Il viaggio non fu particolarmente periglioso, ci aiutò la bella stagione e una lussureggiante vegetazione che ci accolse rendendo quel viaggio tra natura e storia realmente indimenticabile.
L'alloggiamento prescelto fu in un piccolo ma lussuoso albergo nel centro di Sovana, una frazione di Sorano, nella provincia di Grosseto, in Toscana.
Il borgo è conosciuto come importante centro etrusco, borgo medievale e rinascimentale, nonché già sede episcopale.
Il centro sorge nel Pianetto di Sovana, un piccolo fondovalle che si sviluppa tra le colline dell'Albegna e del Fiora, proprio nel cuore dell'area del Tufo. Il territorio è percorso da numerosi corsi d'acqua a regime torrentizio, come il Calesine, Folonia, Picciolana e il Valle Bona che poi confluiscono nel Fiora poco a sud-ovest dell'abitato.
Il borgo che ci accoglie pare un set televisivo, ma le costruzioni non sono di legno e cartapesta bensì di vero tufo, è tutto reale ed allora più che essere spettatori ci sentiamo viaggiatori nel tempo, quasi come in Back to the Future, ossia Ritorno al futuro, film del 1985 con Michael J. Fox nei panni di Marty McFly e Christopher Lloyd nei panni di Emmett L. "Doc" Brown. Solo che invece di avere una DeLorean DMC-12 avevo la mia vecchia Fiat Stilo.
Il territorio era già sicuramente abitato all'epoca del Bronzo, successivamente Suana diventa un centro etrusco, dopo la conquista da parte dei Vulci.
Nel IV secolo a.C. fu dotata di cinta muraria con i blocchi di tufo, il villaggio subì un graduale processo di romanizzazione, divenuto poi municipio con la concessione della cittadinanza romana agli italici e poi ancora sede vescovile, divenendo VIII secolo centro amministrativo longobardo.
L'attuale centro storico si sviluppò nel corso del Medioevo nelle vicinanze della preesistente necropoli etrusca, sotto il controllo della famiglia Aldobrandeschi, che vi fece edificare un castello intorno all'Anno Mille, portando la città al massimo splendore. Fu anche in epoca medievale un libero comune e diede i natali a Ildebrando di Sovana, divenuto in seguito papa Gregorio VII.
Alla fine del XIII secolo, quando Sovana viene ereditata dagli Orsini seguendo il medesimo destino di Sorano e Pitigliano, inizia il periodo di decadenza. Nel 1410 il borgo venne conquistato dai senesi e a metà del XVI secolo con la caduta della Repubblica di Siena, Sovana passa nelle mani dei Medici, che la inglobarono nel Granducato di Toscana. I Medici cercarono di ripopolare il borgo, in stato di forte degrado dopo le epidemie di peste, con coloni provenienti dalla Grecia, ma il tentativo fu inutile.
Nel 1660 perse anche la sede vescovile che fu trasferita a Pitigliano. Nel 1702 sono censite a Sovana solo ventiquattro persone. Anche sotto i Lorena, la situazione non migliorò. Spopolata e abbandonata, Sovana ritrova nuova vita nel corso XX secolo, grazie al suo ricco patrimonio archeologico che la rende una frequentata meta turistica.
Ci accolgono le rovine della grandiosa rocca aldobrandesca, percorriamo la strada di mezzo, la principale via che attraversa il borgo, tutta lastricata in mattoni a spina di pesce, su cui si affacciano le antiche case medioevali.
Il nostro albergo è proprio nei pressi del Palazzo del Pretorio, anche questo edificio mantiene tutte le caratteristiche medioevali, realizzato in blocchi di tufo, ma con gli interni confortevoli e con tutti i comfort più moderni.
Dopo esserci sistemati in camera, usciamo per meglio ammirare la piazza del Pretorio, pare un luogo cristallizzato nel tempo, non a caso Ranuccio Bianchi Bandinelli, archeologo, storico dell'arte del XX secolo, annotava la sua atmosfera di "vita antica" e prosegue "che si manifesta come elemento nostalgico nei ruderi e nei frammenti superstiti".
Il Palazzo Pretorio si presenta a pianta rettangolare, con la facciata principale che si apre su Piazza del Pretorio, sul lato minore meridionale del perimetro. Disposto su due piani, si caratterizza per le pareti esterne interamente rivestite in blocchi o conci di tufo.
Il portale d'ingresso principale, di forma rettangolare è architravato, si apre preceduto da alcuni gradini. La facciata che si prospetta sulla piazza è caratterizzata dalla presenza di nove stemmi riconducibili a capitani del popolo e commissari che storicamente vi hanno prestato servizio.
Sulle pareti interne intonacate spiccano in alcuni punti affreschi di scuola senese realizzati tra il periodo tardo medievale e l'epoca rinascimentale.
