Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Monastero Bormida

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Monastero BormidaLa sveglia stamattina mi pare abbia suonato con anticipo oppure la notte mi è sembrata più corta e non ho avuto il tempo di chiudere gli occhi che già era tempo di alzarsi. Ma per fortuna il cielo sembra morbido con le nuvole gommose in cielo e il sole che naviga tronfio verso l'alto. La giornata la trascorrerò in un borgo astigiano insieme ad Andrea. La macchina già sfreccia sulle strade dell'appennino acquese e il gusto del caffè della colazione è un mero ricordo, lasciamo cosi il Monferrato ed entriamo nelle Langhe astigiane.
Monastero Bormida, il nome lo lascia intuire, fu fondato da un gruppo di monaci benedettini che, intorno al 1050 circa, arrivarono dall'abbazia di Fruttuaria di San Benigno Canavese, chiamati da Aleramo marchese del Monferrato per sollevare le sorti con il loro lavoro nei campi a dissodare e seminare le terre devastate dalle invasioni di Saraceni. I Saraceni, provenivano dalla Provenza dove a Frassineto, presso Saint Tropez avevano creato un loro insediamento. I saraceni valicarono le Alpi e scesero in Piemonte dopo aver distrutto il monastero di San Dalmazzo di Pedona e quello di San Pietro di Ferrania, mettendo tutto il contado a ferro e fuoco, facendo stragi di inermi, raggiungendo le mura di Acqui, dove furono sconfitti nel secolo IX. Il Basso Piemonte a quei tempi era suddiviso in tre Marche , quella Aleramica, quella Arduinica ed infine quella Obertenga. Monastero Bormida faceva parte della Marca Aleramica. All'epoca delle incursioni saracene il territorio saccheggiato della valle Bormida nei documenti dell'epoca era indicato come deserta loea o Marchesato del Vasto, cioè della terra devastata.
Con tutta probabilità esisteva una precedente presenza monastica longobarda, testimoniata dal culto di Santa Giulia, devozione diffusa nell'Italia settentrionale dai Longobardi, che ancora oggi è patrona del paese e a cui è dedicata la parrocchiale settecentesca, e da alcuni toponimi longobardi come Braia, che significa regione posta nelle vicinanze di un fiume.
I monaci, chiamati ad abitare l'area presero possesso delle vecchie mansiones romane ossia i grandi latifondi e di una villa, cioè una casa colonica, dotata già in epoca successiva a quella romana di una cappella divenuta poi pieve. I monaci vi edificarono la torre campanaria, una chiesa, il monastero, il ponte. Dopo che monaci i Benedettini abbandonarono il paese per spostarsi nel monastero di San Bartolomeo di Azzano d'Asti iniziò la storia feudale per il Monastero di Santa Giulia, così venne chiamato il paese fino al XVIII secolo. Anche con l'investitura fatta dal papa Bonifacio IX ad Antonio e Galeotto Del Carretto, poi confermata e resa perpetua nel 1405 da papa Innocenzo VII. Il luogo subì l'invasione delle milizie di Francesco Sforza tra il 1431 e 1435. Monastero venne dato in dote nel 1472 alla figlia di Guglielmo di Monferrato, Lucreazia, già vedova Del Carretto andata in sposa a Rinaldo, fratello di ercole I d'Este. Nel 1484 i feudi di Monastero e Bistagno furono concessi a Giovanni Della Rovere, nipote di papa Sisto IV. I Del Carretto, così come i Della Rovere succeduti a partire dal 