Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Santhià

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SanthiaLa mattinata si presenta già dalle prime ore dopo l'alba abbastanza calda, un vento torrido e fastidioso mi accompagna in questa passeggiata fuori porta, tra le città più importanti del vercellese. Arrivo a Santhià e riesco facilmente a parcheggiare nei pressi del centro storico.
Questa zona è stata probabilmente abitata sin dall'Età del Bronzo, come dimostrano alcuni ritrovamenti preistorici. Certamente dai Liguri e dai Celti libici e ovviamente passò sotto il dominio romano alla fine del II secolo a.C..
Inizialmente pare si chiamasse Victumulus, dal nome del popolo degli Ictumuli che l'ha abitata; poi i Romani la chiamarono Vicus Viae Longae cioè "borgo posto sulla via lunga" ossia la strada che collegava, e collega ancora, Ivrea a Vercelli.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla conversione della regina Teodolinda al cristianesimo, la città prese il nome di Oppidum Sanctae Agathae, ossia città di Sant'Agata, in onore della sua Santa protettrice. Con questa denominazione è menzionata in un documento dell'anno 999, per il quale Ottone III cedeva al Vescovo Leone di Vercelli, alcuni territori e beni, tra i quali tutto l'oro della contea di "Sancte Agathe". Da quest'ultimo nome, attraverso varie modificazioni, Santeagathe , Santiate, si è poi giunti all'attuale Santhià.
Verso il 650 il borgo passò sotto il dominio dei Franchi, divenendo luogo di rifornimento e di ricovero per le truppe di passaggio. Il borgo rimase sotto il dominio dei Vescovi di Vercelli dal X secolo, poi, dal 1243, il possesso passò al Comune di Vercelli fino a quando fu conquistata dai Visconti di Milano. Nel 1377 la città si consegnò ad Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde. Occupata dai Francesi nel 1554, la città tornò ai Savoia nel 1559.
Santhià fu frequente scenario di battaglie tra francesi e spagnoli, in particolare durante la guerra tra Francesco I di Francia e Carlo V, con notevoli privazioni e sofferenze per la popolazione. Dal 1798 al 1814 durante il periodo della dominazione napoleonica, Santhià entra a far parte del Dipartimento della Sesia, divenendo sede di sottoprefettura. Al ritorno dei re sabaudi nel 1814, Santhià divenne capoluogo di mandamento e seguì poi il corso della storia italica.
Il centro storico è facilmente percorribile, perché l'attuale struttura urbana ricalca l'antica forma che aveva nel XV secolo e una lungo la Viae Longae di cui parlavano i Romani. Percorro il corso principale ossia Corso Nuova Italia che ricalca la antica strada.
La prima meraviglia che trovo è la Casa Turrita conosciuta da tutti come la "Torre di Teodolinda", Questa torre è situata all'interno di un cortile di Corso Nuova Italia, è il rifacimento di una torre di avvistamento di epoca longobarda ma non ha alcuna relazione con la regina dei Longobardi, poiché si tratta di un edificio realizzato non prima del XIV secolo. L'edificio limitrofo o ciò che un tempo insisteva in questo luogo, servì ad ospitare la Corte ducale dei Savoia, rifugiatasi a Santhià durante un'epidemia di peste scoppiata a Torino nel 1630. Interessante sapere che Santhià ospitò in quel periodo anche la sede della Zecca e del Senato Sabaudo, La cittadina in quella occasione non fu raggiunta dal contagio.
Corso Nuova Italia è una bella via lastricata coronata da tanti negozi, le costruzioni sono ormai quasi tutte nuove, trovi qualche raro edificio di pregio o antico ed ancora trovi su alcune case affreschi effigianti la vita dei Santi.
Ma oltre a guardare per aria, a Santhià occorre guardare per terra perché si può inciampare nei medaglioni posti nella via principale. Sui grandi medaglioni bronzei inseriti sulla pavimentazione possiamo vedere riprodotti edifici e strutture risalenti ai tempi più antichi, come la cinta muraria, il vecchio ospedale del Trecento, il convento di San Francesco, le strutture ospitaliere della Via Francigena, e ricordare l'assedio del 1644 o la rappresaglia tedesca del 1945, ma anche la fondazione della Banda musicale cittadina o l'inaugurazione dell'attuale Chiesa collegiata.