Palazzo Pretorio, con l'adiacente loggia del Capitano pare risalire al XII secolo, è comunque attestato nel 1208 come luogo in cui Aldobrandino VIII stipulò il proprio testamento.
L'edificio conservò la propria struttura originaria con finestre ad arco fino agli inizi del Quattrocento, quando fu gravemente danneggiato a seguito dell'assedio delle truppe senesi. La successiva ristrutturazione effettuata tra il 1413 e il 1414 comportò la modifica delle parti che precedentemente erano state distrutte in modo irrecuperabile.
Con l'ingresso di Sovana nel Granducato di Toscana avvenuto nel 1555, il palazzo divenne anche la sede del carcere in epoca.
Nel tardo Settecento il complesso fu dismesso e ceduto dai Lorena alla diocesi locale. Durante il secolo scorso era diventato sede di un magazzino, prima di essere restaurato e adibito a sede del polo museale di Sovana. La facciata si trova addossata ad un piccolo corpo di fabbrica che la divide dalla caratteristica Loggia del Capitano. Al suo interno sono presenti due rovinati affreschi raffiguranti la Madonna con il bambino tra i San Lorenzo e Sant'Antonio abate.
La Loggia del Capitano, detta anche Loggetta del Capitano, è una storica loggia fu costruita in epoca medievale e completamente ristrutturata durante il Quattrocento assieme all'attiguo Palazzo Pretorio.
La loggia è costituita da due aperture ad arco, dalle quali si accede al portico disposto ad L. Sul lato corto orientale, prospiciente la piazza e perpendicolare alla facciata del Palazzo Pretorio è collocato un grande stemma mediceo in pietra, che fu fatto aggiungere nel 1570 da Cosimo I de' Medici. Anche in questo edificio le strutture murarie sono in blocchi di tufo.
Sempre sulla piazza posto sul lato corto occidentale di Piazza del Pretorio fa bella mostra di sé, il Palazzo Comunale, noto anche come Palazzo dell'Archivio. Uno storico edificio con un grande orologio sulla facciata e campaniletto a vela, realizzato nel XII sec. e fu abitazione del giusdicente dopo il 1411. Nel 1676 era già attestato come sede dell'archivio della comunità.
L'originaria struttura di epoca medievale rimase intatta fino al 1433, quando Sovana fu assediata dalle truppe della Contea di Pitigliano che danneggiarono il borgo per rappresaglia a seguito dell'uccisione del conte Gentile Orsini.
Nel 1588, al palazzo vi fu aggiunto l'orologio e nel XVII secolo il campanile a vela.
Dopo un lungo periodo di degrado, nei primi del Novecento, il palazzo del dell'Archivio, fu sottoposto ad una serie di recenti restauri che hanno permesso di riportarlo all'antico splendore.
Il Palazzo dell'Archivio è costituito da due corpi di fabbrica, ma solo quello che si affaccia sulla piazza si articola su tre livelli, mentre l'altro che è retrostante è su due livelli. L'edificio è realizzato interamente in conci di tufo, sui lati digrada con un basamento a scarpa; al piano terreno della sua facciata vi si prospetta la sola porta d'accesso, al primo piano si apre una sola finestrella ad arco posta centralmente, mentre al livello superiore vi si aprono due finestre identiche con al centro della parte sommitale il grande orologio di forma quadrangolare.
Sempre sulla piazza del Pretorio, la cui pavimentazione è a spina di pesce è posta sulla parte sinistra della piazza, la chiesa di Santa Maria Maggiore risalente al periodo tardo-romanico; al suo interno sopra l'altare conserva, così da poter ammirare, il ciborio preromanico, con quattro colonne rastremate e baldacchino decorato del IX secolo con decorazioni altomedioevali con motivi animali, vegetali e geometrici che risulta essere tra i più antichi cibori preromanici intatti di tutta la Toscana. Qualcuno afferma che l'antico ciborio provenga dalla vecchia chiesa di San Mamiliano.
L'interno della chiesa di Santa Maria Maggiore è a tre navate divise da tozzi pilastri che sorreggono ampie arcate; custodisce opere di notevole interesse che riusciamo con calma a contemplare come i due affreschi della Crocifissione tra i santi Antonio e Lorenzo e san Sebastiano e san Rocco datato 1527 e della Madonna col Bambino in trono tra le sante Barbara e Lucia e san Sebastiano e san Mamiliano del 1508, ma anche un dipinto con i quattro evangelisti e l'Eterno benedicente del XVI secolo oltre a frammenti di una Madonna col Bambino e i santi Raffaele e Tobiolo, Mamiliano, Antonio da Padova e Lucia databili XVI secolo interessante anche una Crocifissione tra sant'Antonio abate e papa Gregorio VII datata XV secolo.
