Dopo il pranzo, qualcuno si deve purtroppo allontanare, ma con Paoletta, Marco, Gian e Lele, Alessandro e Paola ci rechiamo a Rivalta Scrivia. Voglio portare questi miei amici torinesi, biellesi e lombardi a visitare una piccola perla della marca Obertenga.
Ben presto, in auto, percorriamo il lungo viale di platani che ci conduce all'abbazia di Santa Maria di Rivalta; superato la merlata porta d'ingresso al complesso monastico dell'antica abbazia, ci ritroviamo tra i suoi fabbricati, le sue antiche residenze dei contadini e della nobiltà, le stalle, il monastero e la chiesa. L'abbazia si trova poco distante dalla riva destra del torrente Scrivia, vicino a Tortona, nei pressi dell'incrocio di antiche strade romane; via Æmilia Scauri e via Postumia. Queste divennero nel medioevo importanti vie di transito commerciale e di pellegrini.
Le origine dell'abbazia risalgono al 16 gennaio 1180, quando l'abate Folco di Lucedio, promise a Oberto, vescovo di Tortona di costruire un abbazia dell'ordine cistercense e di rispettare i diritti della chiesa tortonese.
In questo sito, già in precedenza vi era attestata una chiesa dedicata a San Giovanni, retta da una piccola comunità monastica, sotto la guida dell'abate Ascherio. Per contrasti tra la comunità di San Giovanni e la chiesa di Tortona, l'abate Ascherio fu indotto a unirsi ai monaci cistercensi vercellesi di Lucedio. Nel 1180 l'abate Folco prese possesso della chiesa di San Giovanni ed inizio l'edificazione dell'abbazia. Il cenobio fu costruito tra il 1180 e la metà del 1200 ed inizialmente mantenne il titolo di San Giovanni affiancato a quello di Santa Maria. L'abbazia, dotata di una grangia, rispettava i dettami della regola cistercense, come voluto da San Bernardo che prevedeva semplicità e linearità, basata su un modulo quadrato. Nei secoli XIV e XV secolo la vita monastica decadde e l'abbazia fu concessa da papa Sisto IV nel 1478 a Guidone Torello, chierico di Parma. La Commenda in epoca medioevale significava designare un benefizio ecclesiastico a un secolare usufruttuario che ne godeva la rendita.
Nel 1583 Papa Paolo III unì l'abbazia di Rivalta alla congregazione di Santa Giustina, consegnandola ai monaci benedettini di San Nicolò del Boschetto di Genova. Questi monaci iniziarono a vendere buona parte dei terreni di pertinenza dell'abbazia al nobile genovese Adamo Centurione e nel XVI secolo l'abbazia fu ridotta in parrocchia.
Muniti di macchina fotografica iniziamo ad aggirarci nel grande cortile. Subito a tutti colpisce la particolare facciata della chiesa che sembra incompiuta e il vicino palazzo nobiliare con la bella corte interna con doppio loggiato. Edificio questo, posto sul lato destro della chiesa. Devo spiegare ai miei amici che nel 1654 il patrizio genovese Agostino Airali fu investito del feudo di Rivalta con il titolo i marchese. Costui costruì la sua residenza nobiliare utilizzando l'ala dei Conversi del vecchio monastero, inoltre chiese al vescovo di Tortona di potersi "scostare" dalla chiesa che "soffoca una parte del palazzo", così nel 1867 la facciata della chiesa venne abbattuta e la chiesa ridotta a tre campate.
L'esterno della chiesa di Santa Maria di Rivalta, rispecchia le caratteristiche dell'architettura romanica nella muratura in laterizio, negli archetti pensili in cotto e nei fregi.
La semplice facciata ha una bella cornice in cotto con volute, tipicamente seicentesca che ne arricchisce la porta d'ingresso.
Entriamo mentre si sta organizzando un concerto di musica sacra. La chiesa ha una pianta a croce latina con abside e cappelle laterali quadrangolari, con volte a botte archiacuta. Le campate sopravvissute hanno le volte a crociera costolonate. I pilastri delle tre navate hanno forme poligonali e circolari, realizzati sia in pietra che in mattoni; i loro capitelli sono cubici con angoli smussati, altri sono decorati con motivi vegetali stilizzati.
