La strada che mi conduce nel vercellese è poco trafficata stamattina, forse, sarà che il sole fa fatica a far capolino da dietro le nuvole e conseguentemente così la maggioranza delle persone faticano a trovare la via d'uscita da sotto il piumone.
Raggiungo Quinto vercellese, adagiato sulla pianura padana e quasi incorniciato da campi coltivati a riso. Il borgo, forse di origine romana si trova sul versante destro del torrente Cervo poco distante dalla confluenza con il torrente Elvo. La toponomastica ci indica chiaramente che il borgo si trova "Ad quintum lapidem" da Vercelli ossia a cinque miglia da Vercelli, circa sette chilometri. Della storia di Quinto Vercellese ho trovato veramente poco se non alcuni dati, comunque importanti; infatti le prime notizie certe del borgo risalgono al 964 e sono citazioni di un frammento del sinodo diocesano di Vercelli del vescovo Ingone. Nel 1152 sappiamo che l'imperatore Federico I conferma il feudo al conte Guido di Biandrate e nel 1170 i Biandrate cedettero ogni loro diritto e possesso su Quinto Vercellese ai fratelli Bongiovanni e Palatino Avogadro. La Signoria degli Avogadro durò oltre sei secoli, fino all'abolizione dei privilegi feudali di fine XVIII secolo. Furono comunque secoli burrascosi e il borgo con il suo castello sorto nel XII secolo furono coinvolti in diverse vicende belliche, proprio grazie alla importante posizione geografica, crocevia tra Vercellese, Biellese e Valsesia. La presenza degli Avogadro coinvolse il castello ed il territorio di Quinto, nella lotta tra guelfi e ghibellini. Nel Quattrocento in questi territori si scontrarono anche le mire espansionistiche dei Visconti, dei Savoia e dei Monferrato. Nel 1404 sotto la minaccia di perdere i propri beni, la famiglia degli Avogadro fece atto di sottomissione al duca di Savoia Amedeo VIII. Nei tanti episodi di guerra, il castello ne subì spesso le conseguenze e fu più volte ricostruito. Il duca di Savoia, Carlo Emanuele I nel XVII secolo eresse il luogo in contea e l'ultima proprietaria del castello fu Corinna Avogadro che poi lo cedette nel 1926 alla fondazione conte Casimiro Avogadro di Quinto, istituita in memoria del figlio.
Parcheggio l'auto nei pressi del castello per poterlo meglio osservare e poterci girare intorno. Questo interessante complesso fortificato databile XII – XVI secolo è formato: dalla residenza nobiliare, una costruzione quadrilatera con possenti torri cilindriche, una ormai scomparsa e mura merlate alla ghibellina ormai tamponate come per le torri dovuta alla sopraelevazioni della costruzione. Vi sono anche nella corte che fungeva credo da ricetto alcune case coloniche quattrocentesche e una cappella castrense, tuttora esistente e dedicata a San Pietro. In questo piccolo edificio si conservano diversi affreschi, anche stratificati che coprono l'arco temporale che va dal XIII al XVI secolo, alcuni dei quali venuti alla luce durante recenti restauri. Con la progressiva diffusione della coltivazione del riso la fortezza venne lentamente trasformata in una grande azienda agricola. Il maniero si presenta ben conservato ed è sicuramente abitato da alcuni fantasmi, come qualche abitante del borgo racconta : forse uno è il fantasma della contessa Corinna che si strugge per la perdita del figlio, altri raccontano di aver sentito spesse volte duellare all'interno delle stanze del castello. Molti edifici adiacenti al castello presentano tipologie costruttive tardo medioevali, leggibili spesso nelle alte mura di grandi cascinali facenti parte del centro storico del borgo, ma la mia attenzione è ora rivolta alla chiesa parrocchiale di architettura romano-gotica dedicata ai santi Nazario e Celso. Questo chiesa già presente nel 964 è conosciuta come la "perla delle risaie". Dalla facciata sono ben distinguibili le tre principali fasi costruttive: la porzione corrispondente alla navata centrale, costituita da materiali di recupero come mattoni romani, frammenti di marmo lavorato, ciottoli di fiume cocci di tegole, invece di epoca preromanica la navata sinistra, mentre la navata destra risale al periodo gotico, facilmente riscontrabile dalla cornice ad archetti in mattoni del lato destro nel sottotetto. Sulla facciata vicino al portone rinascimentale un acquasantiera sicuramente di epoca gotica, un tempo attendeva con la sua acqua benedetta i fedeli Il campanile tardo-romanico, costruito sempre in laterizio, presenta due ordini di finestre e fu realizzato intorno al 1466.
Accedo al suo interno attraverso l'unica porta centrale e osservo con meraviglia due massicce arcate a tutto sesto che sorreggono le campate della navata sinistra rette da un basso e tozzo pilastro mentre più agili campate a sesto acuto formano la navata destra. La navata centrale ha una volta a botte. Quasi tutta la superficie interna è ricoperta da affreschi del XV-XVI secolo: nell'abside, domina un Cristo Pantocratore con i simboli degli Evangelisti e degli Apostoli, sicuramente riconducibile al periodo romanico, come i Santi Pietro e Paolo; presenti, sia nel presbiterio e nelle navate altri affreschi con San Giorgio e Pietro Martire, Santa Marta, la Madonna in trono e il Beato Amedeo.
Sull'antistante piazzale della chiesa, si erge il palazzo Comunale, un massiccio edificio a due piani, sul balcone sono esposte le bandiere e vessilli del Piemonte d'Italia e d'Europa. Una lapide in marmo, affissa sulla facciata, ricorda i caduti della prima e seconda guerra mondiale. Un altra lapide ricorda il partigiano Negri Edmondo, nato a Quinto Vercellese il 7 aprile del 1921 da una famiglia di umili condizioni, caduto in combattimento a Invorio in provincia di Novara il 28 marzo del 1945; militante nella Brigata Garibaldi come Commissario di Guerra, Comandante di distaccamento del III battaglione partigiano della X "Rocco"ed avente come nome di battaglia "generale". Edmondo in gioventù entrò a far parte del corpo dei Carabinieri dove fece amicizia con Adelchi Bello, con il quale fu richiamato alle armi. Il paese lo ricorda per il patto stipulato con l'amico prima di partire per la guerra, ovvero nel caso lui fosse morto il suo amico avrebbe dovuto sposare la sua fidanzata; in memoria dell'amico, Adelchi sposò la sua fidanzata, rispettando così il loro patto. Dopo qualche anno a lui fu dedicata la piazza del paese.
Lascio così il piccolo borgo di Quinto Vercellese, soddisfatto di aver scoperto un pezzo di storia del mio Piemonte.