Difficile è riconoscere la facciata quello che era l'ingresso originario della chiesa, oggi nascosto dal confinante con il Palazzo dei marchesi Bourbon del Monte. La chiesa dovrebbe essere stata costruita nel XII secolo. Fu saccheggiata sia dai senesi nel 1410 che dai pitiglianesi nel 1434, Le sue modifiche principali sono del XVI secolo e fino al XVII era dotata di un campanile addossato alla chiesa stessa, poi sostituito con quello a vela.
Il palazzo Bourbon del Monte è posto tra la chiesa di Santa Maria Maggiore e l'antica chiesa di San Mamiliano e, venne edificato nel 1558 per volere di Cosimo I. Fu la residenza della famiglia Bourbon del Monte, feudataria di San Martino sul Fiora. Il palazzo fu la dimora di un vescovo della famiglia Bourbon, ed in seguito, il palazzo ebbe diverse destinazioni, da sede degli uffici pubblici a scuola comunale. Caduto in rovina nel corso del XIX secolo e un parziale crollo avvenuto negli anni sessanta del Novecento, il palazzo fu acquistato da un privato che gli fece un profondo restauro conservativo.
Nonostante la sua imponenza, il palazzo si presenta ai nostri occhi con una struttura leggera grazie al suo alto porticato con soffitto con volte a crociera e un bel portale cinquecentesco in legno.
Al primo piano il palazzo presenta quattro grandi finestre che nascondono il salone nobiliare.
Invece la Chiesa di San Mamiliano, è forse la chiesa più antica di Sovana databile al sec. VII. secolo e ha ospitato dal 1460 al 1776 le spoglie di san Mamiliano.
Edificata sulle rovine di un impianto termale romano in tufo, la sua facciata è in parte coperta dal Palazzo Bourbon Del Monte che ingloba il campanile. Realizzata in stile romanico databile al XII secolo, ha subito vari rifacimenti nel corso dei secoli ed è rimasta in disuso nel corso del Settecento. La chiesa è ad unica navata, con abside quadrangolare, dotata di tre altari, quello maggiore era dedicato a San Mamiliano.
La chiesa finì ridotta a rudere, usata come pollaio e deposito venne poi consolidata e restaurata completate nel 2012 con l'inaugurazione del museo di San Mamiliano. Fu anche ricostruita parte della facciata con l'ingresso principale ormai diruto e rifatto totalmente in tetto in quanto crollato.
I recenti restauri hanno permesso di riportare l'edificio agli antichi splendori, oltre a portare alla luce numerose tombe e un tesoro di monete d'oro fior di conio che era nascosto al suo interno Si tratta di 498 soldi d'oro coniati sotto Leone I e Antemio, tra il 457 e il 474 per la maggior parte provenienti dalla zecca di Costantinopoli. Un tesoro veramente imponente e straordinario.
Per proteggere le molte tombe rinvenute e i molti reperti archeologici oltre i vari ritrovamenti tombali come medagliette, fibbie, anelli, rosari, crocifissi si è allestito un meraviglioso museo.
La chiesa fungeva un tempo come Duomo e conservava il corpo del monaco divenuto poi san Mamiliano che fu l'evangelizzatore di Sovana, probabilmente vissuto nel V sec. d.C.
Il successivo trasferimento della cattedra vescovile presso il nuovo Duomo, dei Santi Pietro e Paolo, e il lento ed inesorabile declino conosciuto dalla città portò ad un graduale abbandono dell'edificio religioso.
La mattinata successiva l'impegniamo a conoscere meglio Sovana e per prima cosa ripercorriamo la strada d'accesso al borgo, arrivando fino alla
Rocca aldobrandesca posta poco fuori il centro storico che poggia su un piccolo sperone di tufo.
Ci si presenta sotto forma di imponenti ruderi in tufo, conservati in discrete condizioni. La rocca sorse su preesistenti strutture di epoca etrusca attorno all'Anno Mille come simbolo del potere della famiglia Aldobrandeschi, famiglia che controllò Sovana fino alla fine del Duecento. Nel1293, Sovana con la sua rocca entrarono a far parte della Contea degli Orsini di Pitigliano, a seguito di un matrimonio tra le due famiglie. In questo periodo storico ci fu una fase di degrado dovuta allo spostamento della capitale della contea a Pitigliano. Nel Quattrocento quando Sovana fu conquistata dai Senesi, la fortificazione venne restaurata ed ancora nella seconda metà del Cinquecento, Sovana e la sua rocca entrarono a far parte del Granducato di Toscana, e subì nuovi lavori di ristrutturazione ma subito dopo iniziò nuovamente l'abbandono e il degrado della fortificazione.
Oggi sono ben visibili i monumentali ruderi della fortezza. Entriamo attraverso una porta ad arco a tutto sesto; dell'antica fortezza restano una torre e un tratto di mura, in parte ancora dotate di apparato a sporgere con beccatelli e archetti in pietra.
