Ci dirigiamo verso il ristorante Croce Bianca, posto nel secondo cortile, collegato al primo da una piccola rampa. Ad accoglierci c'è Carlo il sommelier. Il locale è molto bello, sia l'arredo che i servizi da tavola sono eleganti e raffinati. Ci lasciamo condurre da Franco Ramella, lo chef che oltre essere un artista della cucina è il titolare del ristorante. Carlo secondo i piatti portati sul desco, ci suggerisce di bere dell'ottimo Erbaluce, poi uno splendido vino rosso, di nicchia raffinato e dal sapore profondo come il Mesolone e infine passare ad un sopraffino Lessona. Vini tutti del biellese, che troppo spesso vengono dimenticati o magari i produttori non sono in grado di farsi promozione. Tra gli antipasti, posso solo ricordare con piacere lo sformatine di cavolo con bagna cauda, la fonduta di Macagno, taglieri di paletta e mocetta, il tutto accompagnato da quello splendido vino bianco che è l'Erbaluce di Caluso delle cantine Orsolani.
Proseguiamo con risotto al cavolo rosso e birra Menabrea ambrata, seguito da ravioli alla fonduta di Maccagno, Coregone in un letto di funghi porcini e patate, poi ancora tagliata di fassone sfumato con il vino Lessona e aromatizzato con il dragoncello, accompagnato da una scodella di polenta concia. E ancora filetto di fassone in crosta di erbe e verdure con asparagi, zucchini, carote, cavolfiore.
Il Mesolone è prodotto solo con uve croatina ed è un rosso caratteristico della zona di Brusnengo e prende il suo nome dall'appezzamento di terreno dove si produce a forma di "mestolo", meisola in dialetto locale. Di colore rosso rubino con riflessi violacei ha un sapore fine e persistente. Invece il
Lessona è un vino la cui produzione è consentita nel comune omonimo, in provincia di Biella, da cui prende il nome. Di colore rosso granato con sfumature arancioni, come ci dice Carlo, il sommelier, ha un profumo caratteristico che ricorda la viola ed è un vino asciutto con un piacevole e persistente retrogusto. Inoltre ci ricorda che il Lessona è anche detto "vino d'Italia" perché fu scelto dall'allora Ministro delle finanze, Quintino Sella, per brindare all'Unità d'Italia, dopo la presa di Roma nel 1870.
Come dolci lo chef Ramella ci prende per la gola con zuppa di ciliegie e gelato innaffiato con il Ratafià, un bonet di amaretti. Il tutto accompagnato da un buon bicchiere di passito di Caluso, e per chiudere ci offre degli ottimi torcetti casalinghi.
Facciamo alla fine fatica ad alzarci dopo un così lauto pasto. Servirà ben più di un caffè per riprendere il viaggio.
Dopo le congratulazioni fatte allo chef, torniamo sul secondo piazzale, per recarci nel terzo, dove c'è l'antica Basilica. Saliamo i gradini della monumentale scalinata, in cima alla quale c'è la Porta Regia, voluta dal Cardinale Maurizio di Savoia, figlio di Carlo Emanuele I di Savoia, costruita tra il 1653 e i primi decenni del XVIII secolo dagli architetti Ardizzi e da Filippo Juvarra, architetti di casa reale. L'atrio della porta è rivestito da lapidi che ricordano le visite compiute da illustri personaggi come Guglielmo Marconi, San Giovanni Bosco, San Giuseppe Benedetto Cotolengo, Santa Maria Domenica Mazzarello, San Guido Maria Conforti, il Beato Michele Rua, la Beata Teresa Grillo, il Beato Luigi Maria Monti, la Beata Anna Michelotti, San Giovanni XXIII, Re Umberto, Amedeo Duca d'Aosta, Amedeo Avogadro di Quaregna.
Prima di accedere al cortile mi soffermo a guardare l'osservatorio meteo-sismico posto sopra la porta reale. Questo osservatorio fu fondato nel 1874 dal padre barnabita Francesco Denza di Napoli. Il primo direttore dell'osservatorio fu don Pietro Regis; alle osservazioni partecipò anche Quintino Sella.