Ci aggiriamo nella chiesa, sia per ammirare gli altari laterali che gli affreschi che decorano buona parte dei pilastri. Il ricco patrimonio pittorico ha inizio nella prima metà del XV secolo; infatti è facile individuare le diverse epoche, grazie alle diverse connotazioni stilistiche. Alcuni affreschi sono attribuiti a Franceschino Boxilio da Castelnuovo morto nel 1522, noto pittore tortonese, fratello del maestro Manfredino. I più noti affreschi attribuiti a costui sono "San Cristoforo e Vergine col bambino e monaco errante" che porta la sua firma, ed in altri affreschi riproducenti santi come nella "Lactatio Virginis". Sempre di Franceschino Boxilio è l'affresco raffigurante "San Bovo" posto sull'omonimo altare in gesso e mattoni del XVII secolo. Sono presenti alcuni altari, due in mattoni, realizzati in stile barocco e altri in legno dorato provenienti dal duomo di Tortona, come quello dedicato a Santa Maria delle Grazie del XVII secolo che precedentemente in duomo era dedicato a San Giuseppe, ornato con gli stemmi del marchese Emilio Signoris-Bussetti e quello dei Vescovi tortonesi Andujar, Fossati ed Arese, ancora presenti sull'altare in legno dorato. L'Altare dedicato a Santa Lucia già di San Carlo, del XVIII secolo dove vi è collocata la statua lignea della santa, di scuola lombarda del XVII secolo. La statua purtroppo è mutilata, infatti non presenta più il piatto con sopra gli occhi, un tempo posta sulla mano destra mentre sulla sinistra impugna la palma, simbolo del martirio. Ancora in legno dorato del XVII secolo, l'altare della Madonna del Rosario con quindici tele dei misteri del Rosario, databili anch'essi nella prima metà del XVII secolo. Invece l'altare dedicato a San Bernardo, sempre in legno dorato è di fine XVI secolo ed era un tempo dedicato a San Sebastiano, quando ancora era nel duomo di Tortona. Lo attesta la scritta lungo la trabeazione, identificandola con il "iuspatronato" della famiglia Carniglia. È su questo altare che è posto l'affresco attribuito a Franceschino Boxilio, la "Lactatio Virginis" del XV secolo. Ultimo altare è quello in gesso e mattoni di fine XVII secolo dedicato a San Giovanni Battista con una bella tela raffigurante il santo.
Con Lele e Gian ci soffermiamo ad osservare la "Trinità", un affresco posto sul lato sinistro dell'altare maggiore. Immagine trina, già vista in diversi monasteri, come quello cluniacense di Castelletto Cervo dove risiedono Lele e Gian. Il braccio destro del transetto, comunica sia con la sacrestia, sia con il dormitorio dei monaci, posto al piano superiore e raggiungibile attraverso una scala interna in laterizio a doppia rampa. Abbiamo così modo di accedere alla sala capitolare in stile gotico-cistercense, coperta da volte a crociera costonate ad archiacuti, sorrette da quattro colonne circolari con capitelli a fasci circolari. Due trifore con piccole colonne binate e archetti a tutto sesto in conci alternati di colore bianco e rosso arricchiscono e decorano la sala capitolare. All'interno del complesso religioso vi è il museo dell'abbazia con diverse opere sacre esposte, anche di artisti moderni.
Uscendo dalla chiesa, sul sagrato, ci soffermiamo a commentare quanto abbiamo potuto ammirare al suo interno. Sulle pareti del palazzo nobiliare, confinati con il sagrato, la lapide commemora i soldati caduti nella grande guerra del 1915-1918.
Alcune caprette ed asinelli, dal vicino recinto con i loro belati e ragli attirano la nostra attenzione, ciò ci ricorda come da sempre il complesso abbaziale di Santa Maria di Rivalta sia un centro agricolo palpitante e i legami della comunità con la loro chiesa sia più che mai viva.
Marco e Paoletta riprendono l'auto che li condurrà a Leinì e a Chieri, come Gian e Lele sono diretti nel biellese e Alessandro e Paola nel bergamasco, mentre io rientro nella mia piccola casetta, poco distante da questo importante centro religioso, ricco di storia e fascino.