Le mura che circondavano la fortezza e il borgo di Sovana hanno origine molto antica e hanno subito diversi interventi nel corso dei secoli. I primi a realizzare una cinta muraria a difesa del borgo furono gli etruschi, poi ammodernate e ampliate tra l'XI e il XII secolo quando furono costruite le mura medievali ed infine, nel corso del XV e del XVI secolo ad opera dei senesi e poi ancora ristrutturate dai Medici.
L'aspetto attuale mantiene parte delle mura rinascimentali, ma sono visibili alcuni resti delle cinte precedenti. La cinta muraria è in conci di tufo e racchiudeva interamente il borgo medievale, adattandosi all'orografia del territorio.
Rientrati verso la piazza del Pretorio, iniziamo a percorre via del Duomo, un tempo denominata la via di Mezzo per dirigerci verso il Duomo. Su questa stradina, sempre lastricata in mattoni a spina di pesce, si affacciano le antiche case quasi tutte in tufo, con i loro due piani decorati da splenditi vasi di fiori.
Lungo il nostro percorso troviamo, su una casa, una lapide che ci ricorda che qui vi nacque Ildebrando Aldobrandeschi che nel 1073 divenne Papa col nome di Gregorio VII. Pochi e insicuri sono i dati sulle origini e sulla condizione sociale di Ildebrando che proveniva probabilmente da una famiglia di modesto ceto sociale. Nasce tra il 1010 e il 1020 e muore a Salerno il 25 maggio 1085 ed è stato il 157º papa dal 1073 alla morte. Per la tradizione popolare appartenne alla famiglia Aldobrandeschi, ma non ci sono, attualmente, fonti storiche certe a sostegno di questa tesi.
Gregorio fu il più importante fra i papi che nell'XI secolo misero in atto una profonda Riforma della Chiesa, ma è noto soprattutto per il ruolo svolto nella lotta per le investiture, che lo pose in contrasto con re Enrico IV. Durante il pontificato di Niccolò II nel 1059 entrò in vigore la legge che trasferiva l'elezione del Papa al Collegio dei cardinali, sottraendola ai nobili e al popolo di Roma ed è in questo periodo che Ildebrando fu nominato abate di San Paolo fuori le mura. Ildebrando manterrà il titolo anche dopo l'elezione al pontificato. Alla morte di papa Alessandro II il 21 aprile 1073, l'abate Ildebrando divenne Papa con il nome di Gregorio VII. Nonostante le nuove norme l'elezione ebbe luogo da parte del popolo romano per acclamazione, il giorno dopo la morte del papa Alessandro II e al collegio dei cardinali non rimase che ratificarle. Il 22 maggio successivo il nuovo papa ricevette l'ordinazione sacerdotale, e il 30 giugno la consacrazione episcopale.
È passata alla storia un attentato che Papa Gregorio VII subì a Roma nella notte di Natale del 1075. Ne fu autore il romano Cencio, padrone di una torre sul Tevere nei pressi di Castel Sant'Angelo e antico fautore dell'antipapa Pietro Cadalo col nome di Onorio II dal 1061 al 1064. Il Cencio era un uomo violento e senza scrupoli, famoso per le sue malefatte. Papa Gregorio VII lo aveva condannato a morte, ma per intercessione della contessa Matilde di Canossa gli fu fatta salva la vita. Comunque la sua torre sul Tevere fu abbattuta per ordine del Papa. In quella notte di Natale mentre Papa Gregorio stava celebrando messa nella chiesa ad nivem, l'odierna Santa Maria Maggiore, Cencio con i suoi sgherri si slanciò contro il papa e, spogliatolo dei sacri paramenti, lo rapì e fuggì nella notte. Il popolo scoperto che il Papa era prigioniero in una torre vicino al Pantheon vi accorse circondando l'edificio. Cencio trovatosi in minoranza si vide perso e in ginocchio chiese perdono del suo delitto. Il Papa placò il popolo, salvando il Cencio dalla furia della folla e poi tornò nella basilica per finire il rito interrotto. Così lo storico italiano Raffaello Morghen descrive il fatto.
L'imperatore Enrico IV dedusse che il pontefice non avesse più il favore dei romani e visto i rapporti non proprio idilliaci con il Papa vista la contesa per la nomina dei Vescovi pensò di sferrare il colpo decisivo facendolo decadere. Convocò un concilio dei vescovi della Germania a Worms, che si riunì il 24 gennaio 1076. Tra le alte sfere del clero tedesco, papa Gregorio VII aveva molti nemici. Tra questi vi era anche un cardinale italiano, Ugone Candido/Ugo. Costui si recò in Germania per l'occasione e di fronte al concilio formulò una serie di accuse nei confronti del papa. Le argomentazioni di Ugone Candido vennero accolte favorevolmente dall'assemblea dei Vescovi, che sfiduciò il papa. In un documento pieno di accuse, i 30 vescovi tedeschi dichiararono di non accettare più l'obbedienza al pontefice e di non riconoscerlo più come papa ("il falso monaco Ildebrando", dice il documento).. In una lettera, Enrico gli rese nota la sentenza di deposizione a cui egli dichiarava di aderire.