Vi sono anche medaglioni dedicati a illustri concittadini come Sant'Ignazio da Santhià, Jacopo Durandi, Giovanni Carisio, padre Filippo Grosso, Federico Zapelloni, quest'ultimo pioniere dell'aviazione italiana, o Battista e Giuseppe Santhià, rispettivamente figura rappresentativa del movimento operaio e sindaco della rinascita democratica della città.
Altri medaglioni ricordano la storia del Novecento con la creazione delle Officine Magliola o la fondazione del Santhià Calcio, la realizzazione della Stazione idrometrica sperimentale, ma anche gli scioperi agrari del 1906.
Non mancano sui medaglioni anche riferimenti alla cultura e alle tradizioni locali: dallo stemma della città alla raffigurazione della patrona della città, Sant'Agata, o il ricordo dell'Antica Società Fagiolesca a quello delle maschere locali, Majutin e Stevulin.
Infatti un importante evento che coinvolge tutta la popolazione della città di Santhià è il Carnevale che si festeggia da secoli; si racconta che un documento del 1318, purtroppo ormai perduto, già lo citi. Questo lo fa il carnevale più antico del Piemonte. Le sue maschere ufficiali sono Stevulin 'dla Plisera e Majutin dal Pampardù, due cascine realmente esistenti nei dintorni di Santhià e che governano l'intera manifestazione che ha inizio a partire dal giorno dell'Epifania fino all'alba del Mercoledì delle Ceneri.
Il carnevale santhiatese si compone di antichi riti e cerimonie, quali le Pule e Còngreghe, la Bissa e i Curantun, le Sveglie Antelucane, la Fagiolata, la sfilata Mascherata, i Gironi Infernali, il Rogo del Babaciu, la Sfilata dei Maiali, la Benedizione dei Fagioli. Un evento in cui ci sono usanze e cerimoniali che vengono strettamente rispettati da tutta la popolazione e che merita di essere visto.
Sempre lungo il corso principale è possibile riconoscere una targa con altorilievo che ricorda dove un tempo vi era la casa in cui il 5 giugno 1686 nacque Sant'Ignazio da Santhià all'epoca Lorenzo Maurizio Belvisotti. Costui fu parroco di Casanova Elvo fino a che, nel 1716, divenne frate Cappuccino. Tra il 1731 e il 1744 divenne Cappellano dell'esercito sabaudo. Durante l'ultimo periodo della sua vita si stabilì presso il Convento dei Cappuccini di Torino, dove morì nel 1770. Fu dichiarato Beato nel 1966, quando fu portata a Santhià la sua reliquia, e successivamente proclamato Santo nel 2002 da Giovanni Paolo II.
Posso ora raggiungere la centrale Piazza Roma, dove si eleva maestosa la collegiata di Sant'Agata. Il suo campanile e la cripta sono le sole strutture architettoniche superstiti della più antica chiesa romanica del XII secolo. Un precedente edificio fu consacrata dal Vescovo Limenio (371-396 a.C.) e nel V secolo era dedicata a Santo Stefano, mi si racconta che fosse stata edificata un tempio pagano già esistente dedicato a Giove Ottimo Massimo.
La prima chiesa, racconta la leggenda, fu fatta costruire dalla Regina Teodolinda in onore della reliquia di Sant'Agata nel 595 circa e venne ricostruita nel 1150, dopo il disastroso terremoto del 1117. I diversi eventi bellici che produssero vaste distruzioni in città, coinvolsero anche l'antica chiesa che subì varie e successive ricostruzioni.
L'aspetto attuale è dovuto alla ricostruzione del 1836 ad opera dell'architetto Giuseppe Talucchi (1782-1863), che realizzò un progetto improntato a forme basilicali di gusto neoclassico con pianta a tre navate. La facciata della chiesa è impressionante con il suo grande pronao esastilo in stile neoclassico, interessanti anche gli affreschi con scene religiose realizzate da Luigi Hartmann.
Sul lato destro si innalza la massa poderosa del campanile in stile tardo romanico in mattoni a vista del XII secolo. Il campanile è alto circa 35 metri, di sezione quadrata ed è formato da sei piani sovrapposti, con sottili lesene e fasce marcapiano date da piccoli archetti pensili.
È appena terminata una funzione religiosa, il battesimo di due bambini, entro silenziosamente in chiesa per una breve visita. L'interno è a tre navate divise da due file di grandi colonne, presenta un vasto apparato decorativo: sulla volta centrale è raffigurata la Gloria di Sant'Agata, opera di Paolo Emilio Morgari de 1862; anche le pareti e la volta dell'intera chiesa sono affrescate.