1484 per volere di Sisto IV e anche riconosciuti dal marchese del Monferrato mantennero alla popolazione le immunità e i diritti che avevano acquisito in tempo antico, come confermano anche gli Statuti concessi dal duca Carlo Il Gonzaga di Mantova e Monferrato nel 1664. Nel XVII secolo si stanziò a Monastero Bormida una comunità di Agostiniani, sostituita poi dai Cappuccini, che costruirono il convento di San Pietro extra muros, parzialmente visibile nelle sue strutture principali benché la chiesa sia stata sostituita da una abitazione. Il territorio subì comunque vessazioni da parte dei vari eserciti che vi transitarono, come nel XVII secolo, quando Carlo Emanuele di Savoia, con 8000 fanti e 10.000 cavalieri, mentre si recava a Cortemilia, assediata dagli Spagnoli, devastò e saccheggiò il territorio di Monastero; ma peggiore deve essere stato il transito, pochi anni dopo, del duca Vittorio Amedeo, che sempre in lotta con la Spagna vi passò ma per descriverla è meglio affidarsi al resoconto dello storico ottocentesco Goffredo Casalis: «Nel quinto lustro dello stesso secolo il duca Vittorio Amedeo avviossi per la valle di Spigno alla città di Savona: appena s'impadronì del castello di Cairo, ricevette l'annuncio che il Duca di Feria, governator di Milano, uscito di Alessandria con 25.000 fanti e 4000 cavalli erasi incamminato verso Acqui: il Duca per non impegnarsi in quella valle a risolvette di tornarsene indietro con Maresciallo di Crequì fino a Spigno, dove col duca Carlo Emanuele suo genitore trovavasi il contestabile Diguières: ivi fatto certo che Acqui erasi arreso agli Spagnoli, e che il nemico, col sorprendere Nizza della Paglia, disegnava di tagliargli la strada d'Asti, diè ordine alle sue truppe che muovessero celermente a Canelli, e condusse egli medesimo il vanguardo; ma vedendosi costretto ad una mossa più lenta per poter far forza al nemico che lo inseguiva, si accampò all'appressarsi della notte, nella piccola valle, ove sta Monastero, non lunge che un tiro di moschetto, dal sito, ove erasi appostato l'esercito del Duca di Feria; ma considerata la situazione in cui si trovava, veduta inoltre la difficoltà di salvare i suoi cannoni in passaggi cotanto malagevoli, e fatto certo che il nemico vieppiù s'ingrossava, pensò di trattenerlo con assidue scaramucce; e mercé di altri stratagemmi diè tempo al principe Tommaso suo fratello di trovarsi personalmente ad assicurare la strada; e si fu allora che i nemici uniti agli abitanti di Bistagno, e di altri luoghi vicini, non consci della mossa del principe Tommaso, in sulla mezza notte assaltarono da ogni parte il : campo del duca di Savoia; ma lo trovarono così bene munito e difeso con tanto valore, che il loro assalimento riuscì quasi vano; e frattanto il Duca allo spuntare dell'alba poté farsi libero il passaggio, ed irsene con le sue truppe a Canelli».
La storia del borgo segue quella dei Savoia e a metà del XIX secolo il feudo fu concesso da casa Savoia ancora ai Della Rovere, mentre alla fine del secolo il castello fu acquistato dalla famiglia Polleri di Genova, che lo vendette poi al Comune. La storia del borgo segue i suoi cittadini caduti durante la prima e la seconda guerra mondiale e alle lotte partigiane per la liberazione dal dominio nazifascista.