La risposta di Gregorio VII non si fa attendere e scomunica Enrico, che ora rischia il trono e a quel punto vescovi e principi tedeschi gli impongono infatti di riconciliarsi col papa. Enrico nel febbraio del 1077 incontra a Canossa il papa, in saio da penitente e ottiene il perdono di Gregorio VII promettendogli di "sottostare al suo parere". Salva così il regno ma continua come prima a nominare vescovi e abati. Nuovamente scomunicato, nel 1080 fa eleggere a Bressanone un antipapa ossia Clemente II e fa occupare dalle sue truppe Roma.
Gregorio VII chiuso in Castel Sant'Angelo,viene liberato dal normanno Roberto il Guiscardo alla guida di mercenari e assassini, che depredano anche la città di Roma. L'odio verso questi mercenari da parte del popolo romano ricade anche su Gregorio VII. Costui finisce i suoi giorni a Salerno, dove è sepolto. Dopo la sua morte gli vengono attribuiti vari miracoli, e perciò viene santificato da Papa Paolo V che ne autorizzerà il culto nel 1606.
Raggiungiamo il Duomo di Sovana, posto su una spianata erbosa, nei pressi del luogo, ove un tempo vi era l'ingresso principale di Sovana, è uno dei più importanti edifici in stile romanico gotico di tutta la Toscana.
Il Duomo o meglio la Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo è stato edificato nell'area dove probabilmente sorgeva l'acropoli etrusca e la fondazione dell'edificio attuale avvenne tra l'VIII ed il IX secolo.
Realizzato con grandi blocchi di tufo, nonostante diversi rimaneggiamenti ha mantenuto le sue caratteristiche architettoniche. L'interessante edificio fu modificato nel XIV secolo con la sostituzione delle volte gotiche del tetto e distrutta la facciata per fare spazio alla canonica, poi edificio episcopale o vescovado. L'ingresso principale del Duomo si trova sul lato sinistro ed ha una decorazione scultorea ricca ed elegante, si riconoscono un cavaliere armato, una sirena bicaudata, protomi leonini, pavoni, l'albero della vita, rose e figure a spirale. Nella lunetta sono conservate frammenti scultorei di una primitiva chiesa. Sulla parete di sinistra della chiesa ove si apre la porta d'acceso vi sono tre strettissime monofore fiancheggiate da colonnine.
L'interno è spoglio ed ha tre ampie navate divise da pilastri polistili a pianta cruciforme con mezze colonne bicolore ossia dicrome, nere e bianche. I capitelli sono tutti diversi e presentano fregi scultorei zoomorfi e vegetali. Le navate sono coperte da volte a crociera con archi a sesto leggermente acuto. Sono da segnalare le opere pittoriche: una Madonna in gloria con san Benedetto e san Giovanni Gualberto del XVI secolo di scuola fiorentina; una Crocifissione di San Pietro del 1671 di Domenico Manenti; un dipinto ad affresco nella zona absidale raffigurante Santa Maria Egiziaca databile 1481 e un frammento di affresco di San Francesco del XV secolo. Interessante anche la fonte battesimale in travertino datato 1494 a forma ottagonale. Inoltre conserva un sarcofago, anch'esso in travertino, del XV sec. che ospitava originariamente le spoglie di San Mamiliano. La cripta, luogo di preghiera e meditazione è a sei colonne ed ospita le spoglie di san Mamiliano; la cui urna è in cristallo e argento.
Usciti dal Duomo ci soffermiamo a guardare esternamente l'area absidale che conserva tra i conci, molti reperti marmorei scolpiti, ma l'attenzione è per la sua monofora. Infatti in albergo ci hanno raccontato che grazie al particolare orientamento astronomico del Duomo di Sovana, il 21 giugno di ogni anno, il primo raggio del sole mattutino colpisce la monofora absidale ed attraversando tutta la navata si proietta sulla parete opposta, dando vita ad uno spettacolo di luci di rara bellezza; il fenomeno si ripete anche nella cripta paleocristiana sottostante. Questo particolare ci suggerisce che l'orientamento del Duomo è fatto secondo allineamento del solstizio estivo. Cosa assai strana se si pensa che non risponde alle regole di edificazione medioevali degli edifici sacri dettate dalla Chiesa di Roma. Infatti tale norme volevano l'abside esposto ad est. Il suo particolare orientamento seguono i canoni delle culture nordiche celtico-germaniche e longobarde.
