amministrazioni locali impreparate ad affrontare l'evento ma pronte a trovare scuse e lanciare strali.
Ho iniziato a occuparmi di Protezione Civile con il terremoto del 1980; avevo ancora i pantaloncini corti quando cercavo di dare il mio contributo quale soccorritore in Irpinia, fino a farne un lavoro. Nel 1993 quando mi fu affidato il compito nella mia Amministrazione di seguire il programma di previsione e prevenzione, dovetti subito fare i conti con l'alluvione del 1993 e poi del 1994 e poi molto altro fino ad oggi. Subito dopo gli eventi calamitosi che colpirono la mia terra, l'allora Provincia si dotò di un servizio di Protezione Civile, composto di una decina di tecnici, esperti in varie materie e pronti a supportare i Comuni nella realizzazione della pianificazione comunale e anche quella provinciale. Non ci trovammo impreparati nel 2000, nemmeno nel 2002, 2003 fino al 2014, poi le Province vennero svuotate di competenze fondamentali per la gestione del territorio e il taglio drastico dei trasferimenti dallo Stato produsse riflessi inevitabili anche sul blocco del turn-over del personale. Il territorio della provincia in cui abito e lavoro, che scherzosamente definisco la "cloaca massima" del Piemonte, perché raccoglie tutti i corsi d'acqua del Piemonte e della Valle d'Aosta non facendosi mancare quelli liguri è di 3.558,83 Kmq, con 190, ormai 188 Comuni, che variano dagli 84 abitanti di Carrega Ligure, distribuiti su quasi 56 Kmq a quello del capoluogo di provincia che s'aggira su quasi 100 mila abitanti e rari sono i Comuni senza piano di emergenza.
Non solo è stato sempre fornita assistenza nella stesura dei piani, ma sono stati valutati attraverso il Comitato Provinciale di protezione civile inviando le osservazioni, non vincolanti, al Sindaco interessato per le modifiche opportune. I piani di protezione civile e le procedure venivano testati attraverso esercitazioni sia per posti comando che attraverso attività addestrative. Inoltre si è sempre svolta un intensa attività didattica nelle scuole per costruire una cultura del rischio e favorire la resilienza della comunità. Facendo altresì formazione continua ad amministratori, funzionari comunali e ai volontari, e svolgendo attività di informazione pubblica attraverso un sito web dedicato, ma anche attraverso i socialnetwork e a campagne sui singoli rischi. Insomma si è sempre cercato di far comprendere come la Protezione Civile sia Sicurezza per i cittadini.
Non eravamo i più bravi e non lo vogliamo essere perché per i professionisti ogni emergenza, ogni criticità è un test da superare. L'obiettivo è la sicurezza del cittadino, degli insediamenti e dell'ambiente e non vuole essere uno spot o un modo di dire, perché ognuno di noi è quel cittadino, come lo sono i miei cari, i miei amici, i miei conoscenti ed è per la loro incolumità che occorre che noi dobbiamo dare il massimo.
Tutto ciò però si scontra con la realtà dei fatti; troppo spesso troviamo nella P.A. persone di buona volontà ma prive di ogni utile conoscenza sul sistema di protezione civile, ed allora vince il buonsenso o anche l'improvvisazione. Noi di 11 professionisti, siamo rimasti in 4 dopo le ultime riforme della P.A., ma vi sono situazioni ben peggiori della nostra.
Le calamità naturali di questi anni rendono pertanto necessaria una vera riorganizzazione della Pubblica Amministrazione Italiana, senza la quale la pianificazione, l'esecuzione, la manutenzione e la gestione del territorio restano solo considerazioni retoriche, che non si traducono in azioni e atti concreti, ma che invece, nella realtà dei fatti vanno nella direzione opposta.
Occorre che in ogni Comune di media e grande dimensione, in ogni Unione/Associazione di Comuni, in ogni Provincia e Regione vi sia un professionista che affianchi il Sindaco nelle sue scelte per le attività di pianificazione, gestione della protezione e mitigazione dei danni. Un Disaster Manager qualificato che sia in grado di coordinare le risorse locali, capace ad integrarsi e collaborare con le strutture operative e le altre amministrazioni.