In ogni navata sono presenti tre cappelle. In quella di sinistra vi sono quelle del Cristo Morto, del Santissimo Rosario e di San Giuseppe; in quella di destra si trovano le cappelle di Sant'Isidoro, del Sacro Cuore e di Sant'Ignazio dove è conservata la reliquia del frate cappuccino cittadino Nella terza cappella a sinistra è conservato il polittico dipinto da Girolamo Giovenone. Questo pregevole polittico del 1531 è suddiviso in dieci tavole, purtroppo una mancante, quella dedicata a Santa Caterina, essendo stata trafugata. Il polittico raffigura nel registro inferiore la Madonna col Bambino e in quello superiore Sant'Agata, le altre tavole sono dedicate a santi della devozione locale come San Rocco, San Michele Arcangelo, San Giovanni Battista e San Sebastiano e nel registro superiore Santa Lucia, Santo Stefano e Sant'Eusebio.
Sotto il presbiterio si apre la cripta romanica intitolata a Santo Stefano databile al secondo quarto del XII secolo, a cui si accede dalle scale laterali poste sotto l'altare. Si tratta di un ambiente piuttosto austero, privo di decorazioni, con colonnine e volte a crociera segnate da marcati costoloni.
Sulla piazza si affaccia anche il grande palazzo municipale, costruito nel 1719. Il palazzo oltre ad essere imponente è anche molto elegante nelle sue forme e anche i successivi ampliamenti del 1841 negli anni trenta del XIX secolo e ancora nel 1957 non hanno modificato l'aspetto settecentesco dell'edificio che si presenta porticato e con un bell'arredo antistante.
È curioso sapere che prima ne esisteva uno molto più antico, ma che venne distrutto nel 1412 durante una delle tante guerre che videro Santhià un campo di battaglia. Secondo gli storici locali, per oltre 300 anni il nostro borgo rimase così senza un edificio comunale e quindi le attività amministrative venivano svolte presso edifici privati.
Faccio un giro intorno alla chiesa e trovo sita sul retro della parrocchiale, la chiesa sconsacrata del Santo Rosario, oggi adibita a salone parrocchiale. A testimonianza dell'edifico originario sono conservate la facciata e l'impianto planimetrico a navata unica. La facciata intonacata è caratterizzata da due ordini architettonici a quattro lesene. La facciata termina con un frontone modanato con timpano ed è in ottimo stato di conservazione. Nelle sue vicinanze vi è un bellissimo esempio di muretto in pietra a spina di pesce e laterizio, sicuramente è un tratto delle antiche mura medioevali del claustro canonicale.
Dopo aver fatto un giro anche intorno al Palazzo Municipale, sorseggiato un caffè nella piazza Roma, mi reco in via De Rege Como per poter ammirare il cosiddetto Palazzo del Capitano, un edificio caratterizzato da un affresco sacro raffigurante Cristo, ricavato all'interno di una finestra a sesto acuto, posta centralmente all'edificio. Il dipinto all'interno della finestra è ornato da un ampia cornice rettangolare in cotto con belle decorazioni. Questa antica casa, che affonda le radici alla fine del XV secolo, oggi ben restaurata, sembra essere la parte rimasta di una casaforte.
Proseguendo per via De Rege Como, continuo la mia passeggiata tra le belle e antiche abitazioni del centro storico di Santhià, su via dell'Ospedale fino a raggiungere Via della Santissima Trinità.
La Chiesa della Santissima Trinità, posta nell'omonima via, fu costruita dalla Confraternita della Santissima Trinità intorno alla metà del XV secolo e ampliata tra il XVII e il XVIII secolo. La facciata è caratterizzata da un'architettura asimmetrica che si ripete anche all'interno. Infatti all'ingresso principale della chiesa, fu aggiunto un corpo di fabbrica con proprio accesso sul lato destro della chiesa, ma l'armonia della sua facciata è rimasta intatta con le sue leggere lesene che dividono la facciata che è interamente intonaca e dipinta con bei fregi.