Entrando in paese dobbiamo superare l'antico ponte romanico sul fiume Bormida, che rappresenta una delle più significative opere di ingegneria civile medioevale del basso Piemonte. Costruito interamente in pietra presenta poderose strutture a schiena d'asino. Il ponte sormontato da cappelle che fungevano anche da posti di guardia era una importante struttura di controllo commerciale e di pedaggio per un territorio molto esteso fra la Langa e il mare, infatti era l'unico ponte transitabile tutto l'anno; Acqui ne era sprovvista e Vesime aveva i ruderi di un antichissimo ponte romano, mai ricostruito in modo stabile dopo che era stato distrutto da una piena. A Monastero convergevano due vie importantissime: quella che da Acqui conduceva al mare e quella militare che saliva a Roccaverano, permettendone il controllo dal suo crinale delle due valli Bormida, grazie a delle torri di avvistamento poste a Vengore, Roccaverano, San Giorgio, Olmo Gentile, Serole, Torre Uzzone, Santa Giulia e Carretto. Tanta acqua è passata sotto e sopra il ponte ma è ancora li a guardarci e a sfidare il tempo che scorre sotto le sue arcate, anche la disastrosa alluvione del 1994 che lo ha minacciato seriamente per la legna ammassata dalla corrente che ha distrutto sia i parapetti che la storica cappelletta, poi ricostruita, non l'ha intimorito. Augusto Monti, storico, scrittore ricorda in un suo scritto le grandi alluvioni dell'Ottocento, che spazzarono via i parapetti, ma non intaccarono le quattro grandi arcate in pietra squadrata e i rostri triangolari in corrispondenza dei pilastri, costruiti per evitare il pericoloso fermarsi di detriti che creerebbero sbarramenti in caso di piene: «...ogni altro ponte a monte e a valle Bormida grossa li spianta come fosser palancole, ma questo è sempre lì, intatto nei secoli, per via di quel cemento, ché i frati spegnevan la calce con la chiara d'uovo; e dei rossi faceva n zambaione», Lo stesso Monti ci ricorda che mentre durante la seconda guerra mondiale la cappelletta posta al centro del ponte fu adibita a postazione della contraerea.
Riusciamo così a parcheggiare la nostra auto, ad attenderci da secoli troviamo il castello attuale, corrisponde all'originario monastero, di cui restano soltanto la torre campanaria e pochi tratti murari.
Il centro storico è dominato dal castello, dell'antico monastero vi sono poche tracce. Il primo intervento importante di cui si abbia notizia certa risale agli anni 1394 - 1405, quando i marchesi Antonio e Galeotto Del Carretto fortificarono il paese ed è presumibile che in quell'occasione vi sia stata una profonda trasformazione dell'edificio monastico. I successivi rimaneggiamenti barocchi e rinascimentali, non hanno comunque stravolto le caratteristiche tardo-trecentesca conferita dai Del Carretto al castello. Accediamo nella piazza inferiore del paese dalla quale si può accedere salendo per una caratteristico alzata a ponte chiamato il Puntet e attraversando una delle antiche porte di ingresso della cinta muraria.
La piazza mantiene ancora una bella pavimentazione in pietra. Ci soffermiamo ad osservare il prospetto est del castello, composto da una serie di diverse tipologie di architetture, realizzate in epoche diverse, tra i quali una bella loggetta rinascimentale a due arcate con colonnina centrale in pietra e due robuste torri quadrate, La facciata principale è certamente una rielaborazione seicentesca, con lesene di gusto barocco. Sul lato più a ovest prospiciente alla piazza vi è un alta torre in pietra a forma semicircolare, un grande arco tutto sesto in mattoni unisce il castello ad un alta torre campanaria di particolare rilevanza architettonico. Questa torre quadrata è risalente all'originario complesso monastico benedettino dell'XI secolo, è alta 27 metri in stile romanico presenta su tutti i lati quattro lati fregi e archetti pensili. In essa si aprono due ordini di finestre con arco a tutto sesto, di cui quelle inferiori in conci bicolori. Dalla piazza, attraverso un ampio porticato con volta a crociera, accediamo nel cortile interno, dove possiamo sia osservare delle colonne con capitelli romanici sicuramente appartenenti all'antico monastero e un lato del corpo di fabbrica del perimetro interno del cortile, dove vi sono piccole finestre medioevali a tutto sesto, forse delle celle monastiche. L'edificio attualmente ospita il Comune ed altri uffici pubblici.