Ma vediamo i principali punti critici riscontrati in anni di attività; non mi soffermerò tanto sulla gestione delle emergenze, per la cui trattazione occuperei molto più spazio, ma voglio solo soffermarmi sui piani comunali d'emergenza.
Senza paura di smentita alcuna, tranquillamente affermo che sono pochi i Sindaci che si sono letti il piano comunale prima di mandarlo in Consiglio per l'approvazione; presumo sia stato oberato di lavoro anche il tecnico comunale incaricato e il Consiglio abbia dovuto approvare di corsa il piano d'emergenza senza approfondirlo, perché difficilmente riuscirei a capire come sia possibile che nel contenuto del piano si faccia riferimento ad altri territori o magari semplicemente la rubrica telefonica è di un'altra provincia d'Italia. Non lo dico, ma il copia incolla frettoloso dello studio privato incaricato di redarre il piano, qualcuno l'avrebbe notato.
Oppure quanti piani comunali sono chiusi nel cassetto? Direi Molti; Quanti Comuni, effettivamente fanno partecipi la popolazione della stesura? Pochi, molto pochi, e quanti lo portano a conoscenza della popolazione? Direi alcuni, ma subito dopo l'approvazione, poi passato un po' di tempo tutti se ne sono dimenticati. Quanti di questi piani sono pubblicati sui siti web delle amministrazioni? Direi diversi, alcuni con tutti gli errori di cui sopra, altri di difficile ricerca sul web. Quali sanzioni hanno le pubbliche amministrazioni, Comuni. Province, Città metropolitane, e Regioni se non hanno il piano, se non l'aggiornano, se non fanno informazione alla popolazione, se non lo pubblicano sui loro siti web? Nessuno se non l'intervento di un giudice attento al problema ma che se ne ricorda e può intervenire solo dopo un evento calamitoso con danni e vittime.
Poniamoci alcune domande e tentiamo di darci qualche risposta. Mancano le leggi o manca la presa di coscienza dell'importanza della Protezione Civile?
Su un punto dobbiamo essere fermi e rigorosi: un paese così fragile, e con una disponibilità di cassa non paragonabile a quella degli anni Sessanta-Settanta, non si può più permettere di avere 8.000 Comuni, quasi la metà con popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti (sono 3.617 per la precisione) e soprattutto non può più permettersi di contare le vittime e quantificare i danni.
Non si tratta solo di avere troppi centri di potere e non centri di responsabilità; troppi sono gli organismi tecnici e strutture amministrative che continuano a condizionarsi a vicenda, spesso scaricando sugli Enti Locali le responsabilità. Oggi il nuovo Codice della Protezione Civile, appena approvato, non risponde ancora pienamente a queste esigenze, anzi in alcuni aspetti ci riporta alla legge n° 996 del 1970, mentre abbiamo bisogno che in ogni Comune, Provincia, Regione, la Protezione Civile diventi pane quotidiano, dobbiamo evitare che l'Amministrazione territoriale e il funzionario pubblico si nasconda dietro al fatto che non ci sono soldi per fare sicurezza, ma abbiamo bisogno che il Disaster Management non sia una parola che spaventa ma che entri a pieno titolo in ogni realtà. Non abbiamo bisogno di accentramento di poteri, di nuovi "comandanti in capo", di un "uomo forte al comando" ma di costruire una coscienza civica basata sulla sicurezza e sulla condivisione, con ruoli definiti e con un potere di sussidiarietà chiaro ed esteso tra tutti gli Enti che la nostra Costituzione prevede. Abbiamo bisogno di superare le differenze tra chi fa e chi non fa, attraverso una sorveglianza attenta e scadenze certe, affinché la responsabilità non sia solo una parola scritta ma che il cittadino la veda concretamente nei fatti di tutti i giorni. Costruire la cultura del rischio, sapersi difendere e sapere preservare e custodire il territorio senza egoismi è una scommessa che io gioco dal 1979 e non ho ancora perso la voglia di lottare per far comprendere la necessità di abbandonare la cultura degli scongiuri e pianificare le emergenze in modo concreto ed a costruire una cittadinanza consapevole, nonostante tutto e tutti.