Il campanile è in stile Barocco piemontese, a pianta quadrata e fu edificato tra il 1745 e il 1750. All'interno della chiesa i due ambienti che erano precedentemente separati ora la rendono a due navate. Infatti nella stessa struttura operarono, per diversi decenni, due distinte confraternite, quella della Santissima Trinità, fondata nel 1497, e quella dei Santi Apostoli, costituita nel 1579 e poi aggregata all'Arciconfraternita della Santissima Trinità nel 1634, unendo così i due edifici rendendo la chiesa a due navate, di cui la maggiore, priva di abside, e quella minore, che culmina con la cappella tardo-rinascimentale dedicata alla Beata Vergine Maria del Carmine.
Al suo interno sono custodite opere di grande valore artistico, come l'altare ligneo Barocco, eseguito dagli intagliatori valsesiani nel XVII secolo, e la pala d'altare, di scuola vercellese del secolo XVI, rappresentante la Santissima Trinità e gli Apostoli Pietro e Paolo. Sono anche visibili all'interno i blasoni delle antiche famiglie santhiatesi.
Poco distante vi è l'antico ospedale, ricavato nel monastero in cui vivevano i frati minori di San Francesco, detti "zoccolanti" che vi vissero fino al 1802, quando per ordine del governo francese in epoca napoleonica, questo monastero fu soppresso. Nel 1817, dopo la Restaurazione, i locali del convento furono adibiti ad Ospedale che fu intitolato al Santissimo Salvatore, mantenendo lo stesso nome della precedente struttura di accoglienza medievale del XIII secolo che era stata fondata dai monaci benedettini per la cura degli ammalati e dei pellegrini.
Del vecchio ospedale, ormai chiuso da tempo, rimangono due strutture principali: una grande navata neoclassica, oggi denominata "Auditorium San Francesco", utilizzata per l'esposizione delle opere partecipanti al "Premio Nazionale di Pittura Contemporanea Santhià", e il chiostro, detto "di San Francesco", che mi è impossibile visitare e che mi dicono versi in condizioni di degrado.
Un vero peccato perché il luogo ha una grande storia in quanto vi sorse nel XIII secolo la prima grande scuola medioevale di chirurgia dell'intero Piemonte. All'epoca la chirurgia non era, considerata una scienze medica, ma solo tecniche meccaniche per lo più svolta da barbieri e cerusici e pensare che vi fosse già una scuola per poter compiere questa attività è importante.
Curioso sapere che durante il Medioevo a Santhià vennero istituiti tre ospedali: San Bernardo, San Giacomo e San Giacomono dei cavalieri gerosolimitani, poi di Malta, ormai tutti scomparsi.
Raggiungo così l'auto per recarmi a vedere alcuni importanti altri edifici. Dapprima mi reco a vedere la chiesetta di San Grato, un antico e piccolo edificio del XVI-XVII secolo con un bel pronao antistante l'ingresso. L'edificio è posto poco distante dalla strada che conduce verso Alice Castello. L'edificio si presenta purtroppo in cattivo stato di conservazione, realizzato in mattoni intonacati, è dotato di un basso campanile in laterizio in parte intonacato. Ora la chiesetta è sconsacrata, ma riesco a scorgere l'interno che è a navata unica con due cappelle per lato, volta e parete di fondo del presbiterio riccamente decorate con dipinti murali. Nei suoi pressi sorge la nuova chiesa, in stile moderno e l'Oratorio di San Grato.
Raggiungo anche la chiesetta della Madonna Travata, posta lungo una strada campestre, in direzione Tronzano ma non si tratta del suo nome originario. Infatti nella relazione per la visita pastorale del vescovo di Vercelli nella parrocchia di Santhià, avvenuta nel 1755, la chiesa è denominata del Santissimo Nome di Maria, detta "della Trovata". Un piccolo gioielli posta in aperta campagna. La chiesa è senz'altro molto più antica, visto che gli affreschi che decorano la parte laterale destra risalgono al XV secolo.
Mentre la Chiesa di San Rocco, sorge sulla strada verso San Germano, sulla Via Francigena. Questa era un antico oratorio, già esistente nel XVI secolo e forse in origine fosse dedicata a San Marco evangelista, anch'esso protettore contro le pestilenze. L'edificio fu distrutto e ricostruito ripetutamente, si presenta in ottimo stato di conservazione con un bel pronao e un abside semicircolare.
Ma a Santhià vi sono ancora tanti angoli ed edifici storici da vedere come, il complesso del molino Ugliengo, ex Consorzio agrario. Le prime notizie del Molino risalgono al XV secolo, contemporaneo alla realizzazione del Naviglio d'Ivrea che fu iniziato nel 1448 da Amedeo VIII Duca di Savoia.