Rientrati verso il centro ci fermiamo a gustarci un vero pranzo maremmano in una tipica locanda. Acquacotta e Buglione d'agnello sono le nostre scelte. Acquacotta è semplice ma saporita, infatti e fatta solo con cipolle, sedano, passata di pomodoro, uovo, formaggio pecorino, pane raffermo toscano, olio d'oliva, sale e peperoncino. Mentre il Buglione vede l'Agnello tagliato a pezzetti rosolato con aglio, olio, rosmarino sale e peperoncini, inumidito con il vino rosso. Evaporato il vino vi è unito il concentrato di pomodoro, amalgamato il tutto viene cotto per circa mezz'ora aggiungendo l'acqua necessaria. L'agnello è servito su pane toscano abbrustolito e strofinato con l'aglio.
Dopo aver goduto di tali delizie culinarie ed averle accompagnate dal buon vino rosso, in auto raggiungiamo l'area archeologica etrusca di Sovana. Qui la memoria di entrambi si perde, non riusciamo più a ricordare l'ordine in cui ci siamo avventurati alla scoperta del mondo etrusco.
Sicuramente abbiamo percorso un tratto delle Vie Cave perché una delle foto ritrovate ne riprende una. Le Vie Cave sono antichissimi percorsi etruschi, una sorta di ciclopici corridoi ricavati scavando la roccia tufacea. Queste sono opere uniche al mondo, un patrimonio di enorme importanza storico culturale che ci suscitarono un'attrazione irresistibile. Le strade scavate sono larghe pochi metri dai due ai quattro e utilizzati fino a dopo la seconda guerra mondiale per raggiungere i vari borghi della zona. L'altezza di alcune delle pareti scavate delle Vie cave, arrivano a sfiorare anche i venticinque metri e sono assai lunghe, forse un chilometro. Ne abbiamo percorsi a piedi lunghi tratti e questa passeggiata ci ha regalato grandi suggestioni, quasi come entrare in un mondo fiabesco.
Tra pareti vertiginose si trovano incisioni misteriose e difficilmente databili e se in alcuni tratti le fronde degli alberi hanno creato una sorta di galleria vegetale tra le alte pareti di roccia, è possibile ammirare una diversificata famiglia di felci, muschi, licheni, edere che contribuiscono ad accrescerne il fascino grazie al particolare microclima umido e ombroso. I giochi di luci che creano i raggi filtranti del sole danno vita a suggestivi disegni e aloni luminosi in cui ti aspetti di veder comparire qualche antico cavaliere.
Percorrendo le Vie Cave, abbiamo trovato le cosiddette nicchie scaccia-diavoli di origine medievale che un tempo contenevano immagini sacre che avevano lo scopo di proteggere i viaggiatori. Le Vie Cave sono alcune decine poste tra Sovana, Sorano e Pittigliano, come. Il Cavone, la Via Cava di San Sebastiano, la Via Cava di San Rocco e la Via Cava dei Fratenuti.
La Via Cava di San Sebastiano si trova a qualche decina di metri dopo l'ex chiesa di San Sebastiano. La chiesetta di San Sebastiano, è di origini incerte – medioevo o primi del XVII secolo e si presenta oramai sotto forma di ruderi. Dell'antica Cappella si sono conservate le strutture murarie esterne in pietra, dove è distinguibile il pronao che venne aggiunto nel XIX secolo. Sono ancora visibili i resti dell'altare e, dietro ad esso la retrostante sagrestia.
Tra le necropoli etrusche che si sviluppano sui versanti collinari il ricordo si pone su alcune tombe quale quella della Sirena. Questa tomba ricordata come tomba della Fontana è del III-II a.C.,è una tomba a edicola interamente scavata nel tufo, collocata all'interno di un ampia necropoli detta di Sopraripa. La facciata riproduce una falsa porta, all'interno della quale vi è scolpita l'immagine del defunto, la porta è guardata ai lati da due figure demoniache. Il nome deriva dal fregio nel quale non si rappresenta una sirena, ma invece rappresenta il mostro marino Scilla colto nell'atto di affondare una nave. Sopra l'immagine del defunto è ben leggibile la scritta "Vel Nulina", ossia "figlio di Vel".
L'accesso alla camera sepolcrale è un dromos particolarmente stretto e le piccole dimensioni della camera fanno pensare a una sepoltura per un singolo individuo. Ma anche la tomba del Tifone posta sul poggio Stanziale dove vi è una vasta necropoli è interessante. Questa tomba è databile alla seconda metà del IV sec. a.C. e presenta una facciata, interamente scolpita nel tufo, sormontata da un timpano decorato con una protome femminile ossia parte anteriore, busto di una figura femminile, sostenuto da colonne scanalate, prive di basi e capitelli. Le guide turistiche ci dicono che le pareti della tomba erano decorate con stucchi policromi.
Sul lato destro una ripida scala tagliata nel tufo conduce alla parte superiore del monumento dove è situata l'altra porta cippo. Il nome della tomba è dovuto ad una erronea interpretazione della figura femminile che fu confusa con il mostro marino Tifone.
