Il suo toponimo allude ad una ripa o riva di un torrente a cui è affacciato l'abitato di Riva presso Chieri. I primi documenti che lo citano sono del 1152 in cui l'imperatore Federico Barbarossa lo infeuda metà del Borgo al conte Guido di Biandrate. All'epoca dell'infeudazione esisteva un castello su territorio di Riva, ora scomparso. L'altra metà viene infeudata dall'Imperatore nel 1164 al Marchese Guglielmo del Monferrato. Dal XIII secolo la storia di Riva è indissolubilmente legata a quella di Chieri che si avvia a diventare uno dei più importanti comuni subalpini. Nel 1212 dopo che l'imperatore Ottone IV lo aveva affrancato da tutti gli obblighi verso il Vescovo di Torino, Chieri acquista Riva nel 1223 e già nel 1229, passa all'onore delle cronache in quanto vi viene firmata la pace fra Chieri e i conti di Biandrate. Nel XIV secolo i ghibellini astigiani vi si rifugiano, facendone una propria roccaforte. Questo comportò diversi assalti da parte delle forze di Roberto d'Angiò, comandate dal suo siniscalco Ugone dal Balzo. Dalla fine del XV secolo seguirà la storia del ducato sabaudo. Carlo Emanuele I dona, nel 1619 il feudo di Riva alla Marchesa Margherita di Roussilon, sua amante, da cui ebbe quattro figli. Il feudo andò poi in eredità al suo primo figlio Gabriele. Alla morte di costui il feudo fu venduto al Conte Marc'Antonio Grosso di Bruzolo. Morto Carlo Emanuele I, durante la guerra contro la Francia, il figlio Vittorio Amedeo I trova rifugio a Riva mentre Torino è sconvolta dalla peste. Fu nel castello di Riva che i plenipotenziari delle nazioni coinvolte nella guerra prepararono i preliminari della pace poi firmata a Cherasco.
Riva e il castello furono incendiate e distrutte durante la guerra della Lega di Augusta nel 1691. Estintasi la famiglia feudataria, il feudo andò al principe Vittorio Emanuele, Duca d'Aosta e Principe di Chieri. Con il periodo napoleonico gli ultimi resti delle mura difensive vengono abbattute.
La chiesetta di Sant'Albano è immersa nel verde della campagna, custodita gelosamente da alcuni agricoltori che hanno lì vicino le proprie cascine, la raggiungo dopo aver percorso un frondoso viale e colloquiato amabilmente con un anziano signore impegnato a bagnare l'orto. La devozione per Sant'Albano, indicato come martire leggendario della legione tebea, non è di facile identificazione, ma è molto intensa. Lo dimostrano sia le cappellette che le colonne votive che sono posizione per la strada che da Riva conduce alla cappelletta. La leggenda vuole che un contadino procedesse lungo la strada con il suo carro, carico di covoni e trainato da buoi. Il carro sprofondò nel fango e i buoi non riuscirono a riportarlo in strada. Il contadino iniziò a bestemmiare ingiuriando il Signore, fintando che sulla strada comparve il Santo legionario che invitò il contadino a staccare i buoi dal gioco e di attaccarci i due cani che lo seguivano. I cani riuscirono a spostare il carro, alla vista di quel prodigio, il contadino si inginocchio davanti al santo iniziando pregare. Dove avvenne il miracolo fu realizzato un pilone votivo, posto poco lontano dalla chiesetta. È un pilone con tre facce, rappresentanti rispettivamente Sant'Albano, la Madonna e San Rocco.
La chiesa di Sant'Albano è semplice con prospetto a capanna, della chiesetta originaria rimane l'abside. Costruita in laterizio e pietra intonacata, ha una semplice porta d'accesso con una semplice trabeazione leggermente decorata. Due finestre rettangolari sul prospetto anteriore e tre sui lati ne permettono l'illuminazione. A questa cappella si dirige, annualmente una caratteristica processione in onore del Santo Patrono, dove ad un piccolo carro sono aggiogati due cani a ricordo del miracolo, condotto da un bambino e scortano da altri bambini armati di bastoni benedetti. Anche l'antica formula di giuramento, negli statuti comunali del 1509 prevedevano che all'atto dell'insediamento il Podestà giurasse: "Nel nome di Crisot, amn e in lode dello stesso altissimo Dio e della gloriosa Vergine Maria Sua madre e dell'illustre soldato Sant'Albano, patrono di questa terra di Riva e di tutta la trionfante Curia celeste, amen."
Transito davanti a una piccola chiesetta, posta in uno slargo all'ingresso di Riva, dedicata a San Lorenzo. Il piccolo edificio religioso è in mattoni a vista, slanciata verso l'alto, in stile neoclassico, con ampio timpano in mattoni e cornici modulate. Ha una piccola porta centrale con una leggera ma elegante cornice in pietra con un architrave più elaborato. Ai lati della porta due finestre rettangolari. Sopra alla porta in una cornice in mattoni vi è una lastra di marmo con la dedica al Santo. Ai lati estremi della facciata vi sono eleganti colonne in laterizio e capitelli in pietra.