All'epoca l'impianto era formato da cinque ruote a pale: quattro utilizzate per la macinazione di granaglie, mentre una quinta utilizzata per il riso. Gli edifici del complesso sono molti, dalla casa del mugnaio, ai magazzini, alle stalle e depositi per il foraggio. Nonostante le modifiche e gli ampliamenti ottocenteschi, il Molino conserva tutto il suo fascino ed è sicuramente un pezzo di storia della agricoltura del Piemonte.
Desta il mio interessa anche l'ex Stazione idrometrica sperimentale, situata a poca distanza dal centro cittadino. Anche questa struttura è un importante tassello della storia cittadina ed un bel manufatto di ingegneria idraulica.
La stazione fu necessaria con l'entrata in funzione del Canale Cavour, inaugurato nel 1866, e delle sue diverse diramazioni, per regolare la quantità di acqua destinata ai vari canali di irrigazione agricola. Tuttavia la stazione funzionò soltanto per un breve periodo di tempo sia per motivi tecnici che problemi legati al limo che giungeva dal fiume Dora.
L'elegante e raffinata palazzina della centrale, cuore della Stazione si presenta come un tipico esempio di architettura industriale di inizio XX secolo, con influenze Liberty ed eclettiche. La palazzina, utilizzata per gli studi idraulici, è affiancata da un'elegante torretta, sempre costruita secondo lo stile di fine Ottocento. Ovviamente l'ex Stazione idrometrica sperimentale è osservabile solo dall'esterno.
Sempre nelle campagne intorno a Santhià si può vedere fra le numerose cascine che circondano, quella della Mandria che è tra le più antiche. L'edificazione della cascina risale al 1741, su progetto dell'architetto e misuratore Giacinto Baijs, collaboratore di Benedetto Alfieri e fu voluta dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia, per l'allevamento ed il ricovero dei cavalli. È un importante complesso agricoli posto lungo la vecchia strada che collegava Santhià a Cavaglià.
Dell'originaria struttura settecentesca rimane solo una parte del perimetro esterno. Ma quello che caratterizza la cascina è l'originale facciata in mattoni rossi con il suo maestoso ingresso al complesso agricolo.
Devo percorrere un tratto di strada per raggiungere Vettignè e il suo castello. Si tratta di un antico edificio di origine medievale che fu a lungo di proprietà della nobile famiglia dei Vialardi di Verrone, poi dei Dal Pozzo e passò al ramo Savoia-Aosta nel 1867, quando Maria Vittoria Carlotta Enrichetta Dal Pozzo della Cisterna, figlia dell'ultimo erede maschio dei Dal Pozzo, proprietario del castello, va in sposa al principe Amedeo di Savoia duca di Aosta e successivamente re di Spagna.
Il castello che alcune fonti storiche fanno risalire al 1460 circa, si compone di una massiccia rocchetta munita di una torre cilindrica e di una piccola torretta quadrata. Un secondo corpo di fabbrica è un torrione collocato all'angolo opposto, da cui vi è l'antico ingresso al complesso tramite un ponte levatoio. Il nucleo castellato è interamente circondato da merli a coda di rondine. Il complesso subì diverse modifiche tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, Ma la trasformazione maggiore avvenne dopo il reale matrimonio del 1867 con la realizzazione di un palazzo su tre piani per ospitare gli appartamenti reali. Il castello fu venduto dalla famiglia Savoia a privati alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Intorno vi sorge un complesso agricolo con le aziende agricole e le case dei salariati.
Il borgo di Vettignè ha una bella chiesa dedicata a San Giorgio, ma vi sono ancora le insegne della vecchia scuola, dell'osteria e del mulino. A partire dalla seconda metà del XX secolo nel castello e nel borgo annesso, iniziò lo spopolamento della frazione.
Il toponimo Vettignè deriva dal Vectigal che era il dazio che si pagava per ottenere il diritto di passaggio dal borgo, che all'epoca era il crocevia tra la Via Svizzera e la Via Francigena, detta anche Via Francesca.
Lascio Santhià e Vettignè per far rientro nella mia cittadina e nel viaggio mi sovviene alla mente una leggenda che avevo letto su una guida, dove il sanguinario capitano di ventura Bonifazio Cane, detto Facino Cane, avrebbe risparmiato il castello Vettignè e il suo borgo dalle sue scorribande proprio perché vi sarebbe nato, quando in realtà le fonti storiche lo fanno nativo a Casale Monferrato.