Invece la monumentale tomba Ildebranda, è interamente scavato nella roccia tufacea, deve il suo nome a Ildebrando da Sovana a cui venne dedicato il monumento. Il complesso funerario, risalente al III-II sec. a.C., è posto su un altura che domina la valle. Si presenta scolpita su tre lati con una monumentale facciata. Alla tomba ci accediamo tramite due scalinate, le celle esterne della tomba erano delimitate da 12 colonne scanalate, di queste ne rimane solo una che sorregge una porzione di soffitto. Un tempo la tomba era interamente intonacata e ricoperta da stucchi policromi. Un lungo e profondo corridoio, dromos, scavato nel tufo, permette l'accesso alla camera sepolcrale che si presenta con una pianta a forma di croce greca.
Dirigendoci verso S. Martino sul Fiora, alla base di un poggio denominato Prisca, adiacente alla strada è situato un gruppo di tombe rupestri tra cui la tomba Pola. Quest'ultima è fatta risalire al III secolo a.C., vicino alla tomba c'è un'enorme caverna con colonna centrale e resti di strutture rupestri di probabile uso funerario.
Ultima meta della giornata è lungo la strada che conduce dall'abitato di Sovana a San Martino sul Fiora, dove vi sono i ruderi di un oratorio rupestre dalle origini storiche incerte, forse in epoca altomedievale realizzato su preesistenti luoghi di culto etrusco-romana. Il luogo di culto è ad aula unica, scavata nella parete di tufo e presenta soffitto parzialmente crollato, ma con una incisione rupestre con una croce, che lo rende inequivocabilmente luogo di preghiera per la religione cattolica.
Ormai, anche se la stagione ci ha donato tante ore di luce, le tenebre ci stanno avvolgendo e stanchi rientriamo in albergo per ristorarci con un lauto pasto a base di salumi di cinghiale, panzanella e cinghiale alla maremmana, il tutto innaffiato da un buon Morellino di Scansano.
Grazie al buon vino rosso le memorie scolastiche riemergono con più facilità, mi ricordo che con Igor avevamo fatto una bella chiacchierata sulla storia degli Etruschi. Infatti ricordammo tra le altre cose che gli Etruschi erano definiti un popolo di abili mercanti. La ricerca delle origini della provenienza del popolo etrusco assilla gli storici da sempre. Nel V a.C. secolo lo storico greco Erodoto e Dionigi di Alicarnasso nel I secolo a.C conclusero, il primo che gli Etruschi erano originari della Lidia, una regione dell'Asia minore occidentale, mentre Dionigi asseriva che gli Etruschi fossero di origine italiana. Altri storici affermano che fossero originari dell'Illiria, antica regione della costa orientale del mare Adriatico, mentre ancora altri li fanno originari del nord Europa.
I secoli VII e VI a.C furono il periodo d'oro per il popolo etrusco, infatti in questi due secoli fecero grandi conquiste territoriali, estero il loro dominio nel Lazio e nella Campania e anche Roma fu sotto dominazione etrusca anche se la storia romana preferisce non parlarne. Fu sotto il loro dominio che il villaggio di Roma divenne una città con templi e case in muratura. Nel secolo successivo il dominio etrusco si estese a Nord dove non solo occuparono i villaggi di altri popoli ma ne costruirono di nuovi, come Felsina l'attuale Bologna. Ma la loro dominazione territoriale si basava più sulle attività economiche e commerciali che sulla potenza militare. Infatti non seppero difendere a lungo i loro possedimenti, già nel 574 a.C. in uno scontro sul mare con dei coloni greci di Cuma ebbero distrutta la loro flotta. Alcuni decenni dopo gli Etruschi perdettero tutta la Campania. Anche al Nord, con la discesa di orde di Galli dall'Europa centrale, gli Etruschi perdettero molti territori.
Nel 509 a.C. i Romani cacciano gli Etruschi da Roma sferrando un potente attacco all'Etruria. Presi tra due fuochi, gli Etruschi iniziarono a veder espugnate anche le loro città, come Veio, la più ricca e potente città etrusca. Agli Etruschi, che poco più di due secoli prima erano padroni di quasi tutta la penisola, non rimase che una parte dell'Etruria. Nella speranza di vincere sui Romani, gli Etruschi si allearono con i Galli nel III. secolo a.C., ma contro le legioni romane non ci fu nulla da fare e in pochi anni tutta l'Etruria fu sottomessa a Roma.