Ormai siamo nel vasto prato "della Madonna", l'antico recinto del Santuario, chiuso da simmetrici edifici in stile barocco con al centro una fontana detta "Burnell" scolpita in pietra locale nel 1655, la cui vasca superiore è cinquecentesca e proviene dal castello di Gaglianico. Questo imponente chiostro custodisce all'interno l'antica chiesa. Tutto ciò che posso ammirare oggi non è altro che il risultato di una devozione popolare millenaria.
Il risultato è un santuario dove la preghiera si è trasformata in pietra e mattoni, dove il culto mariano si deve all'opera evangelizzatrice di Sant'Eusebio. Infatti a differenza di altri santuari, ad Oropa il santuario non fu edificato a seguito di apparizioni miracolose, ma per la profonda devozione mariana.
La chiesetta al centro dell'enorme cortile volge l'ingresso verso sud, dove un tempo vi era l'ingresso principale, prima che il santuario fosse dotato degli altri cortili e della monumentale porta regia. Questa piccola chiesa, o meglio Basilica, racchiude il suo tesoro. Fu costruita nei primi decenni del XVII secolo per adempiere al voto dei biellesi che fecero in occasione della pestilenza del 1599.
Antichi documenti, risalenti all'inizio del XIII secolo riportano l'esistenza in questo luogo di una primitiva chiesa dedicata a Santa Maria e San Bartolomeo di carattere eremitico.
Varchiamo il portone di ingresso, dove una grande scritta recita "O quam beatus o beata quem viderint oculi tui - beato colui che sarà visto dai tuoi occhi". La mesta ma solenne chiesetta contiene uno scrigno di marmo che conserva l'effige sacra. Alcuni affermano che questo fosse stato il sacello originario, ma non è certo.
La mia attenzione è rivolta ad una grande dipinto, di recente fattura, in cui una enorme presenza di pellegrini è in viaggio verso la figura della "Madonna" al cospetto di Sant'Eusebio, alla presenza di religiosi e un folto numero di popolani, per lo più poveri e ammalati.
Nella calotta e intorno alla statua della Madonna bruna con il figlio Gesù, vi sono bei affreschi trecenteschi. Tra le immagini di Santi, evidenzio San Michele Arcangelo, Santo Stefano e Gesù che incorona sua Madre Maria. Tra questi affreschi si vede riprodotto l'Annunciazione, il martirio di San Bartolomeo e la maternità.
In questa Basilica antica, nel 1620, dopo il completamento della chiesa, si tenne la prima delle solenni incoronazioni che ogni cento anni hanno scandito la vita del Santuario. All'interno del sacello eusebiano è custodita la Madonna Nera o bruna, realizzata in legno di Cirmolo, forse da uno scultore valdostano nel XIII secolo ma che la tradizione attribuisce a San Luca. Il manto blu, l'abito e i capelli color oro fanno emergere il volto bruno e austero, ma dal sorriso dolce che da secoli accoglie i pellegrini. La statua lignea, rappresenta la Madonna nella presentazione di Gesù al tempio e della sua purificazione, infatti il bimbo reca in mano una colomba bianca e con l'altra è in atteggiamento benedicente. Mentre la Madonna con l'altro braccio porge una moneta in segno di offerta al tempio. Oggi la moneta è rappresentata da un pomo d'oro sormontato da una croce tempestata di diamanti.
Ogni anno si ripete il miracolo del fazzoletto immacolato. Infatti pare che da oltre trecento anni, non si fermi la polvere sul viso della Vergine, e che la prova del miracolo sia il fazzoletto intonso dopo che questi sia passato sul suo volto. Inoltre è ritenuto popolarmente miracoloso che la statua, nonostante il tempo, non presenterebbe alcuna tarlatura o segni di logoramento. Nemmeno al piede della Vergine, nonostante l'antica usanza di farlo toccare agli ammalati e ai fedeli, che non risulterebbe mai consumato.
Molti i papi e cardinali che visitarono il santuario, come Achille Ratti, Angelo Roncalli, Albino Lucani, Giovanni Battista Montini e Joseph Ratzinger.
Fine XXII parte.