È il mio primo incontro con un Neet. Non bisogna confonderlo con i fannulloni dell'On. Renato Brunetta, nemmeno con i bamboccioni del ministro Padoa-Schioppa, neppure con i choosy, come li ha spregevolmente definiti l'ex ministro Fornero.
I neet, acronimo inglese coniato nel 1999 sta ad indicare Not in Employment, Education or Training. Sono i giovani che non lavorano, non studiano, ma che desiderano lavorare e crearsi una famiglia, ma che dopo un periodo di ricerca del lavoro, si arrendono frustrati. Gli chiedo se ha mai lavorato e smocciolando con il naso per la timidezza mi dice di aver fatto qualche lavoretto in una falegnameria, il barista e ha anche lavorato in campagna durante la vendemmia, ma che erano lavori saltuari spesso in nero. Afferma che però era contento di portare a casa quella manciata di euro, perché non doveva chiederli a sua madre. Continua, allacciandosi le scarpe, forse per vergogna nel raccontare la sua storia, che ha perso settimane a consegnare decine di curriculum nelle varie agenzie e attività commerciali. Si è inscritto ai vari servizi di collocamento ma senza risultati e lo sconforto lo ha vinto. Quando gli chiedo come passa la giornata, mi risponde stirandosi la maglietta, che la mattina cerca di aiutare la madre nei lavori domestici, magari andando a fare la spesa, poi si siede sulle panchine dei giardinetti, fa due passi fino alla stazione ferroviaria o viene al bar finché gli amici non lo raggiungono. Michele, questo il suo nome, ha un cassetto pieno di desideri, vorrebbe un lavoro per permettersi di metter su famiglia e comprarsi un piccolo appartamento ed avere un cane. Non va mai a ballare e raramente va al cinema, spesso raggiunge gli amici all'uscita dei locali per stare in loro compagnia. Il padre fa l'operaio alla Solvay e la madre, quando trova, va a fare le pulizie delle scale dei condomini o piccoli lavoretti. Condivide la stanza dell'appartamento in affitto con la sorella più piccola. Nella stanza si è ricavato un piccolo spazio per se, dove ha affisso al muro il poster dell'Inter. Per il resto deve sostenere l'urto di decine di peluche, ascoltare le canzoni di Justin Bieber e Benji e Fede che trova anche ritratti in vari poster affissi per la stanza. Michele ha preso il diploma di perito meccanico e le sue aspettative lavorative si scontrano con le politiche che oggi sono lontane dai bisogni reali, vive chiuso in se stesso, per cui il pomeriggio è lunghissimo quasi una tortura, deve aspettare che i suoi amici tornino da scuola o dall'università per scambiare qualche parola, fare una partita a calcetto o giocare a biliardino. Si è chiuso dentro, ha rinunciato a costruirsi un domani ma non ha rinunciato a credere che qualcosa cambierà. Non va a votare perché "sono tutti uguali" mi dice, "promettono lavoro per tutti e poi gli unici ad avere grassi stipendi sono loro e i calciatori, ma io sono anche un pessimo terzino". Continua "È terribile vedere gli amici che vanno a divertirsi e io rimango al palo". Deve essere straziante anche per i genitori vedere il proprio figlio che non trova lavoro e che non può vivere la sua età come fanno tanti suoi coetanei. Chiude dicendomi "Mi fanno arrabbiare quando per televisione dicono che la crisi è finita. Ma dove vivono?". A differenza degli stereotipi che dipingono questi ragazzi come disinteressati e svogliati, anche i neet hanno le stesse aspirazioni dei loro coetanei più fortunati, ma si trovano nelle condizioni di dover affrontare un disagio sociale, tipico di una società globalizzata e tesa al consumistico benessere e dove le differenze sociali sono drammaticamente tornate in auge. Questi ragazzi si sono impantanati in una palude sociale che vede il lavoro come un miraggio e dove ha vinto la rassegnazione. Dobbiamo tutti, soprattutto quella politica assente, fare in modo che questi giovani non si facciano soffocare assorbiti dalla palude del qualunquismo e dal consumistico modo di vivere questa società.