Certamente il popolo Etrusco impressionò per l'incredibile ricchezza e la grande prosperità ottenuta con i loro commerci, ciò è deducibile anche per gli oggetti rinvenuti nelle loro tombe, come collane, fibbie, bracciali, orecchini in oro, argento e avorio. Sicuramente non si stanziarono a caso in Etruria, un territorio ricco di giacimenti minerari. Ed è proprio grazie a queste estrazioni minerali e con i loro commerci in tutto il Mediterraneo che poterono accumulare tante ricchezze. Di sicuro alle loro sconfitte contribuì il fatto che gli Etruschi non erano uno Stato unitario ma una Confederazioni di città. Si riunivano solo in caso di trovarsi a comune nemico. Ogni città aveva la facoltà di scegliersi la forma di governo che le pareva più opportuna. Alcune furono rette a repubblica altre a monarchia. Il capo della città, chiamato Lucumone, vestiva un manto porpora ed era preceduto per le strade della città da dodici littori armati da fasci di verghe dai quali usciva un ascia a due lame, usanza poi adottata anche dai romani. Era un popolo molto attaccato ai piaceri materiali, amavano le danze, gli ornamenti personali, i vestiti eleganti, gli spettacoli buffoneschi, ma anche quelli crudeli e soprattutto la buona tavola. Il perimetro delle città da loro fondate era principalmente quadrato, poste su colline isolate e cinta da poderosa mura. Quando gli Etruschi fondavano una città, tracciavano con l'arato un solco, non prima di aver scavato un profondo buco, fino a trovare la dura roccia, vi lanciavano dentro i frutti della terra e poi una manciata di terra portata dalla patria del fondatore. Ricoperta la fossa vi ponevano un ara e su di essa acceso un fuoco.
Incredibile anche la capacità degli Etruschi di scrivere, ed oggi ritroviamo la loro scrittura incisa sulle pietre tombali. L'incredibile è che benché usassero lo stesso alfabeto greco le parole sono assai diverse.
La religione etrusca voleva che la natura dipendesse strettamente dal volere della divinità. Ciò stava a significare che ogni fenomeno naturale era espressione della volontà divina, o un segnale che la divinità inviava all'uomo. Le divinità erano esseri soprannaturali, ed inizialmente forse anche incerti nel numero; giacché grazie ai commerci alla loro religione si sovrappose l'influenza di altre religioni e soprattutto di quella greca. Così Tin o Tinia è assimilato a Zeus, Uni a Hera, Maris ad Ares, Turan ad Afrodite, Nethuns a Poseidon, Fufluns a Dionisio, Menerva ad Athena, Sethlans a Efesto e Turms a Hermes. Altri furono importati dal mondo greco come Aritimi ossia Artemis, Aplu ossia Apollon ecc.
Alcuni divinità etrusche però non furono assimilate a nessuno come dio Veltuna o Velta o la dea Northia probabilmente divinità del fato. La religione etrusca era ricolma di ritualità, osservava Tito Livio, definendolo come "un popolo che fra tutti gli altri si dedicò particolarmente alle pratiche religiose in quanto si distingueva nel saperle coltivare".
I riti erano rivolti al riconoscimento dei segni, alla loro interpretazione e al soddisfacimento della volontà divina tra questi l'arte divinatoria, l'osservazione e l'interpretazione dei fulmini, l'osservazione dei prodigi della natura e l'interpretazione delle viscere degli animali di cui si servivano gli Aruspici. Si trattava in genere per quest'ultima di buoi e talvolta anche di cavalli ma soprattutto di pecore a cui venivano strappate le viscere ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi.
Il culto dei morti per gli etrusci era tra le pratiche religiose più importanti. Credevano nella continuazione di una attività dopo la morte e per questo avevano bisogno di un luogo degno per svolgere quell'attività, per questo costruivano delle tombe importanti che potessero unire le spoglie mortali ai familiari del defunto. Al defunto oltre la tomba, ossia la nuova casa veniva fornito un corredo di abiti, ornamenti, oggetti d'uso e, insieme, una scorta di cibi e bevande. Ovviamente tutto variava a seconda del rango sociale del defunto e delle possibilità economiche dei famigliari.
Quanto alle pratiche proprie dei funerali, esse andavano dall'esposizione al compianto pubblico al corteo funebre al banchetto davanti alla tomba.
Dopo questa discussione, forse anche un po' troppo elementare e un buon riposo, la mattina seguente ci recammo verso nuove scoperte in altri comuni della Maremma. Ma d'obbligo prima di lasciare Sovana era andare a vedere la mano di Orlando.
Questo particolare masso si trova lungo la strada provinciale che collega Sovana a Sorano, sulla sinistra poco prima del bivio per Pitigliano. Si tratta di un grosso masso a forma di mano chiusa. La leggenda vuole che sia stato creato dal paladino Orlando cioè il nipote di Carlo Magno, mentre era impegnato nell'assedio di Sovana e si vuole che il paladino fermatosi a pregare vicino questo masso lo strinse con tanta vigoria da lasciare impressi sulla roccia i segni della sua stretta, ma forse il masso fungeva più semplicemente ad osservatorio celeste durante all'era megalitica.