Con l'auto raggiungo il Santuario della Madonna della Fontana, anch'essa immersa nel verde della campagna, la sua realizzazione si deve ad un voto fatto nel 1630 dalla municipalità di Riva in occasione dell'epidemia di peste. Già nel 1634 venne edificata una cappella che fu trasformata in chiesa e pochi anni dopo dedicata alla Madonna delle Grazie, venne nuovamente abbattuta la chiesa nel 1661 e rifatta totalmente. Ma la fattezze attuali sono nuovamente dell'Architetto Vittone, che demolisce l'ormai fatiscente chiesa seicentesca realizzando un pregevole edificio barocco; edificio terminato nel 1779 grazie all'intervento di un allievo del Vittone, l'Architetto Luigi Barberis. Mi accompagna nella visita un bellissimo gattino grigio chiaro striato di nero, che pare con la sua coda alzata avvisarmi di essere il guardiano del posto e invitandomi a non avere cattive attenzioni. Seduto e con le orecchie diritte, pone molte attenzione a quello che faccio, con i suoi due grandi occhi mi osserva attentamente mentre scatto delle foto. Solo dopo che rientro in auto il piccolo guardiano peloso riprende il suo giro di ispezione intorno alla chiesa.
Raggiungo così la frazione di San Giovanni di Riva presso Chieri, dove voglio visitare il luogo natio di San Domenico Savio. Il borgo è piccolo, e subito dopo la chiesa della frazione dedicata a San Giovanni Battista trovo con facilità la casa natale del Santo. La chiesa a navata unica presenta una facciata neoromanica a mattoni a vista, infatti fu ricostruita sul sedime della precedente chiesa del 1749, nel 1902. Raggiunta la casa natale, un piccolo edificio a due piani, con la statua del giovane santo sul giardinetto prospiciente, mi soffermo ad osservare questo particolare luogo mistico.
Costui nasce il 2 aprile 1842 e muore quattordicenne il 9 marzo 1857, fu allievo di San Giovanni Bosco e proclamato Santo nel 1954 da Papa Pio XII. Secondo dei dieci figli, il padre Carlo faceva il fabbro e sua madre, Brigida Gaiato,la sarta. La famiglia si trasferì dapprima a Morialdo e poi a Mondonio frazione di Castelnuovo d'Asti. Domenico mostrò ben presto l'intenzione di diventare sacerdote, grazie al parroco di Mondonio, incontrò don Bosco il 2 ottobre 1854 che decise di farne un suo allievo nell'oratorio di Valdocco, a Torino.
Nell'estate del 1856 scoppiò un'epidemia di colera, e don Bosco radunati quarantaquattro giovani iniziò a soccorrere gli ammalati, qui Domenico si distinse fra i soccorritori. La sua salute cagionevole cedette alla tubercolosi e morì, non ancora quindicenne, il 9 marzo 1857 fra le braccia dei genitori.
San Domenico Savio viene invocato come protettore delle future mamme, soprattutto nelle gravidanze a rischio. Al collo della gestante viene appeso con un nastro un'immagine del Santo racchiusa in piccolo abitino. Altra forma devozionale è quella di portare nella cappella del santuario di Maria Ausiliatrice che ospita le spoglie di San Domenico Savio il fiocco con il nome del neonato o della neonata.
Posso ora entrare nel centro abitato di Riva presso Chieri per fare una breve visita. Trovo subito parcheggio sotto la torre astense, uno dei miei primi obiettivi. Questa torre, del XII secolo, a pianta quadrata, ha la particolarità di avere solo tre lati, quello rivolta verso l'interno del borgo è infatti mancante. La torre aveva sia la funzione di avvistamento che di accesso alla città. È chiamata astense perché rivolta verso Asti, ed è l'ultima porta medioevale rimasta.
Subito dopo la porta c'è la barocca chiesa della confraternita della Santa Croce. È un edificio bello ed elegante in puro stile barocco piemontese. L'attuale chiesa è del XVIII secolo e la cupola è del 1739, realizzata sul sedime di una chiesa precedente, forse dedicata a San Pietro, a cui era annesso un monastero benedettino. La chiesa è sede dal 1587 della Confraternita di Santa Croce.
Percorso una breve e stretta strada, mi ritrovo nei giardini, mal curati, dell'ex palazzo municipale. In questi giardini fa bella mostra, tra le aiuole curate, una moderna statua raffigurante un uomo con il braccio destro rivolto verso l'alto come lo sguardo del personaggio scolpito. Sul corpo del l'uomo strani disegni o in scrittura ideografica a me incomprensibili. Sulla piazza si affaccia il porticato Palazzo del XVII secolo, già sede del municipio fino al 1850, ora sede delle associazioni di volontariato cittadine. Sulla lunetta posto sopra la porta d'accesso, uno stemma araldico mal curato, vuole nobilitare il palazzo.