La piazza medioevale antistante il castello è teatro da moltissimi anni della Sagra del Polentone, le cui origini risalgono al 1573. Chiediamo ad un anziano abitante che incontriamo sulla piazza informazioni sulla sagra e ci raccontano una leggenda che vuole in quei tempi la popolazione vivesse fra continue privazioni e spesso non avevano di che sfamarsi benché continuasse a lavorare in agricoltura. Annualmente passavano, prima della Quaresima dei lavoratori "magnin", artigiani produttori pentole di rame, provenienti dall'alta Savoia. Essi guadagnavano di che vivere costruendo o riparando i cosiddetti "caudrin" ossia i paioli di rame molto in uso in campagna L'inverno dell'anno 1573 fu particolarmente freddo e nevoso e i calderai, rimasero bloccati non potendo raggiungere le costi liguri e passarono giorni duri soggetti anche alla fame. Il Signore di Monastero Bormida, il Marchese del Carretto, mise a loro disposizione alcuni sacchi di farina di grano turco con merluzzo, uova e cipolle e costoro con una grossa caldaia di rame, incominciarono, a cucinare la polenta proprio sulla piazza principale. Passata la neve e il gelo, i calderai prima della partenza vollero essere riconoscenti e regalarono al Marchese della Rovere, loro benefattore, la grande caldaia di rame che avevano usato.
Sulla piazza si affaccia anche la settecentesca chiesa parrocchiale dedicata a Santa Giulia, la sua facciata però è del primo Novecento ma ancora con decorazioni barocche.  La facciata della chiesa è divisa in due ordini, nell'ordine inferiori presenta sei leggere lesene con capitelli corinzi, tre sono le porte d'accesso, quella centrale, assai più grande presenta un bel pronao con due colonne in pietra. Sopra il marcapiano vi è una finestra centrale e due nicchie con statue, mentre ai lati del timpano vi sono due statue Angeli che suonano la tromba. Entrati nella chiesa che si presenta con tre navate, rimaniamo colpiti da alcune opere d'arte. Infatti sulla volta sono effigiati i quattro Evangelisti, il Mistero dell'Eucarestia e vi sono degli ovali con Santi ed alcuni quadri, tra cui una Madonna del Rosario con San Gerolamo e San Carlo, probabilmente di Orsola Maddalena Caccia, collocata nella contro-facciata a destra. Mentre il settecentesco grande quadro dietro l'altare, raffigura l'Assunta con Santa Giulia e San Pietro. Le sei ampie vetrate contengono le raffigurazioni delle chiesette campestri del paese, con le immagini dei Santi titolari e a parte la chiesetta dell'Annunziata, ex oratorio dei Battuti in piazza Roma non più esistente, tutti gli altri edifici sono ancora esistenti nelle campagne intorno al borgo.
Facciamo due passi per il centro storico di Monastero che ha conservato in parte un'impronta antica, con alcune case in pietra e qualche portale tardo-medioevale e la pavimentazione in pietra o porfido possiamo ancora leggere sugli scrostati intonaci di alcune vecchi edifici le indicazioni di vecchie attività commerciali e parzialmente anche la scritta che ricordava il divieto del gioco del pallone sulla piazza e lungo le vie del borgo. È possibile anche leggere su moderne lapide alcuni passi del libro "I sansossi" di Augusto Monti dedicate al suo paese natale: «... Monastero, Monastero: passan lente sotto il ponte le acque di Bormida; senza fretta attraversa la piazza mezza in ombra mezza al sole quell'uomo con la giacca in spalla; neghittosa s'attarda la comare sulla porta della bottega dabbasso a chiacchierare, "il ca-va'-gno L'am-pol-li-na e L'o-lio" rade calan le ore piano piano; a falde e come va la vita a Monastero? Eh va piano piano; accompagna la voce di Nina amorosa: qui, papà, non si muore mai più.» o un altro che recita: «... Riposante accogliente paese, che sapevano i frati scegliere i luoghi, e non dispiace a papà dopotutto d'esserci tornato a stare. Va per la casa antica i primi giorni, la casa che e dei Geloso posta sulla piazza al sole, bene in faccia al castello; sale fin