Mi ritrovo poco dopo in una splendida e pulita piazza su cui si affaccia palazzo Grosso, la chiesa parrocchiale, il campanile e la canonica. Il palazzo Grosso, sede municipale dal 1855, fu costruito dalla famiglia Grosso intorno al 1630 e ricostruito nel 1738 affidandone la realizzazione al Vittone, conclusi da Mario Ludovico Quarini per la sopraggiunta morte del Vittone.
Morta la contessa Faustina Mezzetti, ultima erede della famiglia Grosso, il palazzo passa ai Radicati di Brozolo e da questi donato nel 1934 al Comune. Al suo interno vi sono preziosi affreschi settecenteschi. Un bel piccolo giardino all'italiana, con conservate siepi di bosso e moderne opere scultore decorano un rilassante e alberato spazio verde.
Il palazzo è costruito sul sito dell'antico castello medioevale incendiato dai francesi nel 1692 e rimasto fatiscente fino al 1738. I lavori di costruzione si protrassero per anni, seguendo le alterne vicende storiche ed ereditarie. Nella direzione dei lavori al Vittone gli succedette nel 1771 l'architetto Giacinto Bays. Adiacente al bel palazzo in stile barocco Piemonte, un altrettanto interessante edificio barocco è la settecentesca della Chiesa dell'Assunta. I lavori di realizzazione dell'odierna Chiesa parrocchiale si protrassero dal 1725 al 1792 sul sedime della preesistente chiesa che versava in cattive condizioni. Furono diversi gli architetti che si susseguirono nella sua realizzazione. I lavori vennero affidati dapprima all'Architetto Plantery, proseguiti da Bernardo Vittone e conclusi dall'Architetto Dellala di Beinasco. Del Vittone è sicuramente la facciata in cotto e la grande cupola ellittica a pianta ottagonale. Entrando, sulla sinistra, si trova il fonte battesimale, composto da due vasche cinquecentesche. Qui fu battezzato, il 2 aprile 1842, San Domenico Savio. L'aula centrale è a pianta ottagonale, con la sua cupola ellittica, che grazie alle quattro finestre e alla lanterna è ben illuminata. All'interno si trovano diverse cappelle, quella che attira particolarmente la mia attenzione è quella sulla sinistra del transetto che conserva il seicentesco quadro della Madonna del Rosario attribuito a Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, o a sua figlia Orsola. Stupendo anche l'altare barocco con colonne tortili e il seicentesco crocifisso ligneo. Una breve sosta davanti alla cappella posta sulla sinistra dell'altare dedicata al Santo, dove in una tela di Carlo Morgari, realizzata nel 1950, San Domenico Savio è raffigurato insieme al suo maestro Don Bosco e a San Giuseppe Cottolengo.
Uscito sul piccolo sagrato della chiesa non posso non alzare gli occhi ad osservare la torre campanaria che in epoca medievale funse da torre civica. Completamente costruito su pianta quadrata in muratura, presenta piccole feritoie e una meridiana. Appoggiata alla torre campanaria, la casa canonica, di sicura origine gotica visto le due eleganti bifore presenti.
Sempre sulla piazza, antistante palazzo Grosso, vi è una strana e particolare costruzione, quasi un tempietto, realizzato in laterizio con una volta a capanna, quasi volesse disegnare un grande timpano, sotto vi è collocato un pezzo di monumentale colonna in marmo, chissà da dove è stata recuperata, su cui vi è incisa Albo praetori.
Dietro la chiesa parrocchiale, nel giardino dell'oratorio, vi è una bella e semplice chiesetta dedicata a San Giuseppe, realizzata in materiale laterizio che presenta un elegante protiro intonacato, sicuramente un aggiunta successiva al corpo di fabbrica del piccolo edificio religioso. Sopra la porta d'accesso, su una pietra scolpita vi è inciso la data del 1753 e la dedicazione della chiesetta.
Con una bella passeggiata sulla ciclo via, raggiungo poco distante dal paese il Molino della torre, un antico mulino del 1574 situato sopra un canale. L'edificio con la sua caratteristica torre fu anche residenza nobile, un casale agricolo ed oggi è un luogo per una sosta piacevole, all'insegna del silenzio, del buon cibo.
Rientrato nell'abitato di Riva, riprendo la mia auto, non prima di essere sostato a osservare la chiesa dedicata a Santa Margherita da Cortona, posta in via Vittorio Veneto. Questo edificio, realizzato in cotto intonacato non versa in buone condizioni. Realizzato con facciata a capanna, due lesene angolari ne disegnano la facciata, due leggeri capitelli in cotto con volute pare sorreggano il timpano con una cornice sempre in cotto. Sotto ad esso in una fascia lunga bianca è iscritta l'intitolazione "Sacellum S.Margaritae a Cortona dicatum".
Lascio così Riva per raggiungere Paola a Chieri, che starà già aspettandomi per il nostro happy hours.