sull'altana e rimira. Val di Tatorba in fronte: da Roccaverano e dalla torre di Vengore ancora scendono le somarelle spettezzando sotto il carico degli uomini grandi, e le robiole famose». Augusto Monti nacque a Monastero Bormida il 29 agosto 1881 e muore a Roma il 11 luglio 1966 fu uno scrittore, insegnante, antifascista e politico. Partecipò alla lotta resistenza nelle fila dei militanti del Partito d'Azione e, al successivo scioglimento di tale partito, aderì come indipendente al PCI. Fu tra i più attivi collaboratori del quotidiano l'Unità e di numerose riviste. All'età di due anni rimane orfano di della madre che faceva la maestra, All'età di tre anni, si trasferì a Torino, perché il padre aveva trovato lavoro come commesso in un negozio dopo che la piena del fiume Bormida aveva spazzato via il mulino di cui era gestore. Dopo gli studi al Liceo classico Cavour, conseguì la laurea in lettere e nel 1904, ebbe l'incarico d'insegnare prima in Sardegna e poi a Chieri.. Augusto Monti partecipò alla prima guerra mondiale come volontario, passando due anni in Austria come prigioniero. Dopo la guerra continuò a lavorare come insegnante e tra il 1924 e il 1934 fu insegnante di lingua italiana e lingua latina al liceo classico Massimo D'Azeglio di Torino ed ebbe tra i suoi allievi alcuni noti personaggi della cultura torinese, come: Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Guido Seborga e Massimo Mila. Amico di Antonio Gramsci e di Piero Gobetti, collaborò alla sua rivista La Rivoluzione liberale. Nel 1934 venne arrestato e condannato a 5 anni di carcere dal tribunale speciale fascista e durante il periodo di detenzione ebbe come compagno di cella il politico anticlericale Ernesto Rossi (fondatore del Partito Radicale). Scarcerato da Regina Coeli a Roma, nel 1939, si stabilì prima a Torino, poi a Cavour e infine a Chieri, cercando sempre di sfuggire al controllo degli agenti fascisti, proseguendo però il suo impegno di militanza politica antifascista. Scrisse saggi di politica come "storia del Piemonte liberale", che ha come sfondo le Langhe e Torino e di narrativa come "I Sansôssí" e molti altri libri. È sepolto nel piccolo cimitero di Monastero Bormida, dov'era solito recarsi ogni estate per le vacanze. Raggiunto la nostra auto, dopo uno sguardo a questo piccolo borgo della Langa astigiana, non possiamo andarcene senza visitare il territorio circostante con i suoi piccoli scrigni che sono i luoghi di culto. Tra questi sicuramente si evidenzia la pieve di San Desiderio, un gioiello dell'architettura barocca del primo Settecento, sorta su un precedente edificio andato distrutto nei secoli dove secondo la tradizione è stato battezzato San Guido d'Acqui; oppure della settecentesca chiesa della Madonna Assunta, un tempo detta "di Perticale", che fungeva da punto di arrivo di una serie di cappelle monumentali della Via Crucis disposte lungo la strda e quasi tutte andate perdute. In località San Rocco troviamo l'omonima chiesetta edificata nel XVII secolo per la scampata epidemia di peste, mentre in località Sessania la chiesetta costruita dai reduci del1a Grande Guerra dedicata alla Madonna delle Grazie, cosa dire poi della semplice chiesa dedicata Santa Libera, di remota origine quattrocentesca poi rifatta in epoca recente, che pare voglia dominare la strada che collega Monastero a Denice. Con Andrea lasciamo questo paese langarolo, ricco di storie, leggende e soprattutto di squisiti piatti tipici, tutti a base formaggi come le Robiole di capra camosciata, formaggette di latte caprino, gustosi salumi sia crudi che cotti , la squisita testa in cassetta , ma anche ottimi salumi di cinghiale. Benché nella zona si coltivi la nocciola tonda gentile delle Langhe che sono l'ingrediente preferito per molti tipi di torte, non si scherza nemmeno con le uve dalle quali si ricava dell'apprezzato vino come Dolcetto, Barbera, Nebbiolo, ma anche Freisa e Bracchetto. Sicuramente ci torneremo.